Roswell.it - Fanfiction
SPECIALE

CUORI PRIGIONIERI (Captive Hearts)

Capitoli 49-54


Riassunto: Questa storia, in 118 capitoli, comincia subito dopo gli eventi dell'episodio "Amore alieno" (1.16), e nulla di quello che è accaduto dopo l’episodio è rilevante ai fini della storia. Max non è un re. Tess non esiste, non ci sono Skins o duplicati o Granilith.
Torniamo indietro al tempo in cui Max non ha occhi che per Liz e il suo più grande desiderio, la sua più grande paura è che lei in qualche modo possa ricambiarlo.

Valutazione contenuto: non adatto ai bambini.

Disclaimer: Ogni riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.


Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24
Capitoli 25-30
Capitoli 31-36
Capitoli 37-42
Capitoli 43-48

Capitolo 49

Il sorriso non aveva lasciato la faccia di Max per tutta la notte. Liz era incinta. Guardò in giù verso il suo viso, mentre dormiva tranquillamente rannicchiata contro di lui.
Le accarezzò i capelli, allontanandoli dal suo viso mentre la sentiva respirare in modo leggero e regolare. Avevano trascorso quasi tutta la notte a parlare, del bambino , di Ellie e delle passeggiate nei sogni.
Liz aveva pianto ancora, addolorata che il tempo trascorso con Ellie fosse stato così breve e poi si era consolata da sola, sapendo che presto avrebbe potuto vederla ancora. Le passeggiate nei sogni non avvenivano tanto spesso quanto Max desiderava ma, mano a mano che Ellie fosse cresciuta, sarebbero diventate più lunghe e più frequenti. Avrebbero voluto rivederla subito e Liz avrebbe finalmente avuto la possibilità di conoscerla e amarla più di quanto avesse fatto negli ultimi mesi.
La mano di Max scivolò sopra la camicia da notte e di posò sulla pancia di Liz. Ancora era troppo presto per avvertire una reale presenza. Se Liz aveva ragione, questo bambino era stato concepito lì, solo poche ore prima. Lei aveva registrato il suo ciclo, perché stavano cercando di pianificare la nuova gravidanza con cura, per non interferire con i suoi studi e lei si era lamentata del fatto che avrebbe avuto l’ovulazione proprio durante quella vacanza. A suo tempo, avevano penato che i rapporti sessuali erano probabilmente fuori questione lì, nella sua vecchia stanza, con i suoi genitori solo in fondo al corridoio.
Bene, Michael non lo avrebbe chiamato ‘insaziabile’ per niente.
Comunque, come poteva rimproverarsi? Si era innamorato di Liz nel momento in cui aveva posato gli occhi su di lei ed il suo amore per lei era cresciuto col tempo. Lei era quello che aveva portato il suo mondo verso la vita, così il fatto che non poteva tenere le mani lontano da lei non era una sorpresa. Ed ora lei stava portando il suo bambino e, questa volta, avrebbe diviso l’esperienza con lei. C’era solo una cosa che impediva alla sua vita di essere completa.

Naturalmente era troppo presto per sapere se era un maschio o una femmina, ma non gli importava. Tutto quello che contava era che Liz stesse bene, che il bambino stesse bene e che nessuno lo avrebbe portato via da loro.
Liz aveva detto che ci sarebbe voluta qualche settimana per cominciare a ‘sentire’ il bambino, come diceva lei. Lui ricordava le sensazioni che aveva ricevuto da Ellie, prima di scoprire cosa fossero. Questa volta non le avrebbe combattute, anzi le avrebbe assecondate.
Si spostò nel letto per poggiare la testa sul suo petto e con una mano le accarezzava la pancia. Tra sei mesi, una nuova vita darebbe arrivata in questo mondo. Sei mesi non erano poi molti. Ne avevano bisogno per fare spazio nella loro casetta. Forse avrebbero dovuto trasferirsi, trovare una casa più grande. Forse avrebbe dovuto scegliere la scuola, scoprire quale era la migliore. Aspetta. Ci sarebbero voluti anni prima che il bambino fosse abbastanza grande da andare a scuola. Si diede una scrollata mentale, dicendo a se stesso che era troppo presto ancora per dare i numeri.
Si chiedeva se fosse un bambino o una bambina. Come l’avrebbero chiamato? Era stato così bello il modo in cui Liz aveva scelto il nome per Ellie, e per di più le si adattava molto. Si ricordò di quando Liz gli aveva detto che ad Ellie, ancora prima di nascere, era piaciuto molto il suo nome. Forse anche questa piccola vita preziosa avrebbe voluto scegliersi il nome da sola.
Max passò le dita sopra l’addome piatto di Liz, ricordandolo come l’aveva visto quando portava in grembo la bambina. Questa volta sarebbe stato differente. Sarebbe stato con lei ad ogni passo del viaggio. Ci sarebbe stato per massaggiarle la schiena, se le avesse fatto male e per le gambe per far sparire i crampi. Ci sarebbe stato se lei avesse avuto voglia di gelato nel cuore della notte o se avesse avuto le nausee mattutine. Aveva avuto nausee mattutine, prima? Non gliene aveva mai parlato. Cosa sarebbe successo se non fosse riuscita a mangiare? Se avesse perso peso? Se ci fossero state complicazioni? Si diede mentalmente un cazzotto in testa e si disse di smetterla di fare lo stupido. Sarebbe andato tutto bene. Sperava.

Poi fece una cosa, una cosa che non aveva fatto da moltissimo tempo. Non era che lui non credesse, ma la sua fede era stata messa alla prova così dolorosamente da tutto quello che avevano passato. Chiuse gli occhi e parlò sottovoce, rompendo il silenzio della notte. “Ti prego, Signore, non lasciare che accada loro nulla di male. Tienili al sicuro ed in salute … e con me.”


***

Diane distolse lo sguardo dai fornelli per vedere Max e Liz entrare in cucina tenendosi per mano ed incapaci di staccare gli occhi l’uno dall’altra. “Buon giorno a voi due. Avete dormito bene?” Notò che Liz stava sbadigliando e si strofinava gli occhi, come se si fosse appena svegliata, ma lo sguardo di Max era vivace e attento, come se fosse già stato in piedi da ore.
“Buon giorno, mamma.” sorrise Max, dandole un bacio sulla guancia, mentre le passava accanto per dirigersi verso la tavola.
Diane notò anche come prese una sedia per Liz, girandole dietro e facendola sedere. Le sue mani le carezzavano le spalle e le braccia, e quando finalmente si sedette, mise la sedia attaccata a quella di lei. C’era qualcosa di strano. Diane poteva capirlo dalle loro facce e dal modo in cui non smettevano di guardarsi.
Liz fece un altro sbadiglio e si decise a staccare gli occhi da Max, per guardare Diane . “Posso fare qualcosa per aiutare?”
La cucina era piena dei profumi della colazione, pasticcio di carne nella padella e frittelle sulla piastra. Diane prese le uova, le mise nella padella sul fornello e cominciò a strapazzarle. “Potresti apparecchiare la tavola, Liz. Sai dov’è il necessario.”
“Lo faccio io!” disse Max, balzando in piedi. Si sporse verso Liz e le disse piano all’orecchio “Tu sta’ ferma e rilassati.”
“Max, io non …” cominciò a dire Liz e lui la fece tacere dandole un bacio.
“Solo per farmi contento, okay?” disse lui. Lei fece quel sorriso esasperato che faceva ogni volta che pensava che Max si stesse comportando assurdamente, e scosse la testa. Lui le prese il viso tra le mani e le passò i pollici sopra le guance, prima di andare verso la credenza per prendere piatti e bicchieri. Max si era accorto che lei oggi era stanca, dopo tutto erano stati svegli quasi tutta la notte per parlare. Sapeva che stava bene, però …

Diane assistette a tutta la scena con uno sguardo incuriosito. Liz non era certo il tipo a cui piaceva apparecchiare la tavola, pensò ironicamente. Forse Liz lo aveva veramente cambiato in meglio, negli ultimi due anni. Quando ancora viveva a casa, Max era il tipo che si sedeva a tavola ed aspettava che il cibo arrivasse da lui e dopo dava una mano a ripulire, quando avevano finito di mangiare, ed aiutava a lavare i piatti. “Liz, vorresti avvertire Philip che la colazione è quasi pronta e vedere se Isabel e sveglia?”
“Certo!” Liz aveva appena cominciato ad alzarsi, quando Max glielo impedì di nuovo.
“Posso farlo io.” disse svelto “Solo un attimo che finisco di apparecchiare.” Allineò i coltelli, le forchette e i cucchiai accanto ai piatti, poi corse a chiamare il padre.
Liz notò lo sguardo curioso negli occhi di Diane e si strinse nelle spalle. “E’ così pieno di energia stamattina, vero?”
“Si.” rispose Diane, aggrottando le sopracciglia “L’ho notato.”
“E’ così, papà.” stava dicendo Max un minuto dopo rientrando in cucina con Philip al seguito ed Isabel alla retroguardia. “La mercanzia si vende come caramelle sul sito, specialmente quelle T-shirt con la nuova grafica disegnata da Isabel. E molta di quella roba che abbiamo comprato da Amy, va via così in fretta che non riusciamo a stare dietro alle richieste. Credo che dovremo assumere un paio di persone, solo per riuscire a soddisfare gli ordini.”
“Allora, va alla grande, figliolo.” disse Philip, dandogli affettuosamente una pacca sulle spalle.
Prese il piatto di frittelle dalla moglie, quando le passò accanto, mentre Isabel prendeva le patate fritte e Max afferrava le uova strapazzate. Diane portò i toast e tutti si sedettero attorno alla tavola, riempiendosi i piatti e parlando allegramente.
Una volta che si fu seduto, Max si allungò per prendere il succo di frutta e ne versò un bicchiere per sé e uno per Liz. Poi vide il latte e si girò a guardarla. “E’ meglio che bevi anche il latte. Hai bisogno di calcio. Ti prendo un altro bicchiere.” Si alzò dal tavolo ed andò verso la credenza. Quando tornò indietro, notò che tutti gli occhi erano posati su di lui. “Cosa c’è? Cosa ho fatto?”
Diana spostò lo sguardo da suo figlio a sua nuora.”va tutto bene, per te, Liz?”
“Um … si, io sto bene.” Si voltò a guardare Max e lo sguardo che gli diede diceva in termini molto chiari ‘Ora porta qui il tuo dolce sedere e siediti!’. Si rivolse a Diane e disse “Max ha letto un articolo sull’osteoporosi ed ora vuole essere sicuro che assuma abbastanza calcio.”
“Oh.” replicò Diane, ancora sospettosa. “Mangiate, prima che si freddi tutto.” li esortò, notando il silenzioso scambio di occhiate tra Liz e Max. Di sicuro c’era sotto qualcosa.
”C’è qualcosa, “cominciò a dire Philip prendendo un pezzo di frittella “a proposito del ragazzo Robbins. Max, devi essere molto orgoglioso di quello che hai fatto per restituire sano e salvo quel bambino alla sua famiglia. Ho letto un aggiornamento sulle notizie del mattino ed hanno scritto che quell’uomo, Kevin Brown, è già stato condannato per reati sessuali. Stando a quello che dice l’articolo, è stato condannato dieci anni fa per aver molestato una bambina di cinque anni ed era il libertà vigilata dopo una condanna di due anni per aver molestato un’altra bambina. Credo che la ragazzina avesse solo sette o otto anni.”
“Hanno detto come sta Billy?” chiese preoccupato Max.
“Si.” Philip si infilò il boccone “ Dicono che sta bene e che è già uscito dall’ospedale ed è tornato a casa.”
“Max.” Diane sorrise a suo figlio. “Quello che hai fatto per quella famiglia è sorprendente. Dio sa cosa sarebbe successo a quel bambino se tu non li avessi aiutati.”
“Sono solo contento di poter essere stato d’aiuto.” disse Max sinceramente “Mi ha fatto sentire bene, vedere quella famiglia in TV ieri sera.”
“Hanno avuto il regalo di Natale più bello del mondo grazie a te, Max.” disse Liz seria “Hanno riavuto indietro la loro famiglia.” Un messaggio silenzioso passò tra Max e Liz, mentre si auguravano entrambi che la stessa cosa potesse succedere anche a loro, e Ellie diventasse una presenza in qualcosa di più che nei loro sogni.
Continuarono la loro colazione passando d’ argomento ad argomento e, dopo pochi minuti Max notò che Liz non stava mangiando molto. Guardò il suo piatto e poi la sua faccia, notando come il dorso della sua mano fosse posato sulla bocca. Rimase pietrificato quando la vide alzarsi e lasciare la cucina. Lasciò cadere la sua forchetta e le corse dietro, mentre correva nel corridoio, chiamandola preoccupato. “Liz, cosa c’è che non va? Liz!”

Arrivò nel bagno, pochi secondi dopo di lei e la vide inginocchiarsi davanti al water. Chiuse la porta al rumore dei conati di vomito e lei rimise quel poco che aveva mangiato qualche minuto prima. Le corse vicino e le si inginocchiò accanto, prendendole i capelli, mentre lei sollevava la testa e sentendosi come se tutto questo fosse solo colpa sua.
“Tesoro, ti senti meglio?” le chiese preoccupato. “Liz?”
I conati le impedivano di parlare e Max le sostenne la testa, aspettando che passassero. Quando la nausea passò, lei si appoggiò a lui, pulendosi la bocca.
Fece scorrere l’acqua, imbarazzata che lui fosse stato presente e si lasciò aiutare a rimettersi in piedi.
“Sto bene, ora. E’ passato.” disse Liz facendo un respiro profondo. Si avvicino al lavandino, per lavarsi le mani e la bocca.
“Ne sei sicura?” Gli occhi di lui erano pieni di inquietudine, pentendosi di essersi lasciato convincere dalle sue parole ad imbarcarsi in questa faccenda. Poco importava il fatto che avevano deciso insieme, lui non avrebbe mai dovuto acconsentire. Lui era alieno, lei era umana. Il bambino le stava facendo del male perché il suo corpo respingeva il DNA alieno che portava dentro di sé. Come avevano fatto a pensare che quella fosse una buona idea?
“Okay. Ora devi farla finita!” disse Liz, gettando nella cesta della biancheria sporca l’asciugamano che aveva appena usato.
“Cosa? Cosa vuoi dire?” disse Max, sapendo benissimo cosa intendesse.
“Non starmi a chiedere ‘Cosa’ Max Evans! Io so esattamente a cosa stai pensando, e devi smetterla immediatamente. Questo bambino non mi sta facendo del male. Ellie è la prova che avere il tuo bambino non può danneggiarmi e allora levatelo dalla testa subito! Per tua informazione, io ho avuto le nausee mattutine anche con lei. E per tua ulteriore informazione TANTISSIME DONNE LE HANNO! Anche donne che non portano bambini mezzi alieni!”
“Okay. Okay.” disse Max alzando le mani. “E’ solo che non posso fare a meno di preoccuparmi per te.”
“Okay.” acconsentì Liz e si sporse verso di lui per baciarlo e poi si trattenne pensando che il suo alito doveva essere terribile. Lui sorrise e le passò una mano davanti alla bocca cambiando il sapore acido nella sua bocca in dolce ambrosia. “Grazie!” mormorò Liz arrossendo, prima di avvicinarsi per baciarlo.
Lui la prese tra le braccia e si diressero vero la porta e aprendola videro Diane, Philip e Isabel nel corridoio, che li guardavano.
“Okay. Fuori tutto!” disse Diane, guardando dall’uno all’altra.
“Non ha digerito la colazione…” cominciò Max, ma Liz lo fece tacere.
“Sono nausee mattutine.” disse Liz e vide tre paio di occhi spalancarsi.
“Stai dicendo sul serio?” chiese Diane eccitata. Liz annuì e Diane prese tra le braccia la ragazza, abbracciandola stretta. “Congratulazioni!” Fece entrare anche Max nell’abbraccio e li strinse entrambi. “Di quanto sei, cara?” chiese alla fine Diane, quando si riprese dallo choc.
“Ummm,” bofonchiò Max, scuotendo la testa. Guardò l’orologio, poi Liz, pensando ‘Circa otto ore’ e rispondendo incerto “Ummm, non più di una settimana … o due … credo.” Guardò ancora fuggevolmente l’orologio, poi si rivolse a Liz. “Probabilmente meno di una settimana o due, forse. Non è vero?”
“Giusto.” fu concorde Liz “Non oltre le ultime una o due settimane, si.” Nessuno doveva sapere che avevano fatto sesso selvaggio nel suo letto, la notte scorsa, con il risultato di dare origine a una nuova vita.
“E tu già lo sai?” chiese sorpresa Diane. “Così presto?”
“Si, vedi … “ disse Liz, poi si strinse tra le spalle.”E’ una cosa aliena. Essere in grado di dirlo così presto.”
“Senti il bambino nella tua mente. Come l’altra volta?” chiese Isabel, affascinata dall’idea di comunicare col proprio figlio prima che nascesse. Un giorno sperava di avere un bambino suo.
“No. Non ancora.” rispose Max. “E’ successo che Liz ha passeggiato nei sogni, la notte scorsa e si è unita al mio sogno con Ellie …” continuò Max, mentre tutti ritornavano in cucina. Raccontò la loro esperienza, con Liz che si era unita a loro, raccontando la sua eccitazione nel vedere Ellie, nel parlarle e nell’abbracciarla. Mentre parlava di sua figlia, descrivendo come era e le cose che diceva, Max vide la gioia sulle loro facce
Ma non disse nulla della sua paura che Ellie non era stata mai portata fuori e delle implicazioni che questo comportava. tenne per sé quei pensieri e pregò di essersi sbagliato.

