Roswell.it - Fanfiction

PROFILO ALIENO


Riassunto: La turbolenta relazione fra Alexandra e Jason procede tra mille difficoltà, e un nuovo personaggio appare sulla scena.

Data di stesura: dal 4 giugno al 16 novembre 2004.

Valutazione: adatto a tutti.

Diritti: Tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it. Sha Nee Kee appartiene a Shanti.

Indirizzi e-mail: ellis@roswellit.zzn.com - shanti_m@roswellit.zzn.com

Nota di Elisa: Questa storia era nata come tutte le altre, poi è diventata un lavoro a quattro mani con Shanti!


I coniugi Parker avevano trascorso buona parte della notte a discutere su quanto era successo a casa di Liz e Max, ancora incerti se credere o meno a quel che era stato detto loro. Eppure, per quanto incredibile potesse sembrare, in un certo senso spiegava molte delle strane cose che erano accadute negli ultimi tempi. Avevano ancora tanti dubbi, tante domande da fare, ciononostante sapevano di non poter affrontare di nuovo il discorso con la figlia. Sebbene si fosse infine decisa a rivelare il suo pazzesco segreto, era infatti chiaro che non avrebbe accettato facilmente di parlarne ancora. Soprattutto perché ciò che volevano sapere riguardava Max. Quel ragazzo era un alieno, come potevano stare tranquilli sapendo che la loro bambina viveva insieme a... ad un essere non umano?!? Sì, in apparenza l’amava moltissimo, si prendeva cura di lei e cercava di proteggerla, ma potevano fidarsi?
Avevano continuato a parlarne anche la mattina dopo, e alla fine avevano deciso di rivolgersi a Diane. Forse lei avrebbe potuto aiutarli a capire meglio...
Fu per questo che, un paio d’ore più tardi, si ritrovarono seduti nel salottino degli Evans, disperatamente intenti a cercare di assorbire le nuove informazioni di cui erano appena venuti a conoscenza. Per quanto avessero scelto come tema di base dell’allestimento del locale di loro proprietà lo schianto di una navicella extraterrestre nel deserto che circondava Roswell, in effetti non avevano mai ritenuto che tale schianto ci fosse stato davvero, nel luglio del 1947. Né tantomeno che gli occupanti del velivolo fossero sopravvissuti. Sì perché non solo Max, ma anche sua sorella Isabel ed il loro amico Michael Guerin erano alieni! Persino lo sceriffo e Amy DeLuca ne erano al corrente, e quello era un altro boccone amaro da inghiottire...
Nancy continuava a lanciare occhiate nervose alla donna, domandandosi come avesse fatto ad accettare l’idea che i figli adottivi fossero in realtà esseri provenienti da un altro mondo. Come erano riusciti, gli Evans, a comportarsi normalmente nei loro confronti anche dopo averne saputo le vere origini?! Liz aveva dunque ragione? Diane e Phillip erano genitori migliori di lei e Jeff?
Con profonda tristezza espresse ad alta voce i suoi dubbi e Diane si affrettò a toccarle gentilmente una mano. - No, mia cara, non devi dire questo! Vedi, io... lo so che è molto difficile essere un buon genitore. Si fanno tanti sbagli, per quanto ci si sforzi di capire... di aiutare... Ma l’importante è che i nostri figli si rendano conto che li ameremo sempre e comunque! E Liz sa che tu le vuoi molto bene, credimi! Solo che... non sapeva come fare a dirti una cosa tanto... tanto incredibile, e pericolosa, come questa... -
- A te, però, Max e Isabel l’hanno detta... - osservò lei.
- Perché si sono sentiti obbligati a farlo, perché non volevano che ci angustiassimo non avendo più loro notizie nel caso che... - Diane non riuscì a terminare la frase. Ogni volta che ripensava a quel giorno sentiva il cuore stringersi per la pena. I suoi ragazzi non avevano ancora compiuto diciotto anni eppure avevano dovuto affrontare da soli un mondo sconosciuto e pieno di pericoli, da cui erano tornati salvi per miracolo... - Liz, invece, ha scelto liberamente di raccontarvi tutto, e questa mi pare una cosa molto bella. -
Sia Nancy sia il marito la fissarono pensierosi, non troppo convinti del suo ragionamento. Perché a loro quello di Liz era sembrato in realtà uno sfogo, quasi un’accusa. Anche se, dopo, l’atmosfera si era fatta più distesa le parole sue e di Max avevano riecheggiato a lungo nell’aria, portandoli ad osservare con occhi nuovi quei giovani volti. Ed erano rimasti un po’ spaventati e addolorati dalla forza e dalla passione che vi avevano visto, che stavano ad indicare come ormai Liz fosse diventata una giovane donna che non aveva più bisogno di loro per camminare nel mondo...
Diane Evans ricambiò il loro sguardo cercando di non mostrare l’apprensione che provava. Era perfettamente consapevole dei timori che avevano spinto Liz a tacere fino ad allora, e in una certa misura li condivideva anche. Ma sapeva pure che, prima o poi, quel momento sarebbe arrivato, e non le restava che augurarsi che avessero afferrato appieno la mortale pericolosità del segreto di cui erano stati messi a parte.
- Che cos’hai pensato quando Max e Isabel ti hanno detto di essere alieni? - domandò all’improvviso Nancy mentre, insieme al marito, si stava avvicinando alla porta di casa.
- Che erano i miei figli e che stavano per affrontare qualcosa che avrebbe anche potuto ucciderli. Da quel momento non ho smesso di aver paura per loro, e li ho amati ogni giorno di più. Sono dei ragazzi straordinari, così come lo sono Liz, Maria e Michael. Meritano di essere amati, e protetti. - Accennò un mesto sorriso - Ma non dimenticate che i loro nemici sono anche i nostri: gli agenti dell’Fbi non si sono fatti alcuno scrupolo nello sparare contro Phillip e me, ad Albuquerque... -
A quelle parole i Parker si irrigidirono e, dopo un ultimo rapido saluto, se ne andarono.
Durante il resto della giornata, di comune accordo, entrambi evitarono con cura l’argomento, sforzandosi invece di concentrarsi sul lavoro. Continuarono tuttavia a rimuginarvi sopra, ciascuno per proprio conto, cercando di venire a patti con quanto avevano saputo. A volte i loro sguardi si incontravano e sembravano domandarsi se si fossero immaginati tutto, ma poi il pensiero riandava a quel terribile giorno, quando avevano trovato la casa di Liz semidistrutta e con macchie di sangue ovunque, e allora ogni cosa diventava spaventosamente reale. Come reale era la profonda sensazione di inquietudine che sapevano non li avrebbe mai più abbandonati.

Shiri rimase a guardare perplessa i genitori abbracciarsi, apparentemente dimentichi della sua presenza. Non sapeva cosa si fossero detti ma dalla loro espressione era facile intuire che doveva essersi trattato di qualcosa di poco piacevole. “Che altro sarà successo?” si chiese sconfortata poi, con un sospiro, prese la saliera e ne sparse il contenuto sulla fetta di pane precedentemente spalmata con lo sciroppo d’acero. Quando poco dopo vide arrivare il fratello ed Alexandra, mano nella mano, non riuscì a trattenere una piccola smorfia. “Ah, ecco...”
- Ciao - - Buongiorno -
Il saluto dei due ragazzi venne accolto da un silenzio imbarazzato che sembrò durare un’eternità prima che Liz, con espressione un po’ tesa, facesse loro segno di accomodarsi a tavola. - Sbrigatevi o finirete col fare tardi. -
Jason le lanciò una rapida occhiata. No, decisamente non aveva preso bene l’aver trovato Alexandra nel suo letto...
Max sospinse verso l’ospite il piatto colmo di pane tostato, poi lanciò un’occhiata al figlio e senza dire nulla iniziò a mangiare.
- Ok, dite quello che avete in mente! - sbottò il ragazzo.
Il suo tono di sfida fece irrigidire Liz ma, prima che potesse aprire bocca, Max le posò una mano sulla gamba per calmarla. - E’ vero, c’è qualcosa di cui dobbiamo parlare. Ma adesso non ce n’è il tempo... -
- No, di’ pure. Voglio che senta anche Alexandra, perché immagino riguardi noi due, giusto? -
- Già, comunque te lo ripeto: non ora. Parleremo oggi pomeriggio, quando tua madre ed io saremo di nuovo a casa e tu non rischierai di arrivare in ritardo a scuola. -
- Posso entrare alla seconda lezione. - si intestardì Jason. - Voglio... -
- Oggi pomeriggio - ripeté Max con tono definitivo.
Il giovane distolse lo sguardo da lui. - E’ perché Alexandra è rimasta a dormire con me, vero? - disse piano giocherellando col cibo nel suo piatto.
- Lascia stare, tuo padre ha ragione. E’ meglio parlarne con calma stasera - Alexandra gli sfiorò il dorso della mano. - Ci sarò anch’io, sta’ tranquillo. –
Lui annuì in silenzio e posò la forchetta. Ormai la fame gli era passata...
Shiri mandò giù l’ultimo boccone di pane tostato e bevve un sorso di succo d’arancia guardando di sottecchi i genitori ed il fratello, un po’ a disagio per la tensione che si era creata. Con un sospiro impercettibile depose la tazza e si pulì la bocca. - Dobbiamo andare - disse semplicemente, poi si alzò in piedi e fu sorpresa nell’udire proprio in quell’istante il suono del campanello. “Chi può essere a quest’ora?” si chiese incuriosita. Si affrettò ad andare ad aprire e rimase di stucco nel trovarsi davanti una sconosciuta: la ragazza aveva incredibili occhi ametista dal taglio orientale e due lunghissime trecce corvine che le incorniciavano l’ovale del viso. Dopo una breve incertezza riconobbe in lei una compagna di scuola dell’ultimo anno, e sollevò le sopracciglia con fare interrogativo.
- Ciao! Chiedo scusa per il disturbo, sto cercando Jason Evans. Ho urgente bisogno di parlargli... -
- Credo che sia in cucina. Aspetta, vado a chiamarlo. - Le diede un rapido ma intenso sguardo, notando l’aria stanca e l’espressione tesa e ansiosa, come se fosse preoccupata. Anzi, sembrava decisamente spaventata, e si domandò cosa potesse volere da suo fratello.
Poco dopo Jason apparve nell’ingresso e si stupì per l’evidente sollievo di lei.
- Ciao... - mormorò - Devo parlarti -
Il giovane notò il leggero tremito delle sue mani e lei sorrise un po’ a disagio nascondendole nella tasca dei jeans prima di salutare anche Alexandra, comparsa alle sue spalle, pensando che tutte le chiacchiere che giravano a scuola su di loro avevano un fondamento. Preferirei che fossimo da soli... - aggiunse esitante, dopo aver dato una seconda rapida occhiata a quest’ultima.
L’alieno annuì. - D’accordo. Va bene in giardino? -
- Sì, certo! -
Scura in volto, Alexandra lo osservò uscire di casa senza nemmeno voltarsi, quasi avesse completamente dimenticato la sua presenza. Insomma, sapeva che lei frequentava l’ultimo anno e che stava sempre per proprio conto, ed era sicura che Jason non la conoscesse, però... Beh, adesso non c’era davvero niente a trattenerla lì! Andò a prendere lo zainetto che aveva abbandonato accanto alla soglia della cucina e, celando la mortificazione dietro un’aria di fredda noncuranza, fece un rapido gesto di saluto a Shiri e ai suoi genitori. Grazie per l’ospitalità ma devo scappare. Buona giornata. -
Con una smorfia Shiri prese i propri libri. - Vado con lei - disse soltanto, prima di correre dietro l’amica.

La ragazza si appoggiò alla recinzione del giardino e cercò con lo sguardo un posto per sedersi. Sembrava voler temporeggiare, e Jason non riusciva a comprenderne bene il motivo. La studiò con attenzione, dato che a scuola la incrociava sempre di sfuggita, constatando stupito il chiarore del suo incarnato così lontano dalle caratteristiche somatiche dei nativi americani da cui discendeva; lei sembrò incerta su dove sistemarsi, poi decise di rimanere dove si trovava. Si scostò dalla recinzione raddrizzando la schiena e alzando lo sguardo per poterlo vedere in viso, prese un lungo respiro e cercò di vincere l’imbarazzo. - Io… non so da dove cominciare... e ho una grande paura che tu mi prenda per pazza… ma… quello che mi porta qui non è una cosa facilmente comprensibile… - Mentre tentava di spiegarsi scuoteva la testa come se lei stessa non potesse dar credito alle proprie parole.
L’alieno osservò la gamma di espressioni contrastanti che passavano sul suo viso, ma quello che lo spiazzò completamente fu la forte intensità delle emozioni che emanava.
- Jason… - Il suo sguardo sembrò penetrarlo nel profondo - la mia vita è piena di cose strane di cui io per prima non riesco a capacitarmi… tuttavia il mio popolo dà molta importanza a questi segni… E tenere per me quello che ho visto… non mi è possibile… - Il tremito alle mani ricominciò impercettibile, gli occhi si dilatarono ancora di più, come a sottolineare la sua angoscia. - Sono quattro giorni che, ogni volta che mi addormento, sogno che vieni ucciso… All’inizio era tutto così confuso... poi, a mano a mano, sono riuscita a distinguere dei particolari, fino a che non ti ho riconosciuto… Ti ho visto morire accoltellato in un lago di sangue! Non so quando… non so da chi… Razionalmente mi rendo conto di non avere nessuna spiegazione logica, lo so… ma ti prego, ti prego, credimi!… - Lo fissò a lungo negli occhi e timidamente sussurrò: - Ti giuro che non sono pazza… -
Jason serrò le mascelle esasperato. “Ci mancava soltanto la Cassandra della situazione! Il destino non poteva trovare epilogo migliore per una notte assurda come quella appena trascorsa!” Ma subito dopo, quasi come per un riflesso condizionato, si ritrovò a domandarsi a quale razza di nemici potesse appartenere, o che tipo di inganno gli stesse tendendo. Eppure più la osservava e più gli sembrava sincera e senza cattive intenzioni... ma questo lo aveva sempre pensato anche di Alexandra!
Considerò se fosse il caso di chiamare il padre, poi decise di lasciar perdere. Quella novità lo avrebbe messo in agitazione ancora di più e, dopo quanto era successo, non gli sembrava proprio il caso... Cercò allora di tergiversare. - Come vedi non è così, io sto bene e... ti prego di non offenderti, ma non credo molto a queste cose... -
Lei sorrise tristemente, come se si fosse aspettata quella risposta, e alzò una mano per scostare dal viso alcune ciocche ribelli. - Lo immaginavo… -
Lo sguardo di Jason rimase catturato dall’anello che portava al dito. Il cuore si fermò per un istante: cinque minuscole e brillanti pietre blu formavano la “V”, simbolo di Antar! Un’espressione impenetrabile gli si dipinse sul volto.
La ragazza lo osservò preoccupata, poi insisté di nuovo. - Sono sicura di non sbagliarmi… Ho visto che sei stato colpito proprio qui… - e con la stessa mano al cui anulare splendeva l’insolito gioiello gli sfiorò il petto proprio nel punto dove il coltello era affondato. Le pietre reagirono immediatamente intensificando la propria luce e colore, e il contatto si rivelò per entrambi uno choc violento: improvvisi e veloci, i flash attraversarono le loro menti
***
Il sigillo reale
Il globo verde azzurro di Antar sospeso nello spazio
Un pueblo indiano
Jason sofferente per la profonda ferita
Il sonno agitato e lo scintillio delle lacrime sul volto di lei
Una luminosa forma umanoide
***

Solo il suo grande controllo mentale permise a Jason di rimanere lucido e con un gesto brusco allontanò la giovane, che vacillò stordita.
- Chi sei? - si domandarono simultaneamente. Poi il giovane accennò ad avvicinarsi, e s’irrigidì per le ondate di terrore e paura da cui venne assalito. Gli occhi di lei erano enormi e spalancati per lo spavento, e la sua voce risuonò incerta e sottile quando mormorò: - Sei tu… Nasedo? -
- Cosa? - Corrugò la fronte perplesso. - Mi spiace, non ho capito... - Vedendola indietreggiare fece d’istinto un passo in avanti per afferrarla. - Non aver paura… -
- Jason! E’ tardi! -
Il richiamo di Shiri sembrò spezzare lo strano incantesimo che teneva agganciati i loro sguardi. Quasi a malincuore Jason volse un poco la testa in direzione della sorella, e la ragazza ne approfittò per dileguarsi con la silenziosa agilità dei suoi antenati indiani.

Il rumore della porta d’ingresso che si richiudeva con forza alle spalle di Jason, rientrato giusto il tempo di recuperare lo zaino e borbottare un saluto prima di andarsene, arrivò distintamente fino in cucina facendo trasalire Liz. - Cominciavo a domandarmi per quanto ancora sarebbe rimasto fuori a parlare con quella ragazza... - mormorò.
Max la osservò riempire di nuovo la propria tazza col caffè avanzato nel bollitore prima di versarvi una dose generosa di salsa piccante e vuotarla d’un fiato. - Liz? - Era preoccupato per lei perché, da quando erano tornati in cucina, non aveva toccato cibo.
- Avevo bisogno di qualcosa di forte - Evitando il suo sguardo scostò la sedia per alzarsi. - I bambini si sono svegliati. Vado a prenderli -
- Aspetta! Ti prego, dimmi cos’hai... - la pregò il giovane.
Dopo una breve lotta con se stessa Liz si volse verso di lui. - Davvero lo vuoi sapere? Beh, te lo dico subito! Io sono convinta che Alexandra non abbia capito proprio niente di Jason! Non si rende conto del fatto che lui le ha donato il cuore e l’anima, che è profondamente vulnerabile... -
- Ne sei certa? - Lo disse con dolcezza, e la giovane donna corrugò la fronte. - Tu no? -
Max le prese il volto fra le mani. - Nei suoi occhi c’era la stessa luce determinata che era nei tuoi quando fummo scoperti a letto insieme. Secondo me tiene moltissimo a Jason... Forse non ne è del tutto consapevole, ma non lo lascerà tanto facilmente, credimi! -
- Ha molta più esperienza di lui e lo farà soffrire. Lo ha già fatto... -
- Jason impara in fretta. Ed è più forte di quanto possiamo immaginare. -
Liz fece un piccolo cenno affermativo col capo. - Sì, questo è vero - ammise, - però se un giorno lei dovesse cambiare idea... -
- Non lo farà - la interruppe Max sorridendole con tenero divertimento. - Noi alieni sappiamo come tenerci strette le nostre ragazze... -
La giovane donna socchiuse gli occhi e lo scrutò attraverso le folte ciglia. - Stabilendo la connessione e rivelando tutto di voi stessi, così che non possiamo più fare a meno di amarvi? - chiese con una punta di mesta ironia.
- E viceversa. I signori di Antar donano il cuore una volta sola... - bisbigliò lui chinandosi a baciarla. Poi si raddrizzò, e sul suo viso c’era un’espressione indecifrabile. - E sono disposti a qualsiasi cosa pur di proteggere il loro amore - Detto questo si mise la mano destra sull’addome richiamando la propria energia. - Avevo detto che lo avrei fatto. Perdonami per non averci pensato prima... - mormorò.
Colta di sorpresa da quel gesto Liz emise un’esclamazione soffocata. - Non c’è nulla da perdonare. - disse con voce roca. Gli accarezzò una guancia, desiderosa di cancellare la sua evidente malinconia. - Ognuno dei nostri figli è un dono prezioso... -

