Roswell.it - Fanfiction

LA MAGIA DI UN TOCCO


Riassunto: Nelle loro mani è racchiuso un potere immenso. Quello di guarire. Le sofferenze del corpo, e quelle del cuore...

Data di stesura: dal 21 febbraio al 29 maggio 2004.

Valutazione: adatto a tutti. Beh, insomma, magari i bambini è meglio che leggano qualche altra cosa...

Diritti: Tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it.

Indirizzo e-mail: ellis@roswellit.zzn.com


Quando Max, seguito dai figli e da Michael e Loral, fece il suo ingresso nella sala riunioni privata Rodhya e Thien Anders si scambiarono un rapido sguardo mentre Ray Hansell rimase immobile, quasi sull’attenti.
I tre uomini erano diventati molto amici, uniti dal comune desiderio di aiutare il loro sovrano nel difficile compito di governare Antar, un mondo ancora in fase di assestamento sia dal punto di vista economico sia, soprattutto, da quello politico, ed avevano preso l’abitudine di incontrarsi in maniera informale per discutere di tutto ciò che richiedeva una maggiore attenzione.
E la questione più recente, quella che, secondo il loro giudizio, doveva aver convinto Zan a tornare, era il tradimento di Jender Khar, scoperto in seguito all’incredibile arrivo del maggiore Rostad e del sottotenente Dewi all’ospedale militare della capitale. Nessuno, fino a quel momento, aveva infatti mai sospettato l’esistenza di una base sulla Terra, né tantomeno il ruolo rivestito dall’aristocratico.
La base sottomarina esisteva già quando vi si erano insediate le prime truppe antariane. Erano soldati scelti, inviati su quel lontano pianeta per volere della regina stessa quando erano cessati i contatti con l’astronave che trasportava il materiale genetico dei reali.
L’aver trovato quella struttura aveva semplificato enormemente il compito dei militari, che si erano subito dati da fare per organizzare le ricerche senza tuttavia riuscire ad ottenere risultati di rilievo.
Nell’arco di una ventina d’anni l’intero organico era stato sostituito nella sua totalità due volte, dopodiché i ricambi erano stati parziali ed in apparenza legati alle esigenze di rinnovo del personale.
Il maggiore Anja Rostad era arrivato sulla Terra quando Max ed i suoi compagni non erano ancora usciti dai bozzoli, e col passare del tempo si era reso conto di un sottile cambiamento intervenuto all’interno della base ed aveva cominciato a tenere d’occhio il nuovo comandante, Myrian Dragomir. Allorché Zan e la sua regina erano stati fatti prigionieri aveva capito, suo malgrado, di non essersi sbagliato. E aveva fatto tutto quel che poteva per aiutarli. Degli uomini sulla cui fedeltà aveva potuto contare era sopravvissuto solo Dewi, e questo aveva un po’ offuscato la soddisfazione di essere riuscito a proteggere i reali.
Quando lui ed il sottotenente si erano ritrovati nel centro operativo sul loro pianeta madre lo stato di abbandono dell’intera postazione li aveva convinti del fatto che Volnis avesse sconfitto definitivamente il Consiglio. Avevano riflettuto a lungo sulle mosse da fare ma poi le condizioni fisiche in cui versavano li avevano costretti a tentare comunque di raggiungere l’ospedale militare della vicina capitale. La relativa facilità con cui erano riusciti ad arrivare alla meta non aveva convinto del tutto Rostad, reso guardingo dal subdolo tradimento di Dragomir, e si era mantenuto molto cauto nel trattare coi medici subito intervenuti per soccorrerli limitandosi a fornire i soli dati di riconoscimento, con la speranza di non avere in questo modo firmato la loro condanna a morte.
Soltanto qualche giorno dopo, quando ormai avevano cominciato a riprendere le forze, i due uomini avevano ricevuto la visita del responsabile dell’ospedale e, sia pure con una certa riluttanza, avevano rivelato la loro provenienza.
Anders, subito avvertito, aveva sottoposto personalmente Anja Rostad ad un nuovo interrogatorio, e aveva dovuto faticare per mantenere un ferreo autocontrollo mentre ascoltava il suo accurato rapporto.
Fino a quel momento, infatti, Rostad aveva riferito il minimo indispensabile su di sé ed il suo compagno, ma Thien Anders lo aveva colto di sorpresa. Era ancora giovane per l’incarico che rivestiva tuttavia i suoi modi autoritari e pacati, mai arroganti, nonché l’acuta intelligenza mostrata nelle domande rivoltegli, gli avevano ben presto fatto capire di avere davanti la persona giusta cui rivelare ciò che era accaduto.
All’uscita dall’ospedale, ancora sconvolto da quel che aveva saputo, il generale si era recato nel palazzo del Consiglio per incontrare Rodhya e Hansell.
Non ci era voluto molto per risalire a Jender Khar, ma i due emissari mandati per prelevarlo e scortarlo nella capitale erano stati uccisi, ed ogni ulteriore tentativo di catturarlo era andato a vuoto dato che l’uomo, sapendosi scoperto, aveva organizzato un perfetto sistema difensivo che aveva trasformato il suo territorio in un impenetrabile campo di guerriglia.