***

Max sentì suonare il campanello e si diresse dal soggiorno all’ingresso. Aprì la porta e per la seconda volta in tre giorni fu sorpreso di vedere, dall’altra parte, Jim Valenti.
“Ciao, Jim.” disse Max facendo un passo indietro per permettergli di entrare.
“Max.” disse Jim con un cenno della testa. Si tolse il cappello ed entrò in casa degli Evans.
“E’ sociale o ufficiale?” chiese Max, vedendo Jim in divisa, con il distintivo appuntato ben in vista sulla sua giacca,
“Un po’ di tutte e due, Max.” Jim sorrise “ Non ho ancora visto la tua graziosa mogliettina, da quando siete arrivati. E’ da queste parti?”
“No” rispose Max e lo fece accomodare in soggiorno. “Sono tutti fuori a fare le spese dell’ultimo minuto. Temo che ti dovrò bastare io, se sei in cerca di compagnia. Stavo proprio cercando di incartare questi regali, prima che tornino.” Max si sedette sul divano, tra la carta da regalo e i nastri, e Jim si sedette nella sedia vicina. “Hai bisogno di vedere Liz?”
“Oh, no. Volevo solo salutarla. fare a tutti gli auguri di Buon Natale.” disse Jim, girandosi il cappello tra le mani.
“Bene, Buon Natale anche a te, Jim! Lo trascorrerai con Amy?” chiese Max.
“In effetti, si.” Jim sorrise decisamente.
“Suona promettente.” rise Max “Mi sbaglio o sta nascendo qualcosa di più di un’amicizia tra voi?”
“Se dipendesse solo da me …” disse Jim, cercando di nascondere il sorriso. “Ad ogni modo, lasciami dire il motivo principale per cui sono qui. Questa mattina ho avuto una chiamata da un collega di Phoenix. Sta organizzando lì una nuova unità operativa, la Children Victims Unit, specializzata in crimini sui bambini. Mi ha chiamato dopo aver letto un articolo sul caso di Billy Robbins.”
“Oh.” disse Max, incerto di dove Jim volesse andare a parare.
“Il suo nome è Carl Montoya e ci ha chiesto informazioni sul metodo che abbiamo usato e ebbene, lui è realmente affascinato dalla precisione del tuo disegno. Mi ha chiesto di te e …”
“Jim, io penso che …” cominciò ad obiettare Max.
“Non gli ho dato il tuo nome, Max. non ti devi preoccupare.” lo rassicurò Jim “Ma vorrebbe avere la possibilità di parlare con te. E’ un brav’uomo, Max. Lo conosco da anni.”
“Jim …” sospirò Max, scotendo la testa.
“L’unica ragione per cui sono qui, è perché ho visto come sei stato abile con la piccola Samantha Robbins.” lo pressò Jim. “Tu ci sai fare con i bambini, Max. Si sentono a loro agio con te, e tu sai di poter entrare nella loro mente senza che neanche se ne rendano conto. Questo tipo di potere, questo dono, può fare la differenza … Bene, non voglio forzarti, Max, so che non devi niente a nessuno. Piuttosto, è il contrario, ma volevo fartelo sapere, così potrai pensarci su. A Carl farebbe piacere averti nella sua squadra.”
“Cosa comporterebbe tutto questo?” chiese Max esitante.
“In sostanza, la stessa cosa che hai fatto qui.” replicò Jim incoraggiato dal fatto che almeno Max si mostrasse interessato. “Saresti chiamato nei casi che avessero bisogno della tua esperienza. Dovresti interrogare i bambini, cercare le informazioni nascoste nella loro mente e usarle per aiutare la squadra a risolvere il caso. Non saresti coinvolto in niente altro. E nessuno saprebbe mai come in realtà ottieni le informazioni.”
“Non lo so, Jim.” disse Max, prendendosi tra il pollice e l’indice il labbro inferiore, in un gesto nervoso.
Jim si allungò per prende dalla tasca della giacca il foglio che vi aveva messo poco prima. “Questi sono l’indirizzo ed il numero di telefono di Carl.” disse Jim, porgendolo a Max. “Pensaci su, giusto per farmi un favore, va bene?”
Si alzò in piedi e Max lo seguì verso l’ingresso “E dì alla tua graziosa mogliettina, che mi dispiace di non averla potuta salutare.” aggiunse Jim, mentre si metteva il cappello e si dirigeva fuori dalla porta.
“Lo farò!” Max sorrise, giocherellando col foglio di carta mentre Jim montava in macchina. Lo vide lasciare il vialetto e dirigersi sulla strada, ricordando la soddisfazione che aveva provato quando Billy Robbins era stato ritrovato sano e salvo. Il suo incubo personale era ancora vivo, ma forse, solo forse, poteva fare qualcosa per aiutare altra gente a sconfiggere i propri.

Capitolo 50

Max si scosse, ricordando che Valenti aveva detto che Montoya era un brav’uomo. Sperava solo che Jim avesse ragione. Era così difficile avere fiducia di qualcuno. Anche se pensava che Montoya non volesse, in quel momento, scoprire il suo segreto, la possibilità di essere scoperto c’era sempre, ogni volta che si metteva in evidenza. Poteva veramente approfittare di questa possibilità? Si costrinse salire i gradini dell’ ingresso principale e ad entrare nello scuro interno della stazione di polizia.
Appena passata la porta, fu investito dal pandemonio. Era un caos controllato. Si fermò all’ingresso, domandandosi dove fosse finito. Ufficiali di polizia scortavano sospetti, poco collaborativi. Telefoni che squillavano in continuazione. Gente che girava lì intorno in preda ad agitazione. Max stava quasi per voltarsi ed andarsene, quando udì una voce.
“C’è qualcosa che posso fare per te?”
Max si girò bruscamente, scoprendo un poliziotto di mezza età che stava alla sua destra, proprio vicino a lui e lo guardava diretto negli occhi. Sbigottito, rimase senza voce e gli ci volle un momento per riprendersi. “Io, um … Sono qui per vedere il Detective Montoya, Carl Montoya.”
“Hey, Jack. “ l’uomo si rivolse ad un altro poliziotto dietro un lungo bancone.” Hai visto Rocky ultimamente?”
“Si. L’ho visto meno di mezz’ora fa, diretto giù alla tomba.” disse distrattamente il poliziotto, allungando la meno per prendere la telefonata successiva.
“Dannazione. Potrebbe stare lì sotto per ore. Ti accompagno di sotto all’Unità e poi manderò qualcuno a cercarlo. Ti sta aspettando?”
“Qualcosa del genere.” rispose vagamente Max.
“Bene. Vieni con me. Come ti chiami?”
“Max Evans.” rispose, e seguì il poliziotto sentendosi completamente fuori posto. Il Dipartimento di Polizia di Roswell era completamente diverso. Era piuttosto tranquillo, senza tutto quel chiasso e quella agitazione. Scesero nelle profondità dell’edificio ed il livello del rumore diminuì. Arrivarono ad una porta con la scritta ‘Children Victims Unit’ riprodotta sul vetro e Max fu condotto dentro.
“Mettiti seduto, finché non arriva Det. Montoya.”
Max vide il poliziotto andarsene, e si mise ad osservare la stanza. La scrivania sulla destra era pulita ed ordinata, con una fila di cartelle, in bell’ordine al centro. Vicino al telefono c’erano un paio di foto, una di una donna sorridente, dai capelli neri, che stava accanto ad un uomo, anche lui dai capelli neri, ma dal viso malinconico. L’altra era dello stesso uomo, ma più giovane, in tenuta da pugile con le mani guantate davanti a lui, come se stesse per colpire il fotografo. Max pensò di aver capito il motivo per cui il, poliziotto aveva chiamato Montoya ‘Rocky’. Quando era giovane, era stato un pugile.
Una tabella alla sua sinistra, attirò la sua attenzione e Max si avvicinò. Era divisa in tre sezioni, con la fotografia di un bambino in evidenza in ogni sezione e con annotazioni, disegni ed altre foto sistemate sotto. Max presuppose fossero i casi su cui stavano lavorando, crimini di cui quei bambini erano state vittime. Era così assorto dai visetti di quei bambini che non sentì Carl Montoya entrare nella stanza.
Montoya guardò il ragazzo di cui Jim Valenti gli aveva parlato così bene. Era di altezza media, circa un metro e ottanta, un corpo snello ma muscoloso. Aveva fitti capelli neri che si arricciavano sulla nuca. I suoi vestiti, jeans e maglione scuro con sopra una giacca leggera, erano puliti e in ordine. Emanava una sensazione di forza, di mistero, un uomo che nascondeva dei segreti.
Aveva fatto alcune ricerche, dopo che Jim gli aveva dato il nome della persona che li aveva aiutati a risolvere il caso Robbins. Max Evans era stato adottato a sei anni, genitori naturali sconosciuti, apparentemente non in grado di sapere cosa gli fosse accaduto nei primi sei anni della sua vita. Come se si fosse materializzato all’improvviso, nell’aria rarefatta del deserto. Strano. I suoi parenti adottivi avevano fatto lezione a casa a lui e a sua sorella, fino alla terza elementare, quando furono iscritti alla scuola di Roswell. E a scuola aveva ottenuto ottimi risultati, era entrato nella lista d’onore degli studenti e, stando alle registrazioni scolastiche, era stato un bambino quieto e riservato, che non voleva o non era capace di legarsi agli altri bambini. Montoya sospettava che, durante quei sei anni della sua vita, gli fosse accaduto qualcosa di drammatico. Mentre investigava più a fondo, notò che nei registri c’era un vuoto nel suo sedicesimo anno, da quando si iscrisse al decimo anno alla West Roswell High a quando frequentò la ENMU, un anno e mezzo dopo. Per più di un anno, non era andato a scuola.
Montoya si era incuriosito e aveva scavato più a fondo, domandandosi se in quel periodo fosse stato malato o altro, quando si imbatté in quello che gli era accaduto. Max Evans era il ragazzo che era stato rapito da quello psicopatico di Jonathan Miller. Aveva letto tutta la sua storia ma, visto che era minorenne, il nome di Max era stato tenuto lontano dalla stampa. Max si girò all’improvviso e quando i loro occhi si incontrarono, Carl fu catturato dalla profondità del dolore che vedeva riflesso negli occhi del giovane uomo.
Max sentì una presenza dietro di lui e si girò per osservare l’uomo che aveva visto nelle fotografie pochi minuti prima.
Carl ‘Rocky’ Montoya non era alto, un metro e settantacinque circa e Max pensò che avesse poco più di quaranta anni. Era un po’ più pesante rispetto alle foto, ma ancora muscoloso. I suoi capelli neri erano striati di grigio sulle tempie e i suoi occhi scuri erano indecifrabili. Uno sguardo al suo naso rendeva evidente lo sport che aveva praticato in gioventù. Probabilmente il suo naso era stato rotto più di una volta, quando faceva il pugile. Quando parlò, la sua voce era profonda e seria.
“Max Evans?” chiese Carl tendendogli la mano e Max la strinse ed annuì. Carl notò che aveva una stretta decisa, ma non eccessiva, e la mano asciutta e calda. “Sono il Detective Montoya, ma tu puoi chiamarmi Carl, o Rocky. Mi chiamano tutti Rocky.”
Gli fece un sorriso e Max notò come tutta la sua faccia cambiasse. con il suo naso rotto e un paio di occhi profondi, aveva un aspetto severo, quasi imbronciato ma quando sorrideva, i suoi occhi si addolcivano e Max si sentì un pochino più rilassato, al punto di ricambiare il sorriso mentre gli diceva “Felice di conoscerti.”
“Così stavi guardando i nostri casi ancora aperti.” commentò Carl, indicando la tabella. Si avvicinò ed indicò la prima foto. “Questo è Scott Harris. Ha dieci anni. E’ in ospedale, in coma. Sospettiamo che sia stato suo padre a picchiarlo. E’ un ubriacone con un pessimo carattere.” Max si girò a guardarlo e Carl si strinse nelle spalle. “Abbiamo un sacco di casi come questo. Troppi.”
Montoya passò alla foto seguente., una bambina questa volta. Sorrideva, nella foto fatta a scuola, e le mancavano i due incisivi anteriori. “Questa è Rosa Martinez. Ha solo sei anni. Vittima di un pirata della strada. Abbiamo ricevuto una chiamata da un garage di Mesa, che diceva che una macchina che corrispondeva alla descrizione dell’auto investitrice, era stata portata a riparare. Abbiamo trovato una traccia di sangue sulla macchina e proprio ora Chris e Tully stanno arrestando il colpevole.
Montoya si spostò accanto all’ultima foto e rimase un attimo a guardarla, prima di parlare. “Questa è la mia spina nel fianco.” Fece silenzio e notò che l’attenzione di Max era concentrata sulla foto della neonata. “Amanda Meyers. E’ scomparsa dall’ospedale il giorno dopo la sua nascita. E’ uno di quei casi in cui potresti esserci di aiuto.”
“Dimmi cosa è successo.” disse piano Max guardando la foto.
Carl avvertì la tensione nel suo portamento e nel modo in cui serrava le mascelle. Era curioso di sapere perché Max aveva avuto una razione così forte a questo caso. “Amanda era nella stanza dell’ ospedale con sua madre e con la sorellina più grande. Shelly. La madre, era andata in bagno e la bimba dormiva in una di quelle piccole culle. Entrò un’infermiera e prese la bambina, sotto gli occhi della sorellina di cinque anni, Bonnie. Sempre che fosse un’infermiera. Prima che Shelley si agitasse perché ancora non le avevano riportato la bambina, la colpevole era già lontana. Le telecamere della sicurezza non mostravano nulla. Bonnie è la sola ad aver visto qualcosa e noi non siamo stati in grado di farle dire niente. Dice solo “Una signora ha preso la bambina.” ma non ci ha dato nessuna traccia. Noi speriamo che tu riesca a parlare con lei e a fare le tue magie, come hai fatto nel caso Robbins.”
“Quando?” chiese Max. Aveva preso la sua decisione prima ancora che Carl Montoya varcasse la porta. nel momento stesso che il suo sguardo si era posato sulle facce di quei bambini sulla tabella, aveva saputo che se c’era qualcosa che lui poteva fare per aiutarli, l’avrebbe fatto. Staccò lo sguardo dalla foto di Amanda Meyers e si girò verso Montoya.
Carl ricambiò lo sguardo per un attimo, sorpreso che avesse accettato così velocemente. Jim Valenti aveva descritto Max come una persona prudente, uno che valutava sempre le cose prima di procedere. fece un profondo respiro e disse “Possiamo averla qui entro un’ora.”
“Okay.” disse Max, annuendo.

