Streghe Italia Fan Fiction

INCIDENTE


Breve riassunto: Leo non ha ancora recuperato i suoi poteri, manca poco all'ultimo giorno dell'anno e un imprevisto rovinerà tutti i progetti delle nostre tre streghe...

Data di composizione: ehm... l'ho iniziato a Gennaio e concluso il 28-02-2001

Adatto: a tutti

DISCLAIMER
Si ricorda che tutti i diritti del racconto sono di proprietà del sito "Streghe Italia", e che tutti i personaggi di "Streghe / Charmed
utilizzati sono di proprietà Warner Bros Television / Spelling Entertainment, e sono utilizzati senza il permesso degli autori e non a fini di lucro.
"Charmed" is a trademark of Spelling Television Production © 2001


«Ragazze, io esco, ci vediamo stasera!» salutò Piper mentre apriva la porta di casa.
«Ricordati di passare a prendermi alle cinque!» le urlò dietro Prue.
«Non preoccuparti, ci sarò» le rispose la sorella chiudendo la porta dietro di sé.
«Cos’è tutto sto baccano, Piper è già uscita?» chiese Phoebe scendendo le scale in pigiama e sbadigliando.
«“Già”? Ma lo sai che ore sono?»
«No, non ne ho idea, comunque non saranno ancora passate le… AAAAH!!» urlò dopo aver guardato l’orologio. Si precipitò nella sua stanza, mise i primi vestiti che le capitarono sotto mano e uscì di corsa senza neanche fare colazione, salutando con un rapido “ciao” la sorella maggiore.
“Chissà come mai tutta questa fretta, non è poi molto più tardi del solito…” si chiese Prue tra sé e sé, poi si trovò anche una risposta: “Avrà avuto un esame o, cosa molto più probabile, un appuntamento con qualche ragazzo dell’università… però è strano, dovrebbe essere in vacanza». Sistemò un attimo la cucina e uscì per andare al lavoro.
Prue non ci era andata molto lontano. Non si trattava esattamente di un appuntamento, ma comunque di qualcosa di molto simile. Phoebe aveva infatti promesso a David che si sarebbero visti davanti scuola per organizzare cosa fare l’ultimo dell’anno. Avevano già una mezza idea e la ragazza, demoni permettendo, non solo avrebbe elargito diversi passaggi per non andare con troppe macchine (n.d.a: non si sa mai dove parcheggiarle…) ma sarebbe anche andata a prenotare. Insomma si era presa la briga di fare quasi tutto lei. Con David doveva decidere la discoteca e il locale in cui avrebbero passato le ultime ore del vecchio anno e poi lei, quello stesso pomeriggio, dopo un po’ di sano shopping, sarebbe passata a prendere i biglietti.
«Ciao Phoebe»
«Ciao David, è tanto che aspetti?»
«No, giusto un paio di minuti (grossa bugia di cortesia). Ma sei proprio sicura di voler prendere la macchina? Ti ho già detto che lo farei io molto volentieri e che passerei a prenderti…»
«Sì che sono sicura. La mia, fra l’altro, è più piccola della tua e riesco a posteggiarla quasi dappertutto» lo interruppe lei.
«D’accordo» si rassegnò David sospirando.
Phoebe non lo notò nemmeno perché passò subito a parlare di discoteche e locali. Non voleva assolutamente che si decidesse di andare al P3 nonostante tutti i grandi preparativi e l’impegno che ci stava mettendo sua sorella Piper.
La notte del trentuno voleva trascorrerla solo con i suoi amici, a divertirsi e a fare pazzie. Non ci teneva assolutamente a passarla sotto gli occhi vigili delle sue sorelle maggiori che dopo il misero 18 dell’ultimo esame avevano cominciato ad essere sempre più soffocanti, soprattutto Prue. E cosa volete che sia un 18! Capitano a tutti degli alti e bassi, e poi alla fine si trattava pur sempre di una sufficienza…
David non capiva tutta quella riluttanza verso il P3, ma non indagò ed accettò ogni sua proposta.
«Certo che non mi aiuti molto a decidere se mi dici sempre “va bene”!» gli fece notare Phoebe.
Il ragazzo si era quasi imbambolato a guardarla ma quelle parole per fortuna lo svegliarono.
«Per me… per me un locale vale l’altro» disse senza pensarci su.
(n.d.a: era cotto, decisamente andato)

«Leo, aiuto!» fece Piper mettendosi le mani fra i capelli.   
«Calmati, se continui così ti verrà un esaurimento nervoso» le rispose il ragazzo dolcemente.
«Dici bene tu… calmarmi… COME FACCIO!?! NON SARà MAI TUTTO PRONTO PER IL DOMANI SERA!!» continuò a disperarsi.
«No, vedrai che ce la faremo…» disse Leo senza essere convinto delle sue stesse parole. Piper lo intuì dal suo sguardo: «Non è vero e lo sai benissimo… qui ci vorrebbe un miracolo!»
«Già, non hai tutti i tort…» stava dicendo soprappensiero, quando si accorse della sua piccola gaff e tentò di rimediare peggiorando di parecchio: «No, cioè… intendevo dire che…» cominciò a balbettare arrossendo lievemente. A vederlo così Piper per un attimo ebbe il forte impulso baciarlo e abbracciarlo, ma si trattenne. Chiuse gli occhi e quando li riaprì si ritrovò stretta fra le braccia di Leo mentre lo baciava appassionatamente.
Ma che diavolo era successo? Il suo corpo si era mosso da solo senza dar retta alla mente?!

«Che stress! Non ne posso più!!» si lamentò Prue dopo aver scattato la centesima foto della mattinata. «Non mi poteva capitare un cliente più rompiball.. di questo!» continuò mentre trafficava nella camera oscura. Lì poteva sfogarsi quanto voleva: era completamente sola e le pareti erano praticamente insonorizzate così, fuori, anche se avesse urlato, probabilmente non l’avrebbe sentita nessuno.
«La prossima volta che incontro uno come lui non accetto il lavoro! Possibile che si debbano fare centinaia di foto ad uno stesso stupidissimo soggetto?!? Avesse poi uno scopo tutto questo…». Era così presa a brontolare e a maledire sia cliente che soggetto da distrarsi e bruciare così tre rullini.
Evitò per poco una vera e propria crisi di nervi…
«Sali, Prue» la incitò Piper accostando vicino al marciapiede senza nemmeno spegnere il motore. La sorella si avvicinò con passo veloce alla macchina e salì dietro. Davanti con Piper c’era un cameriere del P3 al quale la ragazza stava dando uno strappo fino a casa. Dopo una rapida presentazione Prue, ignorando completamente il giovane, cominciò a sfogarsi: «Oggi è stata una giornata infernale!», poi continuò raccontando brevemente del cliente tremendamente fastidioso e snob per cui aveva dovuto lavorare tutto il giorno, a causa anche del piccolo danno che aveva fatto lei con i rullini. Una volta concluso chiese: «A voi com’è andata, invece?».
«Ho avuto molto da fare, per fortuna che c’è Leo a darmi una mano!» rispose Piper addolcendosi particolarmente nella seconda metà della frase. Prue non poté che notare il cambiamento di tono della sua voce e quello sguardo mezzo perso che aveva. La guardò incuriosita per un po’ senza sapere cosa dire, poi: «Le cose stanno andando meglio fra voi due per caso?»
«Sì, ma da che cosa l’hai capito? Non è che c’entri anche tu qualcosa?!» chiese lei scontrosa.
«Come?!» si stupì Prue non capendo le sue parole.
«Parlo del bello “scherzetto” che di sicuro mi ha fatto Phoebe! Eppure lo sa che non dovrebbe intromettersi, soprattutto facendo uso di certi mezzi….» e qui il tono si fece allusivo e minaccioso. Il povero cameriere la guardava sbigottito mentre Prue non sapeva ancora come reagire. «Tanto più che non ho affatto bisogno di questo genere di aiuto!» stava continuando a lamentarsi Piper quando ci fu un terribile colpo.

