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UNA VERITA' DOLOROSA


Riassunto: Alla morte dei genitori Fabian Doherty scopre di essere stato adottato.

Data di stesura: dal 14 al 16 marzo 2005.

Valutazione: adatto a tutti.

Diritti: Tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it.

Indirizzo e-mail: ellis@roswellit.zzn.com

Nota dell’autrice: Questa è una storia a sé.


L’ampio soggiorno era pieno di persone le cui voci sommesse si diffondevano in tutta la casa. Di tanto in tanto qualcuno si faceva carico di girare tra gli ospiti con i vassoi carichi di dolcetti e tartine che ancora ingombravano pressocché ogni superficie libera.
- Siete sicuri che non vi occorra altro? -
- No, zia. - Il giovane lanciò un’occhiata significativa a tutto quel ben di dio. - Non dovremo preoccuparci del mangiare per almeno una settimana... -
La donna, una cinquantenne dall’aspetto piacevole, gli sorrise con affetto. - Ma quando le scorte saranno finite ti avverto che preferisco avere te e Daniel a pranzo e a cena tutti i giorni piuttosto che vedervi nutrire con quegli orribili intrugli già pronti! -
- Affare fatto. - Fabian ricambiò il sorriso, che tuttavia non raggiunse i suoi occhi. Il dolore per l’improvvisa morte di entrambi i genitori in un incidente aereo era ancora troppo profondo e la presenza di tutti i parenti e gli amici, che si erano subito raccolti intorno a lui e al fratello, non bastava a farlo sentire meno solo.
Al suo fianco, Daniel si agitò impercettibilmente per cui, fatto un piccolo saluto col capo alla zia, lo prese con gentilezza per un braccio e lo condusse fino alla sua camera da letto.
- Ehi, come va? -
Il ragazzo aveva sempre idolatrato il fratello maggiore e mai e poi mai avrebbe voluto mostrarsi debole davanti a lui, ma in quel momento tutto ciò cui riusciva a pensare era che i suoi genitori non c’erano più. Non poté trattenere un singhiozzo e Fabian, a sua volta impegnato in una dura battaglia con se stesso, lo strinse a sé mentre una lacrima gli scivolava lungo la guancia pallida.
- Non te ne andrai anche tu, vero? - chiese ad un certo punto l’adolescente scostandosi per guardarlo in faccia.
- No, te lo prometto. E poi, perché dovrei andarmene? Ormai ho finito gli studi, e martedì comincio a lavorare in banca. A un isolato da qui. Sta’ tranquillo: ti terrò sempre d’occhio!... - L’ultima frase l’aveva pronunciata con tono scherzosamente minaccioso tuttavia Daniel gli sorrise con gratitudine. Aveva bisogno di sapere che, nonostante tutto, qualcuno avrebbe continuato a vegliare su di lui. A differenza di molti compagni di scuola si era sempre sentito a proprio agio con la famiglia, non provava velleità di ribellione o indipendenza, e la perdita dei genitori lo aveva quasi annientato. In quel momento, per la prima volta, capì che anche Fabian era sconvolto per il dramma che li aveva colpiti. - E io terrò d’occhio te. - disse solenne.
- D’accordo. - Gli raddrizzò il nodo della cravatta. - Forse è meglio tornare di là, prima che vengano a cercarci... -
- Ok. -
I due fratelli si alzarono contemporaneamente dal bordo del letto su cui si erano seduti e raggiunsero di nuovo i loro ospiti.
Dovettero trascorrere altre due ore e mezza perché, a poco a poco, la casa si vuotasse, e alla fine rimase soltanto Robinson Bangor, un amico d’infanzia di Richard Doherty che aveva aiutato Fabian a sbrigare tutte le pratiche per organizzare il rientro delle salme a New York nonché la cerimonia funebre.
- Fabian, vorrei che tu e Daniel veniste appena possibile nel mio studio. Vostro padre aveva redatto un testamento, alcuni anni fa, e poi c’è la questione dell’assicurazione sulla vita. Mi rendo conto che non è facile parlare di certe cose ma purtroppo è necessario... -
- Sì, certo. Io... - diede uno sguardo interrogativo al fratello, che annuì. - Possiamo venire domani pomeriggio. -
- Bene. Immagino... immagino che ve lo abbiano detto in tanti, ad ogni modo... se avete bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, rivolgetevi pure a me: farò tutto quello che posso per aiutarvi. -
- Grazie, signor Bangor. - Fabian lo scortò fino alla porta di casa dopodiché, tirando un sospiro per metà di sollievo e per metà di tristezza, guardò il soggiorno meticolosamente ripulito da alcune volonterose parenti.
- Non mi ero mai reso conto di quanto fosse grande la nostra casa... - bisbigliò Daniel, quasi spaurito.
- E silenziosa. - aggiunse Fabian mestamente. - Ti va di andare a fare un giro? -
Il ragazzino ci pensò su un attimo. - Sì - Neppure lui aveva voglia di rimanere in quelle stanze desolate.
Camminarono a lungo per le strade piene di folla finché raggiunsero Central Park. Allora si sedettero su una panchina e rimasero a guardare la gente che passava davanti a loro.
- Devo per forza andare a scuola, domani? - chiese ad un tratto Daniel.
- Preferisci rimanere in casa sperando di veder arrivare mamma e papà? -
La brutale risposta del fratello gli fece correre un brivido lungo la schiena. Tutto sommato, non era una buona idea. - N...no... -
Pentito per il modo in cui gli aveva parlato Fabian gli passò un braccio intorno alle spalle. - Ce la faremo, vedrai. Con un po’ di buona volontà troveremo il modo di andare avanti anche senza di loro... Ci hanno insegnato tante cose... Dobbiamo soltanto avere fiducia in noi stessi. -
- Io... ho paura... - confessò lui.
- Meglio così. Vuol dire che starai più attento - Dopo una breve riflessione, si corresse: - che staremo più attenti. -