***

Montoya guardò dalla vetrata Max Evans che parlava con la piccola Bonnie Meyers. Aveva notato immediatamente come il comportamento del ragazzo fosse cambiato quando la bambina era stata portata nella stanza. Si era rilassato visibilmente e la sua espressione triste si era addolcita. Carl ebbe la netta impressione che Max fosse innervosito dalle persone che non conosceva, cosa normale dopo quello che gli era successo, ma i bambini non erano una minaccia e questo era evidente nel modo in cui interagiva con loro. C’era una gentile fermezza in lui e la sua voce rassicurante mise Bonnie a suo agio.
Guardava Max parlare con Bonnie, rassicurandola dolcemente con leggere carezze sul viso e sulle spalle, mai minaccioso, mai manifesto, prestando piena attenzione alla bambina. Il suo disegno divenne interattivo con Bonnie, una bambina che solo un’ora prima era chiusa ed imbronciata, ora assisteva attivamente allo sviluppo dell’immagine che poteva portare alla conclusione positiva del caso. Montoya guardò affascinato mentre Max componeva la sua magia.
Nessuna meraviglia che Jim Valenti glielo avesse raccomandato così caldamente, si disse Carl. Guardandolo attraverso la vetrata, il suo pensiero tornò alla relazione che aveva letto su Max Evans. Il suo lavoro, negli ultimi vent’anni, lo aveva messo a contatto con i peggiori elementi della natura umana. Aveva visto di tutto. Violenze. Torture. Omicidi. Abusi della peggiore specie
Non c’era alcun dubbio che Max era stato sottoposto a cose terribili nelle mani di Jonathan Miller, tuttavia Montoya trovava ancora più interessanti i primi sei anni della vita di Max. Gli anni di cui Max diceva di non avere alcun ricordo. Cosa gli era successo esattamente in quegli anni?
Max non lo sapeva ancora, ma Montoya era come un cane che cercava un osso, quando si metteva in testa qualcosa. Non si arrendeva. Era quello che lo aveva guidato in tutti quegli anni vissuti per le strade di Mexico City. Era quello che gli aveva consentito di arrivare al titolo dei pesi welter, tanti anni prima, quando tutti gli dicevano che non aveva possibilità di vincere. E ora, i primi sei anni della vita di Max, gli erano decisamente entrati in testa. Magari, se avesse scavato abbastanza in profondità, avrebbe potuto fornire a Max le informazioni che lo avrebbero potuto aiutare a scacciare i demoni personali.
Carl Montoya era determinato a scoprire il segreto che feriva Max Evans. E quando Carl si metteva in testa qualcosa, né il fuoco dell’inferno né l’acqua della marea potevano impedirgli di scoprire la verità.

***

Max entrò in casa e gettò le chiavi sul tavolo accanto alla porta. Poteva sentire Liz trafficare in cucina e prese quella direzione. Il profumo del sugo per gli spaghetti che cuoceva sui fornelli gli assalì le narici e lui aspirò prima di esclamare deciso “Spaghetti e pane all’aglio, SI!”
“Sembri di buonumore.” commentò Liz aggiungendo le spezie al sugo.
“Lo sono.” esclamò Max, andando dietro di lei e stringendole le braccia intorno.”E devo ringraziare te per questo.”
“Me?” chiese Liz incredula. Si sentì le ginocchia deboli e lui strofinò il naso contro il suo orecchio.
“Certo!” disse semplicemente Max. “Tu mi hai praticamente costretto ad andare a parlare col Detective Montoya ed ora sono contento di averlo fatto.”
Liz si girò tra le sue braccia, fino ad averlo di fronte. Gli occhi di Max brillavano davanti a lei, lui la stringeva tra le braccia, chiedendosi quanto tempo mancava perché il pranzo fosse pronto. Poteva pensare a qualche cosa di meglio da fare mentre aspettavano, che non fosse stare attorno ai fornelli.
“Allora, vuoi dirmi cosa è successo?” disse Liz dandogli un bacio veloce. “Mi aspettavo che tornassi ore prima. Cominciavo a preoccuparmi.”
“Bene.” cominciò Max “Sembra che io abbia un nuovo lavoro.”
“Dici sul serio?” esclamò Liz “Dimmi tutto.”
“Ricordi la bambina che fu rapita dal Maryvale Hospital un paio di settimane fa?” Liz annuì e lui non poté fare a meno di notare il lampo di dolore che attraversò il suo viso. Quando sentirono la notizia per la prima volta, ne rimasero duramente colpiti, come sale gettato su una ferita aperta.
“Questo è il caso per il quale Montoya ha richiesto il mio aiuto. Ricordi che la sorellina era nella stanza quando è successo? Oggi l’hanno portata alla stazione di polizia, così ho potuto parlarle. Ecco perché ho fatto così tardi.”
“Come è andata?” chiese Liz, passandogli le dita tra i capelli. “Non ne sono sicuro.” si lamentò Max .”Non ho potuto ottenere molto a lei. Voglio dire, ho potuto vedere chiaramente la faccia della donna, ma questo è tutto. Non ho avuto dettagli, come con Sam Robbins. E sono dovuto stare molto attento nel fare il disegno, sai? Perché se disegnavo la donna esattamente come era, nessuno avrebbe mai creduto che avevo avuto i dettagli da una bambina di cinque anni.”
“Lo so, Max.” fu d’accordo Liz. “Non puoi rischiare di esporti, non importa quanto tu voglia aiutarli.” Lei lo baciò di nuovo e poi tornò a girare la salsa che sobbolliva.
Lui si strofinò ancora contro il suo orecchio, passando le labbra sopra la sua pelle, mentre le braccia la circondavano e le mani si posavano sulla sua pancia.”Come stiamo oggi?”
“Noi ci sentiamo bene, grazie.” sorrise Liz. Un brivido le corse lungo la schiena, quando le labbra di Max raggiunsero il punto sensibile dietro le orecchio e lei lasciò andare un sospiro. La mano di lui salì dalla pancia per andare a coprile il seno. “Max …” disse Liz sognante, mentre appoggiava la schiena contro il suo petto. “Stai pensando a qualcosa che ha a che vedere col sesso?”
“No.” e fece un largo sorriso.
“Sei un bugiardo.” disse Liz ridendo e tolse la pentola dal fuoco. Potevano mangiare più tardi.

***
Liz infilò la cassetta nel videoregistratore e ritornò sul divano, rannicchiandosi contro Max. Lui fece uno sbadiglio, le mise le mani intorno alle spalle, sazio per i meravigliosi spaghetti che gli aveva preparato e dall’attività che si erano goduti prima di cena.
“Così…mi sono fermata da Annie, tornando a casa e lei mi ha dato questa cassetta per studiarla ed essere preparati, quando arriverà il momento. Solo in caso …” disse Liz sorridendogli.
“Solo in caso…?” ripeté lui, non gradendo il suono della frase.
“Si, Max. Solo in caso.” spinse il bottone ‘play’ sul telecomando e lo schermo si riempì dell’immagine ravvicinata della testa di un bambino che stava uscendo dal corpo della madre.
“Oh, Dio! Non lo voglio vedere!” disse Max distogliendo gli occhi dallo schermo imbarazzato.
“Oops, è meglio ricominciare dal principio.”disse Liz prendendo il telecomando. “Ed ora smettila di dimenarti e sta fermo. E sarà meglio che tu presti attenzione, Max. Se dovrai aiutarmi a far nascere questo bambino, sarà meglio che tu sappia cosa fare.” lo ammonì Liz.

“Ma dannazione, Liz. E’ cosi difficile da guardare!” Posò le mani sul cavallo dei pantaloni e piagnucolò, “Mi fa male alle palle!”
“Guarda il video, Max.” disse Liz, con un sorriso compiaciuto.
Guardarono in silenzio e quando la telecamera mise a fuoco il bambino che stava uscendo, Max cominciò a fare smorfie e a guardare di traverso ed alla fine girò la testa, con un forte lamento. Liz gli prese il mento con la mano e gli girò di nuovo la testa verso la TV. Max si lamentò più forte quando lei, preso il telecomando e fatto tornare indietro il video, e lo costrinse a guardarlo di nuovo.

Capitolo 51

Bob Johnson guardò l’orologio sulla parete, poi fece le ultime annotazioni sulla cartella che stava sistemando, prima di chiuderla e di rimetterla al suo posto. Spostò la sedia dalla scrivania e si alzò in piedi lentamente. Prese la giacca dalla spalliera della sedia e se la infilò, uscendo dall’ufficio. Uscì nel il corridoio, chiudendo la porta alle sue spalle ed attraversò il soggiorno, dirigendosi in cucina.
“Mary? Mary, sto uscendo.” chiamò Johnson avvicinandosi al tavolo per vedere cosa stesse facendo Jenny. Il suo album da disegno era aperto davanti a lei e le matite colorare erano allineate in ordine, dalle più scure alla più chiare. Era concentrata selle piccole dita che stringevano forte la matita. I suoi lunghi capelli neri le cadevano intorno, quando si chinava sul foglio e i suoi grandi occhi scuri lo fissarono, quando la toccò sulla spalla.
“Cosa stai disegnando, tesoro?” le chiese, guardando la pagina.
“Nente.” gli rispose decisamente.
“Niente?” Johnson sorrise”A me sembra una farfalla. Veramente una bellissima farfalla.” La guardò stringersi nelle spalle e poi riportare la sua attenzione al disegno. Era molto brava, per avere solo due anni. Lui avrebbe senz’altro detto che quella era una farfalla, con le ali nere macchiate di giallo. “Vuoi aiutarmi a dar da mangiare agli animali del laboratorio, quando tornerò dall’ospedale?”
“okay.” rispose lei, senza togliere gli occhi dal disegno. Jenny raccolse le gambe sotto di sé e si mise in ginocchio sulla sedia, per potersi piegare sopra l’album e non vedere l’uomo che si attardava davanti a lei.
“Okay, dolcezza. Ci vediamo quando tornerò a casa, allora.” Lei alzò il viso e lui si chinò per farle un bacio sulla fronte, ma i suoi occhi rimasero fissi sulla farfalla gialla e nera nel foglio davanti a lei. Lui si raddrizzo e mentre la sua governante entrava in cucina e lui ne uscì. “Sarò al Maryvale Hospital per tutto il giorno, ma tornerò alla solita ora.”
“Molto bene, dottore.” sorrise Mary “Ci vediamo questa sera.”
“Jenny, fai la brava mentre sono via.” disse sorridendo, mentre lei lo guardava.
“lo farò.” disse Ellie, sorridendo all’uomo che pretendeva di essere suo padre. Lei lo vide uscire e tornò a guardare l’album. Girò la pagina per tornare a quella su cui stava lavorando, prima che il suo finto padre entrasse nella stanza.
“Cosa hai fatto, cara?” chiese Mary, interessata a quello che la bimba stava facendo. “Cosa hai disegnato?”
“Mamma e papà.” disse Ellie.
Mary notò che la figura maschile del disegno era alta e magra ed aveva folti capelli neri. La donna del disegno era molto più bassa ed aveva lunghi capelli neri, come quelli di Jenny. Strano come i bambini vedessero i loro genitori. Il padre di Jenny era basso ed aveva perso molti dei suoi capelli da anni. Il dottore aveva detto che sua moglie era morta di parto, e Jenny doveva aver visto qualche foto in cui lei appariva così. “Cosa è questo?” chiese Mary, puntando al centro della figura della mamma.
“Un bambino.” rispose Ellie con un sorriso.
Mary le accarezzò i capelli e sorrise alla precoce bambina. Certo che ne aveva di immaginazione. la piccina aveva avuto una vita difficile per essere così piccola e non era giusto. Era una bambina così dolce.