- Grazie per avermi aspettato! - disse Jason affrettandosi a sedere accanto ad Alexandra.
Shiri lo guardò incuriosita. - Che fine ha fatto la tua amica? -
- Se n’è andata via appena mi hai chiamato. Comunque... non è una mia amica. Non conosco neppure il suo nome... -
- E allora cos’aveva da dirti di così importante da non poter aspettare che vi vedeste a scuola? Insomma, se non fosse stato per Alexandra avremmo dovuto chiedere alla mamma di accompagnarci! Hai visto che ore sono?! -
- Vi chiedo scusa... - mormorò il ragazzo, a disagio. Continuava a ripensare alla forza delle emozioni percepite poco prima, ma allo stesso tempo avvertiva la confusione e l’amarezza di Alexandra.
- Già, è una vera fortuna che ieri sia venuta a casa vostra! - fu il secco commento di lei mentre si allacciava la cintura.
Quelle parole lo riportarono bruscamente alla realtà. - Per me lo è stata. Altrimenti, forse, le cose non si sarebbero mai chiarite fra di noi... - mormorò voltandosi a guardarla.
Alexandra si strinse nelle spalle e controllò la strada dietro di sé prima di inserire la retromarcia.
“- E cosa ti farai fare la prossima volta che avrete un problema? -”
Il pensiero della sorella lo raggiunse come una staffilata, facendolo irrigidire. “- Non sei divertente -”
“- Non era mia intenzione esserlo. Sono solo preoccupata per te -”
“- Ti ringrazio ma non è necessario. So quello che faccio... -”
“- Se lo dici tu... -” Shiri si voltò verso il finestrino. Fin dal momento in cui l’aveva conosciuta Alexandra aveva suscitato in lei un’istintiva simpatia, ma il suo rapporto con Jason la metteva in crisi. Nonostante quello che lui aveva detto, infatti, non riusciva a comprendere come si potesse amare una persona e allo stesso tempo desiderare di farle del male...
Il tragitto fino alla West Roswell High durò una decina di minuti e, a parte le poche parole scambiate all’inizio, si svolse nel più completo silenzio.
Una volta scesi dalla vettura i tre giovani si ritrovarono circondati dalla folla di studenti che, come sempre, bighellonava davanti all’ingresso della scuola in attesa dell’ultimo istante per entrare.
Per alcuni terribili secondi Alexandra ebbe l’impressione di essere come congelata mentre, intorno a lei, il mondo continuava a girare. Non sentiva più le voci, le risate, il soffio del vento sulla pelle... Sembrava che una prigione di vetro la separasse dalla realtà. Poi qualcuno le prese la mano e di colpo tutto tornò alla normalità. Se così poteva definirsi l’assurda follia che era diventata la sua vita...
- Verrai a casa con noi, oggi pomeriggio? - le chiese Jason speranzoso intrecciando le proprie dita alle sue. Quel giorno avevano soltanto tre lezioni in comune, ed il pensiero lo deprimeva non poco.
- No, non posso. Ho un mucchio di cose da fare, devo telefonare all’avvocato di mia zia e passare dallo sceriffo. - Si rese conto di aver risposto con tono brusco e abbozzò un sorriso. - Davvero, è più semplice per me restare al ranch... - proseguì gentilmente. - Comunque sarò da te verso le sei per quella chiacchierata con tuo padre. -
- D’accordo. Ma se dovessi ripensarci... -
- Sarai il primo a saperlo, te lo prometto - si affrettò ad interromperlo, poi sciolse la mano dalla sua per afferrargli la parte anteriore della vita dei pantaloni e lo attirò a sé. - Ci vediamo fra due ore, a inglese - disse, e lo baciò.
Sentendosi mordere il labbro Jason trasalì e d’istinto le cinse i fianchi premendosela contro prima di rispondere con altrettanta forza all’assalto della sua bocca, totalmente dimentico della presenza della sorella che, imbarazzatissima, non sapeva più dove guardare.
Quando si separarono, entrambi col respiro affannato, Alexandra poté liberare le dita e, con maliziosa crudeltà, le fece scivolare lentamente lungo la cerniera lampo. - A dopo... - mormorò, e gli voltò le spalle sparendo subito alla sua vista.
Shiri gli si mise al fianco. - Sta’ attento. Ti ama, questo è vero, ma in lei c’è come una punta di... di perversione... -
Il ragazzo fece un impercettibile cenno di assenso. - Lo so - disse così piano da non essere udito. “Ed è una cosa che mi intriga da morire...”
Nel frattempo era arrivata anche Sabrina, che si era subito avvicinata all’amica. - Ciao, ti ho vista con Evans. Accidenti, sembrava che lo stessi divorando! Quindi state di nuovo insieme? -
- Vi ho visti anch’io! - Tanya rise divertita. Aveva il fiato corto perché si era messa a correre per raggiungerle, e non aveva potuto fare a meno di unirsi alla conversazione. - Non pensi che finirai col farlo impazzire? Un giorno lo baci, un giorno lo eviti, un giorno lo baci di nuovo!... -
Alexandra fece una spallucciata e sorrise con indifferenza. - Ormai è nelle mie mani. Completamente nelle mie mani... -
A quelle parole Sabrina sgranò gli occhi. - Letteralmente nelle tue mani, vorrai dire! - la corresse ridacchiando. Si era accorta, infatti, dell’insinuante presa di poco prima.
- Beh, mi sembra che ne valga la pena, no? Voglio dire, Jason Evans ha un corpo da dio! - rincarò la dose Tanya.
- Sì, non è niente male. Però adesso parliamo di qualcos’altro, ok? -
- D’accordo, ma non è il caso che tu te la prenda tanto! - esclamò Sabrina, leggermente offesa.
- Scusatemi, è che oggi ho... ho molte cose per la testa. Oltre al corpo di Jason, sia ben chiaro... -
Il tono leggero di Alexandra rassicurò le sue compagne, che ripresero a scherzare sui ragazzi e sulle relazioni amorose.

- Mamma, non dovevi disturbarti! - Liz prese dalle mani il pacchetto che la donna le porgeva. Lo aprì incuriosita e gli occhi le si illuminarono. - Doppio cheese-burger con sottaceti, patatine fritte e torta al cioccolato! Questo è un vero e proprio attacco alla linea! -
Nancy Parker squadrò la figlia con una smorfia. - Sei troppo magra. Ce ne vorrebbero almeno venti prima di vederti un filo più in carne... -
- In effetti in questi giorni ho avuto qualche problema col cibo, ma vedrai che fra non molto ti troverai a rimproverarmi perché ho messo su troppi chili! -
- Lo spero bene! Aspetti un bambino, e quindi è del tutto naturale ingrassare un po’... -
La ragazza sorrise intenerita. - Oh, mamma, sono così felice per questa nuova gravidanza! -
- Sei sicura di sentirti bene? Ieri ho provato a chiamarti però Shiri mi ha detto che stavi riposando, e l’altra sera hai dato di stomaco... -
- E’ stato solo per la tensione, ma adesso va decisamente meglio! -
La signora Parker scostò con affetto una ciocca di capelli dal suo viso delicato. - Ormai dovrei sapere che posso fidarmi del tuo giudizio... - Le sorrise, un po’ imbarazzata. - Senti, tesoro, io... io ti chiedo ancora scusa per il modo in cui mi sono comportata con te e Max... E’ stato sciocco da parte mia, e lui è davvero un bravo ragazzo... -
- Lo so, mamma, e ti capisco. - Liz si mordicchiò il labbro inferiore, a disagio. - Jason e Shiri stanno costruendo la loro vita, creando legami con persone con le quali condivideranno ogni cosa, e... immagino sia inevitabile dubitare che quelle siano le persone giuste... -
- E’ il destino di ogni genitore, credo... -
- Sto cominciando a rendermene conto - disse facendo una piccola smorfia, poi si volse ad indicare il corridoio alla sua destra. C’è il bar, di là. Ti va di rimanere a mangiare con me? -
Desiderosa di trascorrere qualche minuto ancora in compagnia della figlia Nancy annuì senza esitare, ed insieme a lei si incamminò nella direzione accennata. Forse Diane aveva ragione, forse Liz non aveva mai smesso di volerle bene nonostante tutto, però aveva bisogno di verificarlo di persona, di sentire che la sua barriera difensiva si era dissolta, che aveva di nuovo fiducia in lei. Ma sapeva anche che quella fiducia doveva guadagnarsela, e che non sarebbe stato facile perché già una volta l’aveva tradita, pur non avendo alcuna idea di quali sarebbero state le conseguenze. Eppure la verità era sempre stata lì, davanti ai suoi occhi, solo che in qualche modo non l’aveva mai notata, o non aveva voluto notarla... Quando si fu seduta dinnanzi a Liz si protese a coprirle una mano con la propria. - In effetti ti trovo... radiosa... -
Le labbra della ragazza si stesero in un caldo sorriso. - Grazie, mamma. - E girò la mano a stringere la sua.

- Cosa ne pensi di Alex e Jason? -
Sabrina reclinò la testa da un lato con fare pensoso. - Mmm, secondo me ormai sono legati a doppio filo. Voglio dire, lei pensa di poter fare di Jason quello che vuole, ma in realtà mi sembra decisamente smaniosa di starci insieme... Hai visto durante l’ora di inglese? Hanno passato più tempo a guardarsi che ad ascoltare la professoressa!
- Sì, e ho anche notato che Shiri continuava a tenerli d’occhio -
- E aveva ragione. Ad un certo punto ho proprio temuto che Alex si alzasse e andasse a sedersi in braccio a lui!
Tanya si mise a ridere per la battuta dell’amica. - E’ vero, me ne sono accorta anch’io! - E rise ancora più forte.
- Eccola, sta arrivando! Dai, andiamo a sentire se viene a mangiare qualcosa con noi al Crashdown! -
Le due ragazze si affrettarono verso Alexandra, che nel vederle roteò gli occhi scherzosamente. - Sento già il milione di domande che state per farmi, ma vi dico subito che non ho tempo per parlare con voi! - le avvertì.
- Dai, non puoi farci questo! Devi raccontarci per filo e per segno cos’è successo con Evans! - protestò Sabrina.
- Mi dispiace deludervi, ho un appuntamento con lo sceriffo e non posso proprio fare tardi... -
- Lo sceriffo?!? E perché? - chiese Tanya stupita.
- Ci sono stati i ladri, al ranch. E hanno ucciso mia zia - fu la laconica risposta.
- Santo cielo, Alex, non posso crederci! - Tanya la fissò sconvolta. - E quando è successo?! -
- Ieri - Detto questo Alexandra si volse e se ne andò. Non voleva mostrare il profondo dolore causato dalla morte della zia. Quel dolore riguardava soltanto lei... Ma stavolta non avrebbe cercato sollievo e oblìo nella droga, no. Ormai quello era un capitolo chiuso... E inoltre adesso aveva Jason. Con lui non doveva fingere di essere forte, perché lui conosceva i suoi desideri e le sue paure, e l’amava ugualmente.
Rimaste sole le due amiche si guardarono esterrefatte negli occhi.
- Pensi che Jason lo sappia? - domandò con voce incerta Sabrina.
- Penso che sia per questo che stanno di nuovo insieme. Lei aveva bisogno di conforto, e lui glielo ha offerto... -
- Se le cose stanno davvero così Jason è proprio un bastardo ad approfittare in questo modo della situazione!
- Sai invece cosa credo? - disse Tanya sollevando le sopracciglia con aria saputa. - Alex cercava soltanto una scusa per infilarsi di nuovo nel suo letto, e lui è stato ben felice di riprendersela! Quei due sono fatti l’uno per l’altra! -
- Beh, in effetti anche a me piacerebbe divertirmi un po’ con Evans... - ammise Sabrina. - L’altro giorno sono andata a vederlo agli allenamenti di basket e devo dire che è proprio uno schianto! -
- Sì, è un vero schianto, ma ti consiglio di non farti sentire da Alex. Lo considera sua proprietà assoluta -
La ragazza sghignazzò divertita. - E lui lo sa? -
- Lo hai mai visto guardare un’altra? -
- Non come guarda Alex, questo è vero... - Con un sospiro Sabrina tornò seria e si strinse i libri al petto. Comunque mi dispiace per la morte della signora Kransick. Era una brava persona... - mormorò.
- Già. Dai, sbrighiamoci, si è fatto tardissimo! -

- Buongiorno, signorina Cooper, si accomodi pure, sono subito da lei! - Jim Valenti le aprì la porta del proprio ufficio poi fece un cenno al suo aiutante. - Non passarmi nessuna telefonata finché non ti avverto io, d’accordo? -
- Certo, capo, non c’è problema! -
Lo sceriffo annuì e raggiunse Alexandra. - La prego, si sieda! - Attese che si fosse sistemata sulla sedia davanti alla sua scrivania dopodiché fece altrettanto e rimase a guardarla con attenzione per alcuni secondi. - Prima di tutto volevo farle sapere che l’autopsia ha confermato che sua zia è morta sul colpo, senza soffrire. Invece, per quel che riguarda i ladri, purtroppo non sono riuscito a trovare alcun indizio che mi possa aiutare a rintracciarli. Del resto, il ranch è piuttosto isolato... E a proposito di questo fatto... ecco... forse sarebbe meglio che lei trovasse al più presto un’altra sistemazione. Non mi sembra una buona idea che rimanga da sola laggiù. Quegli uomini potrebbero tornare e... -
- Non torneranno, sceriffo - lo interruppe la ragazza. Qualcosa, negli occhi dell’uomo, la colpì sgradevolmente. Ma questo lo sapeva già, vero? - mormorò.
- Mi scusi, non credo di capire... -
- No, eh? - Accavallò con indolenza le lunghe gambe avvolte nei jeans sbiaditi e si appoggiò allo schienale della poltroncina. - Immagino che lei sappia che sono una ex drogata. Sì, credo che il giudice le abbia mandato il mio incartamento... Di conseguenza, la prima pista che avrebbe dovuto seguire sarebbe stata quella dello spaccio di stupefacenti. Voglio dire, avrebbe potuto pensare che ho ricominciato a bucarmi e che, magari, i miei fornitori si sono introdotti in casa in cerca di denaro perché non li avevo pagati. Invece ha accettato subito la teoria dei ladri, anzi, è sembrato quasi sollevato quando gliene ho parlato... Allora? C’è qualcosa che mi nasconde? -
- Lei è dotata di molta fantasia, signorina. E mi dispiace deluderla. Sì, sono al corrente dei suoi precedenti con la droga e per questo l’ho tenuta d’occhio. Quindi so perfettamente che, da quando è arrivata a Roswell, non ne ha mai fatto uso. E se le sono sembrato sollevato è stato solo per il fatto di aver trovato almeno lei ancora viva... - La sua voce vibrava di sincerità e non poteva essere altrimenti dato che il giorno prima, quando era passato a casa di Max e aveva saputo com’erano andate con esattezza le cose, si era tranquillizzato. Almeno fino al momento in cui aveva ricevuto una chiamata nel cuore della notte, e si era ritrovato davanti al cadavere di Linda Kransick e al volto bianco di paura di sua nipote. Aveva quindi realizzato che doveva essersi trattato di un’incursione dei federali e si era preoccupato di nasconderlo alla ragazza, avvalorando più che volentieri la sua ipotesi di un tentativo di furto, e non avrebbe mai potuto immaginare che, al contrario, lei sapesse benissimo chi aveva assassinato la zia.
Alexandra dondolò distrattamente la punta del piede, continuando a studiare il volto segnato dello sceriffo. “Già... c’è mancato poco che uccidessero anche me...” E ad alta voce chiese: Ci sono stati altri casi di furto, di recente? -
- No, in effetti questa è una cittadina molto tranquilla. - “O almeno lo era, prima che arrivasse l’Fbi...” pensò Valenti con amarezza.
- Capisco. Quindi devo dedurre che siano stati dei... forestieri, per così dire. E non c’è alcun motivo per cui debba preoccuparmi, giusto? Specie adesso che gli Evans mi hanno presa sotto la loro ala protettiva... -
Aveva pronunciato l’ultima frase con una vena ironica che gli fece drizzare le orecchie. - Gli Evans? - chiese cauto.
- Sì, i genitori di Jason e Shiri. Siamo compagni di scuola, lo sa, no? E... mi sembra di non averle detto che ieri c’erano anche Jason e suo padre. -
Valenti la fissò impassibile, ma dentro di sé era in subbuglio. Max e Jason erano stati al ranch?!? Quando? Perché?
- Gli Evans sono persone davvero speciali, mi creda! - Detto questo si raddrizzò e mise giù la gamba. Vedo che la cosa non la sorprende, quindi immagino che li conosca bene... Ok, se non c’è altro io me ne vado. Ah, immagino che ci penserà lei a comunicare al giudice che sono rimasta senza custodia? -
- Sì, certo. Comunque, se dovesse esserci qualche novità l’avvertirò subito. -
- Naturalmente - Con un sorrisetto di scherno chinò la testa in segno di saluto e uscì dall’ufficio, lasciando dietro di sé un James Valenti coperto di sudore freddo.
“Cosa diamine sa quell’accidenti di ragazza?” si chiese passandosi una mano fra i capelli poi guardò il telefono, incerto se chiamare o no Max per avvertirlo. Alla fine decise di lasciar perdere, preferendo parlargli di persona.
Alexandra non si accorse della discreta presenza di Michael, che le si era messo alle costole fin dal momento in cui aveva lasciato la scuola, e salì in macchina senza notare la vecchia jeep militare parcheggiata poco distante. In realtà era troppo arrabbiata con se stessa per accorgersi di quel che accadeva intorno a lei. Si era divertita a stuzzicare lo sceriffo senza un vero motivo, finendo con lo scoprire più di quanto avrebbe potuto aspettarsi, e adesso non sapeva cosa fare. Non solo, ma non poteva neppure essere certa che lui non fosse collegato agli agenti dell’Fbi, nel qual caso Jason sarebbe stato in serio pericolo... Mormorando una sequela di parolacce che avrebbe fatto arrossire uno scaricatore di porto, prese la strada che l’avrebbe riportata a casa facendo però una deviazione che la condusse a passare davanti alla villetta degli Evans. Rallentò fin quasi a fermarsi ma poi cambiò idea e premette sull’acceleratore. Percorse meno di un chilometro, dopodiché mise la freccia ed accostò di nuovo. Con un sospiro appoggiò entrambe le mani sullo sterzo, lo sguardo assorto. “Forse dovrei avvertirlo...” Si mise a tamburellare nervosamente con i pollici, diede un’occhiata all’orologio sul cruscotto, si volse a guardare la strada dietro di lei, e alla fine diede un pugno sul volante. “Basta! Non intendo diventare paranoica solo perché tu sei un alieno!” Controllò lo specchietto retrovisore e con una smorfia si reimmise nel traffico.
Michael, incerto su come interpretare il suo comportamento, la seguì fino al bivio che conduceva alla strada per il ranch poi girò a sinistra e tornò verso il centro della città, diretto all’ufficio dello sceriffo.