Era tardo pomeriggio e Phoebe, concluso lo shopping e la prenotazione, si stava recando a casa tutta contenta. Era di ottimo umore perché, finite le lezioni, adesso si stava finalmente godendo il meritato riposo. Appena entrò in casa sentì squillare il telefono e andò a rispondere.
«Pronto, casa Halliwell»
“Ciao Phoebe, sono Piper” riuscì a malapena a distinguere nel fracasso che proveniva dalla cornetta.
«Dove sei? Ti sento malissimo!» chiese alzando istintivamente la voce.
«è perché sono sull’autoambulanza…»
«…»
«Non preoccuparti sto bene e sono qui con John» cercò subito di tranquillizzarla Piper.
«Certo, infatti è proprio perché stai bene che ti trovi in un’autoambulanza! Cos’è successo?? Chi è ‘sto John e dov’è Prue?» chiese a raffica Phoebe incominciando a sentirsi in ansia.
«John è uno dei camerieri del P3 mentre Prue… Prue probabilmente adesso si trova già al St. Jose… prrrr prrr…»
«Piper non ti sento! C’è troppa interferenza!!» urlò Phoebe sempre più agitata. Non capiva come mai Prue non si trovasse con lei né tanto meno cosa fosse successo. C’entrava per caso qualche demone? Erano state attaccate all’improvviso e per non rivelare la loro identità a John non si erano difese? Ma cosa andava a pensare! In quel caso bastava che Piper lo bloccasse! Questi pensieri scorrevano rapidi nella sua mente come cavalli lanciati al galoppo senza una meta precisa.
«Vai da Prue, presto… prrrr prrrr ci ri..prrr dopo!» concluse Piper prima di riattaccare.
La ragazza rimase immobile per un attimo con la cornetta ancora in mano, poi, di colpo la riagganciò, prese la giacca di jeans e uscì di corsa. Mentre si dirigeva verso la macchina di Prue provò a chiamarla sul cellulare che giustamente trovò spento. Una volta salita, dopo aver fatto sgommare un po’ le ruote, si diresse a gran velocità verso l’ospedale, o meglio, alla sezione del pronto soccorso. Dopo tutto Piper, sebbene l’avesse sentita solo per telefono, sembrava stare bene e sperava ardentemente che fosse lo stesso anche per Prue.

Una volta entrata al St. Joseph…
«Mi dispiace signorina, ma adesso non la possiamo fare entrare. Rimanga per favore nella sala d’attesa, l’avviseremo noi» le disse con fredda calma e professionalità la donna dietro al bancone alla quale si era appena rivolta.
«Forse non ha capito. Io desidero solo vedere mia sorella, Prue Halliwell, che è stata portata qui neanche venti minuti fa da un’autoam…»
«Si calmi, le ho già detto che la stanno visitando: non può assolutamente entrare. La invito ancora gentilmente ad accomodarsi nella sala d’attesa…» l’aveva interrotta la donna, stavolta con un tono, sempre piuttosto professionale, ma più seccato.
Phoebe avrebbe voluto strozzarla. Com’era possibile che non poteva nemmeno vedere sua sorella?! Che razza di visite le stavano facendo!?! Fece per andare verso la sala d’attesa ma proprio in quel momento le due ante dell’entrata a cui le era stato negato l’accesso si aprirono: un infermiere stava uscendo. Gettò un’occhiata a quell’arpia che non la voleva fare entrare e notando che per fortuna, proprio in quel momento, stava parlando con un’altra persona, ne approfittò sgattaiolando dentro quatta quatta. 
Dopo aver percorso un piccolo corridoio cominciò a sbirciare dentro ogni stanza che trovava con la porta spalancata. Spesso queste erano piccole ma con un discreto numero di posti a sedere. In alcune c’erano giusto tre o quattro persone che sembravano in attesa, in altre molte di più. Le loro facce erano così tristi e sofferenti da metterle addosso un’angoscia tale che sarebbe scappata a gambe levate se non fosse stato che stava cercando sua sorella. Dovevano essere lì da un bel po’ di tempo: l’ospedale dava l’idea di essere strapieno e dottori ed infermieri di essere molto impegnati, così tanto che nessuno faceva caso a lei (questo era decisamente un bene).
Mentre stava cominciando a disperare di trovarla infilò la testa nell’ennesima stanzetta e questa volta la vide: la sua adorata sorellina era lì, seduta come rannicchiata su una sedia a rotelle, con lo sguardo fisso sul pavimento. Era troppo felice di rivederla per notare che in lei forse c’era qualcosa che non andava. Le andò incontro e la salutò abbracciandola.
«Piano, così mi fai male!» si lamentò Prue per l’eccessiva stretta della sorella.
«Scusami, come ti senti?»
«Ho un forte mal di testa qui davanti e questo collare mi dà un fastidio che non ti dico…»
Phoebe non se n’era nemmeno accorta. Ora che la stava osservando meglio notò il collare di spugna ricoperto da una garza, il fatto che fosse seduta su una sedia a rotelle e la lieve abrasione che aveva sulla guancia sinistra.
«Sai, sull’autoambulanza ho rivisto un mio ex compagno di liceo: è diventato medico, incredibile! Mi ha fatto molto piacere rivederlo»
«Davvero? Che coincidenza… ma cosa ti hanno detto i medici? Ti hanno già visitata? Perché sei seduta su questa sedia a rotelle? E che cosa è successo di preciso?» le chiese Phoebe senza prendere fiato.
«Non mi hanno detto niente e mi sono seduta qui perché è più comodo. Ho un piccolo dolore quaggiù alla schiena e grazie a questa imbottitura lo sento molto di meno» rispose indicando il rivestimento della sedia.
Phoebe la guardò un po’ perplessa: aveva a malapena risposto a due domande su quattro e non sembrava avere intenzione di riaprire bocca, allora le richiese: «Ma che cosa è successo?»
«Non mi ricordo. Ho incominciato a capire quello che stava succedendo solo quando mi trovavo sull’ambulanza… pensa che lì ho rivisto un mio ex compagno di liceo! È diventato medico, incredibile! Mi ha fatto molto piacere rivederlo»
«Sì, l’ho capito. Ma i medici che tipo di visite ti hanno fatto? Adesso stai aspettando che te ne facciano delle altre o cosa?» le chiese Phoebe cercando di capirci qualcosa.
«Non lo so, credo che… che passino poi loro di nuovo» rispose Prue un po’ confusa.
Phoebe non sapeva come reagire: possibile che i medici non le avessero detto proprio nulla? Inoltre sua sorella non sembrava in sé, probabilmente per lo shock…
«Ho un terribile mal di testa qui davanti e questo collare mi dà un fastidio che non ti dico!» disse dopo un po’ di silenzio.
A quella seconda ripetizione Phoebe  ebbe la conferma che c’era proprio qualcosa che non andava.

“Questa attesa è snervante! Non ne posso più di restare qui con le mani in mano senza sapere nulla: ma quali maledettissime visite le stanno  facendo?” rimuginava John seduto nella sala d’attesa. Lui e Piper erano stati portati in un altro ospedale perché il St. Joseph era strapieno, così non avevano saputo più nulla di Prue ed erano molto preoccupati per lei. Il ragazzo aveva anche provato a chiamare Phoebe dal cellulare di Piper ma l’aveva trovato spento. Probabilmente era già entrata in ospedale dove non si può tenerli accesi. La sorte aveva voluto che fra i tre solo lui non si fosse fatto nulla, o almeno così gli era sembrato, ma era da quasi dieci minuti che sentiva un certo fastidio alla parte superiore del collo, un fastidio che piano piano cominciava a tramutarsi in dolore. “Sarà meglio che anch’io vada a farmi vedere da qualcuno… almeno così avrò qualcosa da fare!” pensò infine e si alzò.

«è ancora qui? Ma i dottori le hanno detto che può benissimo tornare a casa! Ha solo il classico colpo di frusta dovuto al contraccolpo, quindi non c’è motivo che resti» disse stupita l’infermiera che Phoebe aveva fermato per chiedere spiegazioni.
«Contraccolpo?! Guardi che mia sorella non ricorda assolutamente che i dottori le abbiano detto una cosa del genere, in più continua a ripetere sempre le stesse cose, immagino che sia dovuto allo shock, ma cerchi di capirmi, sono un po’ preoccupata… e del dolore alla schiena cosa mi dice?»
«Non ricorda e ripete le cose… aspetti un attimo, vado ad informarne il dottore che l’ha visitata» e così dicendo si allontanò velocemente.
La ragazza ritornò nella stanzetta, non se la sentiva di lasciare sola sua sorella ma allo stesso tempo voleva parlare con Piper, sapere che diavolo fosse successo con esattezza ed informarla che Prue stava piuttosto bene. Ora non solo continuava a ripetere le stesse cose di prima ma affermava addirittura di stare ottimamente e di voler tornare a casa per rivedere Piper, chiedeva in continuazione di lei. Si ricordava vagamente che era molto preoccupata, che forse piangeva, e voleva parlarle.
Alla fine Phoebe decise di lasciarla  sola per qualche minuto, giusto il tempo di chiamare Piper.