***

Liz guardò Max uscire dalla doccia, pulito e gocciolante. Lui afferrò un asciugamano e cominciò ad asciugarsi il viso e a strofinarsi i capelli. Lei lo vide riflesso allo specchio del bagno, mentre finiva di lavarsi i denti e rideva per il modo in cui i capelli scompigliati di lui si dirigevano da tutte le parti. I suoi muscoli guizzavano mentre passava la salvietta sulla pelle, sulla spalla, sul braccio e sotto l’ascella, ignaro del fatto che lei osservasse ogni suo movimento. Spostò l’asciugamano dall’altra parte del corpo, sul braccio e poi si asciugò il petto. Si strofinava vigorosamente la pelle liscia e lei non poté fare a meno di notare come i capezzoli diventassero piccole vette rigide al contatto con il tessuto.
Max si asciugò veloce e distratto, guardando Liz che stava accanto al lavandino. Ebbe una reazione ritardata quando si accorse del modo in cui lei lo stava guardando, guardandolo con ‘quello’ sguardo negli occhi e lo spazzolino immobile e dimenticato in bocca. I suoi occhi erano incollati a una certa parte della sua anatomia e lui alzò un sopracciglio dicendo “Vedi qualcosa che ti piace?”
Gli occhi di Liz si spostarono immediatamente e lei sorrise timida, mentre le guance le diventavano rosse. Spostò lo sguardo da lui e ricominciò a lavarsi i denti. Max si avvolse l’asciugamano intorno alla vita e lei lo vide camminare per la stanza, arrivarle dietro e inchinarsi verso di lei. Le appoggiò le mani sui fianchi e la premette contro di sé, per sentire il suo corpo flessibile al di sotto della seta della sua camicia da notte. “A che ora comincia la tua prima lezione?” le chiese con voce rauca.
Lei si chinò verso il lavandino, spingendo nello stesso tempo la sua parte posteriore contro di lui e strofinandosi contro il suo corpo avvolto nell’asciugamano. Si risciacquò la bocca e guardò la sua immagine riflessa nello specchio, notando come lui stesse fissando il punto di contatto tra i loro corpi. “Perché, signore, avrebbe qualcosa in mente?” scherzò.
“Forse.” disse Max girandola verso di lui. Le sollevò il mento, mentre le sue labbra scendevano su quelle di lei per baciarla e le sua mani la tenevano saldamente. La sollevò e la posò sul mobiletto del bagno, scivolando tra le gambe che le aveva aperto, acutamente conscio del fatto che lei non indossava le mutandine sotto la sua camicia da notte celeste. Le braccia di Liz circondavano le sue ampie spalle e lui diresse la bocca sul collo, sulla V alla base della sua gola.
“Ma Montoya non deve passarti a prendere tra qualche minuto?” chiese Liz sognando al piacere della sensazione delle labbra di Max sulla sua pelle. Poteva sentire il rigonfiamento sotto l’asciugamano, che premeva contro di lei, mentre si dibatteva interiormente sul quanto la sua prima lezione del giorno fosse importante.
“Credo che abbiamo il tempo per una ‘sveltina’.” mormorò Max, riportando le labbra sulla sua gola.
“Una ‘sveltina’?” Liz si sentì offesa e lo spinse via. Gli diede un pugno sul petto e saltò giù dal mobiletto.
“Cosa c’è di sbagliato in una ‘sveltina’?” rise Max, riparandosi il petto, pensando che lei stesse per colpirlo di nuovo.
“Non ho intenzione di diventare tutta eccitata e frustrata prima della lezione, solo perché tu possa avere una ‘sveltina’!” Liz si allontanò da lui con finta indignazione e con il naso per aria.
“Ma Liz,” replicò Max, sorridendo mentre la seguiva nella stanza “Tu non devi diventare calda e disposta. E questa la parte migliore della ‘sveltina’.” Lei si girò e lo squadrò, cercando di non arrendersi al suo fascino fanciullesco, e lo guardò dall’alto in basso. Lui fece prudentemente un passo indietro, perché non potesse colpirlo dove gli avrebbe veramente fatto male.
“Vatti a vestire, Max.” lo derise Liz, aprendo il cassetto e tirandogli addosso un paio di boxer.
Lui li afferrò con una mano e con l’altra si tolse l’asciugamano dalla vita. Si fermò nudo in mezzo alla stanza, sorridendole con le sopracciglia alzate, e toccandosi i genitali con la mano le disse “Ultima possibilità, Liz …”
Il campanello della porta cominciò a suonare, il sorriso gli morì sulle labbra e i suoi occhi si spalancarono.
“Oh, per la miseria! E’ già qui.” Max si precipitò ad infilarsi i boxer e per la fretta, perse l’equilibrio. Cadde sul letto, con i boxer ancora sui fianchi, mentre lei lanciava nella sua direzione i calzini ed un paio di jeans puliti.
Liz corse verso l’armadio ed infilò l’accappatoio, chiudendolo con la cinta alla vita, mentre sfilava una camicia di Max dalla stampella e la tirava nella sua direzione. Si diresse verso il soggiorno, girandosi ancora a guardarlo, mentre andava ad aprire la porta.
Si sistemò i capelli, si aggiustò l’accappatoio e fece un profondo respiro, poi aprì la porta per incontrare per la prima volta il capo di suo marito.
“Detective Montoya?” chiese all’uomo che le stava davanti. Lui annuì e lei gli fece cenno di entrare. “Sono felice di conoscerla. Io sono Liz.”
“Il piacere è mio.” disse Carl, stringendole la mano che lei gli aveva porto.”Per favore, chiamami Carl.”
“Entra, Carl. Max è quasi pronto. Mettiti a tuo agio …” disse Liz, sentendosi decisamente a disagio a stare lì, in accappatoio e a piedi scalzi. “Credo …Credo che sia il caso di chiamarlo ….” Lei si girò e uscì dalla stanza, mentre Carl la guardava sorridendo.
Mentre aspettava, si guardò intorno nella stanza, notando il semplice e ordinato arredamento. Una sola rosa bianca in un vaso di vetro era al centro della tavola da pranzo sulla destra della stanza. A sinistra c’era la zona soggiorno, c’era un divano dall’aspetto confortevole con a fianco due poltrone abbinate. Una libreria riempiva un’intera parete e i titoli spaziavano tra svariati argomenti. Libri di fantascienza e romanzi fianco a fianco con volumi di medicina ed altre materie scientifiche.
Sulla mensola del caminetto, in posizione predominante, una grande cornice col disegno di una bambina. Carl pensò che avesse due anni, due anni e mezzo, con grandi occhi scuri e lunghi capelli neri. La somiglianza con Liz era notevole. Si chiese perché avessero messo un quadro di lei da piccola, ma non uno di lui, e poi ricordò che Max non aveva foto da piccolo. Non aveva ricorsi dei suoi primi sei anni di vita.
Intanto, nella stanza da letto, Max si abbottonò velocemente la camicia e si sedette sul bordo del letto, per infilarsi le scarpe. Liz prese un paio di pantaloni e se li infilò e Max non poté fare a meno di notare come combatteva con la lampo per chiuderli. A quasi dieci settimane, stava cominciando ad ingrassare un po’. Non era molto contenta di perdere ancora una volta la sua linea, ma Max era eccitato di dividere con lei tutti i cambiamenti ai quali andava incontro. La prima volta li aveva persi tutti.
“Vieni qui.” disse Max, sorridendole. Lei si avvicinò infilandosi un maglioncino, e quando fu davanti a lui, Max le aprì la lampo dei pantaloni. Infilò la sua mano sopra la curva ingrossata della sua pancia e le sue labbra le sfiorarono la pelle. ”Papà sta andando al lavoro.” Sorrise a Liz e lei gli scompiglio scherzosamente i capelli. Max chiuse di nuovo la lampo, passando la mano sopra il tessuto, per allargarlo un po’ e darle spazio e poi si alzò in piedi, pronto ad uscire. Diede a Liz un bacio, dolce e prolungato, e si girò per lasciare la stanza.
“Max.” lo chiamò Liz e quando si girò a guardarla, vide l’allegria sul suo viso. Lei gli indicò lo specchio e lui si accorse di avere i capelli che andavano in tutte le direzioni. Si era distratto prima, quando era uscito dalla doccia. Si passò una mano sopra la testa e i capelli tornarono a posto.
Max entrò in soggiorno e vide Carl davanti al caminetto. Il sorriso sparì dalle sue labbra, quando si rese conto del modo in cui l’uomo stava guardando il disegno sulla mensola. Carl si girò verso Max, osservando lo sguardo che il ragazzo dava al disegno.
“E’ molto bello.” disse Carl, poi continuò “E’ tuo?” Max annuì ma rimase in silenzio. “E’ Liz quando era piccola?”
“No.”
Carl fu sorpreso. E incuriosito. Quella semplice parola era piena di così tante emozioni: faceva parte del suo lavoro non limitarsi ad ascoltare solo le parole che la gente diceva, ma interpretare anche cosa fosse nascosto dietro quelle parole. Molti casi si erano risolti con parole non dette, ma solo sottintese. Quello che Max disse dopo lo sorprese ancora di più.
“E’ mia figlia.”
Liz entrò nella stanza e Carl vide come la faccia di Max si trasformò immediatamente. L’espressione triste scomparve, rimpiazzata da un autentico sorriso, che illuminava non solo il suo viso, ma anche il suo sguardo.
Le loro mani si toccarono in quello che sembrava essere un gesto automatico, come se fossero attirati dal toccarsi l’un l’altra ogni volta che erano vicini. Vide l’adorazione negli occhi di Liz quando guardava Max, e si ricordò di un tempo nella sua vita in cui aveva vissuto tutto questo. Max era un uomo fortunato.
“Ci vediamo stasera.” disse Max gentilmente e la baciò ancora una volta. Mosse le sue labbra accanto all’orecchio di Liz e disse, in modo che potesse sentirla solo lei, “Ti amo.” Il sorriso che lei gli fece, riscaldò il suo cuore e Max, riluttante, si staccò da lei e si diresse verso la porta con Carl.
Dopo che se ne furono andati, si avvicinò al disegno sulla mensola e toccò con le dita la guancia di Ellie, come faceva tutte le mattine, prima di iniziare la sua giornata.

***

Carl guidò in silenzio, perso nei suoi pensieri. Lo scambio di affettuosità tra Max e la moglie, gli aveva riportato alla memoria ricordi dolorosi. Ricordi di un tempo in cui il lavoro non gli riempiva la vita, quando tornava a casa la sera, invece di stare in ufficio per metà della notte come faceva adesso. Ricordi di Michelle.
Li cacciò via, rammentando a se stesso che non era bene vivere nel passato e riportò i suoi pensieri all’enigmatico uomo che gli sedeva accanto. Non immaginava che Max avesse una bambina. Lui non ne aveva mai parlato prima. In tutte le sue ricerche nel passato di Max, non c’era traccia di una figlia. E questo gli sembrava strano, come tanti altri aspetti della vita di quel ragazzo.
Non aveva avuto molto successo nel tirar fuori informazioni personali da Max, nelle sei settimane passate da quando lo aveva conosciuto. Oltre alle registrazioni scolastiche, le sue ricerche non avevano portato nuovi notizie e certamente nessuna circa la bambina. Eppure il disegno nel suo soggiorno dominava la stanza, aveva un posto di rilievo. La bambina era morta? Forse era per questo che Max appariva così sommesso, per la maggior parte del tempo. Non riuscì più a tenere sotto controllo la sua curiosità.
“Non sapevo che avessi una bambina.” disse Carl, tenendo gli occhi sulla strada davanti a lui, ma attento alla reazione che Max poteva avere alle sue parole.
“Si.” disse semplicemente Max, senza scendere in particolari.
Carl gli lanciò un’occhiata, guardandolo di profilo mentre Max teneva lo sguardo fisso davanti sé.
“Somiglia molto a sua madre.” aggiunse Carl, intendendo chiarirgli il fatto che l’avesse scambiata per un disegno di Liz da bambina.
“Si.” rispose ancora Max, ma il suo tono si era addolcito. “Somiglia molto alla madre.”
“Come si chiama?” chiese Carl, cercando di farlo parlare.
“Ellie.” dichiarò Max senza dire altro.
Carl lo memorizzò e pensò ‘fin qui tutto bene’. Almeno stava parlando, anche se a monosillabi. “Quanti anni ha?”
“Due anni, diciannove settimane e sei giorni.” rispose Max, ancora con gli occhi rivolti davanti a lui.
Gesù, pensò Carl, quando Max tirò fuori i numeri senza un attimo di esitazione. Qualunque fosse la ragione per la quale sua figlia non viveva con lui, non era una sua decisione. Ovvio che la amava profondamente.
“Perché …” cercò di dire Carl.
“Perché lei non è con noi?” Max completò la domanda, rivolgendo il suo inteso sguardo a Carl.
“Si.” Ora Carl sentiva profondamente il bisogno di sapere la verità.
“Ci è stata portata via la notte in cui è nata.”
Gesù, Giuseppe e Maria, pensò Carl con gli occhi incollati su Max. La macchina cominciò a sbandare a destra e dovette farla deviare bruscamente per non uscire di strada. Quante maledette cose aveva dovuto sopportare questo ragazzo nella sua vita?
“Immagino che tu pensavi di sapere quasi tutto su di me, vero?” chiese Max, in tono guardingo. “Voglio dire, è il tuo lavoro scoprire queste cose. Lo capisco.”
“Veramente … si.” rispose Carl “Ho dovuto fare delle ricerche su di te, prima che potessi unirti alla squadra. So che sei stato adottato a sei anni. So dove sei andato a scola e so che eri sulla lista d’onore. So che tu sei uno dei due adolescenti del New Mexico che sono stati rapiti da un pazzo un paio di anni fa e ora credo di sapere anche chi sia l’altra. Si tratta di Liz, vero?”
“Si.” rispose Max e si girò verso il finestrino. Non vedeva le case e i palazzi che oltrepassavano, preso com’era dalle immagini e dai suoni di quella notte. Due anni, diciannove settimane e sei giorni fa.
Carl guidò in silenzio per un po’, cercando di assimilare quello che aveva appena sentito. Fu sorpreso quando Max ricominciò a parlare, dandogli spontaneamente le risposte alle molte domande che stavano mettendogli in subbuglio il cervello.
“Noi non volevamo che accadesse, ma chiusi in quel posto tremendo, tutto quello che avevamo era noi stessi, uno per l’altra. Le cose che ci hanno fatto …” Max fece una pausa e Carl si chiese se fosse in grado di continuare a parlare. La sua testa era girata verso il finestrino, ma Carl riusciva a vedere la linea tesa delle sue mascelle. Aspettò in silenzio e Max parlò ancora. ”Liz rimase incinta allora, ma a quel tempo io non lo sapevo. Avevamo cercato di scappare, ma solo io ce l’ho fatta. Liz è rimasta lì. Quando siamo riusciti a tornare indietro per liberarla, l’avevano trasferita. Ci sono voluti mesi per trovare dove.” Max fece ancora silenzio e Carl aspettò pazientemente di ascoltare il resto. Aveva la sensazione che fosse una storia che sapevano in pochi.
Max si voltò davanti, ma non era la strada di fronte a lui che i suoi occhi guardavano. “la notte che siamo andati a salvare Liz, è stata anche la notte in cui è nata Ellie. Siamo arrivati troppo tardi.” La sua voce si spezzò e Carl lo udì dire in un sussurro disperato “Io sono arrivato troppo tardi.”
Max diresse gli occhi verso di lui e Carl rimase impressionato dal profondo senso di colpa che vi lesse. Max biasimava se stesso per tutto quello che era successo. Per il rapimento. Per le torture. Per la gravidanza, ed infine, per la perdita della loro bambina. Era un peso grave da portare per un paio di spalle così giovani.
Max guardò ancora avanti a sé, stringendo gli occhi al ricordo di quella notte. “Nel momento in cui raggiungevo Liz, loro stavano portando via Ellie. Era l’unica cosa che interessava loro. Ma il parto non procedeva abbastanza svelto e quando si accorsero che stavamo arrivando, eseguirono un parto cesareo per tirare fuori la bambina. Avuta Ellie, Liz non interessava più, così non si presero nemmeno la briga di terminare l’operazione. La lasciarono semplicemente lì sul tavolo operatorio a morire dissanguata. L’ho trovata così. Le è stato necessario molto tempo per riprendersi. Molto tempo”
Carl intuì che Max non si stava riferendo solo al suo recupero fisico. La sofferenza delle loro menti per tutto quello che avevano dovuto subire sarebbe durata tutta la vita.
“Perché? Per quale motivo l’hanno fatto?” chiese Carl, sapendo molto bene a che punto potesse arrivare la depravazione umana.
“Perché?” ripeté Max. i loro occhi si incontrarono e Carl vide l’odio bruciare in quelli di Max. “Perché sono una coppia di fottuti bastardi malati.” disse senza mezzi termini.
Carl cercò di assorbire tutto, ma era ancora curioso sulla bambina. Perché l’avevano voluta così fermamente? Cosa rendeva Ellie così speciale da elaborare una simile macchinazione per averla?
“Se avevano già portato via la bambina, quando sei arrivato, come …”
“Come faccio a conoscere il suo aspetto?” terminò Max al suo posto. “Ho potuto vederla per un attimo, prima che Johnson fuggisse con lei. Non sono riuscito a fermarlo perché dovevo soccorrere Liz. Quella è stata l’ultima volta che l’ho vista e da allora non abbiamo mai smesso di cercarla.”
Stettero entrambi in silenzio, assorti nei loro pensieri, mentre Montoya entrò nell’area di parcheggio del Maryvale Hospital, per andare ad investigare sul loro ultimo caso.

Capitolo 52

Montoya si fermò nel parcheggio dei visitatori del Maryvale Hospital e spense il motore. Prese la cartella che era sul sedile tra di loro e la aprì, per prendere una foto da mostrare a Max. “Questa è Heather Brooks ha otto anni. E’ stata violentata e picchiata ieri sera, al Sheaffer’s Park sulla Quinta Strada. Non ci sono testimoni e Heather è troppo traumatizzata per darci una descrizione del suo assalitore.”
Max guardò la faccia della bambina, che sembrava così felice nella foto. ‘Perché devono accadere cose così terribili a bambini innocenti?’ si chiese ancora una volta. Non avevano fatto niente per meritare gli orrori che erano commessi su di loro.
“Mentre tu parli con la bambina, mi farò dare i risultati degli esami di laboratorio.” Montoya chiuse la cartella ed uscirono dalla macchina, diretti al quarto piano dell’ospedale, nella stanza di Heather Brooks.

***

John Robertson, un tempo conosciuto come Robert Johnson, si fece strada nel corridoio dell’ospedale riguardando le annotazioni che aveva fatto sull’ultimo paziente che aveva visitato. Soddisfatto per aver documentato tutto, chiuse la cartella e la posò sul banco della postazione delle infermiere. lavorava tutti i martedì e tutti i giovedì al Cancer Care Center e dedicava il resto della settimana alle sue ricerche private.
“Qual è il prossimo, Betty?” chiese all’infermiera seduta al bancone.
“Greg T. Middleton, 24 anni. Dolore e gonfiore al testicolo sinistro. Livelli di HCG elevati. Analisi dettagliate pre asportazione.” Chiuse la cartella e la porse al medico.
Cancro al testicolo, pensò Johnson, mentre guardava l’orologio e prendeva la cartella. “Credo che prima prenderò una tazza di caffé. Sarò di ritorno in pochi minuti.” Traversò la sala, aprendo la cartella per familiarizzarsi col nuovo paziente. Passò davanti agli ascensori, diretto all’angolo dove c’era il distributore automatico.