- Ciao, Michael, cosa c’è? -
Il giovane si sedette comodamente sulla poltroncina e fissò con attenzione Valenti. - Ho visto che hai avuto visite, oggi. - disse senza preamboli.
- Intendi Alexandra Cooper? -
Davanti al secco cenno di assenso dell’alieno lo sceriffo sorrise suo malgrado. - E’ una strana ragazza, quella... Come mai l’avete accolta nel vostro club? -
Michael fece una smorfia. - E’ l’amichetta di Jason. -
James Valenti sollevò le sopracciglia sorpreso. Aveva immaginato che Jason tenesse in modo particolare a lei, altrimenti non avrebbe usato apertamente i suoi poteri per aiutarla, ma non aveva capito che fossero così... amici! Ieri sera qualcuno si è introdotto nel ranch di Linda Kransick e l’ha uccisa. E’ stata la nipote a telefonarmi... Era ancora sotto choc e mi ci è voluto un bel po’ per calmarla abbastanza da farmi raccontare cosa fosse accaduto. In effetti, per sua fortuna, non era presente quando è successo e così mi ha solo detto di essere entrata in casa e di aver trovato il corpo della donna in cucina, morta per un colpo di pistola alla testa sparato a distanza molto ravvicinata, decisamente insolito per dei ladri... -
- Che vuoi dire? -
L’uomo si appoggiò con entrambi i gomiti sul tavolo e si protese in avanti. - Penso che siano stati quelli dell’Fbi. Gli stessi da cui l’aveva salvata Jason... E’ l’unica spiegazione plausibile! C’era molta confusione, suppellettili rotte e mobili rovesciati, ma non mancava niente. Nella camera da letto della Kransick c’era ancora il portagioielli con alcuni orecchini di valore e un anello di fidanzamento con diamanti e rubini che deve essere costato un patrimonio... -
Nell’udire quelle parole l’alieno si era fatto sempre più scuro in volto. - Se davvero erano tornati per riprendersi la ragazza perché se ne sono andati senza di lei? In fin dei conti avevano già eliminato sua zia e quindi avevano campo libero... -
- Ho una teoria, e temo che non ti piacerà. -
- Avanti, sentiamo... -
Valenti abbassò ulteriormente il tono di voce. - Oggi la Cooper mi ha detto che c’erano anche Max e Jason, e che gli Evans sono davvero speciali. Secondo me sono stati loro ad eliminare i federali. -
Lo sguardo di Michael si fece di ghiaccio. - Hai ragione, è una teoria che non mi piace affatto. Ma sono sicuro che è quella giusta. Non solo, quella mocciosa sta anche cercando di capire cosa sai tu di loro -
- Pensi che potrebbe tradirvi? - si preoccupò lo sceriffo.
- Non lo so. Ho bisogno di parlare con Max. Grazie, Jim, mi sei stato di grande aiuto... - Si alzò e fece per uscire ma l’uomo lo fermò con un gesto del braccio. - C’è un’altra cosa. Quando sei arrivato avevo appena finito di parlare col giudice che aveva affidato Alexandra alla tutela di Linda Kransick. Dal momento che è ancora minorenne verrà affidata ad un’altra famiglia o, in alternativa, ad un centro di recupero, quindi potrebbe anche non rimanere a Roswell... -
- Centro di recupero? - chiese Michael, senza capire.
- Alexandra Cooper ha rischiato di morire per overdose a quindici anni, e prima di trasferirsi qui è stata in una clinica specializzata per disintossicarsi. -
- Fantastico... - Il giovane si massaggiò pensosamente la base del collo. - Chi sono i suoi parenti, oltre la Kransick? -
- Non ne ha altri. Per questo, secondo me, è più probabile che finisca in un centro... -
- Non possiamo permetterci che se ne vada chissà dove, raccontando a destra e a sinistra tutto quello che sa, sempre ammesso che trovi qualcuno che le creda... - Michael lo fissò con interesse. - Che ne dici di prenderla con te? Sarebbe la soluzione ideale. Non lascerebbe la città, e tu potresti tenerla a bada senza insospettirla -
Lo sceriffo ricambiò lo sguardo con una smorfia. - Dubito che Amy apprezzerebbe... -
- In fin dei conti si tratta solo di qualche mese, no? Se vuoi lo dico a Maria, lei riuscirà di sicuro a convincere la madre... -
- No, va bene, ci penso io. -
Michael gli sorrise riconoscente poi se ne andò, ma non appena si fu richiuso la porta alle spalle borbottò a fior di labbra una colorita imprecazione all’indirizzo di Jason.

Nel momento stesso in cui varcò la soglia della villetta degli Evans Alexandra rimpianse la decisione di assistere al colloquio fra Jason e suo padre ma Shiri, che le aveva aperto, le fece subito strada fino in soggiorno togliendole la possibilità di fare dietrofront.
Vedendole arrivare il ragazzo tese la mano invitando silenziosamente Alexandra a raggiungerlo, poi sedette davanti ai genitori e li guardò con un’aria d’attesa sul viso.
- Avevi ragione, Jason, quello che devo dirti riguarda sia te che Alexandra ed è giusto che lei sia qui, adesso. - Max si volse un attimo verso Liz, che stava intrecciando la propria mano alla sua, posata sulla coscia con studiata rilassatezza. - Non è facile parlarne, ma... la questione è davvero molto importante... e sì, riguarda il fatto che voi due... che voi avete rapporti... sessuali... -
Consapevole del profondo disagio del marito Liz strinse forte le sue dita mantenendo però lo sguardo fisso sul figlio, niente affatto sorpresa dalla fermezza di quegli occhi cangianti.
- Il tuo dna, Jason, è una combinazione molto complessa di materiale in parte ibrido ed in parte umano, ed è predominante. Comunque e in ogni caso. Da ciò ne consegue che l’embrione adatta l’organismo della madre per la propria sopravvivenza e... questo può risultare fatale per lei. -
A quelle parole il giovane sbiancò. Non aveva mai realizzato quella possibilità! Deglutì nervosamente. Quindi... se Alexandra dovesse rimanere incinta... rischierebbe di morire... - mormorò sconvolto.
- Ehi, aspettate un attimo! Che diavolo state dicendo?!? - esclamò lei incredula.
- Il sangue umano è incompatibile con quello alieno, a meno che non venga modificato. - chiarì Liz con voce sommessa.
- Un momento, un momento! - Alexandra raddrizzò la schiena agitando le mani come a chiedere attenzione. State parlando come se io e Jason avessimo intenzione di fare un figlio! Beh, tranquilli, questo è l’ultimo dei miei desideri! E comunque, tanto per la cronaca, prendo la pillola... -
Max strinse le mascelle per trattenere l’irritazione. Si era accorto di come Jason si fosse quasi ritirato in se stesso udendo il tono veemente con cui lei aveva liquidato l’ipotesi di un bambino, negando in maniera pressoché definitiva qualsiasi possibilità futura. - Non so quanto sia efficace, considerata la nostra diversa biologia. E’ in gioco la tua vita, quindi converrai che bisogna essere assolutamente sicuri che tu non rimanga incinta -
“Se con questo intendi dire che io e Jason non dobbiamo più fare l’amore, puoi scordartelo!” pensò lei risentita.
- Shiri l’ha guarita. Questo non potrebbe aver alterato il suo organismo abbastanza da aiutarla, nel caso...? - chiese incerto Jason.
- Forse, ma non è detto che la modifica sia sufficiente. -
- Di quale modifica state parlando? - indagò Alexandra.
- L’energia che usiamo per guarire provoca dei cambiamenti a livello molecolare - spiegò Max.
- Che tipo di cambiamenti? - insisté lei.
- Cambiamenti - Il giovane la fissò in viso. Non poteva essere più preciso di così, neanche se lo avesse voluto.
- Splendido... - Si schiarì la voce e fece un respiro profondo, incerta se scoppiare a ridere oppure a piangere. - E allora che propone di fare? -
Invece di risponderle direttamente Max si rivolse al figlio. - Jason, l’unica cosa sicura è bloccare il tuo sistema riproduttivo. Si tratta di un blocco temporaneo, che potrà essere rimosso in qualsiasi momento, ma è una decisione che spetta a te. -
Jason guardò il padre dritto negli occhi. Poteva sentire la diffidenza di Alexandra, la preoccupazione di Shiri, la tensione di sua madre, tuttavia l’alternativa era impensabile. Qualsiasi cosa pur di non rinunciare a lei... Va bene, puoi procedere - disse semplicemente.
Max gemette dentro di sé ma non lasciò trasparire nulla della sua desolazione. Si alzò in piedi e fece un passo verso di lui.
Con una mossa aggraziata Jason si alzò a sua volta e gli si mise di fronte.
Mentre dalle dita di Max Evans, delicatamente posate sull’addome del figlio, si sprigionava un alone luminoso Alexandra si costrinse a rimanere immobile al proprio posto. “No, tutto questo non sta succedendo davvero...” pensò sconvolta. “Non è possibile... Perché? Perché accidenti mi sono infilata nel tuo letto, quella stramaledetta notte?!?”
Quando l’uomo abbassò la mano, scattò in piedi. - Io... Mi dispiace. Jason, scusa ma devo tornare a casa. Ci vediamo domani a scuola - E si affrettò verso l’ingresso, non sopportando di rimanere lì un minuto di più.
Shiri assisté allibita a quella vera e propria fuga poi guardò il fratello, rimasto fermo dov’era, gli occhi chiusi e un’espressione sconfortata sul volto.
Anche Liz e Max lo stavano fissando, e Jason se ne rese conto. Lentamente sollevò le palpebre e fece un mezzo giro su se stesso. - Non dovete preoccuparvi per me, o per lei. Non ce n’è bisogno... - Accennò un sorriso triste. Grazie, papà, per avermi aiutato a proteggerla. - Chinò il capo e salì in camera sua, completamente dimentico della decisione di riferire al padre quanto era successo quella mattina.

Alexandra girò la chiave nella serratura ed aprì la porta con trepidazione. Dovette farsi forza per entrare poi, guardandosi attorno come se vedesse tutto per la prima volta, si avvicinò alla panca all’ingresso per posarvi le chiavi e lo zaino. Con un sospiro andò nella propria stanza e si sedette per terra, le gambe incrociate e la testa piegata all’indietro contro il materasso, sentendosi come svuotata. Ripensò al corpo esanime della zia, al suo viso bianco e rigido nell’immobilità della morte, agli occhi penetranti dello sceriffo, a quel che Jason aveva fatto per lei, e si coprì la faccia con le mani. “Forse... forse dovrei andarmene da questo posto... Forse dovrei... Oddio, cosa devo fare? Cosa posso fare?”

Il suono della campanella risuonava ancora nell’aria, mescolandosi alle voci degli studenti che si affrettavano per gli ampi corridoi della West Roswell High.
- Ehi, Jason, dimmelo chiaramente, ok? - Alexandra fissò il ragazzo con espressione severa. - Ti fidi di me, oppure no? Perché non ho alcuna voglia di continuare ad essere tenuta sotto controllo tutta la mattina come avete fatto ieri!
Jason la guardò arrossendo leggermente. - Io... io non ti stavo tenendo sotto controllo. -
- Ah no? - replicò lei sarcastica.
L’alieno fece un piccolo sorriso di scusa. - No. Io... ti guardavo e basta. Mi spiace, non volevo farti sentire a disagio... -
Alexandra non disse nulla e dopo alcuni secondi si volse in direzione di Shiri, rimasta in silenzio accanto al fratello. - E tu, invece? -
La giovane si schiarì la gola e si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. - Ehm... io... - Lanciò un’occhiata a Jason poi tornò a studiare il viso dell’amica. - Il fatto è che sentivo... incertezza... timore... Sembravi... combattuta, ed ero preoccupata per Jason. Ma ti prometto che non lo farò più. Io... vi chiedo scusa... a tutti e due... - Si morse le labbra, desiderando sprofondare per l’imbarazzo. - Ci vediamo dopo, ciao. - Girò sui tacchi e si diresse quasi correndo verso l’aula di fisica.
Rimasti soli, Alexandra si strinse i libri al petto. - E’ vero, non so ancora bene come comportarmi con te. Con tutti voi, ad essere sincera... Non faccio altro che pensare che forse si tratta solo di un brutto sogno. Insomma, come si fa a credere che tu e Shiri, vostro padre... Voglio dire, tutti sanno che... che... - Scosse la testa con forza, non sapendo come continuare, e fece una spallucciata. - Capisco che siamo a Roswell, New Mexico, ma il governo ha sempre negato... -
Il ragazzo fece una smorfia. - Finché la sezione speciale dell’Fbi non è uscita allo scoperto. Adesso il presidente conosce la verità, e francamente dubito che questo cambierà le cose. Non è certo il tipo di notizia che si possa diffondere così, come se niente fosse... -
Jason aveva fatto un gesto vago con la mano mentre pronunciava le ultime parole, e Alexandra incassò il colpo senza battere ciglio. Aveva ragione, non era pensabile rivelare al mondo l’esistenza degli alieni. Nessuno era pronto per un annuncio del genere. A cominciare da lei stessa, ammise con un certo rammarico. - Io non ti tradirò. Non lo farò mai, puoi credermi... - bisbigliò, mentre il ricordo del tonfo sordo della lama che affondava nel corpo di Jason la faceva rabbrividire violentemente.
- Lo so, e ti ringrazio. - Sollevò una mano a sfiorarle la guancia. - Va tutto bene... - disse in un sussurro, poi reclinò un poco la testa e le diede un bacio cui lei rispose con slancio.
- Ehi, devo ricordarvi che siete nel bel mezzo del corridoio e che state costringendo la gente a girarvi attorno per poter passare oltre in modo da poter raggiungere gli armadietti prima dell’inizio delle lezioni? - li prese in giro Glen.
La mente ancora piena di immagini incredibili, Alexandra fece un piccolo passo indietro. - Ma davvero? - disse con un sorriso distratto. - Quanto mi dispiace... -
- Sì, certo! Peccato che, in realtà, non te ne importi un accidenti, dico bene?!? - la stuzzicò lui.
- Hai proprio ragione - La ragazza si passò la punta della lingua sulle labbra assaporando quel che restava del calore della bocca di Jason e socchiuse gli occhi. - Usciamo insieme, domani sera? - domandò osservando affascinata le iridi ora decisamente verdi del giovane, che si limitò ad annuire.
- Perfetto! Vengo a prenderti alle sette, ok? -
- Ok. -
Mentre la guardava allontanarsi Glen diede una pacca sulla schiena dell’amico. - E così filate di nuovo d’amore e d’accordo, eh? Ti confesso che seguire le vostre scaramucce è stato un vero spasso! Abbiamo fatto anche diverse scommesse, ma ammetto di aver perso... -
Jason lo guardò perplesso. - Ah sì? E perché? - volle sapere.
- Perché avete sempre fatto l’opposto di quello che immaginavo! O meglio, lo avete fatto sempre nel momento sbagliato, per quel che mi riguarda, mentre Mark e Tanya... Loro sì, che ci prendevano! -
- Vuoi un consiglio? Lascia perdere le scommesse. Quando si tratta di questioni del genere non si può mai sapere come andrà a finire... -
- Verissimo! Però è stato molto divertente! - Glen rise e gli diede un’altra pacca. - Su, dai, o faremo tardi! - disse sospingendolo in avanti.
- Sta’ attento! -
La protesta giunse in ritardo e Jason urtò senza volerlo contro la ragazza. - Scusa... - Nel riconoscerla sgranò gli occhi sorpreso ma non fece in tempo a reagire perché lei si tirò indietro con uno scatto repentino affrettandosi ad allontanarsi.
Notando l’espressione interdetta dell’amico Glen fece una smorfia. - Non farci caso, quella ha sangue indiano nelle vene, ed è risaputo che è gente molto strana... Avrebbe fatto meglio a restarsene nella sua riserva! -
L’alieno, addolorato per il commento dell’amico, rimase a guardare la sottile figura confondersi fra gli altri compagni, sentendo una strana affinità verso di lei. “Ti sbagli, Glen, non è così... E’ solo che... si sente sola... Perché è diversa...”