Bangor fissò i ragazzi con attenzione. Fabian aveva da poco compiuto ventidue anni, era alto e slanciato, aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri, mentre Daniel, che di anni ne aveva quindici, era di corporatura più massiccia, aveva i capelli castano chiaro e gli occhi verdi. Fisicamente non si somigliavano affatto, ma per quel che riguardava il carattere erano entrambi dei bravissimi figlioli, che non avevano mai dato un pensiero a Sarah e Richard. E dal momento che, pur non navigando nell’oro, i Doherty avevano lasciato una discreta fortuna, poteva sentirsi abbastanza tranquillo per il loro futuro. Fabian si sarebbe senz’altro preso cura del fratello, ed era risaputo che Daniel si sarebbe fatto uccidere pur di non deluderlo. Tutto sommato, era più che sicuro che il giudice avrebbe nominato Fabian suo tutore e così i due sarebbero rimasti insieme. Altrimenti, per loro sarebbe stata una nuova tragedia...
Il colloquio durò parecchio in quanto l’uomo voleva essere certo che non ci fossero dubbi o equivoci, e alla fine concordarono di rivedersi in occasione dell’incontro col giudice.
Tornati a casa, Daniel si mise a fare i compiti mentre il fratello, seguendo il suggerimento dell’avvocato, iniziò a fare un controllo accurato di tutte le carte che si trovavano nell’angolo del soggiorno che suo padre aveva destinato a proprio uso personale. Fra il contenuto dei cassetti della scrivania e i contenitori di plastica ordinatamente disposti su uno scaffale della libreria, Fabian pensò che avrebbe avuto un bel po’ da fare e la cosa non gli piaceva affatto. Vedere la minuziosa calligrafia del padre lo colpiva come un pugno nello stomaco, e l’idea di leggere quei documenti lo faceva sentire un ficcanaso. Era stupido, lo sapeva, perché quello era il solo modo per conoscere l’effettiva situazione patrimoniale in cui si trovavano, tuttavia ciò non gli impediva di provare un estremo disagio. Nemmeno per un attimo aveva pensato di chiedere a Bangor di occuparsene lui stesso. Niente di ciò che si trovava in quella casa doveva essere toccato da estranei: gli sarebbe sembrato un tradimento nei confronti dei suoi genitori...
Verso le sette decise che era tempo di smettere e, dopo essersi stiracchiato, andò in cucina e aprì il frigorifero. In effetti c’era ancora abbastanza roba da sfamare un esercito, così si limitò a scegliere un po’ di questo e un po’ di quello poi apparecchiò in tavola e andò a chiamare Daniel.
Dopo mangiato rigovernarono insieme prima di andare a vedere la televisione. Non essendoci nulla d’interessante Daniel sbadigliò e annunciò che sarebbe andato a dormire. - Cerca di non fare troppo tardi. Mi piacerebbe fare colazione con te, domani... -
- Non preoccuparti, fra un’ora vado a letto anch’io. -