***

Max e Carl entrarono in silenzio nell’ascensore diretti al quarto piano. Ognuno di loro era perso nei propri pensieri, Max perso nei dolorosi ricordi di una notte di due anni prima, Carl ricordando il corridoio che considerava la sua casa dieci anni prima. L’ascensore si fermò e le porte si aprirono, rivelando che nulla era cambiato in quei dieci anni. Cancer Care Center. Con gli occhi della mente, poteva ancora vedere Michelle camminare per i corridoi, spingendo l’albero della sua endovena, mentre camminava per visitare gli altri pazienti. Lei aveva conservato il suo senso dell’umorismo, la sua natura estroversa, il suo amore per la vita, fino alla fine. Dio, come gli mancava.
Girarono a destra, seguendo le indicazioni per l’Unità di terapia intensiva, via dai ricordi legati al posto dove a Carl ‘Rocky’ Montoya era stata tolta l’unica che amasse veramente. L’unica persona che aveva sempre creduto in lui e lo aveva sostenuto e amato con una passione di cui non si sentiva degno. Michelle DeCensia Montoya. Morta da dieci anni, ma mai dimenticata.
I loro passi echeggiavano nel corridoio, mentre camminavano a passo misurato. C’era un silenzio tra loro che non li metteva a disagio, perché nessuno dei due uomini aveva bisogno di riempire le pause con chiacchiere inutili. Il loro passo fu regolare finché Max non esitò, rallentando ed inarcando le sopracciglia. Carl notò che i suoi occhi avevano preso un’espressione ferita e si fermò in mezzo al corridoio.
“Max?” chiese incerto Carl.
Max era lontano mille miglia, mentre camminava, perso nei propri pensieri. Essere in un ospedale gli riportava ogni volta alla mente la notte in cui avevano trovato Liz e quando era arrivato all’ospedale non gliel’avevano lasciata nemmeno vedere. Quella era stata una delle peggiori notti della sua vita. La notte che aveva ritrovato Liz e nello stesso tempo l’aveva persa. La notte in cui i suoi occhi avevano avuto la gioia di vedere sua figlia, solo per vedersela allontanare da lui.
Aveva passato una rientranza alla sua sinistra, non prestando attenzione a niente se non ai demoni nei suoi ricordi, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Rallentò ancora, mentre cercava di uscire dai pensieri che combattevano nella sua testa. un’ombra. Una forma. Qualcosa aveva catturato il suo sguardo. Si fermò nel corridoio e si guardò indietro. Poteva vedere infermiere che camminavano risolute, visitatori con espressioni preoccupate, un’occasionale figura in camice da laboratorio. Niente di sospetto in un ospedale come questo.
“Max?” chiese Montoya preoccupato.
Max fece un passo, poi un altro, tornando indietro e chiedendosi cosa avesse scatenato in lui quell’ansia.
Passò la rientranza con i distributori automatici e si fermò, guardando le facce delle persone ferme lì. Una coppia dall’espressione preoccupata, che probabilmente aspettava notizie di una persona cara. Un’infermiera paffuta dall’uniforme colorata che prendeva una barretta dolce di cui avrebbe fatto bene a fare a meno. Un giovane uomo con i pantaloni da ospedale, un medico che beveva una tazza di caffè bollente. Niente che potesse aver fatto scattare in lui quella reazione, nessuno che conoscesse.
“Max, stai bene?” chiese Montoya e gli mise una mano sulla spalla. “Cosa c’è?”
“Credevo …Credevo di aver visto …” Guardò ancora una volta nel corridoio ed ancora una volta non notò nulla di insolito, ma sicuramente qualcosa doveva aver visto. Sentiva un brivido scendergli per la schiena e non sapeva spiegarsi perché. Si scosse, dicendosi che forse erano stati solo i ricordi a fargli sentire cose che non c’erano. Riportò la sua attenzione sulla faccia preoccupata di Carl facendogli un sorriso senza entusiasmo. “Niente, credo. Non amo molto gli ospedali.”
“Conosco la sensazione.” fu d’accordo Carl e ripresero a camminare verso la loro destinazione.

***

Carl stava guardando Max attraverso la vetrata dell’UTI. Questo era il quinto caso in cui Max era stato coinvolto da quando si erano incontrati e di questi cinque casi, quattro si erano risolti e solo uno era ancora pendente. Amanda Meyers era stata ritrovata quando una donna molto somigliante al disegno fatto da Max aveva portato la bambina febbricitante in una clinica di Mesa. Lo staff medico, allertato, aveva avvertito la sua unità ed Amanda era stata restituita alla sua estasiata famiglia, con solo un‘otite a guastare la loro felice riunione.
Ora Carl capiva il significato dell’espressione sul viso di Max, mentre guardava Shelley Meyers che stringeva la figlioletta tra le braccia. Era stato un momento felice, ma mentre Max sorrideva, Carl aveva notato la tristezza nascosta profondamente nei suoi occhi. E ora sapeva perché. Lavorare ad un caso di rapimento di una neonata doveva essere stata una tortura per lui.
Max aveva una misteriosa abilità a tirar fuori informazioni dai bambini con cui parlava e non era la prima volta che Carl si chiedeva come facesse. Prima di tutto, aveva notato che Max li sapeva far rilassare, anche quelli che avevano subito gravi traumi, come Heather Brooks. Quando Tully aveva cercato di interrogarla la notte scorsa, lei era diventata isterica e i medici erano stati costretti a sedarla. E mentre era stata in apprensione quando Max, un estraneo, era entrato nella stanza pochi minuti prima, lei ora gli stava parlando ed appariva tranquilla e a suo agio con lui.
Carl si allontanò dalla vetrata, diretto all’ascensore, per andare in laboratorio a ritirare i risultati degli esami dei tessuti e del liquido seminale che erano stati prelevati il giorno prima, quando avevano portato Heather al pronto soccorso. I risultati li avrebbero aiutati nelle loro ricerche, dando loro indizi su cui lavorare. E se Max faceva ancora una delle sue magie, forse sarebbero stati in grado di togliere di mezzo il sfottuto maniaco che aveva fatto questo, prima che potesse farlo ancora.
Aspettò l’ascensore e, quando le porte si aprirono, Carl andò quasi a sbattere contro un medico che ne usciva, completamente assorto nella cartella che stava leggendo. Si scusarono entrambi per non aver fatto attenzione e Carl lo vide dirigersi al Cancer Center. Robertson. Lui non ricordava un Robertson nello staff quando Michelle era ricoverata lì. Ma pensò che ora molti dei dottori erano differenti, erano passati così tanti anni. Entrò nell’ascensore, perso ancora una volta nei ricordi , e si diresse verso il laboratorio.

***

Max terminò il disegno e chiuse l’album, nauseato da quello che aveva visto nella mente di Heather, senza che lei si accorgesse di quello che stava facendo. Il terrore della bambina era stato angosciante da provare, quando aveva stabilito la connessione con lei, ma si era fatto forza e si era spinto più a fondo, oltre la sua paura, per vedere la faccia dell’uomo che le aveva fatto male.
Si alzò dal letto dove era seduto e, con in mano il suo album, si girò per lasciare la stanza. I suoi occhi incontrarono quelli di Carl dall’altra parte del vetro e lui annuì, per indicare che aveva avuto la descrizione dell’assalitore.
Quando Max uscì dalla stanza, Carl gli fu accanto ed insieme si diressero verso gli ascensori. “Hai avuto i risultati?” chiese Max e Carl annuì, mostrandogli la cartella che aveva in mano. Aspettarono l’ascensore e Max si guardò attorno, nel corridoio. La sgradevole sensazione di poco prima stava tornando. Guardò con attenzione le facce intorno a lui, ma nessuna gli sembrava familiare e nessuna sembrava fuori posto.
Le porte si aprirono e Carl entrò. Max era ancora in corridoio, con gli occhi che esaminavano le facce e i gesti delle persone che poteva vedere e Carl dovette bloccare la porta con le mani, prima che si chiudesse.
“Max?” disse, chiedendosi ancora una volta cosa stesse succedendo al suo collega.
“Mi dispiace.” disse Max scotendosi dalla sua ansia. “Gli ospedali mi fanno venire la pelle d’oca.” Entrò nell’ascensore e scesero in silenzio al piano terra, per recuperare la macchina che li aspettava.

***

Liz sedeva ansiosa nella sala d’aspetto della New Beginnings Women’s Clinic, sperando che Max arrivasse in tempo. Annie l’aveva indirizzata alla clinica quando avevano detto a lei e a Joshua che aspettavano un bambino, al loro ritorno da Roswell . Annie era rimasta estasiata dalla notizia. Lei e Liz erano diventate buone amiche nei mesi che erano seguiti alla liberazione sua e di Joshua da Haystack Mountain, ma da quando Liz si era trasferita a Phoenix, erano diventate vicine come sorelle. Avevano così tanto in comune, amando uomini non completamente di questo pianeta.
Annie le aveva presentato Rachel Mackenzie, un’ostetrica diplomata e la donna che l’aveva aiutata al momento della nascita di Amber. Anche Rachel faceva parte del loro circolo segreto, essendo un’ ibrida che aveva la madre aliena ed il padre umano. Liz era stata conquistata da lei fin dalla prima volta che l’aveva incontrata. Aveva quasi quarant’anni e capelli neri come ebano, lunghi ed ondulati. La sua carnagione era chiara, in aspro contrasto con i suoi capelli scuri e i suoi occhi avevano un bellissimo colore verde. Aveva ereditato dal padre il temperamento irlandese, che si metteva in evidenza quando era irritata, ma sapeva essere dolce, quando doveva esserlo. Era anche orgogliosamente indipendente, il che spiegava perché non si era mai sposata. A Liz era piaciuta subito.
Liz controllò ancora l’orologio e guardò la porta, chiedendosi dove fosse Max. Era preoccupata che il caso per cui Montoya lo aveva chiamato quella mattina, potesse trattenerlo, facendogli mancare la possibilità di sentire per la prima volta il battito del cuore del bambino.
Sorrise e posò la mano sulla sua pancia ingrandita. Lei lo aveva sentito nella sua mente, quella mattina, poco dopo che Max era uscito ed aveva saputo che stava crescendo un bambino. Un figlio. Max ne sarebbe stato così eccitato. Sapeva che per lui non avrebbe fatto nessuna differenza avere un maschio o una femmina, ma conoscerne il sesso faceva sentire il bambino più reale ora, ed inoltre avrebbero potuto scegliere il nome, invece di continuare a chiamarlo ‘lui’ o ‘il bambino’. E lei fremeva per dirgli la novità. Accarezzo la curva della sua pancia e pensò che forse Max lo sapeva già. Lui poteva averlo detto anche a suo padre.
Rachel entrò nella sala d’aspetto e Liz sospirò sapendo che era arrivato il momento dell’esame e che Max non c’era ancora. Oh, pazienza. Sarebbe stato per la prossima volta.

***

Max controllò l’ora per la decima volta negli ultimi due minuti e poi guardò ancora la strada, cercando di scorgere in distanza il segnale. Ormai l’edificio gli era familiare e seppe che erano quasi arrivati. Sospirò, e Carl lo udì mormorare, “Spero che non sia troppo tardi.”
“Ci siamo.” disse Max, incapace di nascondere l’eccitazione della sua voce. “Secondo ingresso a destra.” Carl entrò nell’area di parcheggio e notò il cartello. New Beginnings Women’s Clinic. Liz era malata? No. Questa era solo una sua paura. Solo perché Liz si faceva visitare da un medico, non significava automaticamente che avesse contratto una malattia fatale che le avrebbe tolto tutta la sua dignità di persona e avrebbe devastato il suo corpo, prima di reclamarla completamente. Max aveva già avuto tragedie sufficienti da bastare per tutta la vita e non aveva certo bisogno che Carl proiettasse su di lui le sue paure personali.
Carl rallentò la macchina, quando furono davanti all’entrata principale e Max aprì lo sportello prima ancora che la macchina si fermasse. Saltò fuori e si inchinò sul finestrino del passeggero quando chiuse la portiera. “Grazie per il passaggio. Ci vediamo domani.”
La curiosità ebbe la meglio su di lui e Carl non seppe trattenersi dal domandare “Va tutto bene? Con Liz?”
Max si voltò verso di lui con un sorriso contagioso sulla faccia, qualcosa che Carl non aveva visto molto spesso.
”Con Liz? Oh, si. Non potrebbe stare meglio. Oggi sentiremo il battito del cuore del bambino!” Max controllò l’orologio e aggiunse “Cioè, se arriverò in tempo a quel dannato appuntamento. Devo andare!”
Carl lo vide entrare di corsa dall’ingresso principale della clinica, sorpreso da quello che aveva appena sentito. Liz era incinta? Max non ne aveva mai accennato prima. C’erano molte cose di quel ragazzo, al quale si era affezionato in un tempo così breve, che lui non conosceva. Chi era Max Evans? E quali altri segreti erano nascosti sotto la sua apparenza esteriore, pronti ad emergere un giorno?
Carl si girò verso il sedile posteriore per prendere la sua borsa, quando si accorse che Max aveva dimenticato il suo album. Lo prese, per appoggiarlo sul sedile anteriore e gli sfuggì dalle mani, aprendosi.
Guardò in giù, al viso della bambina che aveva già visto quel mattino sulla mensola del caminetto a casa di Max. Girò la pagina, pur sapendo che si stava intromettendo nella vita privata di Max, ma la sua curiosità aveva avuto la meglio. Gli apparve un altro disegno della bambina, in una posa differente, da una differente angolazione.
Girò ancora una pagina e rimase senza respiro alla bellezza dell’immagine. Questo disegno, raffigurante Liz che teneva in braccio Ellie, con le fronti che si toccavano e i loro sguardi in mutua adorazione, gli toccava il cuore. Lui e Michelle non avevano avuto la grazia di un figlio. La sua malattia aveva tolto loro quella possibilità, molto prima di ucciderla.
Chiuse l’album e spense il motore, lasciando accese le frecce intermittenti e sperando che non gli mandassero qualche maledizione per aver intralciato l’ingresso. Si diresse verso la clinica, con l’intenzione di restituire a Max il bene che si era lasciato dietro.

***

Max si precipitò nella clinica e si sentì sollevato nel vedere Liz parlare con Rachel in sala d’aspetto. Forse, dopo tutto, non era troppo tardi. Si affrettò verso di loro ed il sorriso di Liz lo fece rilassare ancora di più. Le prese la mano e chiese “Ho fatto in tempo?”
“Appena, appena.” rispose Rachel, con gli occhi verdi che brillavano allegramente. “Liz mi stava giusto descrivendo tutte le cose orribili che ti avrebbe fatto se non ti fossi fatto vedere.”
“Rachel, non è vero!” rise Liz.
“Mi dispiace del ritardo.” disse Max, dando a Liz un bacio sulla fronte.”Ho fatto più presto che ho potuto.”
“E’ una bella cosa che tu sia qui, perché Liz mi stava chiedendo qual’era il posto migliore per comprare della pece e ricoprire di penne qualcuno …”
“Rachel, non ho mai detto niente di tutto questo!” disse Liz, ridendo in direzione di Max.
“… e mi stava dicendo che avrebbe sparso polvere solleticante … tu sai dove, vero? …” ed indicò la parte inferiore dell’anatomia di Max.
“Rachel, sei tremenda!” Liz si coprì la faccia, ridendo ancora più forte.
Max rise allo scambio di battute tra le due donne. Rachel era molto simpatica. Trovava sempre il modo di farli ridere e lui amava il suono della risata di Liz.
In quel momento, si sentì chiamare e si voltò per vedere Carl dirigersi verso di lui.
“Max, hai lasciato questo nella mia macchina.” disse Carl porgendogli l’album. Sorrise a Liz e poi i suoi occhi si posarono sulla meravigliosa donna che le stava accanto. La sua pelle era chiara e morbidamente liscia, e i suoi occhi erano della più bella tonalità di verde che avesse mai visto.
“Oh, grazie Carl.” disse Max, allungando la mano in direzione dell’album. Cercò di prenderlo, ma Carl lo teneva strettamente tra le mani. Max provò a tirarglielo via, ma Carl non lo lasciò. Max guardò allora la faccia dell’uomo più anziano, notando che il suo sguardo era incollato su Rachel. Tirò ancora l’album, inarcando un sopracciglio alla completa indifferenza di Carl su quello che succedeva intorno a lui.
Guardò verso Liz e vide come i suoi occhi passavano alternativamente da Carl a Rachel. Max notò anche che non era solo Carl che guardava Rachel, era anche Rachel che guardava Carl. Interessante. Guardò ancora Liz ed entrambi sorrisero alla dimostrazione di attrazione di cui erano testimoni.
“Carl … “ disse Max, trattenendosi dal ridere. Non aveva mai visto il suo capo in quello stato, prima d’ora. “Carl?” provò ancora. “Car-llllllll …Caaaarrrrllllll … CARL!” Alla fine, in un ultimo tentativo, Max gridò “ROCKY!” lo aveva usato raramente questo nome, e Carl sbatté gli occhi, uscendo dalla sua estasi.
“Posso riavere indietro il mio album?” chiese Max, cercando disperatamente di non scoppiare a ridere in faccia al suo capo.
“Oh, si, certo.” Cosa diavolo c’era di sbagliato in lui? Cosa pensava di fare, stando qui come uno scemo a guardare una perfetta sconosciuta? Anche se era una meravigliosa sconosciuta …
“Rachel, questo è Carl Montoya.” disse Liz con un largo sorriso, facendo le presentazioni. “Carl questa è Rachel Mackenzie.”
“Felice di conoscerla.” disse Rachel, tendendo la mano.
“Il piacere è mio.” rispose Carl, prendendo la mano nella sua.
Il contatto fu elettrizzante. La sua pelle soffice era calda e asciutta e la sua mano sembrava adattarsi perfettamente a quella di lui. Poi si rese conto di aver trattenuto la mano più a lungo di quello che doveva e, riluttante, la lasciò andare.
“Bene,” Rachel si schiarì la voce e distolse lo sguardo da Carl. Si voltò verso Liz e disse ”Abbiamo un appuntamento da rispettare.”
“Ci vediamo domani, Carl.” disse Max e loro tre si mossero in direzione del laboratorio. Carl rimase immobile fino a che non furono scomparsi dalla sua vista.