Max provò una fitta d’inquietudine nel vedere l’espressione di Ernie mentre entrava nel laboratorio, e seppe di non essersi sbagliato quando lui si avvicinò e gli disse di andare da Burton.
- Sai cosa voglia? -
L’uomo si strinse nelle spalle, e Max serrò le labbra. No, decisamente c’era qualcosa che non andava...
Andrew Burton fu pacato ma fermo nello spiegare il motivo di quella convocazione. Per quanto si fosse rivelato un ottimo elemento, con le sue ripetute e prolungate assenze il giovane Evans aveva dimostrato una innegabile leggerezza. E la sua intelligenza non sarebbe stata sufficiente a proteggerlo dalle conseguenze. - Mi vedo quindi costretto a darti due settimane di preavviso. Sei licenziato, Max. - concluse.
L’alieno rimase impassibile a fissare il direttore per alcuni interminabili secondi poi, con un piccolo cenno del capo, si girò e tornò al proprio lavoro. Non poteva dar torto a Burton, in effetti era sparito dalla circolazione per diverse settimane praticamente senza fornire alcun buon motivo, ed era inevitabile che, prima o poi, quel momento sarebbe giunto... Ma ciò non toglieva che tutta quella storia gli bruciasse da morire! Continuò con maniacale precisione ad occuparsi di ciò che stava facendo prima di essere interrotto, e quando ebbe concluso il proprio lavoro si alzò strofinandosi la fronte. - Ho finito la ricerca, e siccome ho un po’ di mal di testa vorrei andarmene a casa, se per te non è un problema... - disse ad Ernie.
- No, va’ pure. -
Max annuì in segno di ringraziamento e se ne andò. Una volta fuori dell’edificio si volse per un attimo a guardare la tozza costruzione poi, le mani sprofondate nelle tasche del giaccone, si avviò lungo la strada a passo svelto sperando che la camminata lo aiutasse a smaltire la rabbia che sentiva ribollire dentro di sé.
Quando la jeep frenò alla sua altezza, sulla carreggiata opposta, emise un sospiro e aspettò che l’amico facesse inversione.
- Dai, monta su! Abbiamo alcune cosette di cui parlare - disse Michael con forzata allegria.
Max fece una smorfia. - Non ne vedo l’ora... - mormorò sedendosi accanto a lui.
- Brutta giornata? -
- Abbastanza. Che è successo? -
- Te lo dico poi - e premette sull’acceleratore deciso ad arrivare in città nel minor tempo possibile.
Mezz’ora più tardi sedevano ad un tavolo del Crashdown, entrambi intenti a studiare il menu con esagerata attenzione.
- Credo che prenderò una porzione di anelli di Saturno e un bicchiere di limonata... - commentò ad un certo punto Michael deponendo il foglio plastificato.
- E io una cherry coke - disse Max. - In realtà preferirei una bella birra ghiacciata, ma dubito che sia una buona idea... -
- Puoi dirlo forte! - Chiamò con un cenno una cameriera e le passò le ordinazioni, poi mise un gomito sul bordo del tavolo e appoggiò il mento nell’incavo della mano. - Ieri ho seguito la ragazza di Jason. -
Max lo guardò torvo. - Non credevo che l’avresti fatto davvero... -
- Beh, ti sbagliavi. Anzi, se non fosse stato per una grana sul lavoro avrei continuato a seguirla anche oggi! Quella mocciosa mi fa venire la pelle d’oca - E davanti all’espressione sorpresa dell’amico si strinse nelle spalle. - Mi ricorda Tess, con quegli occhi limpidi, la faccia d’angelo, e un passato tutto da scoprire. - Pronunciò le ultime parole quasi con rabbia poi, rendendosi conto dello sguardo interrogativo di Max, abbassò la voce. - Si drogava, per questo era sotto la tutela della zia... Non solo, ma ora che lei è morta probabilmente il tribunale la spedirà in un centro di recupero da qualche parte, a meno che Valenti non ne ottenga la custodia -
- Che cosa?!? -
- Hai sentito bene. Ho detto a Jim di fare di tutto per prenderla in casa con sé. Non possiamo perderla di vista, ora che sa di noi... -
- Ti rendi conto di quello che stai dicendo? E’... è semplicemente assurdo! - Max si lasciò andare contro lo schienale della sedia. - Non puoi pensare di tenerla prigioniera per il resto della sua vita! -
- Infatti non è mia intenzione farlo - ribatté lui.
- Michael, sia Jason che Shiri si sono collegati a lei, e ti posso assicurare che terrà per sé quello che ha saputo - cercò di placarlo Max.
- Non ne sarei così certo, al tuo posto. Ha fatto delle allusioni, ha detto che gli Evans sono davvero speciali, e questo non mi pare il modo di tenere la bocca chiusa! -
Max socchiuse gli occhi, di colpo teso e attento. - Che altro ha detto? -
- Ah, ora ti interessa, eh? - lo prese in giro. Poi si chinò verso di lui, serio in volto. - Jim aveva intenzione di parlartene ma gli ho detto che me ne sarei occupato io. Max, devi cancellarle la memoria! Dammi retta, quella piccola... Accidenti, è una vera serpe! Jason rischia di farsi molto male, continuando a stare con lei... -
- No -
- No? Max, stiamo parlando di tuo figlio, santo cielo! Vuoi vederlo trattato come una pezza da piedi? -
Il giovane si passò una mano sul viso con fare stanco. - Certo che no... Ma... - Si interruppe vedendo la cameriera avvicinarsi con il vassoio e si affrettò a bere un lungo sorso prima di riprendere la frase, - l’altra notte si è introdotta in casa nostra e lo ha ferito con un coltello per vendicare la morte della zia. Sono riuscito a guarirlo, poi lui ha stabilito una connessione con Alexandra perché... - fece un profondo sospiro - perché potesse conoscerlo davvero, almeno così ha detto. In ogni caso si è completamente convinto che lei lo ama e non tradirà il suo... il nostro segreto... -
Mentre parlava Michael divenne sempre più pallido e faticò a trattenere un’esclamazione rabbiosa. Certe volte Max lo faceva semplicemente ammattire, quando tirava fuori quella sua patetica ingenuità! La gente odiava chi era diverso, era sempre stato così, e le cose non sarebbero di certo cambiate solo perché loro lo desideravano! - E tu ci credi? - chiese lottando per mantenere bassa la voce.
- Ci crede Jason. E questo significa che non intendo intromettermi nel loro rapporto, a meno che lei non me ne dia motivo... -
- Accidenti, non ti basta che lo abbia accoltellato?!? -
- Guarda guarda! Ciao, Max! Non mi aspettavo proprio di trovarti qui! -
Michael s’irrigidì e fissò sconcertato la bionda statuaria fermarsi accanto al tavolo e tendere una mano verso di lui. Lindsay Hathaway, Linda per gli amici. Sono una collega di Max -
- Ciao - disse con voce secca dopo una breve esitazione, ancora furioso per l’atteggiamento impossibile di Max.
La ragazza fece un buffo sorriso. - Umm, anche tu sposato, vedo. A quanto pare sono destinata ad arrivare sempre tardi... -
Max roteò gli occhi. Isabel lo aveva avvertito, tuttavia lui non le aveva creduto. Almeno fino a quel momento... Non dovresti essere ancora all’osservatorio? - disse, incurante di apparire scortese.
Linda si sedette accanto a Michael senza più alcuna traccia di divertimento sul viso. - Ho saputo da Burton quello che è successo. Mi dispiace da morire, Max... - Davanti al suo sguardo inespressivo sentì un vago rossore colorarle le guance. Vuoi che me ne vada? - chiese piano.
Il giovane scrollò le spalle e lei decise di interpretare quel gesto come un segno di diniego. Sorrise alla cameriera che nel frattempo si era avvicinata e ordinò una fetta di torta e una tazza di tè.
Con uno sbuffo Michael si appoggiò allo schienale della sedia incrociando le braccia davanti al petto. Posso sapere di che state parlando? -
- Sono stato licenziato - si limitò a dire Max, avvertendolo con lo sguardo di non domandare altro.
- Di bene in meglio... - L’alieno fissò a lungo l’amico poi, sentendo il suo nervosismo, scosse la testa. - Ok, per adesso l’argomento è chiuso -
Max accennò un sorriso di gratitudine e si portò il bicchiere alle labbra mentre la sua collega, resasi conto di aver commesso una gaffe, cercò di farsi piccola piccola. Ma era difficile, dato che era alta un metro e ottanta, e così si limitò a nascondere il proprio disagio studiando con forzato interesse il via vai dei clienti e decidendo all’improvviso che avrebbe accettato l’offerta del suo direttore di partecipare al convegno ad Albuquerque. Aveva assolutamente bisogno di qualcosa che la distraesse da tutta quella incresciosa situazione con Evans...
Finito che ebbero di consumare le loro ordinazioni Michael lasciò una manciata di dollari sul tavolo e si rivolse a Linda. - Scusa ma noi dobbiamo andare. -
La donna si affrettò ad alzarsi. - Oh, sì, certo. E... grazie per... - Con la testa accennò alla tazza e al piattino ormai vuoti, e lui fece una smorfia impercettibile. - Figùrati - Senza più degnarla della minima attenzione prese Max per un braccio e lo guidò fuori del locale. - Andiamo a casa mia: spero che almeno lì potremo parlare senza essere interrotti! - mormorò.

- Io vorrei che tu la smettessi di nascondermi le cose, Max! - esordì Michael puntando un dito contro di lui.
Il giovane distese le lunghe gambe davanti a sé ed incrociò le caviglie. Il divano era molto comodo ma il suo corpo era troppo rigido per apprezzarlo, anche se in apparenza sembrava tranquillo e rilassato. - Non ti ho nascosto niente. E’ solo che non avevo avuto il tempo di dirtelo prima... -
- Sì, certo, c’è sempre qualcosa che non ti permette di avvertirmi subito! Ma io non posso aiutarti se non sono al corrente di quello che succede, lo capisci? - Prese con fare brusco una sedia e la girò per poterlo fronteggiare mentre vi si sistemava chinandosi in avanti, i gomiti appoggiati sulle cosce muscolose. - Sono il tuo secondo in comando, il mio compito è quello di proteggerti, maledizione! Di proteggere te, i ragazzi... tutta la dannatissima famiglia reale! E tu aspetti due giorni interi per dirmi che Alexandra Cooper ha accoltellato Jason! Non m’importa se quel moccioso è innamorato di lei, io non posso permettere che metta a repentaglio la propria vita continuando a frequentarla! O le cancelli la memoria, oppure sarò costretto a farlo io! -
- Non puoi farlo, non ne sei in grado. Rischieresti di danneggiarle il cervello... - obiettò Max.
- E credi che me ne importi? Accidenti, Max, è in gioco la vita di tutti quelli che amiamo! - Michael si lasciò andare contro lo schienale passandosi le mani tra i capelli ed arruffandoli più di quanto già non fossero. - Io non ti capisco... Davvero, sai? Di solito sei iperprotettivo, ma in questo caso... non so, sembra che non ti renda conto di trovarti sull’orlo di un baratro... -
- Adesso non esagerare! - Con uno scatto si alzò in piedi e andò verso la finestra. Si era fatto buio, ormai, e le luci della strada spandevano una luminosità irreale sul giardino. Dopo qualche minuto, sentendosi più calmo, si volse di nuovo a guardare l’amico. - Credimi, questa storia non piace neppure a me. Avrei voluto che Jason e Shiri crescessero come qualsiasi altro bambino invece, per colpa mia, hanno bruciato tutte le tappe e sono diventati adolescenti in pochi mesi. I loro poteri, le loro emozioni, sono incredibilmente forti... Il legame che si è stabilito fra Jason e Alexandra è molto profondo, e io non me la sento di negare a mio figlio la libertà di amare quella ragazza soltanto perché sono così giovani! Non voglio che lui debba attraversare anche quest’inferno... -
- Stai forse paragonando la loro situazione a quella tua e di Liz? - insorse Michael. - Secondo me sbagli di grosso perché, se ben ricordo, Liz ha sempre cercato di proteggerti, fin dal primo momento in cui ha saputo chi eri veramente! Invece Alexandra non mi sembra affatto degna di fiducia! Ti rendi conto di che cosa sarebbe potuto succedere se Jim non fosse stato dei nostri?!? Lei ha cercato di sondare il terreno per capire se poteva chiedere il suo aiuto, in una parola... tradire! -
- Questa è paranoia allo stato puro! - Max tornò a sedersi sul divano, esasperato. - Se avesse davvero voluto tradirci si sarebbe limitata a riferirgli tutto quello che sapeva. Forse voleva semplicemente accertarsi se lo sceriffo avesse o meno qualche sospetto su di noi... -
- Per chiedere il suo aiuto, appunto. - Una luce sardonica comparve negli occhi scuri del giovane - Ma scoprirà presto da quale parte sta Valenti! -
- Michael, dammi retta, non credo sia una buona idea che Jim se la prenda in casa... -
- O Jim o la memoria - ribatté lui. - E dubito che Jason ti sarebbe grato se tu facessi il lavaggio del cervello alla sua ragazza, dico bene? -
Sentendosi sconfitto l’alieno abbassò lo sguardo e rimase a fissare in silenzio un giocattolo dimenticato per terra poco lontano da lui.
Michael fece un sospiro profondo e s’infilò le mani in tasca. - Perché ti hanno licenziato? - chiese sommesso.
- Avevo chiesto due settimane di ferie e invece sono stato via quasi un mese. Burton ha deciso di non poter fare affidamento su di me, e tutto sommato ha ragione... -
- Ha ragione?!? - esplose l’amico. - Accidenti, ma non sei mica andato a divertirti! -
Max sollevò la testa e abbozzò un mezzo sorriso. - Questo lui non lo sa, e comunque ci sono delle regole che vanno rispettate. Ed io non l’ho fatto. -
- Al diavolo! - protestò Michael.
- Adesso sai quanto sei fortunato a lavorare con Morgan... - lo blandì Max.
- Già... - Presa un’improvvisa decisione il giovane si diresse alla porta d’ingresso. - Vieni, andiamo al bowling. Abbiamo entrambi bisogno di distrarci un po’... -
- Facciamo un’altra volta, ok? Liz sta per uscire dall’ospedale e preferirei andare a prenderla... -
- Sai che ti dico? Passiamo prima da lei e poi da Maria, alle prove, dopodiché andiamo al bowling tutti insieme! -
Max corrugò la fronte. - A dire la verità non è che ne abbia una gran voglia... -
- Io invece credo che ti farà bene. Tutte queste continue tensioni finiranno col farti impazzire se non trovi il modo di staccare ogni tanto la spina! - Vedendo che lui stava per ribattere alzò una mano. - Lo so, ci hai provato ma poi è successo sempre qualcosa che ha mandato tutto all’aria, però stasera mi sembri talmente depresso che non ho alcuna intenzione di farti tornare subito a casa! -
Il giovane si strofinò una tempia. - Senti, Michael, non sono depresso, ok? -
- D’accordo, non lo sei. Allora cerca di cambiare espressione o farai preoccupare Liz inutilmente... -
A quelle parole Max fece una smorfia. - Va bene, allora... fammi avvertire i ragazzi... -
- Certo! Accomodati pure! - Michael accennò col mento al telefono alle sue spalle, un sorrisetto divertito sulle labbra.

Era quasi mezzanotte quando si salutarono tutti sulla soglia della casa di Max e Liz. Prima erano andati dai Valenti per riprendere Mathias e poi dagli Evans per Natalie, dato che Morgan ed Isabel si erano uniti a loro, e Max aveva dovuto ammettere con se stesso di sentirsi decisamente meglio.
In effetti si era trattato di una serata molto piacevole e rilassante. Avevano fatto un paio di partite, entrambe vinte da Maria, Liz ed Isabel, poi erano andati in un locale dove suonavano musica dal vivo ed era possibile mangiare qualcosa.
Le tre ragazze avevano apprezzato quel diversivo e si erano molto divertite, con grande soddisfazione di Michael. Adorava vedere Maria ridere, gli occhi le si illuminavano come stelle e le venivano le fossette sulle guance... Ed era contento di vedere che anche il suo migliore amico, colui che considerava come e più di un fratello, era infine riuscito a distendersi un poco. Certo, il merito era soprattutto di Liz, dato che gli bastava averla al fianco per cambiare completamente d’umore, ma di sicuro gli aveva fatto bene anche la lontananza dai figli. Max si preoccupava sempre troppo, per tutti e di tutto, e invece aveva bisogno di restarsene ogni tanto da solo con gli amici...
Isabel, dal canto suo, aveva capito che c’era qualcosa di strano dietro quell’improvviso invito, ma non aveva esitato ad unirsi al gruppetto. E aveva fatto bene: per un motivo o per l’altro neppure lei e Morgan avevano avuto molte occasioni di distrarsi, negli ultimi tempi...
Mentre si avviavano a piedi verso la loro abitazione Maria strinse entrambe le braccia intorno alla vita di Michael. Hai avuto un’idea fantastica, amore... Era una vita che non giocavo a bowling, e non ricordavo che fosse così divertente! E Liz non ha avuto un solo attacco di nausea, te ne sei accorto? -
Il giovane si chinò a baciarle la fronte. - Bene. Era quello che volevo. -
- Cosa? Evitare che Liz continuasse a vomitare l’anima? -
- No, o perlomeno non solo questo. Insomma, avevo voglia anch’io di spassarmela un po’! -
Maria corrugò la fronte poi diede un’occhiata a Mathias, che dormiva tranquillo nel suo passeggino. - Vuoi dire che lui è un... un peso, per te? -
- Niente affatto! - protestò subito l’alieno. - Santo cielo, Maria, ma perché mi fraintendi sempre?!? Io intendevo semplicemente dire che ci sono un sacco di cose da fare e poco tempo per stare insieme! -
La ragazza si rilassò di colpo. - Ah, beh, questo è vero! - Fece una risatina seducente. - Ma possiamo rimediare subito. La notte è ancora giovane... -
Michael la guardò sospettoso. - Che hai intenzione di fare? -
- Te lo dirò dopo che avremo messo Mathias nella sua culla -
Il luccichìo nei suoi occhi lo fece sorridere. - Mm, credo che la tua idea sia anche migliore della mia... - mormorò.

- Cosa c’è? Che vuole ancora, Burton? -
Max Evans non era esattamente contento di vederla ma Linda fece finta di nulla. - Non mi manda Burton. E’ solo che sto andando via anch’io e pensavo di darti un passaggio. In realtà volevo... volevo scusarmi per ieri. Io... ho messo in imbarazzo te ed il tuo amico, e... ecco, desideravo parlarti. Ti prego, non dirmi di no... - Lo guardò con espressione implorante.
Il ragazzo serrò per un attimo le labbra. Linda poteva essere molto insistente e l’unico modo per togliersela in fretta di torno era assecondarla. Infastidito, annuì. - D’accordo - disse soltanto.
La donna sorrise sollevata. - Grazie... - mormorò.
Mentre guidava con fare esperto Linda lanciava di tanto in tanto un’occhiata al suo passeggero. Dopo aver telefonato per avvertire che non c’era bisogno che lo andassero a prendere si era abbandonato contro lo schienale del sedile ed era rimasto in silenzio, chiaramente lasciando a lei il compito di avviare la conversazione. Certo non le rendeva le cose facili, ma di lì a pochi giorni sarebbe partita per Albuquerque e quando fosse tornata non lo avrebbe più trovato all’osservatorio, e sapeva che le sarebbe mancato da morire. Era molto più giovane di lei eppure non aveva nulla della leggerezza e della superficialità di tanti suoi coetanei, e possedeva un incredibile fascino che l’attirava irresistibilmente. Scoprire che era sposato e aveva persino dei figli l’aveva lasciata con l’amaro in bocca ciononostante aveva continuato a sperare di risvegliare il suo interesse, purtroppo ora era tutto finito. Aveva discusso a lungo con Andrew perché gli venisse concessa un’altra possibilità, ma era stato inutile. Avrebbe perduto Max Evans senza essere mai riuscita a conoscerlo o anche soltanto a penetrare quella sua invisibile corazza fatta di distaccato riserbo che l’aveva tenuto lontano anche dagli altri colleghi. - Spero che tu mi abbia perdonata... - riuscì infine a dire.
Lui si volse a guardarla. - Per cosa? -
- Ieri, al Crashdown. Forse avresti preferito non dire niente al tuo amico del licenziamento e invece, in un certo senso, io ti ho costretto a parlarne... -
- Non importa, glielo avrei detto comunque. Allora? Cosa c’è? -
Sentendosi all’improvviso imbarazzata Linda strinse il volante con energia. - Io... io ho provato a far cambiare idea a Andrew ma non c’è stato nulla da fare. Ti stima molto e credo che gli dispiaccia perderti tuttavia, per quanto il nostro sia un osservatorio piuttosto piccolo e non ci vengano affidate richieste particolarmente complesse, preferisce qualcuno su cui poter contare... -
- Sì, lo so -
Il tono inespressivo di Max fece nascere una smorfia sulle sue labbra piene. - Sono sicura che riuscirai a trovare presto un altro lavoro, in ogni caso sappi che, se dovessi aver bisogno di denaro, puoi rivolgerti a me. -
L’alieno le diede una lunga occhiata, sorpreso per la sua offerta, e abbozzò un sorriso sarcastico. - Ti ringrazio ma credimi, i soldi sono l’ultimo dei miei pensieri! -
A quelle parole la donna dovette mordersi la lingua per non fare domande. Non c’era sufficiente confidenza tra di loro per poter parlare di cose personali. O meglio, non c’era confidenza e basta, anche se avrebbe preferito che fosse vero il contrario... Con una certa mestizia tornò a concentrarsi sulla guida, e da quel momento nessuno dei due pronunciò più una parola.
Quando arrivarono davanti all’ospedale Linda accostò al marciapiedi e attese che scendesse dall’auto. - A domani. -
Max chinò un poco la testa a mo’ di saluto poi si allontanò.
Rimase a guardarlo con occhi velati di rimpianto mentre si fermava accanto ad una ragazza dai lunghi capelli scuri e la stringeva forte a sé, dopodiché controllò la strada e ripartì, fermamente decisa a dimenticare le sue fantasticherie su di lui. E prima ci fosse riuscita meglio sarebbe stato! Sì, aveva davvero bisogno di allontanarsi da Roswell...