Nel girarsi per l’ennesima volta l’adolescente si svegliò e, con le palpebre gonfie di sonno, guardò automaticamente la sveglia. “Le due...” Sospirando diede un colpetto al cuscino e cercò di riaddormentarsi. Passarono alcuni minuti, dopodiché si mise su un fianco. Niente da fare. Tornò in posizione prona e attese. Niente. Con uno sbuffo si mise supino e, intrecciate le braccia dietro la testa, rimase a fissare il soffitto. A poco a poco gli occhi gli si riempirono di lacrime. “Mamma... papà...” Si volse allora di lato rannicchiandosi in posizione fetale e diede libero sfogo al proprio dolore. Quando riprese il controllo di sé si asciugò il viso col dorso delle mani e fece per accendere l’abat-jour. Fu allora che si accorse del filo di luce che penetrava da sotto la porta. Pensando che il fratello si fosse addormentato in soggiorno decise di alzarsi e andare a controllare.
- Fabian? -
Ma Fabian, seduto per terra con la schiena contro la scrivania, non lo udì.
- Fabian? - ripeté. E poi di nuovo, con voce più forte, preoccupato dalla sua immobilità.
Stavolta doveva aver sentito il suo richiamo perché alzò la testa e lo guardò dritto in faccia. Era bianco come un lenzuolo e aveva le labbra livide. - Cosa è successo? - chiese spaventato affrettandosi a raggiungerlo.
Il giovane tornò a fissare i fogli che stringeva in mano, senza in realtà vederli. - Io... sono stato adottato... - disse in un sussurro.
- Come?!? - E poiché lui taceva gli strappò le carte dalle dita e le scorse velocemente. Non comprese tutto quello che vi era scritto, ma la notizia più importante era chiarissima. Il dodici maggio 2002 Sarah e Richard Doherty avevano adottato un bambino, cui era stato imposto il nome di Fabian. Rimase per un attimo senza fiato, poi cercò il suo sguardo. - Cosa facciamo, adesso? -
Nel sentire l’uso del plurale Fabian sembrò scuotersi. Era vero, nonostante non fosse nato da Sarah e Richard, lui era pur sempre loro figlio, e Daniel era suo fratello. I Doherty erano la sua famiglia, lo erano sempre stati, e anche se non gli avevano mai rivelato la verità ciò non cambiava quel fatto. Un pensiero improvviso gli attraversò la mente. - Nulla, per ora. Se il giudice lo scopre potrebbe impedirmi di assumere la tua tutela, quindi non dobbiamo fare niente... -
- E se glielo dice il signor Bangor? -
- Non credo che lo sappia - Fabian riprese il fascicolo e lo ripose nella busta da cui l’aveva estratto. - Papà gli avrebbe dato l’originale tenendo per sé la copia. Invece... questo è il documento originale. Secondo me, nessuno ne è al corrente. Neppure gli zii o i nonni... -
- Dove lo hai trovato? - domandò Daniel.
- In cassaforte -
- Ma noi non abbiamo una cassaforte! -
Fabian volse la testa ad indicare la parete a sinistra della libreria, che terminava con un muretto la cui funzione era di dividere il soggiorno dall’ingresso.
Il ragazzo osservò sbigottito lo sportello d’acciaio spalancato a rivelare uno spazio poco profondo e tuttavia abbastanza grande da contenere una busta di quelle dimensioni. - Come hai fatto a scoprirla? -
- Nella rubrica telefonica di papà, alla lettera M, ho trovato scritto il nome di Marina seguito da un numero. Era l’unico a non avere riportato anche il cognome... Poi ho realizzato che lì c’era un quadro raffigurante una marina, e... - fece una spallucciata poi, con un certo sforzo, si alzò e ripose nuovamente la busta nel suo nascondiglio.
Daniel lo guardò ansioso. - Tu... sei sempre mio fratello, vero? -
- Certo! - Comprendendo i suoi timori, Fabian gli scompigliò i capelli con affetto. - Certo che lo sei... - Ma il suo viso era ancora mortalmente serio, e Daniel non si lasciò distrarre. - Vuoi scoprire chi sono i tuoi veri genitori? - chiese sottovoce.
Il giovane si morse pensieroso il labbro inferiore. - Sì. Però non adesso. Prima di tutto devo sistemare la faccenda della tutela, dopodiché... - Lasciò la frase in sospeso, e l’altro ne approfittò per mettere le cose in chiaro. Dopodiché, appena la scuola sarà finita, ti aiuterò a cercarli! -
- Va bene - cedette lui.