John stava parlando con un infermiere quando il cellulare di Piper gli squillò:
«Pronto, sono John»
«Ah, John! E… Piper?»
«In questo momento la stanno visitando, ma non so altro. Prue, invece?»
«Sta bene, abbastanza bene… Mi racconti cosa è accaduto? Lei non si ricorda nulla» disse Phoebe che non ne poteva più di restare all’oscuro.
«Certo. Piper mi stava dando un passaggio fino a casa ed eravamo fermi ad un semaforo. Appena scattò il verde, tua sorella ripartì ma non fece nemmeno in tempo a infilare la seconda che ci fu un terribile colpo: qualcuno ci era venuto addosso. Quel deficiente non deve averci visto, non ha nemmeno provato a frenare per evitare di tamponarci. L’urto è stato così violento da scaraventarci in avanti di almeno una decina di metri… La parte posteriore della macchina era completamente fracassata, l’ho constatato una volta sceso. Purtroppo eravamo rimasti tutti e tre intrappolati dentro, non riuscivamo ad aprire le portiere e Prue… Prue che era dietro era finita incastrata fra i due sedili, fissava il vuoto e non si muoveva. Piper ha incominciato a chiamarla terrorizzata ma lei non rispondeva. Anch’io ero seriamente preoccupato, ho creduto per un attimo che non fosse più tra noi… Tua sorella ha continuato a chiamarla finché lei finalmente non ha risposto, chiedendo cosa fosse successo. Aveva la testa appoggiata sulla spalla di Piper che le accarezzava il viso mentre ancora le lacrime le scendevano lungo le guance e…» qui la voce del ragazzo tremò. Doveva essere rimasto profondamente scosso. Infatti si trattava di un tipo davvero sensibile e anche piuttosto giovane: era di sicuro la prima volta che si trovava in una situazione del genere. Nonostante tutto continuò a raccontare: «Prue era confusa, chiedeva dove fosse, chi stesse guidando. Io cercavo disperatamente di uscire da quella trappola. Molta gente si era accalcata tutt’attorno, tentava anch’essa di aprire le portiere ma così facendo scrollava violentemente tutta l’auto. Qualcuno gridò di fermarsi. Poco dopo è arrivata un’autoambulanza. Hanno estratto prima Prue, dopo essere riusciti ad aprire quelle benedette portiere, poi sono uscito anch’io. Ho invitato Piper ad uscire a sua volta, ma non lo faceva: era rimasta ferma nella posizione che aveva assunto per sorreggere Prue e non riusciva più a muoversi. Abbiamo dovuto chiamare una seconda ambulanza perché la prima era già ripartita e io, anche se mi sentivo bene, ho deciso lo stesso di salire con tua sorella. Il resto o lo sai o te lo sei immaginato: al St. Joseph non c’era più posto così non abbiamo potuto raggiungere Prue».
Phoebe era rimasta senza parole. Il ragazzo le aveva raccontato così bene tutto ciò che era avvenuto che le era sembrato di averlo vissuto in prima persona. Ripresasi gli chiese: «Ma tu come stai, posso darti del tu vero?»
«Certo, l’abbiamo già fatto entrambi. A me è venuto piuttosto spontaneo, in fondo sei la sorella del mio “capo” e lei parla spesso di voi, così è come se già vi conoscessi; ad ogni modo sto bene, ti chiamerò quando saprò qualcosa di più su Piper».
«Lascia stare, adesso dovrò spegnerlo: sarò io a chiamarti. Ciao e grazie di tutto» gli disse Phoebe.
«Ciao, a dopo»
Ritornata da Prue non la trovò. Pensò che probabilmente adesso era da qualche parte con il dottore che l’aveva precedentemente visitata, ma visto che non sembrava ricordare nulla di quello che la gente le diceva sarebbe stato decisamente meglio se a parlare col medico fosse stata lei. Incominciò a cercarla quando le sembrò di sentire un urlo soffocato provenire dalla porta che aveva appena oltrepassato: quella del bagno. Si precipitò dentro e vide sua sorella distesa a terra priva di sensi. Non sembrava ferita né aver subito alcun tipo di aggressione.

«Ciao John, notizie di Prue?» fu la prima cosa che chiese Piper una volta terminate la visite e avvistato il cameriere.
«Ho sentito Phoebe, mi ha detto che sta bene» le rispose.
«Solo questo?!»
«Ha anche voluto che le raccontassi tutta la dinamica dell’incidente: Prue non ricorda nulla»
«Capisco, deve essere lo shock… o almeno spero» disse lei pensierosa abbassando lo sguardo, poi rivolgendolo sul ragazzo: «Ah, anche tu col collare! Bene, chi guida adesso fino al St. Joseph?». Il giovane la guardò storto, non era di certo colpa sua se aveva preso anche lui il colpo di frusta!
«Non fare quella faccia, sto scherzando… Forse è il caso di chiamare Leo» fece Piper e il ragazzo le porse il cellulare. Fortunatamente entrambi potevano andarsene anche subito. Il dottore aveva prescritto loro un tot di giorni di riposo e un altro tot minimo per il collare. Una volta terminati avrebbero potuto riprendere le loro normali attività, dal momento che non avevano riportato altri danni oltre al già citato “colpo di frusta”. In fondo si poteva quasi dire che erano stati piuttosto fortunati vista la botta ricevuta.   

“Oddio, che terribile mal di testa! È ancora peggio di prima… Ma cosa diavolo è successo e dove mi trovo? Non ho la forza di aprire gli occhi e poi non credo che facendolo riuscirei a ottenere delle risposte. Mi sento come svuotata ma per fortuna fa caldo. Devo essere sdraiata in un letto, sì, mi sembra di sentire il dolce peso di una coperta… e un altro sulla mia mano destra, è come se qualcuno avesse appoggiato la sua mano sopra la mia: chi potrebbe essere? Dai, Prue, facciamo lo sforzo di aprire gli occhi e scopriamolo…” incoraggiandosi così la ragazza li aprì lentamente. Non fece in tempo ad orientarsi che qualcuno incominciò a parlarle dolcemente. Sentì chiaramente ciò che le stava dicendo: «Prue, Prue! Per fortuna hai ripreso i sensi! Mi hai fatto davvero spaventare, ma che cosa è successo in bagno?».
Incominciò a delinearsi davanti a lei una figura, un volto: «Chi… chi sei?» chiese confusa la ragazza, poi dopo un attimo: «Ah, Phoebe, che bello rivederti!». Cercò di sollevarsi velocemente ma una fitta alla schiena glielo impedì.
«Piano Prue, non devi fare movimenti bruschi con il dolore che hai. Più tardi ti faranno una lastra per prudenza, comunque non dovresti avere nulla di rotto» le spiegò Phoebe.
«Ma cosa dici? È la prima volta che mi salta fuori un dolore del genere! E si può sapere dove mi trovo? Sembra un ospedale, che cosa è successo?» chiese quasi irritata.  

«Grazie Leo, ti sono davvero grata» disse Piper dopo aver spiegato tutto al ragazzo. Ora si stavano dirigendo in macchina verso il St. Joseph e per fortuna il traffico era piuttosto scorrevole. Entro dieci minuti sarebbero arrivati a destinazione.
«Non ringraziarmi per questo, piuttosto, sapete chi sia stato a tamponarvi?»
«Sì, era un ragazzo giovane, sulla ventina» rispose John, che era stato l’unico a vederlo perché l’unico in grado di scendere dalla macchina sulle proprie gambe. Mentre stava aspettando la seconda autoambulanza gli aveva anche parlato e aveva potuto constatare che era visibilmente preoccupato per loro. Era stato uno dei primi a cercare di soccorrerli tentando di aprire le portiere ed era stato proprio lui a chiamare tempestivamente il 118.
Non si era fatto neanche un graffio perché il suo bel macchinone era decisamente più resistente dell’utilitaria di Piper, in più era stato protetto dall’airbag (optional mancante nella vecchiotta macchina della nostra Halliwell).
«I poliziotti hanno preso i suoi dati e anche i miei. Ho qui il loro verbale, vuoi tenerlo tu Piper?» chiese John.
«Sì, grazie. Cosa ti hanno detto?»
«Non ho avuto il tempo di parlarci perché la seconda autoambulanza è arrivata quasi subito» rispose.
Ci furono un paio di minuti di silenzio, poi Piper gli chiese: «Davvero vuoi venire anche tu? La tua casa è quasi di strada, ci mettiamo un attimo a riaccompagnarti, si tratta di una deviazione piccolissima»
«No, grazie. Ve l’ho già detto, vengo con voi al St. Joseph così vedo come sta Prue e poi torno per conto mio, preferisco. Vi sto dando fin troppi disturbi»
«Ma non pensarlo nemmeno! Piuttosto, non vorrei che facessi la strada da solo: hai subito anche tu il colpo e potresti non sentirti bene. Già adesso hai la faccia pallida come quella di un moribondo!» ribatté Piper.
«Ci penso io a riportarlo a casa, dopo» si offrì Leo per non fare preoccupare la ragazza e visto che ci stava quasi provando gusto a fare il tassista: se fosse dovuto restare un mortale ancora per un po’ avrebbe anche potuto considerare seriamente la possibilità di guadagnarsi da vivere con quel mestiere (n.d.a: ma voi ce lo vedete Leo a fare il tassista?!).