- Com’è andata? -
- Bene. Niente nausee, niente svenimenti, niente di niente, giuro! - Con un sorriso Liz accarezzò il marito sulla guancia. - Cerco di non pensare ad Alexandra e a Jason insieme, tutto qui... - aggiunse abbassando la voce, come se stesse rivelando un grande segreto.
- Già, ti capisco. -
- Io non voglio ostacolare la loro relazione, però... però non sopporto l’idea che quella ragazza continui a fargli del male! -
- Non lo farà più -
- Come puoi esserne così sicuro? -
- Amore, Jason si è fidato di lei abbastanza da rivelarle tutto di sé. -
Liz chiuse gli occhi e scrollò il capo. - Hai ragione, scusami. E’ solo che... -
- Che adesso è Alexandra, ad occupare il posto più importante nel cuore di Jason. -
La ragazza si mordicchiò il labbro inferiore. - No, questo no. In ogni caso... credo che dovrò abituarmi all’idea... -
- Ho paura di sì - Max la baciò brevemente sulla tempia poi le cinse il collo con un braccio e s’incamminò con lei verso il fuoristrada parcheggiato poco lontano. - Ma Jason non smetterà di amarti, perché sei una madre meravigliosa. -
- Continua a ripetermelo e forse un giorno o l’altro comincerò a crederlo... - fu il sommesso commento di Liz.
- Siamo a caccia di complimenti, eh? - disse lui scherzoso.
- Niente affatto! E’ che tu mi consideri praticamente perfetta, quindi... -
- Amore, tu sei perfetta. Sei perfetta per me, e questo è tutto quello che conta. - Le sorrise con infinita dolcezza, facendola sorridere a sua volta. - Mm, ne riparliamo fra dieci anni... -
- Fossero anche cento, sarai sempre la mia splendida Liz... -
Lei arricciò il naso. - Non credi di esagerare un tantino? -
- Assolutamente no - replicò convinto il giovane.
- Ok. Allora... guida tu. Sono un po’ stanca e... preferisco guardarti. Mi piace molto il tuo profilo... -
- Solo quello? - finse di offendersi Max.
- A dire il vero no. -
- Bene - Tese la mano per prendere il piccolo portachiavi che gli stava porgendo e le aprì lo sportello invitandola a salire.
Come annunciato, Liz si sistemò sul sedile in maniera da poter studiare con calma il bel viso del marito. Adorava osservare i suoi lineamenti, le ciocche di capelli scuri che gli ombreggiavano la fronte, le lunghe ciglia folte, il collo dalla linea elegante e sexy, le labbra morbide e ben disegnate, con un delizioso piccolissimo neo sul bordo superiore... Avrebbe potuto continuare a guardarlo per giorni interi, sorprendendosi ogni volta di come fosse attraente... Ma poi, con un certo disagio, si rese conto della tensione che sembrava vibrare sulla sua pelle. - Max? - lo chiamò sottovoce.
- Sì, tesoro? - rispose subito lui voltandosi un attimo nella sua direzione.
- Qualcosa non va? -
Max sospirò. Sapeva che quella domanda sarebbe arrivata, prima o poi. Loro due erano così vicini, così sensibili l’uno all’altra... Non gli andava molto di dirle cosa lo turbava, non voleva caricarla anche dei suoi problemi, tuttavia se non lo avesse fatto lei si sarebbe preoccupata ancora di più e quella era l’ultima cosa che voleva. - Sono stato licenziato. Burton mi ha dato due settimane di preavviso - disse semplicemente. - Troppe assenze, è stata la motivazione. E non posso dargli torto... -
La ragazza rimase a fissarlo incredula. - Cosa conti di fare, adesso? - chiese dopo alcuni secondi di stupefatto silenzio.
Lui scrollò le spalle. - Cercherò un altro lavoro. Solo che... mi piaceva, lavorare lì. -
Liz si protese un poco per coprirgli con la propria la mano che stringeva il volante. - Troverai qualcosa di altrettanto interessante, ne sono certa! -
- Sì, magari come consulente per le relazioni tra umani e alieni... -
In quel momento passarono davanti all’Ufo Center e Liz sorrise divertita. - Potresti parlare con Milton. Forse gli farebbe piacere avere un socio! -
- Stai scherzando, vero?!? -
- Niente affatto. Pensaci, Max! Sarebbe... sarebbe fantastico! Dai, promettimi che farai almeno un tentativo! - lo implorò lei.
La sua mano ora gli serrava il braccio, e l’attenzione di Max era divisa fra la strada, il ricordo del volto spiritato del proprietario del museo, e il calore delle dita di Liz. - D’accordo, d’accordo... - capitolò cercando disperatamente di concentrarsi sulla guida. Ma era difficile, con lei così vicina...
- Grazie! - Allentando la cintura di sicurezza si agitò un poco fino ad arrivare a deporgli un bacio sotto l’orecchio.
Max rabbrividì e dovette fare un notevole sforzo per mantenere il controllo. - Non farlo più... - mormorò sottovoce, - o rischiamo di andare a sbattere da qualche parte... - aggiunse girandosi a guardarla.
- Oh... - Imbarazzata, Liz si tirò indietro e si schiarì la voce. - Scusami... -
- Non devi scusarti. Sono io che... che sono incapace di controllarmi... - Mentre pronunciava le ultime parole arrossì vistosamente, e lei non riuscì a trattenere un sorriso. Era così tenero quando si comportava come un adolescente alle prime armi, confuso e incerto neppure avesse ancora sedici anni... Ma era contenta di quel suo modo di essere, tanto diverso da Zan di Antar, la cui rigida personalità riusciva ancora a spaventarla. Allora... riprenderemo il discorso a casa... -
- Sì, forse è meglio. -
La risposta appena mormorata del giovane le fece provare un profondo senso di serenità. Eccoli lì, in macchina, intenti a parlare di cose normalissime come una coppia qualsiasi! Era molto gradevole...
L’atmosfera pacifica durò tuttavia solo fino al momento in cui giunsero a destinazione.

In soggiorno i gemelli stavano giocando, ma lo facevano svogliatamente, quasi non volessero disturbare gli altri presenti nella stanza. Jason e Alexandra, infatti, erano in piedi l’uno davanti all’altra e si fissavano con fare battagliero.
Quando vide il padre Jason irrigidì le spalle. Bene, adesso avrebbe saputo com’erano andate esattamente le cose...
- Ciao, ragazzi. Tutto bene? - indagò Max avvicinandosi al figlio.
- Papà, tu lo sapevi che lo sceriffo avrebbe fatto domanda al tribunale per l’affidamento di Alexandra? - chiese lui per tutta risposta.
Il giovane lo fissò in silenzio, senza battere ciglio, e Jason scrollò il capo con fare rassegnato. - Perché non me l’hai detto? -
- Perché penso anch’io che sia la soluzione migliore. -
- Tu, e chi altri? -
- Michael -
- Capisco... - Jason s’infilò le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni e abbassò lo sguardo cercando di trovare il modo migliore per spiegare ad Alexandra quello che era successo in realtà.
- Io devo andarmene, Jason! - La ragazza era tesissima. Prima c’era stata la convocazione dello sceriffo, che senza troppi giri di parole le aveva detto che il giudice aveva stabilito che sarebbe stata sotto la sua tutela fino al raggiungimento della maggiore età. Poi era andata dal notaio ed aveva scoperto di essere l’unica erede della zia ma di dover aspettare di avere diciotto anni per poterne entrare in possesso. A quel punto aveva deciso che l’unica cosa da fare fosse sparire dalla circolazione per un po’ di tempo e quindi, senza neppure passare alla fattoria per preparare la valigia nel timore che lo sceriffo avesse mandato qualcuno dei suoi uomini ad aspettarla, si era precipitata a casa degli Evans. Dove si era scontrata con Jason, che si ostinava a non voler capire il motivo che la spingeva a quella fuga...
- Non è necessario. Jim Valenti è un’ottima persona - Jason lo disse con voce ferma e sicura, fissandola negli occhi. Pregando dentro di sé che lei comprendesse e perdonasse.
- Ah, non ne ho alcun dubbio! Però il fatto è che, anche se si tratta solo di qualche mese, io non intendo stare in casa sua! Quell’uomo non... - Di colpo Alexandra tacque e lo guardò meglio, poi guardò Max Evans. - Lui sa di voi... bisbigliò. - Io mi preoccupavo che potesse scoprire tutto, e invece... - Lo sguardo le s’incupì. Segreti. Ancora dannati segreti... Quella famiglia era davvero impossibile!
- Avrei chiesto io il tuo affidamento, se non fosse che non posso permettere che il tribunale faccia indagini su di noi disse Max con voce sommessa. - Comunque sia, non puoi rifiutare l’offerta di Valenti. Sempre meglio lui che un istituto... -
- Veramente preferirei essere libera di gestire me stessa - obiettò la ragazza con una smorfia. - In ogni caso, dato che quell’uomo conosce la verità, penso di poter sopravvivere con lui fino ad agosto. Dopodiché non permetterò a nessuno, e voglio che questo sia ben chiaro a tutti voi!, di ficcare il naso nella mia vita! - Detto questo girò sui tacchi e se ne andò senza salutare.
- Vado a fare i compiti - Rifiutandosi di incontrare gli sguardi dei genitori Jason salì in camera sua e si chiuse la porta alle spalle con una certa energia facendo sussultare Shiri, che se ne stava sdraiata sul proprio letto, immersa nella lettura del libro di storia. “Chissà cosa gli è preso, stavolta...” disse fra sé e sé scuotendo la testa.
- Sei davvero convinto che quella di Michael e Jim sia stata una buona idea? - chiese Liz al marito. Dopo la brusca partenza di Alexandra e la ritirata di Jason aveva gettato su una poltrona la borsa e la giacca e gli era andata accanto, acutamente consapevole del suo disagio.
Il giovane si strinse nelle spalle. - Sì. O almeno, l’unica possibile data la situazione. E’ che... non mi aspettavo che Alexandra reagisse in questo modo. E non voglio che sia Jason, a farne le spese... -
- Cosa conti di fare? -
- Non lo so. Quella ragazza è molto suscettibile, decisa, e... -
- E forse è meglio lasciare che siano loro due, a sbrogliarsela - lo interruppe lei. - Anche se vorrei tanto correre dietro Alexandra e dirle che Jason non ha nessuna colpa per quello che è stato deciso per lei... -
Max annuì lentamente. - Credo... credo che tu abbia ragione... -
Liz gli sorrise e gli accarezzò il viso. - Mm... E adesso perché non resti a giocare coi bambini mentre io vado a preparare la cena? Più tardi, con tutta calma, riparleremo del tuo lavoro, ok? -
- Ok -
Alle sette e mezza in punto sedettero tutti a tavola. Tutti tranne Jason. Dopo essersi scambiati una rapida occhiata Max e Liz guardarono Shiri, che si strinse nelle spalle. - Doveva uscire con Alexandra. Vado a chiamarlo? -
- No, lo faccio io. Voi cominciate pure... - Liz si alzò senza far rumore e si diresse lentamente verso la stanza del figlio. Lo trovò seduto sul letto, lo sguardo perso nel vuoto oltre la finestra. Indossava degli abiti puliti, una camicia grigio perla e i jeans neri, e si era pettinato con cura i folti capelli scuri.
- A che ora doveva passare? -
Nell’udire la sua voce il ragazzo sembrò scuotersi. - Alle sette - rispose voltandosi a guardarla. - Però immagino che non verrà più -
- Ti va di scendere a mangiare? -
- No. Scusami, io... vorrei rimanere da solo... -
- Per continuare a pensare a lei e a chiederti se tornerà da te? - Si sedette al suo fianco e gli poggiò una mano sulla gamba. - Tesoro, ti confesso che vederti a letto con Alexandra mi ha sconvolta. Sai, avevo la sua stessa età quando mia madre sorprese me e Max, e ora mi rendo conto di cosa deve aver provato... Però sapevo di amarlo come non avrei mai potuto amare nessun altro, ed essere costretta a stare lontana da lui mi ha fatto soffrire moltissimo. Io non voglio che succeda anche a te, così come non lo vuole tuo padre. Il fatto che Jim la prenda sotto la sua custodia è tutto sommato una buona cosa. Potrà essere tenuta d’occhio perché nessuno, né l’Fbi né qualche malintenzionato, possa infastidirla, e soprattutto rimarrà a Roswell. Probabilmente adesso è arrabbiata perché ritiene di essere stata ingannata, ma alla fine capirà che non si è trattato di una manovra per incastrarla... -
- Lei mi ama davvero, ma al momento non vuole più saperne di me... Io... io sono certo che prima o poi mi perdonerà, è che non so quando! E quest’attesa mi fa impazzire... Speravo tanto che venisse, stasera, invece... - Si passò una mano tra i capelli scompigliando la frangia. - Devo soltanto avere pazienza. Sì, pazienza... - Con un sospiro si lasciò ricadere all’indietro e chiuse gli occhi. - Ti spiace lasciarmi solo? - chiese di nuovo.
- No, tesoro. - Liz gli accarezzò una spalla poi se ne andò, profondamente rattristata per lui.
Durante la cena ci fu il solito scambio di battute, Shiri scherzò con Claudia, che cercava di bere da sola, mentre Ethan insisteva nell’offrire al padre il proprio cucchiaio pieno di minestrone, facendone cadere sul tavolo e per terra una discreta quantità. Max, tuttavia, si avvide del crescente uso di tabasco da parte di Liz e si accigliò. Ormai sapeva che quello era un segno di disagio, allo stesso modo della nausea, e per l’ennesima volta si maledisse per la propria stupidità. Nonostante l’evidenza, infatti, non aveva mai capito che la sua compatibilità col dna umano era stata potenziata per consentire la sopravvivenza della stirpe reale, col risultato che adesso lei era ancora una volta incinta... Cercando di non lasciar trapelare la propria preoccupazione si affrettò a far finire il pasto ai gemelli poi fece loro il bagnetto e li cambiò mentre Liz e Shiri rigovernavano la cucina.
Quando si affacciò sulla soglia della stanza dei bambini la giovane donna sorrise intenerita. I piccoli dovevano essere crollati non appena avevano appoggiato la testa sul cuscino, e Max stava rimboccando loro le coperte. A questo punto a me non resta che andare a fare la doccia... - mormorò.
Lui le sorrise. - Va’ pure, ti raggiungo fra un paio di minuti, voglio andare a vedere come sta Jason... -
- Ok. - In punta di piedi si ritirò nella propria camera, mentre l’alieno chiudeva silenziosamente la porta dietro di sé prima di attraversare il corridoio.
Jason si era cambiato, indossava la maglietta e i calzoncini con cui usava dormire, e stava lavorando al computer.
- Jason? -
Il ragazzo si volse a guardarlo. - Ciao, papà - disse piano.
- Come stai? -
Con una scrollata di spalle terminò di scrivere un appunto sul suo quaderno ed interruppe la connessione ad internet. Avrei preferito essere al cinema con Alexandra, ma almeno così ho finito la ricerca di scienze. -
- Dunque la serata non è andata del tutto sprecata... - lo prese gentilmente in giro lui. Con un piccolo cenno del capo lo invitò a seguirlo sul letto. - Con... Tesoro - si corresse subito. - Scusami, devo perdere l’abitudine di chiamarti coniglietto o rischierò di farti fare una figuraccia davanti ad Alexandra! -
A quelle parole il figlio alzò gli occhi al cielo. - Secondo la zia Maria è la mia altezza a rendere ridicolo questo soprannome, però a me piace quindi puoi continuare ad usarlo, se vuoi. - Gli sorrise con affetto. - Sembro un adolescente ma sono ancora un bambino, e... - si mordicchiò il labbro, provocando un fremito interiore in Max. Per quanto fosse la sua copia perfetta quel gesto così tipico di Liz, che lui adorava, sembrava trasformargli il volto rivelando la discendenza materna. Ed il ricordo di Jason neonato, dei flash che aveva ricevuto da lui quando lo aveva preso in braccio per la prima volta, del suo trasporto verso un padre che lo aveva abbandonato ancora prima che nascesse, gli riempirono il cuore di tenera mestizia. - Tesoro, io so quanto sia difficile amare qualcuno più della propria vita, e quanto sia ancora più difficile confidare questo amore temendo il rifiuto... Capita di frequente, anche se nel nostro caso c’è la complicazione della... della nostra vera identità. Avrei preferito che non succedesse così presto, ma non è possibile decidere quando innamorarsi e perciò... - emise un sospiro rassegnato, - adesso non ti resta che imparare a convivere con queste emozioni. -
Jason incontrò il suo sguardo. - Ne vale la pena, vero? - chiese in un bisbiglio.
Max annuì lentamente. - Sì, coniglietto. Per quanto possa far soffrire, ne vale comunque la pena. -
- Beh, tu e la mamma siete un’ottima garanzia... -
- Lei è una persona speciale - ammise il giovane, - e penso che anche Alexandra lo sia, o non l’avresti scelta come tua compagna. -
- L’ho fatto? - domandò incerto.
- Che cosa hai condiviso con lei? -
- Io... tutto, credo... Ho visto dentro la sua anima... ho visto quello che nasconde agli altri... - E davanti all’espressione significativa del padre si piegò in avanti cercando conforto fra le sue braccia. - Ho paura. Per quanti sforzi io faccia, finisco sempre con lo sbagliare qualcosa allontanandola da me... -
- No, tesoro, non è così... E’ che... a volte non si è pronti ad affrontare certe verità... - Nel dire questo Max serrò la stretta intorno al figlio. “Oh, Jason, vorrei che le cose fossero più semplici, ma a quanto pare non è scritto nel nostro destino...”
Dopo qualche minuto Jason si sciolse dall’abbraccio ed accennò un sorriso imbarazzato. - Vai, adesso. Si è fatto tardi e la mamma ha bisogno di te. Grazie per... per tutto... -
Lui gli scompigliò i capelli. - Buona notte, tesoro. -
- ‘Notte, papà. -
Quando fu di nuovo solo il ragazzo si infilò sotto le coperte e spense l’abat-jour ma rimase a lungo a fissare nel vuoto. All’improvviso gli venne in mente di non avere ancora parlato al padre della sua compagna di scuola e per un attimo fu tentato di alzarsi e andare da lui. “No, adesso non ne ho proprio voglia...” pensò affondando la testa nel cuscino. “Oddio, Alexandra...”

Liz lo accolse con trepidazione. Era stato via così a lungo...
Senza dire nulla Max si spogliò e si distese accanto a lei.
Girandosi di lato la giovane gli passò una mano lungo il braccio. - E’ tutto a posto con Jason? - chiese a bassa voce.
- Mm -
- Bene. Ero... ero molto preoccupata per lui... - Gli si fece più vicina ed appoggiò il mento nell’incavo della sua spalla. - Ma adesso lo sono per te. -
- Non ne hai motivo -
- No? -
- No. Ho semplicemente... ripensato a quando tu e Jason eravate soli, e... - Tacque, incapace di proseguire, e Liz spostò la mano sul suo cuore. - Non lo siamo mai stati davvero. Eri dentro di me, quindi sempre con noi... - Sentì i battiti farsi irregolari sotto le sue dita e sbuffò piano. - E poi sarei io la testarda, eh? - Con fare deciso lo sospinse sul fianco. - Del tuo lavoro parleremo domani. Adesso... questo è qualcosa che farà bene a tutti e due... - mormorò prima di cominciare a baciarlo sensualmente lungo la spina dorsale, sorridendo fra sé e sé nell’udirlo sospirare di piacere.