Fabian impiegò il mese che li separava dalle vacanze scolastiche di Daniel per fare qualche indagine per proprio conto. Il lavoro alla banca era impegnativo, e questo gli permetteva di arrivare in fretta al termine della giornata. A quel punto si precipitava a casa e restava incollato al suo computer cercando di trovare qualche indizio che lo aiutasse a risalire all’identità della sua famiglia. A cominciare dall’avvocato che aveva curato l’adozione.
Nel frattempo Daniel, che era stato ufficialmente affidato alla custodia del fratello, si impegnava a fondo con lo studio non volendo creare problemi né a Fabian né a se stesso, nel timore di veder revocata la custodia.
Poi, una sera, mentre cenavano nella quiete della loro cucina, Fabian lasciò cadere la notizia. - Ho rintracciato l’avvocato -
Non ebbe bisogno di aggiungere altro, Daniel capì immediatamente. - Chi è? -
- Gary Lennix. Non esercita più da un paio d’anni, ma so dove abita. -
- Quando ci andiamo? -
- Appena avrai finito di mangiare -
- Che cosa?!? -
Fabian sorrise. Da quando erano morti i loro genitori, quello era il primo vero sorriso che faceva. - Vive a Englewood. -
- Wow! - Una luce d’ammirazione apparve negli occhi del ragazzo. - Sei stato grande! - Da quel momento non disse più una parola, limitandosi a mangiare per non perdere tempo.
Circa un’ora più tardi erano nell’accogliente salottino dei Lennix. Gary Lennix era un uomo di circa settant’anni, dall’aspetto ancora vigoroso, e la moglie, con una sensibilità affinata nel tempo, si era subito ritirata per andare a preparare il caffè e lasciar loro un po’ di privacy.
Non fu una cosa semplice riuscire a convincere l’avvocato a rivelare tutto quel che sapeva sull’adozione di Fabian, ma il giovane riuscì infine a strappargli il nome di colui che aveva fatto da tramite.
Mentre si districava abilmente fra le strade a senso unico Fabian continuava a ripetere dentro di sé quelle due parole, Jordan Cleveland.
Seduto al suo fianco, Daniel guardava pensoso le luci della città sfrecciare attorno a loro. - Adesso dovrai ricominciare tutto daccapo... - La sua era quasi una domanda, e il fratello scosse la testa. - No, ormai so dove guardare. Non avrò alcun problema a trovare Cleveland. -
Lo aveva detto con fredda determinazione, e il ragazzino corrugò la fronte preoccupato. Fabian era più deciso che mai a scoprire la verità e lui lo comprendeva benissimo, ma allo stesso tempo aveva paura di perderlo. Cosa sarebbe successo se fosse riuscito a trovare la sua famiglia? O meglio, quando ci fosse riuscito? Perché lo conosceva abbastanza da poter affermare con certezza che non si sarebbe fermato fino a quel momento...
Sembrò che Fabian gli avesse letto nel pensiero perché, ad un tratto, disse: - Non ho alcuna intenzione di allontanarti, Daniel, su questo puoi stare tranquillo, però... ho bisogno di sapere. Di capire. -
- Ok -
Fabian mantenne la promessa. Tre giorni dopo aveva l’indirizzo del secondo avvocato e, non appena rientrò dal lavoro, prese le chiavi della macchina e invitò il fratello a seguirlo.
- Dove si va, stavolta? -
- Coney Island -
Il confronto con l’avvocato, altrettanto anziano del suo collega, fu ancora più difficile. Jordan Cleveland non aveva alcuna intenzione di rivelare il nome della donna che lo aveva messo al mondo e si ostinava a ripetere che, dal momento che all’epoca lei aveva scelto di mantenere l’anonimato, forse era meglio lasciare le cose come stavano.