«Phoeeeeebeeee!! Phoeeeebeee!» urlò Prue per la seconda volta. Sua sorella entrò nella stanza trafelata e irritata: «Ma ti sembra il caso di metterti ad urlare a squarciagola? Ti ricordo che siamo in un ospedale!» la rimproverò. Gli altri pazienti che si trovavano nella camera guardavano storto sia Prue che Phoebe, ma soprattutto la seconda nonostante non avesse fatto nulla, eccettuato correre per mezza corsia, cosa che forse, ma solo forse, sarebbe vietata.
«Scusa, me ne ero completamente dimenticata. Ma dov’eri finita? Io vorrei tornare a casa!»
«Ero col dottore, ti avevo detto che sarei andata a parlargli e che sarei tornata il prima possibile…» spiegò Phoebe sbuffando.
«No che non me l’hai detto e non mi hai ancora spiegato perché sono qui!» si lamentò lei.
Phoebe non ne poteva più: era la quarta volta che le riepilogava tutti i fatti precedentemente avvenuti ed ogni volta sembrava che la sorella dimenticasse qualcos’altro. Si fosse comportata educatamente, poi! No: aveva sempre da ridire, la accusava di tenerla all’oscuro di ogni cosa e adesso si metteva anche ad urlare a squarciagola! Era sì preoccupata per quello che stava succedendo a sua sorella, ma questa la stressava così tanto da farle dimenticare il fatto che si comportava in quel modo a causa di chissà quale grave malattia (perché qui ormai non si trattava più di shock dovuto all’incidente, era decisamente qualcosa di più serio) e se riusciva ancora a trattenersi dal tirarle qualcosa addosso non sapeva però per quanto avrebbe ancora resistito. Fortunatamente arrivarono i rinforzi: Piper, Leo e John.
«Ragazzi, non potete nemmeno immaginare quanto sia felice di rivedervi!» esclamò Phoebe andando loro incontro.
La ragazza abbracciò sia Piper che Leo, poi spiegò loro brevemente che Prue continuava a dimenticare le cose, quindi non si dovevano stupire se faceva sempre le stesse domande e che il tutto probabilmente era dovuto allo shock. Disse così per non farli preoccupare, ma in realtà lei temeva il peggio. Dopo aver chiesto più volte sia a Piper che a John come stavano dal momento che li vedeva un po’ giù riuscì dalla stanza per ritornare dai medici.
«Ciao Prue, come ti senti?» chiese Piper alla sorella sedendosi sul bordo del letto.
«Piuttosto bene, tu invece? Come mai hai un collare? E chi è quel ragazzo che ne porta uno come il tuo?» chiese Prue abbassando la voce all’ultima domanda per non farsi sentire dal giovane.
«Non ricordi? È John, un cameriere del P3. Te l’ho presentato appena sei salita in macchina» fu la risposta.
«Quando?»
«Fa niente, lascia stare» fece lei muovendo la mano come se volesse scacciare via qualcosa. Poi se la portò sulla fronte sospirando.

“Che razza di medici! Si sono volatilizzati in un attimo! Dove posso provare a cercarli? Lo so che sono molto impegnati e che l’ospedale è sovraffollato, però potrebbero starmi ad ascoltare almeno un paio di minuti! Uff!” si lamentava Phoebe tra se e sé mentre vagava per le corsie dell’ospedale. Era così intenta nei suoi pensieri che per poco non si scontrò con una signora su una sedia a rotelle.
«Guardi un po’ avanti mentre cammina, signorina!» la rimproverò la donna.
«Mi scusi, ero distratta»
«Ho notato. Senta, non è che mi darebbe una mano, per favore?»
Phoebe dopo il precedente rischiato scontro non se la sentì di rifiutare e gentilmente le chiese: «Certo, di che cosa ha bisogno?»
«Potrebbe spingermi fin laggiù? È così scomodo pilotare queste sedie!» disse indicando una delle ultime stanze in fondo al corridoio.
«Mi fermo qui?» domandò Phoebe una volta arrivata.
«Sì grazie, giovane strega, sei stata davvero gentile…» rispose la donna con un ghigno malefico.
«“Giovane strega?” Come fa a saperlo?» chiese lei indietreggiando.
«Non aver paura, non ho intenzione di farti del male, voglio solo scambiare quattro chiacchiere»
Phoebe aveva intuito di avere a che fare con un demone e si mise in guardia.

Nel frattempo Leo era andato ad accompagnare John fino a casa lasciando Piper sola con Prue. La ragazza si ritrovava a rivivere la stessa penosa situazione con cui Phoebe aveva già avuto a che fare. Prue non solo non ricordava nulla di quello che le si diceva ma sembrava dimenticare sempre più cose. L’aveva intuito perché se prima le aveva spiegato che era andata a prenderla come si erano messe d’accordo quella mattina, la seconda volta che le aveva ripetuto tutti i fatti della giornata sua sorella era saltata fuori con un: «Ma cosa dici? Mi ricordo benissimo che stamattina sono uscita prima di te di casa e che ci siamo giusto salutate, non abbiamo programmato proprio un bel niente!». Quello che aveva detto Prue era effettivamente successo, ma si trattava del giorno prima.
«Grazie ancora Leo, non dovevi» disse John scendendo dalla macchina.
«Ma figurati, piuttosto riguardati e guai a te se domani vieni al lavoro!» gli raccomandò il ragazzo che aveva imparato a conoscerlo a forza di lavorarci insieme e che sapeva del suo eccessivo senso del dovere.
«Stai scherzando? Con tutto quello che c’è da fare! Non posso certo permettermi tutti quei giorni di riposo che mi ha prescritto il dottore!» 
Leo lo guardò con una faccia che non ammetteva repliche e poi aggiunse: «Del lavoro non devi preoccuparti. Anche Piper si concederà un po’ di riposo e se non lo farà la legherò al letto. Vedi di non costringermi a fare lo stesso con te» scherzò Leo sorridendogli. John rispose al sorriso e rassegnatosi: «Ok, mi hai convinto. Ci rivedremo fra non prima di 10 giorni, ciao e grazie ancora»
«Ciao» gli rispose Leo risalendo in macchina. Si diresse di nuovo all’ospedale. Anche lui si era accorto che Prue aveva qualcosa di più che un semplice vuoto di memoria dovuto allo shock e se per tutto il viaggio aveva tranquillizzato John che era visibilmente preoccupato anche lui adesso manifestava tutta la sua ansia guidando come un pazzo. Senza contare che era in pena anche per la sua amata Piper. Lei lo aveva rassicurato più volte di sentirsi bene a parte un lieve mal di testa, ma lui non ne era completamente convinto. Solo a guardarla veniva spontaneo chiedersi cosa le fosse successo. Aveva una faccia da far paura, sembrava stravolta. Era piuttosto normale visto quello che aveva appena passato ma purtroppo, a causa delle condizioni di Prue, si preoccupava più per lei che per se stessa e lui temeva che prima o poi sarebbe crollata. Aveva un grande bisogno di riposo, prima, quando l’aveva vista sedersi sul letto di Prue, gli era sembrato che l’avesse fatto non solo per avvicinarsi alla sorella ma, e soprattutto, per sedersi un attimo perché non si reggeva più in piedi.