Maria aprì piano piano gli occhi e fece una smorfia nel vedere i primi raggi di sole filtrare attraverso le tende. E’ già giorno... - disse in un bisbiglio rammaricato.
Senza smettere di accarezzarle i capelli Michael le passò l’altro braccio davanti stringendola a sé. - Neanch’io ho voglia di alzarmi, ma il dovere mi chiama. Per che ora devi essere al locale? -
- Le nove e un quarto. Pensi di farcela a passare? -
- Farò l’impossibile! -
L’esclamazione convinta fece sorridere la ragazza. - Ottimo... - Protese un poco il viso verso di lui che, cogliendo l’invito, la baciò.
- Ehi, cosa c’è? -
- Cosa? -
- Sei... teso... - Con una mossa repentina si mise a sedere e lo scrutò attenta. - Avanti, che hai? -
- Niente! - E davanti alla sua espressione inquisitoria si mise a sedere a sua volta. - Senti, non ho niente, ok? -
- Michael, ti prego! Ce l’hai scritto in faccia. C’è qualcosa che ti rode... -
- Non è vero -
- Senti, Michael, ti conosco molto bene quindi smettila di negare e dimmi di che si tratta! Magari potrei esserti d’aiuto... -
Davanti alla sua insistenza il giovane distolse lo sguardo. - E’... è qualcosa che riguarda anche te, in effetti... - mormorò, profondamente a disagio.
- Ah... - Maria tacque aspettando che lui proseguisse ma, visto che continuava a tacere, gli circondò il viso con le mani e lo guardò dritto negli occhi. - Allora sarebbe il caso che tu me lo dicessi, giusto? -
- Io... E’ che... è... è imbarazzante, e... e non è facile parlarne... -
- Provaci! Avanti, per favore! - lo implorò.
- Beh... insomma... - Michael le prese le mani fra le proprie e vi depose un bacio. - Ho accusato Max di essere un irresponsabile perché... perché ha messo di nuovo incinta Liz, ma neppure io ho fatto niente per proteggerti... - Emise un piccolo sospiro di rassegnazione. - Il fatto è che vorrei che Mathias non fosse figlio unico. Vorrei che non si sentisse solo... -
Commossa per le sue parole Maria lo abbracciò dolcemente. - Hai ragione, Mathias non deve sentirsi solo... Gli daremo un fratellino, o una sorellina, e poi... poi vedremo, d’accordo? -
Il giovane si limitò ad annuire, incapace di liberarsi del groppo che gli si era formato in gola. Dio, quanto l’amava... Riusciva a capirlo ancora meglio di lui stesso, e gli dava così tanto... A volte si chiedeva cos’avesse fatto per meritare una persona così incredibile...

- Alexandra! - Jason si affrettò a raggiungere la ragazza, che insieme a Sabrina e Glen stava entrando proprio in quel momento nell’edificio scolastico.
- Ciao! Ehi, Shiri, sei... wow! - Glen sorrise ammirato e non fece alcuna obiezione quando lei lo prese sottobraccio e lo condusse via. - Sabrina, vieni anche tu? -
- No, resta! - Alexandra fissò Jason con un misto di imbarazzo e fastidio.
- Ti ho aspettato, ieri sera. Perché non sei venuta? -
- Dovevo fare le valige. Ricordi? Per trasferirmi dai Valenti... -
- Avrei potuto darti una mano. -
- Grazie ma non ne avevo bisogno. E adesso scusami, devo proprio andare... -
- Alexandra... -
- Lascia stare, ok? Ne riparliamo dopo - In maniera del tutto inattesa si sporse a baciarlo sulle labbra. Un bacio veloce che lo colmò di tristezza. Avrebbe voluto avere, e dare, molto di più, però sapeva di dover aspettare che fosse lei a decidere il momento. Solo, temeva che non sarebbe mai stato abbastanza presto...
Quel giorno sembrava che i professori si fossero messi d’accordo e la mattinata fu un faticoso susseguirsi di test ed interrogazioni. Quando il gruppo di amici si ritrovò a sedere ad uno dei tavoli della mensa l’atmosfera che vi regnava era di generale sfinimento.
- Ma cos’hanno tutti quanti, oggi? Insomma, prima il compito d’inglese, poi storia, poi chimica! - borbottò Tanya intingendo una patatina dietro l’altra nella maionese.
- A me è toccata anche l’interrogazione di spagnolo... - si lamentò Roger.
- Io invece ho avuto matematica e geografia - disse Glen.
Sabrina fece una smorfia. Anche lei aveva avuto il suo bel da fare e, conoscendo l’orario delle lezioni degli Evans, sapeva che anche quei due dovevano aver passato dei brutti momenti, per quanto le loro espressioni non tradissero nulla di particolare.
- Sentite, che ne dite di andare al cinema, oggi pomeriggio? Ho bisogno di rilassarmi un po’... - propose Mark.
- E cosa vorresti andare a vedere? - chiese Sabrina.
- Qualcosa di divertente. Con tanta azione. Niente sbaciucchiamenti o scene sdolcinate, ora come ora mi riuscirebbe molto difficile sopportarli... -
Le ragazze lo guardarono disgustate poi Alexandra sospirò ed annuì. - Ok, per me va bene - Gli occhi le si posarono sul pasticcio di verdure che Jason stava affogando nella salsa e si sentì percorrere da un brivido involontario. Poi, mossa da un impulso irrefrenabile, gliene rubò una forchettata.
- No! - Jason non fece in tempo a fermarla, e nel vedere i suoi occhi spalancarsi riempiendosi di lacrime si affrettò a porgerle la propria bottiglietta d’acqua. - Bevi, su! -
Lei bevve a lunghi sorsi avidi poi gli restituì la bottiglia con un sorriso di scusa. - Grazie... - mormorò tirando su col naso e passandosi il dorso della mano sulla guancia per asciugarla.
Shiri, che aveva seguito la scena con un certo stupore, non poté trattenere una risatina. - Ehi! Guarda che quello era tabasco, non ketchup! -
Tossendo e piangendo insieme Alexandra mosse il capo in segno affermativo. - Ora lo so. - disse faticosamente. Il suo sguardo incontrò quello preoccupato di Jason, poi se ne distolse con imbarazzo. - Mi dispiace - Si portò il tovagliolo alle labbra per soffocarvi l’ennesimo colpo di tosse. - Non mi ero resa conto che fosse salsa piccante... -
- Già. Tieni, bevi ancora un po’. - Le tese nuovamente la bottiglia, che si affrettò a prendere con gratitudine. Le loro dita si sfiorarono per un attimo e la ragazza trasalì. Dovette fare un certo sforzo per non lasciarsi sfuggire il recipiente poi, con una smorfia, vi si attaccò vuotandolo. Dopo si sentì decisamente meglio e, sorridendo impacciata, mise il proprio bicchiere pieno di succo di frutta sul suo vassoio. - Tieni, tu puoi bere questo... -
Jason guardò il bicchiere di cartone come se fosse la cosa più preziosa del mondo. - Sei molto gentile - Ed iniziò a mangiare sforzandosi di non mostrare l’agitazione che stava provando. Si era accorto, infatti, del disagio di Alexandra quando le aveva passato l’acqua, e avrebbe tanto voluto prenderle una mano ed intrecciarla alla propria. Ma lei non glielo avrebbe permesso, lo sapeva benissimo...
- Dove ci diamo appuntamento? - chiese Shiri, perfettamente consapevole dello stato d’animo del fratello e decisa a distogliere l’attenzione di tutti da lui.
- Al Park Twin, sulla Union, alle cinque e mezza. Che ne dite? -
Ci fu un generale coro di consensi, cui solo Alexandra non si unì. - Mi spiace ma questa volta non posso venire. Mi ero dimenticata che devo finire di sistemare le mie cose, e sono rimasta indietro con un paio di materie. Vi divertirete anche senza di me, ne sono certa! -
A nulla valsero le proteste degli altri, la giovane fu irremovibile. Per di più non aveva alcuna voglia di sedere in una sala buia accanto a Jason. E, se fosse andata insieme a loro, avrebbe finito di sicuro con lo stare vicino a lui. Il problema era che non aveva ancora digerito la sua ennesima intromissione, e voleva continuare a punirlo ancora un poco. Certo, in questo modo puniva anche se stessa, ma era giusto così: era stata una stupida a perdere la testa per lui, neanche fosse una ragazzina di tredici anni...
Poi arrivò il momento di tornare in classe e ben presto la sala mensa divenne deserta.
Al termine delle lezioni i ragazzi si affrettarono ad uscire nei corridoi e Jason fece un gesto di saluto ad Alexandra. Se dovessi cambiare idea raggiungici, ok? -
Lei inarcò le sopracciglia. - Ho veramente da fare. Non era una scusa - Gli volse le spalle di scatto e se ne andò senza dire altro. Era furiosa. E frustrata. Essere innamorati era proprio una brutta faccenda...

- Ciao, mamma. -
Amy abbracciò la figlia con slancio poi strinse la mano di Michael ed infine si chinò sul nipotino, che la guardava sorridendo e agitando le piccole braccia. - Sei un vero tesoro! - Diede un’occhiata interrogativa a Maria, la quale annuì senza esitare, e col volto illuminato di gioia sollevò il bimbo stringendoselo al petto. - E’ davvero bello... - mormorò commossa.
- Sì, e per fortuna è anche piuttosto tranquillo. Ha già mangiato e fra non molto dovrebbe addormentarsi, di solito a quest’ora è già nel mondo dei sogni... -
- Bene, allora lo porto subito da Jim per farglielo vedere così poi potrà fare il suo bel sonnellino! - La donna si affrettò ad andare dal marito, che stava disponendo le ultime cose sulla tavola, e gli mostrò Mathias con orgoglio. Non è un amore? -
- Oh! Ehi, piccolino, sei una meraviglia! - Lo sceriffo fece una serie di buffe smorfie suscitando allegri ciangottii poi si volse a guardare Maria. - Ha i tuoi stessi colori... - osservò vagamente sorpreso.
- Già, e la cosa mi fa molto piacere! - disse Michael, che aveva seguito la moglie la quale, nell’udire quelle parole, gli sorrise raggiante.
- Su, coraggio, andate a sedervi! Jim, ti spiace chiamare Alexandra? -
- No, vado subito... -
Mentre l’uomo si allontanava Michael si rivolse incerto ad Amy. - Come vanno le cose? -
- Beh, potrebbero andare meglio. Insomma, è una ragazza beneducata, tutto sommato, però tende ad essere un po’ brusca e passa praticamente tutto il tempo in camera sua. Credo che non le piaccia molto stare con noi, anche se non capisco perché. Le abbiamo offerto una casa, una famiglia... -
- Non te la prendere, mamma! Il fatto è che è stata praticamente costretta a venire qui, e questo non le è andato giù. In effetti, neppure io sarei stata contenta di essere trattata in questo modo, ma non c’era altro da fare e prima lo capirà meglio sarà per lei! - E con questo Maria tornò in soggiorno, dove aveva lasciato il passeggino, e lo sospinse verso la madre. - Coraggio, giovanotto, è ora di fare la ninna! - disse, mentre Amy si curvava a deporvi con tenera cura il bimbo.
Poco dopo Alexandra faceva il suo ingresso nella piccola sala da pranzo e, riconoscendo Maria, spalancò gli occhi stupita. “E’ lei! E’ la ragazza che ha partorito in casa di Jason!”
A Maria occorsero alcuni minuti per capire dove potesse averla già vista, e quando vi riuscì fece una smorfia. Eri presente anche tu quando è nato Mathias, vero? - E al cenno affermativo di Alexandra emise un piccolo sospiro rassegnato. - Ecco perché il tuo mi sembrava un viso familiare... -
- Ehm, posso... posso vederlo? - Così dicendo si avvicinò al passeggino ma attese il cenno di consenso di Maria prima di abbassarsi e studiare incuriosita il neonato, che stava sbadigliando beatamente.
- Michael, passami i piatti, per favore! -
Nell’udire quel nome Alexandra si volse di scatto. “Michael?!?” Gli occhi le si socchiusero sospettosi. Ricordava bene in quale occasione lo avesse sentito, e dovette lottare per tenere a freno la rabbia. Era stato lui, insieme allo sceriffo, a decidere del suo affidamento! Erano tutti d’accordo! Non si era mai sentita così controllata in tutta la sua vita! “Questa è una vera e propria cospirazione...” pensò con amarezza. L’appetito le era passato, ma non voleva far trasparire il suo sgomento così andò a sedersi al proprio posto e fece finta di nulla. Tuttavia non era facile quando, in realtà, avrebbe solo voluto fuggire. “A volte ti odio così tanto, Jason!” pensò convinta.
Non partecipò quasi per niente alla conversazione, quella sera, anche se fu attentissima a non perderne un solo brandello. Voleva conoscere meglio quelle persone, voleva sapere con chi aveva a che fare. Per forza di cose era obbligata a fidarsene, ma in un certo qual modo si sentiva come se fosse circondata dal nemico. Eppure i Valenti sembravano una famiglia perbene, e l’altra coppia era solo di poco più anziana di lei... Ma la turbava il fatto che tutti loro conoscessero la verità, sapessero che gli alieni esistevano realmente e addirittura vivevano a Roswell, e fossero disposti a qualsiasi cosa pur di mantenere il segreto! E se lei avesse deciso di rompere con Jason? L’avrebbero uccisa per essere sicuri che non parlasse? Con un gemito interiore si concentrò su quel che stava mangiando, ma le sembrava che il delicato arrosto con le patate al forno si fosse trasformato in un pezzo di cartone.
- Alexandra, va tutto bene? -
La gentile domanda di Amy la fece sussultare e, tentando di apparire disinvolta, le rispose sorridendo. - Sì, certo... -Poi il suo sguardo fece il giro dei commensali, posandosi vagamente intimorito sullo sceriffo e su Michael, e Maria la guardò con simpatia. - Non è facile far parte del club, ti capisco... - disse.
- Quale... quale club? - domandò Alexandra perplessa.
- Il “ioconoscounalieno club” - fu la risposta semiseria di James Valenti. - Il guaio è che una volta che se ne è diventati membri è impossibile tornare indietro... -
Quelle parole la raggelarono, rendendo concrete le sue paure.
- Dai, Jim, smettila! Non vedi che l’hai spaventata? - protestò gentilmente Amy.
- Fa bene ad essere spaventata - fu la secca obiezione di Michael. - Il fatto che sappia chi siamo non ha messo in pericolo soltanto lei, ma anche tutti noi! -
- Se temete che parli con l’Fbi potete stare tranquilli: dopo quello che hanno fatto a me e a mia zia non mi rivolgerei a loro neppure se me lo ordinasse il presidente degli Stati Uniti - commentò la ragazza, quasi sottovoce.
- E hai perfettamente ragione! Non ci si può fidare di quella gente! - disse Maria scurendosi in volto. Poi si scosse e sorrise. - Con un paio di eccezioni, però... - Si volse a guardare Jim con interesse. - A proposito di agenti... Quando torna Kyle? -
- Fra un paio di giorni. Domenica c’è il giuramento, e credo che gli farebbe piacere se ci foste anche voi... -
- No, no! - Maria agitò decisa una mano. - Troppa polizia! Rischierei un infarto! Neppure Liz se la sente di venire, ne parlavamo proprio la settimana scorsa! -
- In effetti vi capisco... Però ci sarete per la festa di benvenuto? -
- Ah, quella non ce la perderemmo per nulla al mondo, vero, Michael? -
- Kyle vestito da poliziotto?!? Sarò in prima fila, Jim, puoi contarci! -
- Bene, allora posso anche contare sul vostro aiuto per gli addobbi? -
- Ma certo! - Maria adesso era apertamente eccitata. L’idea di rivedere presto l’amico la riempiva di gioia, e la cupa atmosfera dei discorsi di poco prima era ormai svanita, rimpiazzata dalle immagini di decorazioni variopinte e di frasi da scrivere sullo striscione che avrebbero appeso al soffitto.
Notando l’espressione interdetta sul viso di Alexandra, Valenti si sentì in dovere si spiegarle chi fosse Kyle.
- E naturalmente anche lui fa parte di quel vostro... quel club, giusto? -
- Giusto -
“C’era da scommetterci...” La ragazza tornò a chiudersi nel suo mutismo per quanto, dentro di sé, continuasse a riflettere. Si rendeva conto che stare accanto agli Evans doveva per forza di cose comportare la conoscenza del loro segreto, era pressoché inevitabile... Ma ciò che la stupiva era il senso di amicizia e lealtà che tutte quelle persone sembravano nutrire per loro. Neppure la gente che frequentava quando viveva a Los Angeles, e tra cui aveva creduto di annoverare diversi amici, si era mai comportata in quel modo verso di lei... Si sarebbe aspettata timore, preoccupazione, invece...
- Oh, il telefono! Scusatemi, vado a rispondere! - Amy corse a sollevare il ricevitore prima che lo squillo svegliasse Mathias, poi fece un gesto ad Alexandra. - Vieni, è per te! -
Lei si alzò lentamente, domandandosi chi potesse essere, e chiuse gli occhi rassegnata quando udì la voce di Jason. - Ciao - disse laconica.
La conversazione fu molto breve dato che Alexandra si limitava a rispondere a monosillabi, e quando tornò a tavola scoprì che Michael la stava fissando gelido. - Cosa c’è? -
- Non osare trattare mai più Jason in quel modo -
- E tu come fai a sapere che era Jason? -
- Non credo che i tuoi compagni di scuola chiamerebbero a quest’ora a casa dello sceriffo... -
Indispettita, la ragazza si irrigidì. - Come parlo a Jason sono affari miei -
- No, ti sbagli! Gli affari di Jason sono affari di tutti! Lui si fida ciecamente di te, ma io non sono sicuro che tu sia la persona giusta per lui! Sei... sei una ragazzina viziata che crede di poter giocare con i sentimenti degli altri! -
- Io non sono una ragazzina viziata! -
- Michael, smettila! Non hai alcun diritto di parlarle così! - si intromise Maria toccandolo sul braccio nel vano tentativo di calmarlo.
- Jason è testardo come e più di Max ed è impossibile farlo ragionare! Quindi, non mi resta che chiarire le cose con lei -
- Michael, lo so che lo fai per aiutare Jason, ma credimi: non è questo il modo! E poi, semmai spetterebbe ai suoi genitori, non pensi? -
- Né Max né Liz hanno intenzione di intromettersi in questa faccenda, però qualcuno deve farlo! - insisté l’alieno.
- Non sei suo padre, Michael. Lascia che se la sbrighino tra loro... Dimentica quello che sei, qui non è in ballo la sicurezza di Jason... -
- Invece sì - si ostinò lui.
- Michael, vuoi che dica a Max di ordinarti di lasciare in pace Alexandra? - chiese Maria con fare mellifluo.
- Ah... Donne! - esclamò a quel punto il giovane, indignato.
- Uomini... - borbottò lei, poi si protese a dargli un bacio sulla guancia. - Ma cosa faremmo senza di voi? -
- Già, chi andreste a torturare? - disse Michael di rimando. Il tono era ancora combattivo, tuttavia nei suoi occhi brillava una luce affettuosa.
- E’ per questo che diamo la caccia agli alieni. Siete così divertenti... -
L’ultimo commento di Maria fece trasalire Alexandra. “Oddio, anche Michael Guerin è uno di loro?!?” pensò smarrita. Si volse a guardare Mathias, che dormiva placido nel suo passeggino, e sentì il cuore spezzarlesi. “Non è possibile... Tutto questo è assurdo, Jason non può...” Ma forse era proprio per quello che si sentiva così irresistibilmente attratta da lui, perché con lui provava sensazioni tanto forti, che non aveva mai provato prima... All’improvviso le venne un’idea, suscitata dal ricordo della loro prima notte insieme. Per il resto della serata continuò a pensarci e ripensarci, e quando la cena ebbe termine si intrufolò in cucina ed aprì il frigorifero. Tornata in soggiorno disse allo sceriffo di aver bisogno di andare a casa di Jason per degli appunti e Maria, scuotendo la testa con commiserazione per l’evidente e banale scusa, si offrì di accompagnarla.
- Ma poi come farai a tornare? - si preoccupò Amy.
- Non c’è problema, vado con la mia macchina. In ogni caso, potrei chiedere di restare lì a dormire... -
- Certo che hai una bella faccia tosta! - disse Michael serrando le labbra. - Sta’ attenta, mocciosa, hai capito? - la ammonì.
Lei si limitò a guardarlo senza dire nulla, lo zaino saldamente stretto in una mano e l’altra appoggiata sul fianco in segno di sfida.
- Time out! - esclamò a quel punto Maria, alzando gli occhi al cielo e premendo la punta delle dita di una mano contro il palmo aperto dell’altra.
Cercando di recuperare la calma Michael prese il passeggino e lo spinse con delicatezza verso la porta d’ingresso. Grazie per la cena. Sei davvero un’ottima cuoca, Amy... -
- Grazie! - Sorpresa per il complimento la donna gli sorrise, poi diede un bacio sulla guancia alla figlia ed uno sulla fronte a Mathias. - Buona notte -
Pochi minuti più tardi la jeep si fermò davanti all’abitazione di Max e Liz. - Perché siamo qui? - volle sapere Maria.
- Non mi piace come si comporta con Jason - Michael attese di vedere la ragazza entrare in casa dopodiché mise la freccia e si allontanò dal marciapiedi.
- Pensavi che non l’avrebbero fatta entrare? -
Il giovane si strinse nelle spalle.
- Guarda che all’inizio neanche tu ti comportavi molto bene con me, sai? - lo rimproverò gentilmente.
Lui continuò a guidare in silenzio.