Tuttavia Fabian insisté così tanto che, alla fine, l’uomo si vide costretto a minacciarlo di rivolgersi alla polizia se non se ne fosse subito andato.
- Io voglio sapere perché sono stato dato in adozione. Credo che sia un mio diritto, non crede? La prego, mi dica quel nome! - lo implorò ancora una volta senza accennare ad uscire dalla stanza.
- Che tu mi creda o no, ragazzo, non so chi sia tua madre. -
- Allora come ha fatto ad avermi? - Lo guardò con espressione decisa. - Comincio a pensare che ci sia qualcosa d’illegale, dietro la mia adozione. O sbaglio? -
- Torna a casa tua e dimentica tutta la faccenda o finirai col rovinarti la vita inutilmente... -
- Perché? Quale terribile segreto mi nasconde? - lo stuzzicò.
- Nessun terribile segreto. Soltanto un’ovvia verità che ti ostini a negare. Tua madre ti ha affidato ad una famiglia migliore di quella che poteva garantirti lei. -
- Come fa a saperlo? - Fabian lo fissò con aria accusatrice. - Se non sa chi sia, come fa a dire che i Doherty erano migliori?!? -
Cleveland non si lasciò mettere in difficoltà da quel giovane testardo. - Perché sono una persona coscienziosa e non avrei mai permesso altrimenti. - Senza aggiungere altro lo precedette fino all’ingresso e spalancò la porta, rimanendo lì fin quando i due ragazzi obbedirono alla esplicita ingiunzione.
Nei giorni che seguirono Fabian, non volendo darsi per vinto, continuò a presentarsi davanti alla casa dell’avvocato. In quelle occasioni Daniel rimaneva nei paraggi col cellulare in mano, pronto a mandargli un avviso se avesse visto arrivare un’auto di pattuglia.
Alla fine Jordan Cleveland decise di chiamare il suo vecchio amico e chiedere consiglio. A suo tempo Phillip era stato così perentorio che non voleva commettere qualche errore di giudizio...
L’improvviso silenzio con cui lui accolse la notizia lo convinse di aver fatto bene a telefonare. L’uomo era rimasto evidentemente scosso e gli ci vollero alcuni secondi per riprendersi. “- Non dirgli nulla, mi raccomando! -”
- Phillip, tu... sai chi sono i suoi veri genitori? -
“- No -” Schiarimento di gola. “- No, non lo so. Il bambino mi venne affidato da... da qualcuno. Santo cielo, dopo tutti questi anni... -”
- Phillip? Phillip? -
Ma l’altro aveva riattaccato.
La volta successiva che Fabian Doherty suonò il suo campanello, aprì e lo guardò dritto negli occhi. - Non posso dirti niente, ragazzo, mi dispiace. Fattene una ragione - Poi richiuse la porta e andò a servirsi un bicchiere di scotch.
Poco più tardi, mentre sedevano in macchina, Fabian iniziò a tamburellare sul volante. - E’ tutto così strano... -
- Perché non ne parli con Bangor? Magari lui può aiutarci. -
- E come? Quei due non hanno alcuna intenzione di parlare -
- Forse davvero non sanno niente... -
- Ti sbagli, Cleveland sa qualcosa. -
- Che non vuole dirti. E questo significa che siamo al punto di partenza. -
- Niente affatto. Lennix e Cleveland si sono laureati alla Columbia University, e vivono entrambi nell’area di New York. Scommetto che anche mia madre si trova in questa città... -
- E se anche fosse? New York è grande, nel caso non lo sapessi. Per di più non hai idea di che aspetto abbia. Non potresti riconoscerla neppure se le finissi addosso! -
- La riconoscerò, Daniel, credimi. -
Lo disse con tanta di quella convinzione che il ragazzino sorrise rilassato. Se Fabian diceva che l’avrebbe riconosciuta, sarebbe di certo stato così!