«Ragazza mia, tu sei Piper o sbaglio?»
«Innanzitutto non chiamarmi “ragazza mia” e poi sbagli di grosso, io sono Phoebe» rispose seccata.
«Che modi! D’accordo Phoebe, sappi che tua sorella Prue sta continuando a dimenticare grazie ad un mio piccolo intervento dopo il nostro incontro in bagno e che se non farai quello che ti dico lei continuerà a perdere la memoria fino a non ricordare più di essere una strega, fino a scordarsi di te, di tua sorella Piper e poi di tutto il resto» rispose la signora con tranquillità.
«Sentiamo: cosa vuoi?»
«Bene, vedo che sei intelligente. Voglio che rinunciate ai vostri poteri, non mi interessa uccidervi. Se voi accetterete io potrei anche bloccare il processo che ho innescato in Prue e volendo, ma solo se avrò voglia, le farò recuperare quello che ha già perso»
«Stai scherzando, vero? Non possiamo rinunciare ai nostri poteri. Con tutti gli innocenti che ci sono da salvare! Non accetteremo mai!»
«Forse mi ero sbagliato su di te, non sei poi così intelligente. Ti do ancora qualche minuto per rifletterci poi sarò costretto a ricorrere alla violenza»
«Minuti o ore non cambieranno mai la mia decisione!» rispose Phoebe con sicurezza.
«Pazienza, l’hai voluto tu» e così dicendo incominciò a sollevarsi dalla sedia. Lievitò fino a raggiungere quasi il soffitto e dalle sue mani fece scaturire un raggio di luce nera che la colpì all’altezza della pancia. Phoebe volò per terra. Sentì un forte dolore al fegato per un attimo, poi tutto passò. Si rialzò e le sembrò di non avere nemmeno subito il colpo.
«Tutto qui quello che sai fare? Non sei poi un granché» lo prese in giro lei.
«Non parleresti così se sapessi quello che ti ho fatto veramente e sono indeciso se dirtelo o se aspettare che tu lo scopra da sola…» disse il demone con l’aria pensierosa ma al contempo decisamente compiaciuta.
Phoebe continuava a guardarlo con sguardo di sfida.
«Te lo dirò giusto per divertirmi a vederti angosciata e senza speranze ma soprattutto per toglierti dalla faccia quell’espressione agguerrita che non si addice proprio ad una streghetta del tuo livello, dotata di un così misero potere passivo. Sappi che ho appena ingrandito del 10 per cento quella piccola ciste che avevi già all’interno del tuo bel pancino. Ora continuerà a crescere a dismisura e basterà un mio schioccare delle dita per trasformarla in un tumore che aumenterà di dimensione fino ad ucciderti e nemmeno un’operazione potrebbe salvarti perché per tua sfortuna si trova in un punto così scomodo che per riuscire ad estrarla ci vorrebbe più tempo di quello che lei stessa ci metterebbe per farti tirare le cuoia. Guarda gli scherzi del destino!» e così dicendo si volatilizzò.
Phoebe era rimasta sconcertata. Per un attimo aveva creduto che quello del demone fosse solo un bluff ma poi ripensando a ciò che stava succedendo a Prue le venne in mente che probabilmente aveva detto la verità. Quell’essere era in grado di ingrandire a dismisura piccoli mali preesistenti nel corpo umano. Prue non sarebbe certo morta per il suo ma avrebbe condotto una vita da vegetale non ricordando niente di niente e continuando a dimenticare il presente.  
Corse da Piper e Leo per informarli di quello che era appena successo.
«Ommiodio! È spaventoso!» esclamò Piper non appena venne informata del demone.
«Leo non è ancora tornato? Potrebbe sapere qualcosa su questo demone» disse Phoebe.
«No, ma dovrebbe arrivare a minuti» rispose Piper.
«Bisogna consultare subito il Libro delle Ombre. Non abbiamo molto tempo a nostra disposizione. Ci penso io, faccio un salto a casa e torno»
«Non sarà necessario» intervenne Prue dall’interno della stanza. Loro erano andate in corridoio per non farsi sentire ma, evidentemente, la sorella aveva ascoltato tutto lo stesso. Sperarono solo che non lo avessero fatto anche le altre pazienti che le erano vicino. Per fortuna erano tutte ultrasessantenni e magari non più dotate di un ottimo udito.
«Stavi origliando, sorellina?» la provocò Phoebe entrando.
Prue, facendo orecchie da mercante: «Mi astrarrò e cercherò io informazioni su quel demone. Descrivimelo»
«Non se ne parla nemmeno, tu te ne resti buona a letto a fare l’ammalata. Me ne occupo io!» ribatté Phoebe.
«Descrivimelo, presto» ordinò con decisione.
Phoebe rimase un po’ colpita dal tono aggressivo con cui le si era rivolta ma provò lo stesso ad accontentarla: «Aveva l’aspetto di una donna sulla cinquantina, probabilmente è entrato in lei ed ha annullato la sua volontà. È in grado di ingigantire mali preesistenti nel corpo, può lievitare e non so cos’altro»
«Bene, vado»
Phoebe e Piper la videro chiudere gli occhi e dopo qualche minuto riaprirli.
«Allora, trovato nulla?» le chiese Piper.
«Trovato cosa? Un attimo fa ero davanti al Libro delle Ombre in soffitta senza sapere il perché e un attimo dopo eccomi qui, in un… un letto di ospedale?!»
Piper stava per buttare la spugna e rinunciare ma Phoebe volle tentare un’altra volta: «Ti eri astratta per cercare informazioni su un demone che accresce i mali e che ti sta facendo dimenticare ogni cosa. Riprova subito»
Prue non era molto convinta, ma lo sguardo della sorella era grave e sincero. Si volle fidare e fare quello che le aveva detto. Si concentrò e ricomparve in soffitta. Cominciò a sfogliare il libro e trovò qualcosa, qualcosa che la spaventò parecchio.

Intanto un infermiere piuttosto giovane (sui ventitré anni, direi), appoggiato ad un muro, se la rideva di brutto.
“Come sono ridicole! Fanno astrarre la sorella senza memoria che quando torna non si ricorda quello che voleva fare… Sono proprio stupide, preferiscono morire piuttosto che cedermi i loro poteri! E pensare che io non volevo nemmeno far loro del male, ma mi ci hanno costretto… e di certo non mi tiro indietro. Peccato che con loro ci sia anche quel fastidiosissimo angelo bianco! Ora è senza poteri, se non ricordo male, ma potrebbe crearmi comunque dei problemi e dal momento che è già morto non posso certo mettermi a trovargli qualche male in corpo.
Penserò dopo a lui, per ora voglio godermi i loro disperati tentativi di salvarsi…”