- Mi rendo conto che è tardi ma devo parlare con Jason. E’ in camera? -
Max guardò la ragazza perplesso. - In effetti sono le dieci passate - constatò, e col mento accennò alle scale che portavano al piano superiore. - Sì, Jason è di sopra. Ti vengono a riprendere o devo riaccompagnarti io? -
- Sono venuta con la mia auto. -
- Bene. Allora... solo qualche minuto, d’accordo? -
- Non si preoccupi -
Con un sorrisetto di circostanza Alexandra salì da Jason, che nel vederla chiuse il libro che stava leggendo e si alzò in piedi. - Ciao! - la salutò sorpreso.
- Ciao. Senti, vorrei fare un esperimento. Ma non qui a casa tua. C’è un posto tranquillo che possiamo usare? -
- Sì, certo. - Si infilò una felpa e prese il giubbotto di pelle che era appartenuto una volta a suo padre.
- Dove vorreste andare?!? - Max, nel frattempo, era arrivato davanti alla propria camera ed era rimasto sconcertato rendendosi conto che i due sembravano in procinto di uscire.
- Alexandra ha bisogno che l’accompagni a prendere delle cose che ha dimenticato alla fattoria, e non se la sente di andarci da sola - improvvisò Jason. - Non starò via molto... - Accennò a girarsi verso le scale e sospirò nel vedere il padre tendere un braccio per fermarlo. - Un attimo! Non potete rinviare a domani pomeriggio? -
- Se è venuta qui adesso evidentemente non si può rimandare... - obiettò.
- Jason… non è il caso di commettere imprudenze. Lo capisci questo, vero? - insisté lui.
- Sono in grado di badare a me stesso -
A quelle parole Max lo fissò dritto negli occhi. “- Non quando c’è di mezzo Alexandra -”
Jason arrossì leggermente, poi scrollò il capo. - Io... devo andare. -
Il giovane uomo fece un passo indietro. - D’accordo. Ma state attenti, mi raccomando. - Senza aggiungere altro si chiuse la porta della stanza da letto alle spalle e andò a sdraiarsi al fianco della moglie. Guardò il suo viso rilassato nel sonno. Forse Liz aveva ragione nel dire che a volte il solo modo di risolvere una questione era affrontarla direttamente, senza l’intervento di altre persone, e di sicuro Jason e Alexandra avevano diverse cose di cui parlare. Perché era certo che quello fosse il vero motivo per cui erano usciti... Avrebbe voluto vietare al figlio di andare in giro in piena notte, e soprattutto avrebbe preferito che gli dicesse la verità. Ora non gli restava che fidarsi di Jason e del suo buon senso...

Il tragitto fino alla caverna sembrò non finire mai, e quando arrivarono a destinazione Alexandra era ormai un fascio di nervi. L’insolito ambiente non contribuì a farla sentire meglio così decise di non perdersi in chiacchiere e depose in terra lo zaino, da cui estrasse una busta di carta marrone ed una coperta. - Tieni, stendila! - disse lanciando a Jason la coperta.
Mentre Jason obbediva lei tirò fuori dalla busta quattro bottiglie di birra.
- Cosa vuoi fare con quella birra? -
La ragazza sollevò lo sguardo verso la parete luminescente da cui pendevano filamenti sottili di una sostanza quasi impalpabile. Non aveva idea di che cosa fosse, né voleva saperlo, però quel minimo di chiarore era proprio quel che ci voleva! - Voglio che ti ubriachi - disse poi, tornando a fissarlo. - Dopo aver bevuto quel bicchiere di tequila, in discoteca, ti sei comportato in maniera... normale. Cioè, hai reagito come qualsiasi altra persona in quelle condizioni... ti sei lasciato andare... E ora voglio scoprire cosa succede quando sei veramente, completamente ubriaco. Voglio vedere fino a che punto arriverai, quali altri segreti mi rivelerai... Ecco, diciamo che voglio tracciare una specie di... di profilo alieno. -
Jason, che dopo aver sistemato per bene la coperta si era rialzato in piedi, si strofinò nervosamente le mani sulle cosce. - Io... non credo che sia una buona idea... Voglio dire... so che il mio organismo non regge l’alcol e... e non so come potrei reagire se perdessi del tutto il controllo... Potrei... anche farti del male, non lo so... -
- Correrò il rischio. Avanti, siediti e comincia a bere! - insisté lei porgendogli la prima bottiglia.
- Ti prego, Alexandra, non chiedermelo... -
- Bevi! -
Il giovane alieno deglutì faticosamente. - Ok - cedette, poi si portò la bottiglia alle labbra e bevve fino all’ultima goccia del liquido amaro e un poco frizzante.
Quando ebbe terminato si sentì la testa leggera ma accettò una dopo l’altra le bottiglie che lei man mano gli porgeva dopodiché ricadde all’indietro.
- Come va? Sei sveglio? - lo stuzzicò Alexandra.
- Sì... - Jason si umettò le labbra con la punta della lingua. Si sentiva stranissimo, non riusciva a mettere a fuoco il suo viso, la luce della struttura che aveva contenuto i bozzoli gli faceva dolere la testa, ma nel caos che sembrava ruotargli intorno c’erano due punti fermi. Due pozze di cristallo verde. Sospirando sollevò il capo quel tanto che serviva per avvicinarsi a quelle pozze e tremò nel sentire sulla bocca il respiro tiepido di lei. Alexandra... - Le circondò il collo sottile con entrambe le mani e usò i pollici per accarezzarle il labbro inferiore prima di attirarla verso di sé.

Il venerdì sera era sempre così… prima delle due il locale non chiudeva ed il gruppo era costretto a rimanere a suonare fino a che non se ne fosse andato l’ultimo cliente. Concentrarsi nel canto aveva richiesto un enorme sforzo perché il suo pensiero riandava continuamente agli strani eventi di quegli ultimi giorni, e solo per merito delle infinite prove tutto era filato liscio...
Infilò il giaccone e dopo aver salutato i colleghi montò sulla sua auto, avviandosi verso casa; lungo il tragitto dovette fermarsi un paio di volte per dei violenti capogiri. Cosa le stava accadendo? Possibile che fosse solo la tensione accumulata? Si appoggiò al sedile e chiuse gli occhi, forse era colpa di tutte quelle notti agitate e insonni, aveva soltanto bisogno di dormire… Improvvisamente, come nei suoi sogni, fu colpita da una serie di immagini: qualcuno era in pericolo… E quel qualcuno era sempre lui… “Non mi importa se sei in pericolo!” Stavolta non avrebbe fatto nulla per aiutarlo! Lui aveva provocato solo male e dolore, e non meritava la sua compassione...
Cominciò a cadere una pioggia torrenziale che sembrò scuoterla da quello stato quasi ipnotico, e dovette concentrarsi sulla guida per evitare che l’auto slittasse sull’asfalto bagnato.
Come un’interferenza, la sua figura continuava ad apparirle anche ad occhi aperti: le sembrava che chiamasse qualcuno, che chiedesse aiuto; la mente era occupata solo da quel pensiero e da quelle immagini. Inchiodò l’auto ed esasperata batté il pugno sul volante. Non poteva continuare così… lo sapeva, l’avrebbe perseguitata tutta la notte nei suoi sogni, fino a che non si fosse risolta ad agire!
Fu con molta difficoltà che riuscì ad arrivare davanti alla casa degli Evans.

Nonostante fossero passate diverse ore da quando si era coricato, Max era irrequieto. Si rigirò più volte nel letto senza trovare pace finché decise di scendere in cucina per prepararsi qualcosa che lo rilassasse un po’. Il temporale stava imperversando in tutta la sua potenza, e dalla finestra osservò la forza della natura, una cosa che lo affascinava sempre tantissimo. Ad un tratto notò un’auto fermarsi all’inizio del vialetto d’accesso e una persona scendere e correre fino alla porta per poi esitare prima di farsi avanti. “Chi diavolo può essere a quest’ora della notte?”
Aprì la porta di scatto senza lasciare il tempo alla ragazza di alzare la mano per bussare, e a quell’improvvisa mossa lei si spaventò.
Bagnata come un pulcino, i capelli che le gocciolavano intorno al viso evidenziandone lo strano stato di alterazione, lei sgranò i suoi grandi occhi. - Jason! - Lo osservò meglio socchiudendo le palpebre e concentrandosi. No… - Si portò una mano alla fronte premendola forte come per riacquistare lucidità. - Sei suo fratello? Sei come lui? - Si appoggiò barcollando allo stipite - Se ti dico cosa gli sta succedendo… non mi ucciderai? - Tremava sconvolta.
- Papà… è quella ragazza dell’altra mattina - Shiri, sopraggiunta nel frattempo alle spalle del padre, lo rassicurò sull’identità della sconosciuta.
- Ma che sta succedendo? - chiese Max inquieto voltandosi verso la figlia.
- Tuo fratello sta male… io credo che sia di nuovo in pericolo - Poi, come se il corpo non reggesse fisicamente quel che accadeva nella mente, si accasciò sprofondando in un sonno innaturale.
Shiri percepì suo padre contattare il fratello e non ricevere la rassicurante risposta mentale che entrambi aspettavano, sentì la sua collera crescere e cozzare contro il senso di sconfitta per le bugie di Jason e per la fiducia mal riposta. - Papà… mi dispiace… pensavo che ti avesse parlato di lei… -
Senza dire nulla Max sollevò la sconosciuta e la depose sul divano; si agitava come se delirasse ma non sembrava scottare, al contrario aveva la fronte piuttosto fredda e batteva i denti. Cercò inutilmente di scaldarla coprendola con il plaid che Shiri si era affrettata ad andare a prendere nella propria stanza, ma poi, vedendo che non smetteva di tremare, la ragazza fece ricorso ai propri poteri per asciugarle i vestiti ed i capelli. “Che stavi cercando di dirci? Cosa sai di Jason?”
Quasi in risposta alle sue domande, dalle labbra violacee della giovane presero a sfuggire alcune parole sconnesse il cui significato si fece a poco a poco più chiaro. - E’ tutto verde... in una grotta... quattro strani involucri... -
I due alieni si guardarono sconvolti intuendo all’istante a cosa si riferisse, e Max fece comparire immediatamente nelle proprie mani i due graniliti.

Alexandra si accovacciò con la schiena contro la parete, esausta. L’esperimento poteva dirsi riuscito, mentre faceva l’amore con lei Jason le aveva lasciato vedere dentro di sé, totalmente incapace di mantenere una sia pur piccola barriera fra di loro. Ed era stata una cosa terrificante. Era vero, Jason aveva soltanto un anno e mezzo di età, ma l’esperienza di qualcuno che aveva vissuto una vita intera... Aveva provato quello che lui aveva provato, l’affetto, il dolore, la disperazione, l’amore. Il desiderio. E tutto di un’intensità quasi violenta... Era stata inghiottita da quel vortice di emozioni, aveva risposto con altrettanta passione rivelando ogni sfaccettatura di se stessa, ed aveva ammirato i ghirigori di luce che il reciproco tocco creava sui loro corpi. Poi, di colpo, aveva sentito la mente di Jason ritrarsi, come spegnersi. Persino la sua pelle si era raffreddata. Così, senza alcun preavviso. Si era scostata da lui per osservarlo meglio ed aveva avuto paura. Perché i suoi occhi erano chiusi ed il respiro talmente rallentato da farle temere che si sarebbe interrotto da un momento all’altro. Lo aveva chiamato, dapprima piano poi sempre più forte, gli aveva dato degli schiaffetti sul viso divenuto cereo, aveva strofinato forte le sue mani nel tentativo di scaldarle, ed infine aveva lottato contro la sua inerzia per rivestirlo. Erano le tre del mattino e non sapeva più cosa fare... Adesso capiva perché Jason l’avesse supplicata di non farlo bere, ma era troppo tardi. Ormai era in coma ed era inutile chiedergli perdono...
***
Quel posto era al di fuori di ogni dimensione a lei conosciuta e la cosa principale che la colpì fu l’intenso freddo che penetrò il suo corpo facendolo rabbrividire.
La forte e strana luce violetta le feriva gli occhi impedendole di vedere con chiarezza, e solo pochi attimi dopo, quando si fu abituata, lo vide, o meglio, percepì la sua inconfondibile presenza.
- Shiri…. - mormorò lui sofferente - aiutami…. -
La ragazza si avvicinò sospettosa, sembrava stesse proprio male: era pallidissimo e sudava abbondantemente, gli occhi semichiusi. - Shiri… -
La voce era sempre più debole, e lei intuì che non gli restava ancora molto prima di esaurire la sua essenza. Gli si inginocchiò accanto.“ E se fosse un trucco? “ si chiese dubbiosa. “Se fosse solo un tranello per uccidermi?”
***

Alexandra si guardò intorno con un senso di impotenza. L’accesso alla caverna era stato reso possibile dagli strani poteri di Jason, e ora non c’era modo per lei di uscirne. Non aveva un cellulare a disposizione, e poteva solo sperare che prima o poi qualcuno si svegliasse e si preoccupasse nel non vederli tornare. Ma quanto ci avrebbero messo a capire dove si trovavano? E soprattutto, sarebbero arrivati in tempo per salvarlo?
Strinse le braccia intorno alle ginocchia, continuando a fissare il suo corpo immobile. Era stato così bello fino a poco prima, era stato così meraviglioso perdersi in lui, e adesso rimpiangeva amaramente ogni istante. Perché, forse, non ce ne sarebbero stati altri... Con un singhiozzo a stento trattenuto tornò carponi al suo fianco e gli accarezzò il volto. - Jason, per favore, rispondimi... - bisbigliò accorata. Cominciò a piangere.
Le lacrime scendevano copiose lungo le sue guance pallide e lei non cercò di trattenerle. Aveva bisogno di sfogarsi, aveva bisogno di liberarsi in qualche modo della paura che le serrava la gola, poi gli si sdraiò accanto e gli prese una mano fra le proprie. - Ti prego, dimmi che mi senti... Guardami... -
***
Non sapeva chi aveva davanti… Sapeva solo che la sua mente era così potente da interferire nelle sue percezioni e trascinarla dove lui voleva. Che cosa gli impediva di ucciderla con il più semplice dei suoi pensieri?
Il ragazzo continuava a lamentarsi debolmente e a chiamare la sorella.
Era lui la causa di tanta sofferenza… Doveva lasciarlo morire? Non era questo quello che suo padre e sua madre le avevano insegnato, e nemmeno il Consiglio degli anziani al suo villaggio…
Era sull’orlo delle lacrime e una paura folle la stava assalendo, aveva timore persino a sfiorarlo, ricordando il loro contatto precedente. La mente di lui avrebbe ripreso quel potente controllo sulla sua? - Ti prego, papà… Cosa devo fare? -
Ma nel proprio cuore conosceva già la risposta. Abbassò lo sguardo sul corpo esanime ed inaspettatamente si ritrovò a fissare due occhi velati che la scrutavano. - Potrei morire? - chiese, sapendo che nessuno avrebbe mai risposto a quella domanda… Lentamente si avvicinò e gli prese il viso fra le mani. Era freddo, molto freddo… troppo freddo, si rese conto terrorizzata. - Jason… - bisbigliò, - resisti, ti prego… resisti… - Come anni di esercizio le avevano insegnato svuotò la mente concentrandosi per far fluire la propria energia verso di lui.
***

Alexandra depose un piccolo bacio sul dorso della sua mano, e lentamente fletté il braccio verso l’alto fino a che le loro dita intrecciate si trovarono premute contro la tempia di Jason. - Mi dispiace per quello che ti ho fatto... Mi dispiace tantissimo... -

Shiri pensò che erano state poche le volte in cui non era riuscita ad unirsi mentalmente al fratello e quando era successo era sempre stato per qualche grave problema… Sembrava che qualcosa schermasse le sue facoltà, qualcosa che impediva il loro contatto. Poi ebbe un’intuizione. “La sua energia! ” realizzò annichilita. “Oddio, non sarà...?” Non ebbe la forza di completare il pensiero e, al colmo dell’angoscia, tornò accanto al divano e rimase a fissare la figura inerte della sua compagna di scuola. - Ti prego, svegliati! Dimmi cosa sta succedendo... - mormorò.
Gli occhi della ragazza si aprirono di scatto e videro puntato su di loro lo sguardo preoccupato di Shiri. - Ha bisogno di te! - Le catturò la mano, sprofondando di nuovo in uno stato di totale incoscienza.