L’impassibilità con la quale Max e gli altri accolsero il suo resoconto fece comprendere ad Anders di avere indovinato. Il motivo della presenza del sovrano era proprio Jender Khar!
Fu invece una novità, per lui, venire a sapere della nave di supporto del cui equipaggio aveva fatto parte Loral Deemar, e così pure per Rodhya, che scosse lentamente la testa. La necessità di mantenere segreto il tentativo estremo della regina di Antar di salvare il proprio pianeta grazie alla duplicazione del legittimo erede al trono aveva creato non pochi problemi e, soprattutto, rischiato di causare la morte definitiva dello stesso Zan.
- E il sistema di teletrasporto utilizzato nella base sottomarina? Nessuno di noi ne era al corrente... - domandò Michael dopo che Max ebbe terminato di spiegare le origini di Loral.
- A quanto pare si tratta di un meccanismo messo a punto in via sperimentale da uno dei maggiori studiosi di energia di tutto il pianeta. Venne trucidato con altri suoi colleghi poco dopo l’aperta invasione di Volnis, ma come d’abitudine aveva consegnato copia delle registrazioni del progetto alla biblioteca privata del re, e successivamente la regina deve averla affidata al comandante della base sperando che potesse essere d’aiuto per rintracciare i reali. -
- E dal momento che sia la biblioteca sia la base non esistono più questo progetto è andato perduto... Mm, devo dire che, tutto sommato, la cosa non mi dispiace. Non è prudente sventolare colonne luminose di energia sotto il naso dell’FBI... - Michael fece una smorfia, e Max se ne accorse. - La penso esattamente come te - mormorò fra i denti. Cercò poi di rilassarsi contro lo schienale della sedia. - Bene, adesso vediamo di trovare un modo per fermare Khar... -