Prue riaprì gli occhi e con lo sguardo terrorizzato sintetizzò velocemente quello che aveva letto: «Si chiama Mergon. È uno dei demoni di classe superiore ed è spaventosamente potente. Ma la cosa peggiore è che i mali da lui accelerati continuano a crescere esponenzialmente e… non sono… non sono… accidenti, non mi ricordo più cos’altro c’era scritto…».
«Una formula per sconfiggerlo, magari?» domandò Piper con falsa speranza.
«Formula?» chiese Prue perplessa lasciando intendere che non ricordava di nuovo assolutamente nulla.
«Ciao ragazze, qualche novità?» chiese Leo entrando nella stanza.
«Purtroppo sì» gli rispose Piper. Lo prese da parte e gli raccontò tutto. Nel frattempo Phoebe si sedette sul letto di Prue. Aveva qualcosa che non andava, sentiva un leggero mal di pancia e una sensazione negativa; il suo sesto senso le diceva che il colpo di quel simpaticone di Mergon cominciava a fare effetto. Ma non voleva attirare tutta l’attenzione su di sé né preoccupare ulteriormente gli altri perchè in quel momento c’era ben altro a cui pensare.
Rivolgendosi a Leo e a Piper chiese: «Dal momento che si tratta di un demone superiore non credo che basterà una mia formula per sconfiggerlo, vero?»
«No, temo di no Phoebe, per quanto tu possa essere diventata abile negli incantesimi, credo che il massimo che tu riesca a fare sia allontanarlo o relegarlo in qualche dimensione parallela ma non distruggerlo» le disse Leo con tono rassegnato. Si vedeva che gli mancavano i suoi poteri, che desiderava aiutarle e che si sentiva terribilmente impotente.
«Ma ci sarà un modo per sconfiggerlo!» fece Piper alzando gli occhi al cielo e sedendosi a sua volta sul letto di Prue. Era davvero stanca e incominciava a girarle la testa.
«Devo scoprire cos’altro c’è scritto sul Libro delle Ombre!» scattò su Phoebe dopo un attimo di silenzio.
«Ti accompagno» si propose Leo.
«Ehi, fermi un attimo! C’è un modo molto più veloce per scoprirlo» fece notare Piper indicando Prue, poi continuò: «Di sicuro il libro è rimasto aperto sulla pagina giusta, basta che legga l’ultima parte; non avrà il tempo di dimenticare se risparmia quello per cercare».
«Idea geniale sorellina, non è da te!» la schernì Phoebe.
«Attenta a quello che dici e sappi che poi, noi due, dobbiamo scambiare quattro chiacchiere, riguardo a qualcosa che tu sai benissimo!» la minacciò Piper.
«Riguardo a cosa?» chiese Phoebe con lo sguardo più innocente che aveva. Quando faceva così si buttava inevitabilmente la colpa addosso ma stavolta non ricordava davvero di aver fatto nulla di male: che alla sua sorellina il colpo subito con l’incidente le stesse facendo partire qualche rotella?
Piper fulminò Phoebe con lo sguardo a quella domanda, interpretandola come una chiara dimostrazione della sua colpevolezza, ma poi si rivolse a Prue chiedendole di astrarsi ancora una volta nella soffitta per leggere il libro.
«Cosa dovrei fare, io?» chiese lei stupita.
«Te l’ho già detto: astrarti e andare in soffitta»
«Stai scherzando vero? Però mi sembri così seria… Piper mi preoccupi» fece Prue. (A preoccuparsi doveva essere qualcun altro…)
«Phoebe, dille anche tu qualcosa!» continuò Prue.
Quest’ultima purtroppo intuì quello stava succedendo e non poté che rivelarlo, rassegnata, agli altri: «Piper, Leo: Prue ha dimenticato il suo secondo potere… se non ci diamo una mossa dimenticherà ben presto anche di essere una strega» e così dicendo prese la borsa e uscì. Leo la seguì, l’avrebbe accompagnata fino a casa dove avrebbero cercato una soluzione a quel problema.
Piper e Prue rimasero quindi sole.
«Come?! Non sono guaribili se non dai medici o dallo stesso Mergon?!! MA STIAMO SCHERZANDO?!!» urlò Phoebe in preda ad un attacco di isteria.
Leo non sapeva come calmarla.
«Ma è sempre funzionato così: le streghe buone sconfiggono i demoni e appena questo avviene tutte la magie fatte da loro perdono effetto!».
Era evidente che Phoebe stesse facendo tutte quelle scene per sfogarsi e Leo la lasciò fare, poi, appena tornò in sé, si misero insieme a cercare qualcosa che potesse aiutarli, ma non trovarono assolutamente nulla.
Ad un certo punto: «Phoebe, come ti senti?» chiese Leo preoccupato vedendo che la ragazza dava notevoli cenni di stanchezza e malessere generale.
«Credo di avere un po’ di febbre… forse è meglio tornare in ospedale, però portiamoci dietro il libro, non si sa mai»
Leo lo prese e si diressero verso la macchina.

Nel frattempo le due sorelle rimaste al St. Joseph, non potendo far nulla, si erano messe a chiacchierare. Piper aveva portato volutamente la discussione sui ricordi per tener sott’occhio l’avanzare del vuoto mnemonico di Prue. Purtroppo stava constatando che procedeva ad una velocità sempre maggiore.
«E ti ricordi di quel lontano giorno in cui Phoebe è tornata a casa dopo la morte della nonna?»
«Come potrei dimenticarlo, ero…»
«Io so come, cara strega» la interruppe un’infermiera che le si era avvicinata mentre passava fra i letti a distribuire termometri.
Piper scattò in piedi e d’istinto la bloccò. Contemporaneamente bloccò anche gli altri pazienti della stanza.
«Ommioddio, questo è Mergon. Prue, fa qualcosa, scaraventalo da qualche parte!» disse Piper senza riflettere.
«Cosa?»
«È un demone, presto!» la incitò ancora Piper.
«Un demone?!! Ma ti sei ammattita? I demoni non esistono!» rispose scandalizzata, poi aggiunse: «Ma cosa diavolo è successo all’infermiera? Perché si è fermata all’improvviso in quella scomoda posizione?»
Piper cadde come a peso morto e priva di volontà sul letto lasciando ripartire il tempo: sua sorella aveva dimenticato di essere una strega.
Il demone si voltò verso di lei e, notato che non era più in piedi, le disse irritato: «Non provare mai più a bloccarmi, capito? È una cosa che non sopporto».
Piper rimase immobile a fissarlo. L’infermiera, tutta tranquilla, riprese a parlare: «Ero tentato di divertirmi un po’ anche con te ma, sinceramente, mi sembri già messa così male che non ne vale la pena. Piuttosto, dove sono Phoebe e l’angelo?». Prue guardava sbigottita l’infermiera. Aveva una voce tremendamente mascolina ma d’aspetto non sembrava un travestito e, come se non bastasse, si metteva anche a parlare di angeli!
Piper non rispose. Questo suo comportamento stava iniziando ad irritare il demone, ma per fortuna, prima che egli potesse fare qualsiasi cosa entrò Leo a cui una Phoebe mezza moribonda si appoggiava per sorreggersi in piedi.
«Si parla del diavolo…» disse il demone appoggiandosi al muro e incrociando le braccia in posizione passiva come a dare intendere che adesso non aveva intenzione di attaccarli, considerando che c’erano altre pazienti nella stanza.
Leo si fermò di colpo lanciandogli uno sguardo carico d’odio mentre Phoebe si limitò ad alzare lentamente la testa per vedere chi aveva parlato.
«Uh, vedo che sei messa piuttosto maluccio mia cara Phoebe… continui a rimanere della tua stupidissima opinione?» le chiese Mergon con tono beffardo.
«Certo» rispose lei con la voce contratta o dalla rabbia o dal dolore (non si capiva bene…).
«Vedete voi, per me è uguale, anche se devo ammettere che guardarvi soffrire mi dà un piacere indescrivibile. Per prassi do sempre alla mie vittime la possibilità di scegliere la soluzione meno dolorosa, ma quando la scartano non posso che goderne» sibilò uscendo dalla stanza. Poi si accorse degli sguardi perplessi delle pazienti che l’osservavano allora rientrò nella sua parte di premurosa infermiera e fece finta di preoccuparsi delle condizioni di Phoebe facendola portare in altro reparto. Non ci rimase molto perché quando i dottori si accorsero delle sue reali condizioni le proposero di operarsi subito e lei non poté che accettare vista la momentanea impossibilità di distruggere Mergon e le insistenze di Piper e Leo.
«Incredibile, mai visto un caso del genere» stava dicendo un dottore ad un suo collega mentre uscivano dalla sala operatoria seguiti da altri. Piper e Leo si avvicinarono subito al gruppetto con sguardi interrogatori. Fu il primario ad avvicinarsi loro e, con espressione grave, dichiarare l’impossibilità della riuscita dell’operazione, non tanto dovuta all’operazione in sé ma all’impressionante crescita del tumore, ormai inarrestabile. Piper scoppiò in lacrime e Leo, che tratteneva a stento le sue, cercò di consolarla.
Viste le sue pessime condizioni Phoebe venne isolata in una stanzetta munita di un solo letto, un bagno, un armadio e un comodino. Appena riprese conoscenza si ritrovò davanti Piper e Leo, la prima con gli occhi molto rossi, che lasciavano intendere il fatto che avesse pianto e non poco, il secondo con un’espressione che al momento non riuscì a decifrare.
«Ragazzi, dalle vostre facce intuisco che l’operazione non dev’essere andata molto bene…» disse tentando di abbozzare un sorriso.
«Infatti è così, Phoebe, ci dispiace…» rispose Leo guardandola con profonda tristezza.
Piper le si avvicinò e l’abbracciò (“abbracciò” per come si può abbracciare una persona sdraiata su di un letto…).
«Non dovete dispiacervi, non è certo colpa vostra, piuttosto, Prue, l’avete abbandonata?»
“Ops, ci eravamo completamente dimenticati di Prue…” pensò Piper ma disse: «Non preoccuparti per lei, non ce la siamo mica dimenticata! Leo, va tu da lei, per favore, io rimango qui con Phoebe»
«D’accordo, a dopo» fece il ragazzo prima di uscire.
«Come ti senti?» chiese Piper dopo un attimo di silenzio.
La sorella voleva mentirle e dire che in fondo non stava poi così male, ma sentiva che non le sarebbe rimasto ancora molto da vivere perciò non doveva sprecare neanche un secondo e dire chiaramente ciò che voleva che facesse: «Piper, non so quanta vita mi resti…»
«Non dire così, non ti voglio nemmeno sentire fare questi discorsi!» la interruppe Piper.