La settimana successiva le lezioni terminarono e Daniel si ritrovò con tanto tempo libero e poche cose da fare, oltre a tenere la casa in ordine. Qualche volta la mattina usciva con gli amici, ma i pomeriggi li trascorreva sempre insieme al fratello girando per le vie della città senza alcuna meta precisa.
Di solito parlavano poco, limitandosi a godere della reciproca presenza, e ben presto quelle passeggiate divennero un’importante routine per Fabian, che si sentiva sempre più agitato. Dormiva poco e male, il suo sonno era spesso popolato di strani sogni che, al risveglio, non ricordava mai, e non vedeva l’ora di uscire dalla banca per perdersi per strada. La compagnia di Daniel era preziosa, per lui. Gli dava la forza di continuare quella folle ricerca ma, allo stesso tempo, di mantenere il contatto con la realtà. Una realtà fatta di lavoro, visite ai parenti, mantenimento dei rapporti sociali... Senza il silenzioso sostegno di Daniel avrebbe finito col vagare per New York come uno zombie, dimenticando tutto il resto. Con un sorriso gli mise un braccio intorno alle spalle. - Che ne diresti di una bibita fresca?
- Perché no? Fa un caldo infernale, oggi... -
Stavano per entrare in un bar quando qualcosa, una specie di formicolio alla base della nuca, costrinse Fabian a voltarsi di scatto. Il suo sguardo si fissò su una coppia che stava avanzando nella sua direzione. Lei era piccolina, bruna, con grandi occhi marroni da cerbiatta. Lui era alto, aveva folti capelli scuri con qualche filo argenteo alle tempie e iridi di un caldo color nocciola ambrato.
Per un attimo ebbe l’impressione che l’uomo ricambiasse la sua occhiata. Lo vide irrigidirsi e rallentare, poi muovere le labbra come se stesse mormorando qualcosa alla donna che aveva al fianco.
Daniel, accortosi della sua esitazione, lasciò andare la porta del locale e lo guardò incerto. - Fabian? -
Lui sembrò non averlo udito perché avanzò lentamente superando la distanza che lo separava dalla coppia. - Io... la conosco? - chiese piano.
L’unica risposta che ottenne fu un segno di diniego, poi la coppia riprese a camminare. Ma Fabian non desistette e, fatto un cenno al fratello, si mise a seguire i due.
Non gli importava che sapessero che li stava pedinando. Voleva vedere dove andavano, cosa facevano, voleva scoprire chi fossero. E soprattutto perché quell’uomo avesse un’aria tanto familiare, pur non avendolo mai visto prima.
Continuò ad andargli dietro per un paio d’ore finché giunsero nei pressi di Central Park.
Alla calda luce dorata del tramonto si inoltrarono per i sentieri del parco, poi la coppia si fermò e, come se avesse preso una decisione, si volse ad aspettare che la raggiungessero.
- Perché ci state seguendo? -
La pacatezza della voce dell’uomo era smentita dall’espressione guardinga dei suoi occhi. Accanto a lui, la donna sembrava pronta a proteggerlo da chissà quali pericoli.
- C’è qualcosa, in te... Devo averti già visto da qualche parte, ma non so dove... - Fabian lo fissò quasi implorante.
- Sono arrivato a New York due giorni fa. Dubito che abbiamo potuto incontrarci prima d’ora. -
- Ma io... ti conosco - insisté lui.
Con un evidente sforzo sostenne il suo sguardo. E a Fabian non sfuggì l’attimo in cui lo riconobbe.
Gli occhi dilatati, il volto pallido, rimase immobile per un lunghissimo secondo poi sbatté le palpebre. Ora sapeva perché aveva sentito l’impulso di andare in quella città... Alla fine, il destino lo riconduceva sempre alle persone che amava... Lentamente lasciò andare la mano della moglie. - Zan... -
A quella parola la donna sussultò e guardò dall’uno all’altro, cogliendo mille piccoli dettagli. Quel ragazzo aveva gli occhi azzurri, dello stesso azzurro trasparente di colei che avrebbe voluto cancellare per sempre dai propri ricordi, ma il suo profilo, la linea delle mascelle... Era così simile a...
- Come ti chiami? -
- Fabian Doherty. E lui è mio fratello Daniel. -
- Quanti anni hai? -
- Ventidue -
- Ventidue... Sono già trascorsi... ventidue anni... - Gli occhi dell’uomo si velarono, e d’istinto le sue dita si alzarono a sfiorare quel viso di giovane adulto. - Eri così piccolo... - sussurrò con voce spezzata.
Il contatto sembrò sprigionare una scossa elettrica. Fabian trasalì e fece un passo indietro. - Sei...? -
L’altro annuì lentamente. - Tuo padre - bisbigliò.
- E... e lei... - Il giovane spostò lo sguardo sulla sua compagna, che scosse in silenzio la testa.
- Tua madre si chiamava Tess. Liz ed io non abbiamo figli. Nessuno di noi è riuscito ad avere figli da... - S’interruppe di colpo. “...dai nostri compagni umani...” concluse con tristezza dentro di sé.
- Si chiamava? -
- E’ morta poco prima che ti dessi... che ti dessi in adozione. - Lo disse con difficoltà, come se facesse fatica a pronunciare quelle terribili parole.
- Perché lo hai fatto? Potevi tenermi con te, anziché affidarmi a dei perfetti sconosciuti... -
Max deglutì dolorosamente. - Era l’unico modo per farti stare al sicuro. -
- Da cosa? -
- Non possiamo parlarne qui. - Non aggiunse altro, limitandosi a riprendere la donna per mano e tornando ad incamminarsi.
Senza esitare Fabian li seguì, mentre Daniel allungava il passo per rimanergli accanto. - E se ci avessero imbrogliato? Come puoi essere certo che lui sia tuo padre? - sussurrò preoccupato.
- Lo so. Lo sento. -
- Ah, allora... d’accordo. -
Fiducioso come sempre, il ragazzino s’infilò le mani in tasca e sorrise. - Sono contento per te - disse con semplicità.