Capitolo 53

Max guardò giù verso il viso della moglie che dormiva, totalmente assorbito dalla sua bellezza. Aveva cercato di addormentarsi, nelle ultime due ore, ma non era stato capace di rilassarsi. Riportò alla mente il battito del cuore del suo bambino, che quel pomeriggio aveva echeggiato nella sala di visita, il suono più bello che avesse mai sentito. Oggi, tutto era stato bello. Il cielo era bello, l’erba era bella, gli hamburger che aveva avuto per cena erano belli. Diavolo, anche la brutta faccia di ‘Rocky’ era bella.
Max si era sorpreso quando aveva assistito alla reazione che Carl aveva avuto alla vista di Rachel, quel pomeriggio. I ragazzi dell’Unità gli avevano raccontato qualcosa, così che Max potesse capire un po’ di più la di manica della squadra e le cose che aveva saputo su Carl, gli avevano fatto provare empatia per quell’uomo.
Carl era stato abbandonato dal padre prima ancora di nascere. Non aveva mai conosciuto l’uomo. Tutto quello che aveva avuto da lui era il cognome, niente di più. Sua madre era morta quando lui aveva sette anni, una morte improvvisa ed inaspettata che l’aveva lasciato solo al mondo. Non aveva fratelli, né sorelle, né era a conoscenza di altri parenti vivi. Nessuno che si preoccupasse per lui. Nessuno che facesse attenzione a lui. Nessuno che lo curasse.
Si era trovato all’improvviso a percorrere le strade di Mexico City, con le compagnie sbagliate, cercando di procurarsi da solo il prossimo pasto o la prossima camicia. Sebbene fosse così piccolo, sapeva che non era quella la vita che desiderava. A scuola, non andò oltre le elementari e all’età di dodici anni gli si apriva una vita da delinquente giovanile.
Fu allora che Manny Ramirez entrò nella sua vita. Manny dirigeva un rifugio per i ragazzi di strada, un posto deve potessero trascorrere la notte, senza la minaccia di violenze sessuali o abusi fisici. Inoltre Manny era stato in gioventù un appassionato di boxe e sapeva riconoscere il talento, quando lo vedeva. E lo vide in Carlos Rafael Santiago Montoya. Futuro campione dei pesi welter ed un giorno membro del Phoenix D.P. E per dodici gloriosi anni, marito di Michelle.
Per quello che sapevano i ragazzi dell’Unità, Carl aveva incontrato l’amore della sua vita quando era ancora un agente addetto al traffico e l’aveva fermata per essere passata col rosso. Si era avvicinato al finestrino dell’auto con la ferma intenzione di multare l’indisciplinato automobilista, finché non vide il suo bellissimo sorriso e non ne fu catturato. Carl si era sposato sei mesi dopo e non aveva rimpianto un singolo momento del suo matrimonio, nemmeno la chemioterapia nel tentativo di combattere una battaglia già persa con un cancro alle ovaie.
Quando ne aveva ascoltata la storia, Max aveva sentito di un’affinità spirito con lui, un uomo che in vita sua aveva provato la disperazione e ancora combatteva per sopravvivere. Si alzava la mattina e si lavava i denti, come Max aveva fatto nei mesi prima di ritrovare Liz. Proprio come faceva ora in attesa di un indizio che gli permettesse di ritrovare Ellie. Era un sogno, una convinzione che lui continuava ad avere, non importa quanto tempo fosse passato.

Max si spostò nel letto, spostando il lenzuolo da Liz e lasciando che la luce della luna le accarezzasse il corpo.
Quando prima avevano fatto l’amore, era stata ardente e ricettiva, facendogli battere il cuore selvaggiamente per le profonde emozioni che sentiva provenire da lei. Lei non aveva soddisfatto solo i suoi bisogni fisici, ma il suo amore l’aveva toccato in tutti i livelli emozionali possibili, la sua passione per lui eguagliata solo da quella di lui per lei.
La mano di Max le accarezzò la pelle, dalle spalle giù fino alla vellutata morbidezza del seno, intorno ad un capezzolo che rispose irrigidendosi, fino ad arrivare alla rigonfia curva della sua pancia. La sua mano si fermò lì, toccando la sua pelle calda, sentendo una vita crescere ad ogni minuto che passava. Il suo bambino. Il loro bambino.
Appoggiò la testa sul suo petto morbido, caldo ed invitante come sempre, la sua mano ancora immobile sulla pancia. Nessuna meraviglia che non riuscisse a dormire, quando poteva trascorrere la notte immerso nelle sensazioni che provenivano da dentro di lei. Il suo bambino gli stava parlando. Il suo bambino chiamava il suo nome. Il suo bambino gli stava dicendo che era arrivato il momento di connettersi e Max, felice, chiuse gli occhi abbandonandosi a quel sonno che avrebbe riunito la sua famiglia e reso i loro sogni più veri del mondo reale…

Liz e Ellie, si erano nascoste tra gli alberi, mentre Max girava nel prato per cercarle. Ellie aveva la mano sopra la bocca per non ridere e Liz si mordeva le labbra, sopprimendo lo stesso bisogno. Lei guardò la figlia e le mise un dito sulla bocca indicandole di stare zitta. Ellie mise le sue piccole braccia intorno al collo si Liz e lei se la strinse vicina, aspettando che arrivasse per loro l’opportunità di correre a fare tana, prima che Max le trovasse.

Max si stava avvicinando agli alberi, quando Liz gridò “Ora!” ed entrambe si misero a correre. Max si girò, vedendo che le sue donne erano state più furbe di lui e cercò di prenderle. Gli veniva da ridere vedendo Ellie correre dopo di lui ed evitare le sue braccia tese per arrivare alla tana. Liz non fu così fortunata, Max l’aveva presa mentre correva dietro alla figlia. Ellie strillò deliziata, felice di aver vinto ma ancora di più di giocare.
“Tocca a mamma!” gridò Max trionfante e Liz lo colpì sul petto. Lui prese la mano di Ellie, mentre Liz si copriva la faccia con le mani e cominciava a contare, uno … due … tre … prima che arrivasse a cinque, Max ed Ellie avevano trovato un nuovo posto per nascondersi e il gioco ricominciò.

***

Liz era seduta sull’erba soffice, con le gambe incrociate e i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Guardava completamente affascinata il modo in cui Liz lavorava con Ellie. Erano seduti per terra, fianco a fianco, con i gomiti di Ellie appoggiati sulla coscia di Max, intenta a studiare ogni sua mossa.
“hai visto come ho fatto?” disse lui guardando il suoi visino. Aveva allungato una mano davanti a sé e lo scudo verde brillava nell’aria. La piccola mano di Ellie era appoggiata sulla sua fronte, per capire il potere che nasceva da lui e poi la allungò per toccare lo scudo.
“Vai avanti.” la esortò quando la vide esitante. La piccola guardò verso di lui con i suoi grandi occhi scuri e lui le sorrise, incoraggiandola. Lei si sporse in avanti e toccò lo scudo con la punta delle dita e poi le tirò via svelta.
“Mi fa il solletico” esclamò.
Max si girò verso Liz con un’espressione estasiata sul viso. La reazione di Ellie alle novità lo deliziava. Era così piena di vita e di energia. Tutto era nuovo ed eccitante, per lei . Avanzò di nuovo e spinse il palmo della mano contro lo schermo, ridacchiando alle vibrazioni che sentiva provenire da lì. Max ritirò la mano chiusa a pugno e lo scudo scomparve, lasciando Ellie con la mano sospesa per aria mentre cercava di capire dove fosse finito.
“Dov’è andato, papà?” gli chiese fissandolo con gli occhi sgranati.
“L’ho rimesso dentro.” Guarda come faccio, okay?” lei annuì vigorosamente e Max le mise una manina appoggiata sul suo braccio, perché potesse sentire l’energia che cresceva prima di essere proiettata davanti a loro. Lo schermo verde riapparve e lui lo lasciò crescere fino a che fu alto tre metri e largo altrettanto. Rise nel vedere gli occhi della figlia spalancati, con il campo verde che vi si rifletteva dentro.
“Ora guarda, Ellie! Guarda come lo riporto indietro. Come lo rimetti dentro è altrettanto importante di come lo proietti fuori.” Lo schermo tremolò e si dissolse, ripiegandosi dentro la sua mano. Lui tese la mano col palmo rivolto all’insù, per mostrargliela e lei la toccò, sentendo solo la calda pelle familiare.
“Fallo antoa, papà. Fallo antoa.”
Saltellava su e giù per l’eccitazione e Max rise. Le scompigliò i morbidi capelli e le disse, indicando davanti a lui “Vai a metterti lì.”
Ellie balzò in piedi e raggiunse il punto che il padre le aveva indicato, poi si girò e lo guardò con impazienza. Lui proiettò lo scudo ancora una volta, questa volta nello spazio tra di loro. Lei si chinò in avanti, guardandolo attraverso lo schermo.
“Come sei buffo, papà. Sei tutto vedde e con le onde.”
“Anche tu sei tutta verde e con le onde.” rise Max.”Vedi quel sasso lì vicino? Vai a prenderlo.” La vide correre a prendere il sasso e poi di corsa tornare al suo posto dall’altra parte del campo. Bambini, fonte infinita di energia, pensò mentre la guardava.
“Ora, tirala contro di me!”
Vide le sue sopracciglia aggrottarsi, mentre ci pensava sopra. Poi arricciò il naso e disse “Papà, voi che ti coppisco con il sasso?”
Max si sentì sciogliere dentro guardando il suo viso adorabile. La smorfia che faceva arricciando il naso, era la stessa che faceva Liz quando era perplessa. Molti dei gesti e dei modi di Ellie erano come quelli di Liz, come il modo in cui si mordeva il labbro inferiore o il modo in cui le sopracciglia si univano quando era accigliata. Una Liz in miniatura, che aveva conquistato tutto il suo cuore. Dio, come la amava.
“Si, piccola.” disse Max, superando il groppo che si andava formando nella sua gola. “Voglio che cerchi di colpirmi con il sasso.”
Ellie fece un profondo sospiro e lo guardò come fosse matto, poi tirò indietro il braccio e scagliò la pietra.
“Oops,” gridò quando colpì il terreno proprio davanti a lei.
“Ellie, tiri proprio come una ragazza!” rise Max e la vide andare a riprendere il sasso.
Lei si raddrizzò e si mise le mani sui fianchi e, guardandolo con la testa inclinata da una parte e gli disse “Papà, ma io SONO una ragazza.”
Lui cadde all’indietro, scoppiando a ridere e Ellie si voltò verso la mamma e le chiese “Cosa s’è di bbagliato in lui?”
Anche Liz non riusciva a smettere di ridere e, il fianco cominciava a farle male. Amava vedere Max con Ellie. Era così bravo con lei ed il loro legame così stretto. Max stravedeva per Ellie e Ellie lo adorava. Il suo cuore era sommerso dall’amore che provava per entrambi e ringraziava Dio per quei preziosi momenti che era loro concesso di dividere,
“Prova ancora.” disse Max, mettendosi seduto ed asciugandosi le lacrime che gli erano uscite dagli occhi per ridere. La vide rimettersi in posizione e lo sguardo di concentrazione apparso nei suoi occhi, per poco non lo fece ricominciare a ridere di nuovo. Portò indietro il braccio e tirò la pietra contro lo scudo. Questa volta il lancio fu potente e dritto e colpì il campo in pieno centro.
“Gran tiro, Ellie!” esclamò Max e insieme videro lo scudo incresparsi, mentre assorbiva l’energia, e la pietra cadere innocua per terra. Ellie batté allegramente le mani, raggiante per il complimento del padre.
“Ora corrici contro, come se dovessi attraversarlo.” le disse Max.
Ellie tornò alla posizione iniziale e corse contro lo scudo, colpendolo con la spalla e rimbalzando indietro. I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa derivata dalla sensazione che dava, soffice e gommosa. Tornò indietro, corse più forte e il campo la respinse di nuovo, questa volta abbastanza forte da farla cadere sul sederino.
“Stai bene?” rise Max, sapendo che la unica parte offesa era la sua dignità. Ellie si tirò su, spolverandosi via la terra e tornò al punto di partenza. Max riconobbe in lei lo sguardo caparbio, che aveva visto tante volte negli occhi della madre e sapeva che non avrebbe permesso che nessuno splendente scudo verde avesse la meglio su di lei. Cominciò a correre di nuovo e, appena un attimo prima che lei lo colpisse, Max lo ritirò. Quando lo vide scomparire fece uno strillo e piombò a tutta velocità sul padre, ridendo mentre lui l’abbracciava e cominciava a farle il solletico. Max si girò verso Liz con un’espressione di pura gioia che gli brillava sul viso, un uomo pieno fino all’orlo dell’amore che provava per la sua famiglia.

***

Max e Liz erano distesi sull’erba, con Ellie rannicchiata tra di loro, e guardavano il cielo blu. Una piccola manina stringeva quella del padre, mentre l’altra era posata sulla pancia della madre. Sapeva, in qualche modo, che tutto questo non era normale, sapeva che le mamme reali davano alle bambine il bacio della buona notte e che i papà rimboccavano loro le coperte. Le altre bambine non dovevano far affidamento sui sogni per sentire l’amore dei loro genitori, ma lei era comunque contenta di poter averli entrambi in quel posto, anche se non era reale.
“Mamma?” chiese esitante, quasi timorosa di perdere la tenue connessione che divideva con Max e Liz. “Mamma, anche Matthew mi vorrà bene?”
“Matthew?” disse Liz guardando il visino preoccupato.
Ellie rivolse gli occhi alla pancia curva della madre e con la manina accarezzò il rigonfiamento.
“E’ questo il suo nome, Ellie?” chiese Liz sorpresa.
Lei annuì sorridendo e disse “Questo è quello che mi ha detto lui.” Il sorriso sparì e lei chiese ancora “Mi vorrà bene?”
“Già te ne vuole, Ellie. Puoi sentirlo? Puoi sentirlo qui dentro?” disse Liz toccandole la fronte “E qui?” muovendo la mano per toccare il petto di Ellie, proprio sopra il cuore. “Anche adesso è qui, dentro di te, non è vero?”
Ellie alzò lo sguardo su sua madre ed un sorriso rimpiazzò l’espressione triste. “Senti anche me così?”
“Si.” disse Liz, sfiorandole la guancia.”Ti sento nella mia mente e nel mio cuore, anche se non posso sentirti tra le mie braccia.”
“Tu eri triste, vero mamma, quando io sono andata via?”
Al tono malinconico nella voce di Ellie, Liz si sentì stringere la gola. Prese per mano la figlia e la baciò facendo di sì con la testa, perché non era in grado di parlare.
“Ti ho vista piangere.” disse mesta Ellie.
Liz guardò verso Max, cercando di ricacciare indietro le lacrime “Tu ha …” cominciò a dire lui e dovette schiarirsi la gola per poter continuare. Si tirò su, appoggiandosi ad un gomito e chiese “Tu ricordi quella notte, Ellie?”
Lei annuì, spostando lo sguardo dalla madre al padre. “Anche tu piangevi, papà.”
Max guardò i suoi profondi occhi scuri, occhi che avevano toccato la sua anima fin dalla prima volta che li aveva visti. Cosa ricordava di quella notte? Sapeva quale scelta era stato obbligato a fare? Sapeva che non aveva scelto lei?Li aveva visti, bloccati a terra mentre l’elicottero prendeva il volo nel cielo della notte, portandola via da loro?
“Si, piccola. Ho pianto anche io.” disse, lottando contro le lacrime. “Abbiamo pianto tutti e due quando ti abbiamo perso.”
“Non essere triste, papà. Un giorno mi troverai, e noi saremo veri.”