«Ciao Prue, come ti senti?» chiese Leo appena entrato nella stanza trovando la ragazza tutta intenta a sfogliare una rivista, presa in prestito, probabilmente, dalla paziente alla sua sinistra che ne aveva un bel mucchio sul comodino.
«Scusa, ci conosciamo?»
Il ragazzo ci rimase davvero molto male in un primo momento per il fatto che non l’avesse riconosciuto, poi si ricordò che Prue aveva già dimenticato di essere una strega e, di conseguenza, si era anche scordata di lui.
«No, hai ragione, sono un amico di Piper ed ero venuto a vedere come stavi. Purtroppo nemmeno Phoebe è in forma…»
«Phoebe?! È da tanto tempo che non la vedo! Cosa le è successo?»  
«Ecco, vedi… è piuttosto grave… lei… lei ha… ha un tumore»
«Un tumore?! Dove si trova adesso?» chiese agitata.
«È proprio in questo ospedale…»
«Che coincidenza! Ma cosa ci fa qui a San Francisco? Anzi, chissenefrega di cosa ci fa qui, puoi portami subito da lei, per favore?»
«Sì, io ti ci porto, ma devo prepararti a quello che vedrai…»
«…dimmi pure…»
«Il tumore si è esteso al pancreas e agli altri organi interni. Ha proprio una brutta cera, la sua pelle… ecco, la sua pelle è giallognola. Non fa ancora fatica a parlare ma è questione di minuti, temo. I dottori le hanno dato davvero pochissimo tempo…»
«Non perdiamone allora, portami da lei» lo interruppe Prue.
«Ok, seguimi»
«Scusa, chi avevi detto di essere?»
«Voi due non dovete arrendervi, quando non ci sarò più voglio che lottiate con tutte le vostre forze, capito?»
«Non ti lascerò morire» ribatté Piper.
«Non puoi farci nulla, però puoi ancora far sì che Prue ricordi il suo potere… Da piccole, tu e lei, li possedevate già. Lei sta continuando a dimenticare ma i ricordi della sua infanzia li ha ancora, se l’aiuti sono convinta che… cough cough…» due colpi di tosse le impedirono di terminare la frase.
«Phoebe, non sforzarti a parlare… per favore» le disse Piper con quasi le lacrime agli occhi. Non riusciva più a sopportare la vista di sua sorella in quello stato. Soffriva troppo.
«Ok, ma mi prometti che farai come ti ho detto? Che tenterai almeno?»
Piper la guardò dritto negli occhi senza rispondere. Abbassò lo sguardo e nel momento in cui lo rialzò e stava per dire qualcosa entrò un dottore.
«Bene, bene… ti vedo piuttosto sofferente, carissima Phoebe. Pensare che basterebbe che voi rinunciaste ai poteri di vostra volontà e tornerebbe tutto come prima… (sempre che io ne abbia voglia)»
«Ancora tu?! Non ti basta tutto quello che ci hai già fatto? Cos’altro vuoi da noi?» lo investì Piper.
«Che domande! Cosa voglio? Ma è ovvio e ve l’ho detto diverse volte! L’avere la memoria corta è proprio un vizio di famiglia... ah ah ah» se andò ridacchiando (era giusto venuto a fare una “visita di cortesia”).
Appena uscì entrò Leo seguito da Prue, la quale, vista la sua sorellina con una flebo al braccio, la faccia giallognola, gli occhi arrossati, l’espressione che era proprio il ritratto della sofferenza, le andò incontro senza battere ciglio e le stampò un bacio sulla fronte. Era stata preparata un po’ da Leo ma in realtà era rimasta piuttosto scossa nel vedere Phoebe in quelle condizioni; ad ogni modo cercò di non lasciarlo a vedere.
«Prue… non ti credevo in… ne… in grado di» stava biascicando Phoebe.
«Di camminare fin qua? Guarda che le mie gambe funzionano benissimo, non so neppure perché mi trovo all’ospedale, ho solo un bel mal di testa, un collare e ogni tanto qualche fitta alla schiena ma niente di più» fece Prue con sovrannaturale tranquillità. Le si sedette affianco mentre Piper si avvicinava lentamente a Leo che era rimasto sulla porta. Raggiuntolo gli sussurrò all’orecchio che aveva bisogno di prendere una boccata d’aria e di farsi un giro perché non ne poteva più di stare in quella stanzetta. Non aveva mai amato gli ospedali, per di più, il vedere Phoebe in quello stato senza poter far nulla, la faceva stare ancora peggio. Lui decise di accompagnarla, sembrava quasi barcollare mentre camminava e poi non gli andava di lasciarla sola. Le offrì il braccio per sorreggerla e lei gli si attaccò senza pensarci due volte. Mentre passeggiavano così a braccetto per le corsie dell’ospedale, Piper confidò a Leo la sua intenzione di cedere davvero i loro poteri a Mergon per salvare la vita di Phoebe. Non avevano speranze con quel demone ora che erano in tre, figuriamoci in due… la morte di Phoebe sarebbe stata vana e poi non poteva nemmeno concepire l’idea di perderla in quel modo. Leo non sapeva cosa consigliarle, capiva ciò che provava e si limitò a dirle che qualsiasi scelta avesse fatto lui le sarebbe sempre rimasto vicino e che non l’avrebbe mai rimproverata né per aver rinunciato a combattere né per aver lasciato Phoebe alla sua sorte. Non le fu molto d’aiuto ma almeno la sostenne e le diede la forza di prendere infine una decisione.

Si rincamminarono  verso la stanza in cui avevano lasciato Phoebe e Prue ma mentre erano ancora a pochi metri di distanza dalla porta videro venire fuori Prue con una faccia sconvolta. A Piper il cuore sobbalzò fino in gola, stava per chiederle subito di Phoebe ma fu la sorella a parlare per prima: «Finalmente una faccia famigliare… Piper, di là c’è una pazza che sostiene di essere nostra sorella. Deve stare così male che non sa quello che dice». Con suo grande stupore Prue notò che a quelle parole Piper e il ragazzo con cui era a braccetto tirarono entrambi un sospiro di sollievo; non era esattamente le reazione che si aspettava, anzi era praticamente l’opposto. I due entrarono nella stanza e constatarono che Phoebe era ancora viva, messa proprio male, ma pur sempre in vita. Delle lacrime solcavano però il suo viso e Piper non capì se erano per il dolore o per qualcos’altro.
“Non credevo che sarebbe successo per davvero… sapevo che man mano che dimenticava il suo passato prima o poi si sarebbe dovuta anche dimenticare di me, ma una parte di me non voleva arrendersi e nel mio cuore mi illudevo che questo non sarebbe mai potuto succedere, che la mia adorata sorella, qualunque cosa accadesse, non mi avrebbe mai dimenticata… e invece prima… prima mi guardava come si guarda un’estranea, i suoi occhi mostravano incredulità, diffidenza e addirittura una certa irritazione, quando insistevo a dichiarami sua sorella” stava pensando Phoebe quando Piper vide quelle lacrime scorrerle sul viso fino ad arrivare a bagnare il cuscino.
Non sarebbe passato molto tempo che anche la sorella avrebbe provato le stesse sensazioni…
«Sento come un grande vuoto in testa… oltre a un dolore continuo» disse Prue ancora rivolta a Piper, l’unica persona di cui si ricordava esclusi la nonna, la madre, il padre ed Andy.     
Lei le mentì spudoratamente sostenendo che era normale, che erano le conseguenze del colpo che aveva ricevuto e di cui non si ricordava ma che adesso era meglio se ritornava al suo letto per riposarsi un po’.
Una volta di nuovo sotto le coperte, Piper la salutò: «Adesso vado via per un po’, ma non preoccuparti, ritornerò al più presto»
Dopo essersi guardata attorno per un attimo, Prue: «Scusi, sta parlando con me? Guardi che io proprio non la conosco, mi deve aver scambiata per qualcun’altra» disse con distacco ma con una certa gentilezza.