Pochi minuti dopo entravano in un minuscolo appartamento composto di due stanze e servizi. Apparteneva ad una loro amica, che glielo aveva prestato per tutto il tempo necessario. Il che voleva dire pochi mesi, un anno al massimo. Non rimanevano mai nella stessa città più a lungo, nel timore che qualcuno potesse rintracciarli. Ormai avevano perso il conto dei luoghi in cui erano stati. Sempre in fuga, sempre guardandosi alle spalle... Isabel, Michael, Maria e Kyle si erano stabiliti a San Francisco, dove erano riusciti a costruirsi una parvenza di vita normale. Ma lui e Liz avevano continuato a spostarsi. Avendo scelto di essere ciò che era, di accettare la sua vera natura, aveva deciso di aiutare chiunque avesse bisogno del suo intervento. Aveva salvato tantissime vite, imparando a sfruttare al meglio gli incredibili poteri di cui era dotato. Per questo erano costretti a cambiare spesso città, sperando di poter un giorno smettere di fuggire senza dover rinunciare alla sua missione di guaritore.
Non era mai tornato a New York, dopo quell’unica volta in cui, ancora adolescente, vi si era recato per scoprire di essere il legittimo erede al trono di un pianeta lontano. Fino a poco tempo prima, quando un impulso lo aveva spinto a recarsi in quella metropoli... E ora ne conosceva il motivo. Zan, suo figlio, lo aveva chiamato. Senza rendersene conto, eppure, in qualche modo, lo aveva fatto.
In breve, Fabian raccontò quello che era successo dopodiché rimase in silenzio in attesa che lui facesse altrettanto.
Max, evidentemente a disagio, guardò Daniel poi Liz, che gli accarezzò una spalla. - A volte la verità può essere dolorosa, ma i segreti lo sono sempre. - disse con voce sommessa.
Chiuse per un attimo gli occhi, e quando tornò a posarli sul figlio erano colmi di un’immensa tristezza. - Avrei voluto tenerti con me, ma sapevo che era pericoloso. La mia vicinanza era di per sé un rischio, così... feci la sola cosa possibile. Ti allontanai. Mio... mio padre ti portò qui, a New York, ed incaricò un suo amico di trovare una famiglia che ti accogliesse. Una buona famiglia... -
- I Doherty mi hanno trattato come se fossi davvero loro figlio, e niente è cambiato con la nascita di Daniel. Ho scoperto di essere stato adottato soltanto dopo che sono morti. -
- Ne sono felice. Era quello che desideravo per te -
Fabian si agitò sulla sedia. - Perché la tua vicinanza... era un rischio? Perché mi hai abbandonato? -
- Tua madre era morta per proteggerti. Loro mi davano la caccia, e io non potevo permettere che ti facessero del male. Eri... eri normale... potevi confonderti fra la gente... Ma per riuscirci dovevamo restare separati... -
- Cosa intendi con “normale”? Siamo tutti normali! - obiettò dando una rapida occhiata intorno al tavolo.
Daniel abbozzò un sorriso. Forse quei due non erano pericolosi, ma di certo “lui” aveva qualche rotella fuori posto...