Capitolo 54

“Amore! Sono a casa!” chiamò Max con un enorme sorriso sulla faccia mentre entrava dalla porta d’ingresso. Per lui farlo era un divertimento. Era una cosa così umana da dire. Posò le chiavi della macchina sul tavolo e si diresse in cucina, con le buste della spesa.
Gli bastò un’occhiata per capire che lei non era lì, così posò le buste sul tavolo e prese il regalo che non aveva potuto fare a meno di comprarle. Lo aveva visto nella vetrina di un negozio di giocattoli quel pomeriggio ed era bastata un’occhiata alla faccetta simpatica, per fargli sapere che doveva comprarlo. Arruffò il pelo dell’orsacchiotto blu e lo nascose dietro la schiena, camminando in direzione della stanza da letto, dove avrebbe sicuramente trovato Liz.
L’unico rumore della casa erano i suoi passi ovattati sul tappeto e quando fu in camera, la vide distesa sul letto con una trapunta addosso. Era rivolta verso la porta con la guancia posata sulla mano e, quando le fu vicina, vide come sembrasse serena. Le si inginocchiò accanto, e si immerse in uno dei suoi passatempi preferiti: Guardare sua moglie mentre dormiva.

Ultimamente stava dormendo molto, e in un primo momento lui si era preoccupato, ma lei gli aveva spiegato che non era insolito che una donna incinta si stancasse facilmente. Si, lo sapeva. Lo aveva letto in uno dei tanti libri allineati in soggiorno, ma saperlo non gli aveva fatto passare la paura che nutriva dentro di lui. Sarebbe morto, se le fosse successo qualcosa.
Liz si stiracchiò e cominciò ad aprire gli occhi. Questo era un altro dei momenti più belli per cui lui viveva. Il momento in cui apriva gli occhi e lo vedeva mentre la stava guardando dormire.
Uno sguardo di puro ed assoluto amore, le si rifletteva negli occhi quando lo vedeva e, ogni volta, faceva sospirare di soddisfazione il cuore di Max. Tirò fuori l’orsacchiotto da dietro la schiena e fece partire il carillon che aveva dentro. Dalla pancia dell’orso uscirono le note di una ninna nanna e lui lo posò sul letto, perché lo vedesse appena aperti gli occhi.
“Oh, Max!” gli disse quando aprì un occhio, mentre un sorriso le si dipingeva sul volto. “E’ adorabile.” Tirò fuori una mano da sotto la coperta e si strinse al petto l’orso. Aprì anche l’altro per guardare Max e gli disse “Tu sei adorabile!”
“Ti piace?” le chiese, mettendosi a sedere sul pavimento accanto al letto, con un braccio appoggiato sulla coperta, ed il mento appoggiato sul braccio. “Quando l’ ho visto, non ho saputo resistere.” Il suo sorriso non coinvolgeva solo le labbra, ma anche gli occhi e lui sapeva di ridere come un folle.
“Lo amo.” lei irradiava gioia “Ma cosa devo fare con te?” Liz spostò la coperta e si alzò, uscendo dalla stanza e andando in corridoio.
“Questo dipende se intendi ora o più tardi.” fu la maliziosa risposta di Max. “O forse ORA E PIU’ TARDI. Sono pronto se tu sei pronta!” Le era proprio alle calcagna e con una mano le diede un colpetto sul sedere “Posso pensare a un mucchio di cose che puoi fare con me.” Lui fece un passo indietro con un’allegra smorfia sulla faccia , quando lei si voltò per dargli un pugno sul petto. Stava diventando davvero bravo ad evitare i suoi scherzosi colpi.
“Max!” rise lei. Anche dopo tutto quel tempo, lui riusciva a farla arrossire, quando la prendeva in giro così. “Quello che volevo dire è …” disse, aprendo la porta della nursery “COSA DEVO FARE CON TE!”
L’ampia stanza era stata trasformata in una nursery, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno per altri tre mesi. Max voleva essere pronto. Le pareti erano state dipinte di azzurro, con bianche nuvole disegnate sul soffitto. In basso, vicino al pavimento, aveva dipinto una striscia d’erba intervallata da fiori di campo. C’era anche una macchia di alberi dipinta sulla parete accanto al lettino.
Nell’angolo a destra c’era una culla che il bambino avrebbe usato per i primi mesi, finché non sarebbe stato abbastanza grande per dormire nel lettino. Aveva come sentinella una sedia a dondolo, che era in attesa di quelle nottate in bianco che sicuramente sarebbero venute. A sinistra c’era un armadio, che era già quasi pieno di bavaglini e scarpine, di pagliaccetti e pannolini, e di T-shirt così minuscole che Max si spaventava al pensiero di qualcosa di così piccolo da adattarsi a quella misura. Molte di quelle cose erano arrivate per posta, scatole e scatole di vestitini per neonati, spediti da due coppie di nonni. Dopo tutto, loro non avevano i sogni con Ellie da dividere, ed essere nonni era una novità per loro. Anche Max aveva contribuito notevolmente, da parte sua.
Ma non era alla sedia a dondolo o alla culla, e nemmeno all’armadio o al suo contenuto che lei si riferiva dicendo quello che aveva detto. Gli occhi di Max seguirono il braccio di Liz che indicava per tutta la stanza e lui infilò le mani nelle tasche davanti dei pantaloni, stringendosi la testa tra le spalle, mentre le guance si facevano rosse.
“Devo toglierti il libretto degli assegni?”
Erano sulla soglia di una stanza completamente piena di animaletti di peluche, di tutti i tipi possibili ed immaginabili. Un panda gigante sedeva sulla sedia a dondolo, uno dei primi acquisti di Max. Piccole sacche a forma di animali, erano allineate nella culla. Il ripiano del guardaroba era carico di orsacchiotti, orsacchiotti nudi, orsacchiotti vestiti, orsacchiotti col cappello da marinaio. Orsacchiotti femmina, orsacchiotti maschio, orsacchiotti piccoli e orsacchiotti giganteschi. Orsacchiotti polari e orsacchiotti bruni, e orsacchiotti di tutti i colori dell’arcobaleno.
Nell’ angolo, grandi uccelli erano a fianco di enormi dolci e, Dio benedica il suo grande cuore, Max aveva comprato anche la casa di Barney, in tutta la sua purpurea gloria. Gattini e cagnolini e agnellini e coniglietti avevano riempito la culla. Dove pensava che avrebbero messo a dormire Matthew, Liz non ne aveva idea. Non c’erano altre stanze per lui.
“Vuoi che lo riporti indietro?” chiese Max con uno sguardo colpevole nella faccia sorridente.
“No.” rise Liz e strinse al seno l’orsetto musicale. “Lo amo. E amo te!”

***

Liz infilò le mani nell’impasto degli hamburger e ne arrotolò un po’, prima di appiattirlo sul tagliere. Guardò nel patio, attraverso la finestra, e vide Max assorbito in una fitta conversazione con Josh, mentre Annie inseguiva una trotterellante Amber. Dal chiasso che arrivava dal soggiorno, Joey aveva finito di predisporre i collegamenti della Play Station e probabilmente non l’avrebbero più rivisto per il resto della giornata. Preparò un hamburger perfetto ed infilò di nuovo la mano nell’impasto per preparare il successivo.
Fece una pausa e si guardò la pancia in espansione, quando Matthew fece sentire la sua presenza. Le aveva dato un altro calcio. In effetti, sembrava che stesse facendo le capriole, lì dentro. Guardò fuori dalla finestra ed incontrò gli occhi di Max. Dal suo sguardo, capì che anche lui l’aveva sentito.

Max sentì la botta nel suo stomaco e si staccò da Joshua, rivolgendo lo sguardo alla casa e alla finestra della cucina. Liz lo stava guardando e sorrise, quando i loro occhi si incontrarono, dividendo un momento tutto loro. La connessione che li univa era alquanto sorprendente, e mano a mano che Matthew cresceva nel grembo materno, si rafforzava sempre di più.
Mentre i giorni e le settimane passavano, Max era sempre di più in sintonia con Liz, sia fisicamente che mentalmente. Lui sentiva le stesse cose che lei sentiva. Quando Matthew si muoveva, poteva avvertirlo anche lui, proprio come un momento prima aveva sentito il colpo contro le costole che aveva dato a Liz. Poteva sentire anche i suoi stati d’animo, avvertire se era allegra o triste, quando era stanca o quando era di buon umore. Ora era non di buon umore e lui, dentro di se, sorrise. Magari, più tardi, sarebbe stato in grado di cancellare le sue smanie.
“ …sembrano quasi pronti.” osservò Josh, poi notò la direzione in cui Max stava guardando e, girandosi verso Annie con lo sguardo di uno che la sa lunga, scosse la testa. “Max!” disse, tentando di ottenere la sua attenzione. “Hey, Max!”
“Mi dispiace, Josh.” disse lui, interrompendo il contatto con Liz e riportando l’attenzione sull’amico. “Liz ha bisogno di me. Torno subito. Puoi darmi un’occhiata alla brace?”
“Certo! Nessun problema.” rispose Josh e vide Max infilarsi nella casa. Si girò verso Annie e scosse di nuovo la testa. “Quei due sono qualcosa di incredibile, vero? Non ho mai visto una connessione così forte.”
Max filò dritto in direzione di Liz, arrivandole dietro. La abbracciò, facendole scivolare le mani sopra la pancia. “Matthew ti sta facendo passare momenti difficili? Devo fare una chiacchieratina con lui su come si trattano le donne?” Strofinò il naso contro l’orecchio di lei, e la sentì appoggiarsi contro di lui.
“Abbiamo ospiti, Max” disse Liz con voce roca, desiderando più di ogni altra cosa che Max le mostrasse come lui sapeva trattare una donna. Liz si girò, per trovarsi le labbra di Max sulle sue. I suoi ormoni stanno facendo gli straordinari, pensò Max, perché proprio in quel momento, poteva sentire quanto lo volesse. Il desiderio di lei gli scorreva addosso e lo lasciava senza respiro.

Il campanello suonò e Liz, riluttante, staccò le labbra dalle sue. “Probabilmente saranno Daniel e Sarah. Mi chiedo se con loro non ci sia anche Rachel. Puoi aprire tu? Le mie mani sono sporche …” Liz arricciò il naso e gli mostrò le mani sporche dell’impasto degli hamburger.
“certo! Le mani di Max si poggiarono sulla sua gola e la baciò di nuovo, prima di uscire dalla cucina. Fece un profondo sospiro tra sé e sé e disse al suo corpo di darsi una calmata. La connessione che divideva con Liz poteva essere contemporaneamente una benedizione e una disgrazia!

Attraversò il soggiorno, guardando Joey che sgominava un’invasione aliena sullo schermo della TV. Scosse la testa e raggiunse la porta d’ingresso e, aprendola, vide le facce sorridenti di Daniel, Sarah e Rachel.
“Buon Compleanno, Max!” gridarono tre voci all’unisono e un mazzo di palloni venne spinto sulla sua faccia. Max rise alla vista delle facce aliene sui palloni e spalancò la porta per lasciar entrare gli amici. Oggi festeggiavano il suo ventesimo compleanno, anche se in realtà il suo compleanno era caduto nella settimana. Lo avevano rimandato alla fine della settimana, per poterlo festeggiare con la loro famiglia estesa.
Max li accompagnò all’interno, indirizzandoli verso il retro della casa, passando accanto a Joey che a malapena beneficiò i suoi nonni di un grugnito di saluto, assorto com’era nel tentativo di abbattere un’astronave dopo l’altra. Traversarono la cucina che Liz stava proprio per lasciare, con un vassoio pieno di hamburger pronti per la griglia.
“Lasciali portare a me.” insistette Max, affrettandosi al suo fianco. Daniel e Sarah si scambiarono uno sguardo d’intesa, sorridendo alla natura iperprotettiva di Max. Trattava Liz come se fosse fragile, ma tutti loro sapevano perché. Andarono tutti dietro a Max che si dirigeva all’esterno, col vassoio in mano e una sorridente Liz al suo fianco.
Si sedettero intorno al tavolo da picnic o sulle sdraio e, mentre guardavano Max mettere gli hamburger sulla griglia, cominciarono a parlare piacevolmente. Ci volevano pochi minuti di cottura e, prima che fossero girati, Liz e Rachel si diressero in cucina per prendere l’insalata si patate, le verdure ed il resto dei contorni.
Max vide Liz massaggiarsi la schiena, mentre camminava. Lui poteva sentire il dolore che la affliggeva e decise che più tardi, quando se ne fossero andati gli ospiti, sarebbe stato il caso di farle un simpatico massaggio alla schiena. Un piacevole, lento, delicato massaggio con la giusta pressione, nei posti giusti …
“Hey, Max, quegli hamburger si bruceranno se non li giri.” disse Josh con una risata.

In cucina, Liz stava mettendo le verdure tagliate in un vassoio, con una scodella di condimento al centro e Rachel aveva aperto il frigo per prendere il tè freddo e l’insalata di patate e il latte, quando udirono suonare il campanello della porta.
“Vado io, Liz.” si offrì Rachel e si diresse in soggiorno.
“Rachel, non dovresti farlo …” protestò Liz. Rachel era loro ospite, non doveva lavorare.
“Non essere sciocca.”le disse avvicinandosi alla porta. “Tu hai le mani occupate. Inoltre l’esercizio fisico mi fa bene.”

***

Carl era in piedi davanti alla porta degli Evans, sentendo una strana eccitazione nello stomaco e chiedendosi cosa diavolo ci fosse di sbagliato in lui. Stava solo andando ad un barbecue con gli amici, una festa di compleanno per un collega, niente più di questo. Allora perché si sentiva come un liceale? “Dannazione. Falla finita!” mormorò a se stesso e tese una mano per suonare il campanello. Aspettò un minuto e, quando nessuno rispose, cercò di bussare.
Poteva sentire un rumore di esplosioni provenire dall’interno e presuppose che a fare quella cagnara fosse un programma alla TV o un videogioco. Carl non riusciva a vedere Max come tipo da videogioco, e lui stesso aveva detto che non vedeva quasi mai la TV. Aveva detto una volta, che il tempo era troppo prezioso per sprecarlo a vedere delle idiozie. Stese le mano per bussare ancora e si ritrovò a passare la porta, che era stata aperta, e a perdere l’equilibrio.
“…l’esercizio fisico mi fa bene.” stava finendo di dire Rachel mentre apriva la porta. Lei non stava guardando davanti, era girata di spalle, e quando si voltò, Carl le cadde quasi addosso.
Carl si sentì impallidire e si fermò giusto in tempo per non caderle addosso, per poi sentirsi arrossire furiosamente quando vide la faccia sorpresa di Rachel. Bel modo di entrare!, pensò Carl tra sé e sé, con le guance che bruciavano.
“Carl, non è vero?” chiese Rachel facendo un passo indietro.
Lei stava sorridendo e Carl sentì un’ondata di agitazione, un vero brivido, per il modo in cui pronunciava il suo nome. Unito al fatto che lei ricordava il suo nome, e che l’eccitazione nel suo stomaco era ormai fuori controllo. “Rachel, giusto?” chiese, cercando di sembrare indifferente. La sua voce era incrinata? Maledizione! Ora non solo si comportava come un liceale, parlava anche come un liceale! Santo Dio, lui aveva 45 anni, non 15.