Si curvò a baciarlo sulle labbra, stupendosi per la morbidezza e la docilità con cui cedettero sotto le sue, e ne assaporò il debole calore. Non si accorse della tenue luminosità dorata che si sprigionò intorno alle loro mani, ma ben presto si rese conto dell’intensificarsi del battito del cuore di Jason e con un ansito di gioia si sollevò a sedere. Jason! Santo cielo, Jason, rispondimi! - Gli accarezzò con dolcezza il viso. - Jason, guardami... - E quando lui sollevò infine le palpebre sorrise fra i lucciconi. Bentornato, amore... - sussurrò.
- Noi... ci siamo... ci siamo sposati? - chiese il giovane con voce un po’ malferma, la fronte corrugata nel tentativo di riafferrare frammenti di ricordi.
- Ehi, non correre troppo, adesso! - Alexandra gli passò la mano tra i capelli. - Che razza di sogni hai fatto mentre eri in coma? - cercò di scherzare.
- Io... ero in coma? -
- Già. Dev’essere stata una reazione a tutto l’alcol che ti ho costretto ad inghiottire, e credimi, mi dispiace davvero tanto... -
- Non... non importa... Allora... non siamo sposati? - chiese di nuovo.
- No, te l’ho detto! Senti, ne riparliamo fra qualche anno, ok? -
- Questo vuol dire che... che resterai con me ancora... qualche anno? -
La ragazza finse di pensarci su. - Mm, perché no? - Poi si chinò a baciarlo sulla fronte. - Ma adesso lascia che ti aiuti ad alzarti! Dobbiamo tornare a Roswell prima che tuo padre o lo sceriffo vengano a cercarci! -
- Ti ho fatto male? -
- Assolutamente no. Dai, appoggiati a me, su! - Alexandra lo sostenne con forza mentre si rimettevano in piedi e con un sospiro soddisfatto lo sospinse verso la parete. - Resta fermo lì! - Raccolse la coperta e la ripiegò alla buona prima di infilarla nello zaino, poi mise le bottiglie vuote nella busta di carta e ripose anche quella. - Ecco fatto! E adesso andiamocene prima che tu perda i sensi di nuovo! -
- No, non succederà più. Ormai ho superato la crisi. -
- Sarà come dici, ma io preferisco saperti in salvo a casa tua! -
- Resterai a fare colazione con me? -
- Se i tuoi non mi butteranno fuori a calci, d’accordo. -
- Loro non lo faranno mai. Sanno che ti amo... -
- Forse non lo faranno, è vero. Ma solo finché non sapranno cosa ti ho fatto questa notte. Perché glielo dirai, dico bene? -
- Sono i miei genitori, Alexandra. Loro... loro sanno tutto di me. Voglio che sappiano tutto di me. -
- Beh, la tua è di sicuro una famiglia molto strana, quindi... sì, forse è meglio che lo sappiano. Così, se non altro, se continueranno a permettermi di stare con te vorrà dire che mi hanno accettato davvero... -
- Amore, ti hanno già accettato. L’importante è che tu accetti loro -
- Uff... D’accordo, ci proverò! -
- Grazie... - Jason le sorrise e lasciò che gli passasse un braccio intorno ai fianchi. - E’ stata una notte grandiosa... -
- Oh, sì, davvero grandiosa! - Il sorriso con cui lei gli rispose si spense di colpo. - Almeno finché non mi sei quasi morto fra le mani... -
- Non sono “quasi morto”! -
- Beh, qualsiasi cosa ti sia successa sembrava dovessi morire da un momento all’altro, credimi... -
- Mi dispiace che ti sia spaventata, comunque ora è tutto a posto. -
- Sì, sì, va bene, adesso però apri questa maledetta parete e andiamo a casa, ok? -

Nell’entrare precipitosamente all’interno della grotta Max quasi si scontrò con il figlio, che ne stava uscendo.
Alle sue spalle, Michael osservò l’amico abbracciare Jason in preda al sollievo, poi il suo sguardo impenetrabile si spostò su Alexandra, rimasta qualche passo indietro.
- Stai bene? - chiese Max notando l’aria sofferente del ragazzo.
- Certo, papà. E’ tutto ok. - sdrammatizzò Jason sapendo di mentire.
- Allora torniamo a casa. Le spiegazioni possono aspettare... - Col viso ancora teso per l’ansia si volse e precedette i due giovani fino alla vettura, mentre Michael chiudeva la fila.
Quando Alexandra depose lo zaino sul sedile posteriore le bottiglie vuote sbatterono fra di loro ed il tintinnio del vetro risuonò forte nel silenzio della notte, attirando l’interesse di Max. Insospettito, si chinò a prendere lo zaino e lo aprì controllandone il contenuto. - Cosa significano queste? - chiese con voce fredda voltandosi a guardare dall’uno all’altra. Doveva averle portate lei, perché nessuno di loro beveva birra né alcolici in genere... Birra... Forse si erano ubriacati, quella notte? - Che diavolo avete combinato? -
Jason si schiarì la gola, in preda ad un profondo imbarazzo. - Era... per l’esperimento... - mormorò.
- Quale esperimento? -
- Quello che... che voleva fare... - Non terminò la frase, ma non ce n’era bisogno. Max aveva capito perfettamente.
- Ed è riuscito? - lo schernì.
- Credo... di sì - rispose lui, a disagio.
- L’avete bevuta tutti e due o soltanto tu? - domandò ancora, temendo la risposta.
- Solo io -
Le labbra serrate fino ad essere quasi bianche, l’alieno richiuse lo zaino.
- Papà, non è successo niente, te lo assicuro! Insomma, quasi. Mi sono sentito male, ma poi è passato e... -
- E allora? Volevi provare di essere un uomo? Beh, lascia che ti dica una cosa: si diventa uomini quando si impara a comportarsi responsabilmente! -
- E’ quello che sto tentando di fare! Voglio aiutare Alexandra a capire meglio chi sono e che non deve aver paura di me... -
- Sarà meglio che cerchi un modo più sicuro! - Max spostò la propria attenzione sulla ragazza, che fino a quel momento non aveva fiatato. - Ma se hai ancora bisogno di rassicurazioni vuol dire che in realtà non t’importa niente di lui, solo di te stessa... -
Quelle furono le ultime dure parole che uscirono dalla bocca di Max, e stranamente nemmeno Michael ebbe la forza di sfogare tutta la sua furia e la collera per quello che era successo.
- Dov’è la sua auto? - chiese Alexandra con voce bassa e incerta, dopo essersi guardata attorno ed essersi resa conto che non c’erano altri veicoli oltre al suo.
- Non siamo venuti in macchina -
La secca risposta di Max la lasciò per un attimo senza fiato, poi si sentì quasi obbligata ad offrirsi di riaccompagnarli.
Intuendo che il padre stava per rifiutare Jason lo precedette accettando l’invito con gratitudine, desideroso di restare ancora un poco insieme a lei.
Arrivati a destinazione, i due adulti scesero velocemente dall’auto e lui salutò la sua ragazza, promettendole di chiamarla al più presto.

Era ancora buio nonostante non mancasse molto al sorgere del sole, e fu soltanto mentre si avviava alla porta di casa che Jason si rese conto, dalle pozzanghere in terra, che aveva piovuto abbondantemente.
Shiri alzò lo sguardo sentendoli entrare e sospirò sollevata notando che il fratello, anche se non in perfetta forma, almeno sembrava star bene poi si rivolse al padre, un’ombra nei begli occhi scuri. - Papà… è così da quando te ne sei andato… - La sua mano teneva saldamente quella della ragazza quasi temesse di perderla, ancora in stato di incoscienza, pallida, il corpo tremante, la temperatura corporea molto bassa. Una sorta di strato bianco granuloso, come tanti minuscoli cristalli di ghiaccio, le ricopriva la pelle, sembrava quasi polvere lunare.
- Questa è un’altra delle piccole cose che mi hai nascosto - disse Max rivolgendosi seccamente al figlio. Con la coda dell’occhio vide Michael sprofondare nella poltrona in preda allo sconforto, la testa fra le mani, ed intuì quanto gli costasse controllarsi per non esplodere poiché provava la stessa identica cosa... - Quando pensavi di degnarti e fornirmi una spiegazione? -
Solo in quel momento, mentre si avvicinava esitante al divano, Jason ricordò quelle strane visioni e la creatura che lo aveva aiutato quando stava male, donandogli la sua energia per mantenerlo in vita fino all’arrivo della sorella. Aveva creduto fosse stato solo un sogno...
- Allora? Sto aspettando, Jason! -
Il ragazzo guardò il padre con aria colpevole e mortificata e gli spiegò brevemente il colloquio avuto qualche mattina prima nel giardino di casa. - Mi dispiace, papà, non volevo farti preoccupare ulteriormente… Ah, e... un’altra cosa... Prima di fuggire ha pronunciato la parola “nasedo”. -
Nel sentire quel nome Max e Michael trasalirono, poi quest’ultimo scattò in piedi ed afferrò Jason per le spalle scrollandolo. - Tu… stupido ragazzino!… Sei un vero e proprio idiota, accidenti! Ma ti rendi conto? Hai una pur vaga idea di quello che hai rischiato?!? -
Davanti alla sua espressione sperduta il padre sentì per un attimo il desiderio di slanciarsi in suo aiuto, tuttavia si costrinse a rimanere in disparte limitandosi a spiegare con tono severo chi fosse Nasedo. - Era stato mandato con noi per proteggerci. In realtà ci ha tradito e si è rivelato un assassino senza scrupoli. Il suo scopo era tornare su Antar e assumerne il controllo grazie ad un’alleanza segreta con Volnis. -
Jason ripensò al terrore della ragazza, al suo viso angosciato intravisto nel delirio mentre gli domandava “Potrei morire?” Aveva ignorato tutto per salvarlo e non si conoscevano nemmeno! Si volse a guardare il suo corpo ancora incosciente sentendo un groppo in gola. Con ogni probabilità non era stata nemmeno consapevole delle conseguenze del suo gesto... - Io... non ne avevo idea... - mormorò.
Sbuffando, Michael lo lasciò andare e lui quasi cadde a sedere su una poltrona vicina.
Nel frattempo Shiri aveva tentato varie volte con i suoi poteri di riscaldare la ragazza, senza molto successo. Papà, perché non funziona? -
- Non sappiamo che tipo di organismo sia. ¬Probabilmente si trova in questo stato perché non è in grado di gestirsi e ha disperso troppa energia - Max si voltò verso il figlio, sempre perso nei suoi pensieri. - Da quello che hai detto sembra che i suoi poteri siano più legati alla sfera mentale… -
- Lasciamola così - suggerì Michael con indifferenza, - e vediamo cosa succede... -
- Potrebbe morire! - lo guardò incredulo Max.
- Un problema in meno - borbottò il suo vice a denti stretti.
- Zio! - Shiri lo squadrò indignata.
- Era solo un’ipotesi! - si giustificò Michael.
“- Ma che ti sta succedendo? Fa’ qualcosa! E’ soltanto grazie a lei che ti ho raggiunto… -”
Il pensiero della sorella attraversò la mente di Jason riscuotendolo. A passi lenti si avvicinò alla ragazza e le sfiorò la fronte studiando quella strana sostanza luminosa che la ricopriva, poi affrontò lo sguardo del padre. Parleremo più tardi di quello che è successo alla grotta - disse per prevenire l’inevitabile chiarimento che lo aspettava, - ma ho la certezza che questa ragazza mi abbia salvato la vita… Dobbiamo tentare qualcosa… insieme… -
Dopo un lungo significativo scambio di sguardi, i quattro alieni unirono le loro forze e si concentrarono sulla giovane. Far scomparire lo strano strato di impalpabili cristalli richiese molte delle loro energie e finalmente la giovane donna sembrò riacquistare un colorito più normale e una respirazione tranquilla.
- Riposiamo qualche ora… Siamo tutti sfiniti! - Max prese la figlia per mano e si avviò verso la scala che portava alle camere da letto. - Grazie per l’aiuto, Michael, torna pure a casa. Ci vediamo domattina... Jason? -
- Resto qui! - I due risposero simultaneamente, e si guardarono in cagnesco. Jason non aveva digerito la strapazzata dello zio e non gli andava di lasciare la ragazza lì con lui, era certo che l’avrebbe aggredita appena sveglia.
- Io voglio interrogarla prima possibile! - confermò infatti Michael buttandosi di traverso sulla poltrona e sistemandosi i cuscini sotto la nuca.
Senza dire una parola l’altro si accovacciò sul pavimento appoggiandosi con la schiena al bordo del divano.
Max li guardò esasperato. - Fate come vi pare, ma cercate di non combinare ulteriori guai! -

Liz scostò le coperte e attese che il giovane le si sdraiasse accanto, dopodiché gli passò una mano dietro la nuca e gli diede un bacio leggero sulle labbra.
- Mi dispiace averti svegliata... - mormorò lui stringendosela al petto.
- Non dire sciocchezze... - lo rimproverò. - Allora? Perché eri così agitato, prima? -
Con un sospiro Max reclinò la fronte sul suo capo. - Si trattava di Jason - disse piano. Poi, sforzandosi di mantenere un tono di voce calmo, le riferì tutto quanto.
Quando ebbe finito Liz era vicina ad una crisi di nervi. - Non può andare avanti così... - bisbigliò tremando.
- Lo so. Me ne occuperò più tardi. Adesso cerca di non pensarci... - Le baciò i capelli e l’accarezzò gentilmente sulla schiena.
Alla ragazza sfuggì un lamento sordo. - Come faccio? Mio dio, non c’erano già abbastanza problemi? Possibile che Jason non capisca la follia di tutto questo?!? -
- Evidentemente no... - rispose lui sommesso.

Aprì gli occhi e una fitta lancinante le trapassò la mente. La luce filtrava dalla finestra e tentò di sollevare la testa. Non riuscendoci, si volse di lato ed incontrò gli occhi di Jason a pochi centimetri dai suoi.
- Non avere paura... -
Lei scosse lentamente il capo, sistemandosi sul fianco per vederlo meglio. - Dove eravamo quando c’era tutto quel freddo? - gli domandò con un’espressione confusa.
- In un posto lontano… - Deglutì a disagio ricordando quelle spiacevoli sensazioni.
- Come ti senti, adesso? - chiese premurosa vedendo lo smarrimento sul suo viso.
- Meglio… grazie a te! E tu? -
La ragazza si portò una mano alla fronte. - Intontita, come se dovessi smaltire una sbornia… - Tentò di mettersi a sedere ma, rendendosi conto di essere molto debole, con cautela si fece aiutare e aspettò che il suo corpo si abituasse al cambio di posizione. Starnutì diverse volte e Jason le porse delle salviette di carta. Lo studiò attentamente. - Tu non sei Nasedo? - Al suo cenno di diniego proseguì: - Perché riesci a controllare in maniera così profonda la mia mente? -
- Credo che dovremmo fare una bella chiacchierata… -
Svegliato dal bisbiglìo delle loro voci Michael aprì gli occhi e, alla vista della ragazza, balzò in piedi cominciando a tempestarla di incalzanti domande e sfogando al contempo la propria rabbia contro Jason.
La poveretta, impaurita, si rannicchiò in un angolo del divano proteggendosi con la coperta e, mentre i due continuavano a discutere, vide scendere dal piano superiore gli altri abitanti della casa. Timorosa, si alzò barcollando e tentò di uscire quando Michael, con un gesto della mano, ricorse ai propri poteri per bloccare la porta. Lei si guardò attorno smarrita. - Vi prego… non fatemi del male! - Gli occhi le si riempirono di lacrime e Shiri, lanciato uno sguardo di rimprovero allo zio, fu svelta ad andarle incontro per tranquillizzarla poi la accompagnò in bagno per permetterle di sistemarsi.
Dall’interno della stanza, mentre tentava di rimediare ai segni lasciati da quella notte infernale sul suo viso, sentiva la discussione proseguire. Era debolissima, le girava la testa e ogni tanto qualche ondata di nausea le annebbiava la vista; questo non le impedì di agitarsi al pensiero di ciò che poteva aspettarla là fuori. Sembrava che ci fossero più persone di quante si aspettasse… Jason le aveva detto di non essere pericoloso, ma chi le garantiva che non lo fossero gli altri?

Max squadrò l’amico con malcelata ira. - Speravo che almeno tu riuscissi a dimostrare un po’ di buonsenso, visto che Jason sembra esserne completamente sprovvisto! -
- Mi sono limitato a farle delle domande! Sono convinto che ci nasconda qualcosa di grosso o non avrebbe avuto quella reazione! - protestò Michael.
- Immagino come gliele abbia fatte, quelle domande!... -
- Certe volte è l’unico modo per ottenere le risposte - Così dicendo lanciò un’occhiataccia al nipote, che lo ricambiò con un’espressione di sfida sul viso arrossato per l’imbarazzo.

La ragazza raccolse i lunghi capelli in un'unica treccia per tenerli in ordine e si appoggiò al lavandino, rimanendo in ascolto: sentì le voci abbassarsi di tono così si fece forza e si decise ad uscire. In effetti erano tutti seduti in soggiorno e la situazione sembrava ritornata sotto un minimo di controllo.
Shiri le andò nuovamente incontro e la invitò a sedersi. - Bevi questo - le disse porgendole una tazza di caffè, recupererai un po’ di energia… -
Lei la prese ma l’odore le fece venire un altro attacco di nausea. - Mi dispiace… - la posò di nuovo sul tavolo.
La sua aria stanca e smarrita toccò il cuore di Liz, soprattutto perché sapeva che la causa di quel malessere era suo figlio. Con un sorriso preoccupato le versò del tè. - Forse questo andrà meglio… -
La ragazza ne bevve un paio di sorsi, che le riscaldarono lo stomaco, e sentì su di sé lo sguardo di tutti. La stavano studiando, ma sembrava che nessuno avesse il coraggio di cominciare.
- Come ti chiami? - chiese ad un tratto Michael prendendo in mano la situazione.
- Sha Nee Kee, nella mia lingua, però Shanee è molto più facile… Shanee Blackhawk. -
Il suo sguardo penetrante sembrò trafiggergli la mente. L’alieno avvertì una strana sensazione, perdendosi per un attimo in quegli incredibili occhi che lo fissavano curiosi e impauriti nello stesso tempo. - Ok, Shanee… Vogliamo solo capire… Perché sei venuta a cercare Jason? -
- Ho avuto delle premonizioni… è una cosa che mi succede con le persone con cui ho un legame, anche se in effetti noi non ci conosciamo. Dovevo avvertirlo che stava rischiando la vita… lui ha detto di non credermi… -
- Se non lo conosci perché riesci a contattarlo? - incalzò Michael. La ragazza avvertì la sua crescente aggressività e si volse a cercare Jason con lo sguardo, come a chiedere sostegno.
- Non sono io… la sua mente è potente… lui… noi… abbiamo visto… - Posò incerta lo sguardo sulle mani che aveva in grembo.
- Chi te lo ha dato, questo? - Michael le prese la mano per osservare meglio l’anello che portava al dito ed il colore delle pietre si intensificò. La lasciò quasi subito come se si fosse scottato, colpito dai flash
***
Qualcuno che lo abbraccia e gli dice angosciato: - Rath, tuo padre è morto! -
Il suo corpo che fa da scudo e viene colpito a morte
Con Max, Isabel e River Dog nel bosco, quando trovano il simbolo luminoso
Con Isabel davanti alla biblioteca, intento a riprodurre lo stesso simbolo per richiamare l’attenzione del mutaforma
***

La ragazza scattò in piedi e lo guardò spaventatissima.
- Nessuno ti farà del male - la rassicurò Max, notando preoccupato l’espressione confusa del suo braccio destro. Lei gli si avvicinò cauta. - E’ Nasedo? - chiese indicando con la testa Michael.
- No!… - Le sorrise gentilmente per tranquillizzarla. - Come sai di Nasedo? -
Cercò di farsi coraggio. - Allora... sei forse tu Nasedo? - Prima che potesse prevenire la sua mossa la piccola mano di Shanee gli sfiorò timidamente il braccio e l’anello scintillò per la terza volta, com’era già avvenuto con Jason e Michael.
***
- Resisti Zan! non morire… - qualcuno che lo solleva e lo trasporta verso una navetta
I suoi occhi velati dal dolore che vedono Rath a terra e, poco distanti, la sorella e Ava senza vita
Con Michael, Isabel e River Dog nel bosco, quando trovano il simbolo luminoso
Il risveglio nel deserto insieme a Liz, dopo aver rinvenuto il granilite
***

Lo sguardo della ragazza passò lentamente in rassegna i tre uomini con cui aveva scambiato quelle drammatiche immagini mentali e una lacrima solitaria le rigò la guancia. - Voi… siete come me?! -
Rimasero tutti in un silenzio attonito, aspettando la sua mossa; lei si asciugò il viso con il dorso della mano e fissò il suo anello. Un sorriso gentile e luminoso trasformò completamente la sua espressione poi, con il dolce accento di quel mondo lontano e la voce roca per l’emozione, chiese: - Chi di voi è Zan, Sovrano di Antar? -

Scritta da Elisa e Shanti


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