“Bene, molto bene. Una è sistemata, l’altra sta per lasciare questo mondo (ormai è questione di minuti, lo so), mi rimane solo la bella Piper… magari cambierà idea. Non so se provare a convincerla oppure no. In fondo non mi conviene che lei si decida ad accettare di rinunciare ai suoi poteri… se lo facesse non potrei divertirmi a vederla morire. Senza contare che la sua morte non sarebbe nemmeno necessaria, l’importante era dividere il trio, ma… visto che sono in ballo, continuiamo  ballare…” pensava Mergon mentre passeggiava tutto tranquillo. “Però quella Phoebe è davvero tenace… io l’avevo già data spacciata quattro minuti fa e invece sta ancora resistendo. Ha una grande forza di volontà però tanto, prima o poi, esalerà l’ultimo respiro, magari fra meno di un minuto e nel suo caso anche i secondi e i decimi di secondo sono importanti vista la velocità di propagazione del tumore…” stava rimuginando quando si sentì chiamare da una voce, una voce che gli parve riconoscere, ma sì, era quella di Piper.
La raggiunse in un batter d’occhio ma non la trovò nella stanzetta riservata a Phoebe: era con Leo in una zona un po’ appartata di un corridoio e aveva un’espressione decisa sul viso.
«Mergon, se io accettassi la tua proposta, salveresti Phoebe e Prue, faresti tornare ogni cosa come prima?» chiese con una voce che voleva essere ferma ma che in realtà tremava leggermente dalla paura.
«Ogni cosa come prima? Ma è un vero peccato, con tutta la fatica che ho fatto a trovare un male che potesse divenire mortale in Phoebe! Quella ragazza è, o meglio, ERA sana quasi come un pesce! È stata davvero dura» rispose lui.
«Allora: lo faresti?»
«Aspetta, fammi analizzare i pro e i contro… se facessimo il rito io acquisirei tutti e tre i vostri poteri, che in fondo non possono che tornarmi utili, anche se non mi sono indispensabili, mentre se vi lascio morire l’unico vantaggio è che elimino il potere del trio… però mi divertirei anche di più… non so, è una scelta difficile»
Piper si sentiva un po’ presa in giro dall’atteggiamento del demone.
«Vedi di decidere in fretta perché fra non molto non avrai più questa possibilità» disse secco Leo riferendosi al poco tempo che rimaneva da vivere a Phoebe.
«NON INTROMETTERTI STUPIDO ANGELO!! Sto parlando con lei!» sbraitò Mergon “leggermente” alterato. Dopo un attimo di esitazione, che a Piper e a Leo apparve interminabile, riprese a parlare: «E vada per i poteri: iniziamo il rito, una volta concluso farò tornare ogni cosa al principio, lo prometto» poi aggiunse per convincerli: «…e sono un demone che mantiene la parola data» (n.d.a: Ma sarà vero? Un demone è pur sempre un demone…)

La notte era ormai calata sulla città di San Francisco. Si intravedevano le stelle perché il cielo era piuttosto sereno e un lieve vento muoveva le fronde degli alberi circostanti l’ospedale St. Joseph. Al suo interno c’era ancora abbastanza movimento, non solo perché era sovraffollato ma perché negli ospedali a qualsiasi orario può succedere qualsiasi cosa, non ci sono soste. Un caso assai insolito di tumore al fegato aveva attirato l’attenzione di alcuni dottori per un po’ di tempo ma adesso erano già tutti presi da altri casi. In una delle stanzette singole riservate ai “senza-speranza” una ragazza dai capelli lisci castano chiaro sembrava dormire piuttosto tranquilla. Aveva ancora la fronte madida di sudore per la febbre alta che aveva avuto ma che adesso sembrava essere calata perché il respiro non era più affannoso e il battito cardiaco appariva regolare. In un’altra stanza con più pazienti una ragazza dagli occhi verdi e i capelli color corvino riposava anch’essa con un’espressione piuttosto serena. Accanto a lei, due ragazzi la osservavano  in silenzio, poi si divisero: uno uscì e l’altra restò seduta sul letto ad aspettare che si risvegliasse.
Non ci volle molto e appena questo avvenne le chiese piano: «Prue, ti ricordi di me?».
«Piper… ma dove… è un ospedale?»
Prima di risponderle non resistette all’impulso di abbracciarla, poi: «Sì, ti ci hanno portata subito dopo… l’incidente…» esitò un attimo sull’ultima parola perché temeva che quello l’avesse dimenticato.
«Sì, l’incidente… ora ricordo. Stavi guidando tu, vero? Però ho le idee un po’ confuse… Mi viene in mente l’ambulanza, un mio ex compagno di liceo che era diventato medico… in macchina con noi c’era anche un cameriere del P3 che, se non erro, si chiamava J… Ju…»
«John, si chiama John»
«Già, è vero!» confermò lei.
«E ti ricordi quello che è successo dopo? Il nome Mergon ti dice nulla?»
«Me… come?»
«Ok, ho capito. Te la senti di venire a vedere come sta Phoebe?» le chiese Piper.
«Certo che me la sento, ma cosa le è successo?» domandò un po’ preoccupata. Piper la aiutò ad alzarsi e per strada le raccontò brevemente cos’era successo. Si aspettava che la sorella la rimproverasse per la scelta che aveva fatto ma questo non avvenne, era troppo in pensiero per Phoebe e non credeva possibile che si fosse davvero dimenticata delle sue uniche e adorate sorelle.
Una volta raggiunto Leo si sedettero tutte e due sul letto (per poco a Phoebe mancava lo spazio per restare sdraiata…).
Aspettarono che si risvegliasse e quando questo avvenne lei per poco non strozzò Piper.
«Brutta disgraziata! Che diavolo hai fatto?! Io ti ammazzo!!» le urlò mentre cercava di soffocarla.
Piper riuscì per miracolo a liberarsi dalla stretta e a dire: «Vedo che ti sei ripresa del tutto! Ma ora datti una calmata».
«Darmi una calmata?! Ma se hai appena ceduto i nostri poteri ad uno dei demoni più potenti che esistano!» continuò a gridare Phoebe.
«Ma grazie, è così che mi tratti per averti salvato la vita? La prossima volta ti lascio morire!» ribatté Piper.
«Ragazze, l’importante è che siamo ancora tutte e tre insieme, non vi pare? Vedrete che, unite, riusciremo a riconquistare i nostri poteri» disse Prue per calmarle.
«Certo, come se bastasse…» fece Phoebe. Fu Leo a farle smettere di bisticciare definitivamente annunciando che aveva parlato un attimo con i dottori quando erano passati lì non troppo tempo prima e che, anche se increduli di fronte all’improvviso e miracoloso miglioramento della ragazza, avevano deciso di operarla l’indomani mattina per eliminare quella ciste che avrebbe potuto ricrearle dei problemi.
«Domani mattina? Ma poi la sera potrei essere dimessa?» chiese Phoebe con gli occhi dolci.
«Anche se ti dimettono non credo proprio che tu possa uscire con i tuoi amici…» le fece notare Prue.
«NO, non potete farmi questo!! L’ultimo giorno dell’anno chiusa in un ospedale! NO, no e no!!»
«Non fare i capricci… piuttosto, possiamo tentare di convincere i dottori a farti uscire però dovrai restare a casa con me» le disse Piper affettuosamente.
«…con noi» la corresse Prue che aveva deciso di rinunciare ai suoi progetti per rimanere con le sue sorelle. Avrebbero passato un 31 in famiglia, come non facevano ormai da anni ed anni, quando erano piccole e con loro c’era ancora la nonna.
«Piacerebbe anche a me restare a farvi compagnia, ma qualcuno dovrà pur occuparsi del P3…» intervenne Leo.
«IL P3!! Me n’ero completamente dimenticata! Grazie, sei proprio un angelo» gli disse Piper dandogli un bacio sulla guancia.

31 sera…

«In fondo non è poi così male starsene tranquille in casa a guardare un po’ di tv. Se vogliamo vedere i botti basta affacciarsi dalla finestra…»
«Phoebe, sei sicura di quello che dici? Hai dovuto rinunciare ad uscire con il tuo amico David, ad utilizzare il tuo biglietto che, se non erro, era anche abbastanza… poco economico…» stava dicendo Piper incredula.
«No, con il biglietto ho sistemato tutto… me l’ha venduto David… Sto pensando piuttosto al fatto che si dovranno arrangiare con le macchine, poverini… il BMW di David non si riesce a posteggiarlo da nessuna parte…» concluse trattenendo una risatina.
«Ma che perfida la nostra sorellina…» disse Prue mentre entrava in sala tenendo in mano un vassoio con delle bibite e un sacchettone di pop corn. «Però ti vogliamo bene lo stesso» e così dicendo le si sedette affianco e l’abbracciò.

 
Scritto da Irene


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