“Si.” il sorriso di Rachel si fece ancora più grande. “Entra. Sono tutti nel patio e Max ha appena cominciato a cuocere gli hamburger. Sei arrivato giusto in tempo.”
Carl la seguì, senza poter fare a meno di osservare il modo in cui si muoveva. Lei camminava con grazia e determinazione, come una donna che aveva il pieno controllo della sua vita. Carl ne era incuriosito. Carl ne era affascinato. Per la prima volta dopo molti anni, che lui potesse ricordare, Carl aveva trovato qualcuno che lo attraeva. La seguì nella casetta ordinata , fino al cortile sul retro.
“Carl, ce l’hai fatta!” esclamò Max quando lo vide. Non era sorpreso nel vedere che il suo capo aveva deciso di venire per la cena. Avrebbe scommesso una bella sommetta, che nulla avrebbe potuto trattenerlo dal venire, quel giorno. Nelle ultime due settimane, da quando Carl aveva incontrato Rachel, aveva chiesto di lei almeno una volta al giorno. Erano commenti velati, nascosti tra domande su Liz, ma il significato era chiaro.
“Felice di vederti, Max. Liz, sei bella come sempre.” disse Carl sorridendo e prendendo una sedia, dopo che anche Rachel si fu seduta. Scelse un posto vicino a lei, ma non troppo vicino a lei. Max fece le presentazioni, per tutti quelli che ancora non conosceva e poi tornò agli hamburger, perché non voleva che Carl vedesse il modo in cui stava sorridendo. Carl era stato fuori circolazione per troppo tempo.

***

“Grandi hamburger, Max!” esclamò Daniel mentre si sedeva e si strofinava lo stomaco. “Porterò dentro il mio piatto.” aggiunse rivolto a Max ed indicando con la testa in direzione della casa quando Max incontrò il suo sguardo.
“Sono contento che ti siano piaciuti.” rispose Max alzandosi e prendendo il suo piatto e quello di Liz. Seguì Daniel, sapendo che l’uomo più anziano aveva qualcosa da dirgli. “Devo mostrare a Daniel qualcosa nello studio, e sarò di ritorno tra un minuto.”
Entrarono in casa e, appena furono spariti dalla vista, Liz si alzò dicendo “Vado a prendere il dolce.”

***

Carl si asciugò le mani ed aprì la porta del bagno. Poteva sentire il brusio delle voci che provenivano dalla stanza accanto ed un nome attirò la sua attenzione. Ellie. Carl non era un uomo incline ad origliare le conversazioni private, ma era un esperto investigatore, un detective da quasi vent’anni, e la sua curiosità fu stuzzicata. Frammenti di conversazione lo raggiunsero, parole che sembravano non avere un senso …
“Mi dispiace,Max, il gruppo di Seattle non ha trovato nulla. Non era lui.”
“Dannazione …”
“Lo so, Max. Mi spiace. Lo so che questa non era la risposta che ti aspettavi, ma noi la troveremo. Vedrai. Ci devi credere,Max.”
“Lo so, ci sto provando. E’ solo che è passato tanto tempo. Questa faccenda ucciderà Liz, dopo che Matthew sarà nato e lei avrà perso la connessione. Sono preoccupato, Daniel. Sono preoccupato per quello che le succederà.”
“E’ una donna forte, Max.”
“Deve esserlo.”
“Hai ottenuto qualche altro indizio? Posti? Nomi? Qualsiasi cosa!”
“No. Lei non mi ha dato nessun indizio, eccetto l’unico nome che le è sfuggito. Mary. Quando faccio pressione per avere delle informazioni, la connessione, lo sai …”
“Dannazione!”
“Si. Qualche volta, ho come la sensazione che non la rivedrò più …”
“Allora questa notizia ti rincuorerà. Abbiamo avuto un rapporto su un possibile avvistamento a Los Angeles, il mese scorso. Non ti arrendere, Max.”
Le voci si stavano avvicinando e Carl, non volendo essere visto, si allontanò per il corridoio.

***

Come Max entrò in cucina, tutti gridarono “Buon Compleanno!” Sul tavolo della sala da pranzo era posata una torta di compleanno, illuminata da venti candeline. Il sorriso di Liz andava da un orecchio all’altro e lui sentì il cuore liquefarsi. Il dolce aveva la forma di un orsacchiotto e lui sapeva che Liz si stava prendendo gioco di lui, per tutti gli animali di peluche che aveva comprato per la camera di Matthew.
“Svelto, Max. Esprimi un desiderio e spegni tutte le candele prima che la casa bruci.” esclamò Liz.
Max chiuse gli occhi ed espresse il desiderio che esprimeva ogni volta, poi soffiò cercando di spegnerle tutte in una volta. Liz gli porse il coltello e lui tagliò una generosa porzione per ciascuno. Anche Joey aveva abbandonato il video, per averne un pezzo.
Max si sedette al tavolo, mentre Liz era in piedi per mettere il gelato nei piatti. gliene mise una grande porzione nel piatto e Max la sentì piegarsi verso di lui, con le soffici curve che lo premevano.

Lei guardò in giù verso di lui e con attenzione e deliberatamente si leccò il gelato da un dito. Max sentì lo stomaco attorcigliarsi e un’ondata del desiderio di lei lo pervase.
Liz finì di servire il dolce e il gelato poi si sedette di fronte a lui. La conversazione era leggera e Max cercò si seguire Joshua e Carl che facevano i pronostici sulla prossima stagione di baseball ma non riusciva a staccare gli occhi da Liz che mangiava, a piccoli morsi, il suo dolce. Aveva lo sguardo rivolto verso di lui, e lui la vide immergere il dito nella glassa sul suo piatto e lentamente, in un modo oh così invitante, si infilò il dito in bocca. Max pregò di non doversi alzare all’improvviso.

Annie distrasse Liz parlandole del bambino e Max cercò di finire la sua torta. I suoi occhi erano incollati a Liz, che portò la forchetta alla bocca, aprendo le labbra che piano circondarono il dolce inghiottendolo. Poi sfilò lentamente, oh molto lentamente, la forchetta dalla bocca e i suoi occhi fissarono Max , mentre si passava la lingua sulle labbra per togliere la glassa rimasta. Lo sguardo di Liz gli diceva che sapeva esattamente cosa gli stava facendo.

Il suo bisogno cresceva di minuto in minuto ed il suo corpo stava reagendo velocemente. La tensione sessuale cresceva nell’aria. E così cresceva anche qualcos’altro. Max non riusciva più a seguire la conversazione sul baseball. Tutto quello che riusciva a pensare era che sapore potevano avere ora le labbra di Liz, e che sensazione avrebbe dato la sua lingua a una certa parte del suo corpo.

Nemmeno Liz riusciva a staccare gli occhi da Max. Lui aprì la bocca per prendere l’ultimo pezzo di dolce dal piatto e mentre posava la forchetta, vide un po’ di glassa sul suo labbro superiore.
Avrebbe volto leccarlo via ed assaggiare la sua bocca con la lingua. In fondo alla sua mente comparve un fuggevole pensiero. Forse non avrebbe più dovuto servire il dolce, quando erano in compagnia.

Carl guardò lo scambio di occhiate tra Max e Liz con sguardo divertito, Quei due non riuscivano a staccare gli occhi l’uno dall’altra, e lui sospettava che dovevano avere momenti difficili a tenere lontano le mani. Un ronzio interruppe i suoi pensieri e vide Rachel prendere le borsa. ne prese il cellulare e, dopo aver visto il numero, si alzò in piedi.
“Mi dispiace, ma il dovere chiama. Lucy Henner sta per partorire. La devo raggiungere. Qualcuno può darmi un passaggio?”
“Certo!” rispose svelto Daniel. “Dove devi andare?”
“A Orlander Drive, proprio vicino a Park Street,” rispose Rachel, mettendosi la borsa a tracolla.
“Io devo andare proprio lì.” intervenne Carl “Posso dare io un passaggio a Rachel.”
“Grazie, Carl.” Rachel gli sorrise “Sei sicuro che non ti disturbo? E’ veramente fuori dalla direzione di Daniel, e se è lì che sei diretto …”
“Nessun problema.” Carl era raggiante.
“Max, Liz, mi dispiace di abbandonare la festa.” sospirò Rachel.
“Anche noi dobbiamo andare.” aggiunse Annie “Amber si è stancata e se non la portiamo subito a casa, diventerà intrattabile.”
Tutti si alzarono da tavola e raccolsero le loro cose. Liz si avvicinò alla fine del tavolo e Max si mise dietro a lei. La circondò con le braccia e la tirò contro il suo petto e per Liz fu difficile mantenere l’espressione che aveva in faccia, quando sentì il rigonfiamento dei suoi pantaloni premere contro di lei.

“Grazie per essere venuti.” sorrise Max. Aveva gioito sinceramente della presenza dei suoi amici, ma ora non vedeva l’ora che andassero via. Accompagnarono i loro ospiti alla porta d’ingresso e fecero i loro saluti.
Come gli amici furono alle loro macchine, fecero un ultimo saluto con la mano e Max spinse Liz dentro la casa. Chiuse la porta e lei si appoggiò contro di essa mentre Max le lanciava un’occhiata falsamente minacciosa.
“L’hai fatto apposta, vero?” Le disse con voce roca, mentre il suo intenso sguardo si spostava dagli occhi della moglie alla sua bocca, avanti e indietro, con la faccia che si avvicinava sempre più a quella di lei.
“A cosa ti riferisci, Max?” disse Liz innocentemente. Con la lingua si bagnò le labbra, ben sapendo quale sarebbe stata la reazione di lui.
Un gemito uscì dalla gola di Max e la sua bocca si legò a quella di lei. La spinse contro alla porta, con una mano sul retro della testa per tenerle la bocca ancora più vicina. Con l’altra mano cominciò a sbottonarle il corsetto del vestito, le dita sciolte lavoravano velocemente, e lo sfilò per esporle il seno.

Liz sentì le maniche del vestito scivolarle sulle spalle e la mano di Max che si infilavano nel reggipetto, coprendo a coppa il suo seno e strofinandole il capezzolo per farlo irrigidire. Lei si lamentò sommessamente e fu il suo turno di sbottonargli la camicia, scoprendogli il torace, lasciando scivolare le sue mani sopra i muscoli duri del suo petto e la compattezza dello stomaco, prima di muoversi intorno per accarezzargli la schiena. Il tocco delle dita di lei lo elettrizzava e Liz lo graffiò leggermente con le unghie, lasciandogli lievi segni sulla pelle. Il bacio di Max divenne più intenso e la sua lingua le scivolò tra le labbra e nella bocca, assaggiando il sapore rimasto della glassa.

I loro movimenti divennero frenetici, mentre il bisogno raggiungeva livelli febbrili. Le mani di Liz tornarono dalle spalle al petto, mentre le labbra di lui si muovevano verso la sua gola, giù nella valle tra i seni fino a raggiungere un capezzolo. Lui le tolse via il reggipetto e lo prese nella bocca, succhiandolo, attirandolo, tormentandolo con la lingua e i denti. Lei gemette più forte per il piacere e questo lo eccitò ancora più selvaggiamente.
Le dita di Liz cercarono alla cieca il bottone dei pantaloni di Max e poi tirarono giù la lampo. E allora poté sentire la sua enorme erezione attraverso i boxer e lo liberò, abbassandoli con frenesia sulle sue cosce per esporre il suo magnifico membro. Lo sentiva palpitare nella sua mano e ne provò la lunghezza, carezzandolo dalle palle tese alla punta luccicante e strappandogli un gemito di desiderio.
“Prendimi ora, Max.” gli sussurrò in un orecchio. “Ora.”

Max succhiò ancora una volta il capezzolo, e tornò a reclamare la sua bocca. Poi la sollevò, tirandole su la gonna, e le gambe di lei si strinsero attorno ai suoi fianchi. La mano di lui le scivolò sulla coscia, fino a raggiungere le sue mutandine umide, col risultato di aumentare ancora di più il suo desiderio. Le sue dita si infilarono sotto il sottile tessuto e lo spinsero via, esponendo alla vista il suo premio. Max interruppe il bacio e la guardò negli occhi, mentre si introduceva dentro di lei energicamente e profondamente. Il suo corpo tremò per il piacere mentre le strette pareti di Liz gli consentivano l’accesso, modellandosi intorno a lui, mentre i loro corpi si univano.

I gemiti di Liz si intensificarono, il suo respiro si fece affrettato e i suoi occhi affogarono nel desiderio mentre tornavano a quelli di lui. Lui uscì completamente e poi si spinse di nuovo energicamente dentro di lei, con l’aria che gli abbandonava i polmoni mentre sprofondava in lei fino all’elsa.

Il respiro si trasformò in ansito mentre si spingeva profondamente, ripetutamente dentro il suo umido calore. La schiena di Liz batteva contro il legno duro della porta d’ingresso, ma lei non se ne accorse. Tutto quello che riusciva a sentire, erano le dolci sensazioni che lui stava risvegliando al centro del suo corpo. Si strinse forte contro di lui, sentendo che l’attrito tra di loro cresceva ad ogni profonda spinta. I suoi sensi erano iperattivi, amplificati dal bisogno, guidati dalla passione, ingigantiti dalla sua fame di lui. I suoi capezzoli ormai rigidi si strofinavano sul petto di Max, danzando contro di lui ad ogni profonda spinta del suo corpo in quello di lei. I muscoli di Max fremevano di eccitazione mentre si avvicinava al momento di perfetta beatitudine dove stava per portarla.

La bocca di lui cercò ancora la sua, baciandola con vigore, con la lingua che mimava i movimenti del suo corpo. La sua passione era così forte ed il suo bisogno così grande che intensificò le sue spinte, muovendosi più veloce, mentre si avvicinava all’acme. Modificò leggermente la sua posizione, cambiando l’angolo di penetrazione mentre cercava il punto più sensibile di Liz. I gemiti di lei si intensificarono improvvisamente mentre lui la portava verso la vetta. Liz si inarcò contro di lui con un forte grido, mentre il culmine la inondava, esplodendo dal centro del suo corpo e invadendola completamente. Le sue pareti interne si strinsero e si rilasciarono intorno a lui, increspando onde di ritmico piacere contraendosi e premendosi intorno a lui fino a farlo urlare, mentre il suo seme traboccava. Max si spinse ancora una volta dentro di lei, mentre il suo seme lo abbandonava, stringendola stretta contro di sé, mentre il suo orgasmo raggiungeva il vertice. Chiuse gli occhi e rabbrividì per la piacevole sensazione di colore che lo pervadeva.

Rimasero entrambi senza respiro e Liz si poggiò contro di lui, sentendosi completamente priva di energia. Cominciò a ridere piano, con le braccia ancora strette alle spalle di Max e la faccia sepolta nella curva del suo collo. Lui la teneva stretta, almeno quanto lo consentiva la curva della sua pancia tra di loro. Anche lui cominciò a ridere, mentre infilava il naso tra i suoi capelli e ne respirava l’intensa fragranza.

“Questo sì che è interessante.” le disse all’orecchio con la voce ancora roca.
“Molto.” assentì Liz, cercando ancora di riuscire a respirare. “Non pensi che se ne siano andati così in fretta a causa nostra, vero?”
“Non lo so, ma sono contento che l’abbiano fatto.” Max strofinò il naso contro la sua gola e formò un sentiero di baci verso le sue labbra, baciandola dolcemente questa volta, teneramente, in netto contrasto con i tempestosi baci di prima.

“Stai bene?” le chiese, chiedendosi cosa gli fosse successo. Si supponeva che dovesse trattarla con gentilezza, non sbattendola selvaggiamente contro la porta di ingresso.
“Oh, io sto bene.” disse Liz, tornando a guardarlo con aria seducente.”Ma avrei una domanda da farti.”
“Cosa c’è?” chiese Max, con la fronte appoggiata contro quella di lei e gli occhi che gli brillavano di una luce interiore.
Lei contrasse i suoi muscoli intorno al suo membro ormai morbido, abbracciandolo e stringendolo ritmicamente, pressando le sue pareti interne intorno a lui. Il respiro di Max gli si fermò in gola e lei si chinò in avanti per baciarlo, mordendogli il labbro inferiore. Lo guardò intensamente e gli disse “Sei pronto per un altro po’ di dolce?”
Lui riprese vita, tornando rigido e pronto all’azione per darle tutte le risposte di cui lei aveva bisogno.

Continua...

Scritta da Debbi aka Breathless
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice dall'originale in inglese
a cura di Sirio, con la collaborazione di Coccy85


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