- Tua madre ed io... siamo... siamo ibridi. DNA umano unito... a qualcos’altro. E questo ci ha resi diversi. A causa di questa... diversità... siamo stati braccati... Hanno cercato tante volte di ucciderci... anche se eravamo solo degli adolescenti... Poi... poi nascesti tu... Non avrebbero avuto alcuna pietà di un neonato, e io dovetti rinunciare a te. In quel modo loro non sarebbero mai stati in grado di rintracciarti. E’ stata una scelta molto sofferta... eri mio figlio... il mio bambino... Avevo soltanto diciotto anni, e da allora non ho mai smesso di pensare a te... Avrei voluto vederti crescere, ma non potevo farlo... E adesso sei qui. Io non... non riesco ancora a crederci... -
- Com’è morta mia madre? -
- Cercando di fermare coloro che ci davano la caccia -
- Come? - chiese ancora il giovane.
Stavolta gli rispose la donna. - Fece saltare in aria un deposito vicino alla loro base. Non riuscì a mettersi in salvo. -
- Chi sei, tu? -
- Liz. E’ mia moglie. - Nel dirlo la sua voce assunse un’intonazione tenera che non sfuggì a Fabian, ed immediato fu il confronto col tono con cui aveva invece pronunciato il nome di Tess. “Non amore, né rimpianto. Solamente un... senso di colpa... Nei confronti di chi?” Avrebbe voluto saperne di più però preferì non insistere, non volendo correre il rischio che Max, come già aveva fatto Cleveland, lo mandasse via rifiutandosi di vederlo di nuovo. - Mi sembra tutto così assurdo... - mormorò passandosi una mano fra i capelli.
- Ma è la verità. E tu lo sai - Max lo osservò con una punta d’ansia. - C’è qualcosa che posso fare per te? -
- E’ un po’ tardi per chiederlo, non credi? - Si strinse nelle spalle. - Comunque, no, non ho bisogno di niente. - Distolse per un attimo lo sguardo ed incontrò quello penetrante di Liz. Poteva avvertire il profondo legame che univa la coppia, e provò un improvviso desiderio di conoscere davvero l’uomo che lo aveva messo al mondo. Pensate di fermarvi a lungo? -
L’alieno lo fissò intensamente. - Ti farebbe piacere? - chiese, non osando sperare in una risposta affermativa.
Fabian sentì su di sé gli occhi del fratello. Non aveva alcuna difficoltà ad immaginare cosa gli passasse per la testa, in fin dei conti lo aveva seguito fin dall’inizio di quella pazza avventura... Aveva perso coloro che avrebbe sempre considerato i suoi genitori, ma aveva trovato qualcuno altrettanto importante. - Sì - rispose senza esitare.
Max sorrise e, vedendo che lui accennava ad alzarsi, lo imitò. - Grazie. - mormorò emozionato.
Quando i ragazzi se ne furono andati Liz si avvicinò al marito e lo strinse in un tenero abbraccio. - Sono felice che ti sia stata data la possibilità di rivedere tuo figlio... -
- Pensi che riuscirà a perdonarmi per averlo abbandonato? - chiese lui posando la guancia sulla sua testa.
- Lo ha già fatto, non te ne sei accorto? - gli rispose dolcemente.

- Io credo che mamma e papà siano contenti che tu abbia trovato il tuo vero padre. Ora non sei più solo... - mormorò Daniel ad un tratto.
Fabian lo guardò sorridendo. - Nemmeno tu. -

Scritta da Elisa


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