Tanya diede di gomito a Sabrina e col mento accennò alla fila di armadietti davanti a loro.
Nel vedere il piglio deciso con cui Alexandra infilava i libri nello zaino la ragazza emise un sospiro sconfortato. - Non le è ancora passata, eh? -
- Sembra proprio di no. Dai, andiamo... -
Quando furono vicine alla ragazza Tanya si aggiustò la cinghia della tracolla che aveva in spalla. - Ehi, nessuna novità? -
Alexandra richiuse con forza l’armadietto. - No - Si voltò verso le amiche con una smorfia. - Ma chi ha bisogno dei ragazzi? -
- Beh, dei ragazzi in genere no, ma forse tu e Jason... - Davanti all’espressione quasi truce dell’amica Sabrina tacque bruscamente tuttavia Tanya, più decisa, continuò al suo posto. - Eri molto rilassata, quando stavi con lui, serena, di buon umore. Ce ne siamo accorti tutti -
La ragazza si strinse nelle spalle con indifferenza. - Siamo stati insieme, come dici tu, soltanto dieci giorni. Un po’ pochini per poter fare un’affermazione del genere, non credi? -
Tanya sollevò le sopracciglia finemente arcuate. - Sarà... Comunque resta il fatto che adesso non esci più neppure con Roger. Sei diventata una vera pantofolaia! - l’accusò.
- Vorrei farti presente che ho diciassette anni e frequento ancora il primo senior. Ho perso due anni di scuola, e se voglio rimettermi in pari devo studiare. Studiare, capito? -
- Sì, sì, ho capito. Bene, allora va’ pure, non ti disturberemo più coi nostri inviti! Peccato, però, perché stasera avevamo in programma di andare a vedere l’ultimo episodio del Signore degli Anelli... Ma hai ragione, è meglio che rimanga a casa a fare i compiti: non vorrei che per colpa nostra rischiassi di prendere una B nel compito di storia della settimana prossima!... -
- Tanya, io... -
- No, Alex - la interruppe lei, - il comportamento di Jason ti brucia, e lo capisco benissimo. Però non c’è alcuna ragione per cui tu debba prendertela in questo modo! In fin dei conti ha solo quindici anni, è un adolescente, e si sa che gli adolescenti non sono le persone più affidabili del mondo... -
- Anche noi siamo adolescenti. - obiettò la ragazza, ora divertita.
- I ragazzi maturano più lentamente delle ragazze - spiegò Sabrina, che aveva ritrovato la voce.
- Già, hai ragione. Prendi per esempio Frankie Gore: ti pare normale continuare a mangiare lecca lecca alla sua età?!? -
Alexandra guardò le sue amiche e scosse piano la testa. - Siete davvero incredibili... - mormorò.
Tanya le sorrise con affetto. - Jason non è l’unico ragazzo carino della Roswell High, e prima o poi tornerà e tu potrai decidere come fargliela pagare... -
Stavolta la ragazza scoppiò a ridere. - Hai ragione. Hai detto l’ultimo episodio del Signore degli Anelli? -
Tanya annuì, e Alexandra fece finta di riflettere. - Mm... Ok, sarò dei vostri! -
- Grande! -

Per l’ennesima volta Liz si diede della vigliacca ma proprio non se la sentiva di avere i genitori in giro per casa, le sembrava sempre che da un momento all’altro se ne dovessero uscire con qualche osservazione su come era arredata, oppure sul fatto che non fosse abbastanza in ordine, o peggio ancora sulla prolungata e poco chiara assenza di Max, di Shiri e di Jason. Così, nonostante il vento gelido e la pioggia battente che ormai da alcune ore imperversavano sulla città, varcò la soglia del Crashdown e, salutando con un sorriso un po’ forzato le ragazze impegnate a servire ai tavoli, spinse il passeggino fino ai locali privati. Ciao, mamma, papà... -
- Liz, tesoro, sei arrivata! Con questo tempaccio pensavo che avresti rinunciato a venire, ma sono davvero contenta di vederti! - Nancy Parker abbracciò felice la figlia poi si chinò a baciare i nipotini. - Vieni, ho appena sfornato una torta e messo il bollitore sul fuoco. Credo che ti farà piacere qualcosa di caldo... -
- Sì, certo, grazie, mamma. - La ragazza sollevò Claudia dal suo seggiolino e le tolse il berretto di lana e la tuta in cui l’aveva avvolta prima di uscire dall’ospedale. - Ecco fatto, e adesso alleggeriamo anche Ethan o finirà col soffocare! -
- Ho preparato una coperta per loro di là in soggiorno. Tu va’ pure, io ti raggiungo non appena è pronto il tè... -
- D’accordo - Liz fece come le era stato suggerito, e suo malgrado si sentì commuovere quando vide venirle incontro il padre. - Ciao, Liz! E come stanno questi due angioletti? -
- Ciao, papà. - Salutò l’uomo con un affettuoso bacio sulla guancia poi, notando il desiderio nei suoi occhi, gli porse Claudia. - Tieni, prendila pure! Stanno crescendo in fretta e tenerli tutti e due in braccio comincia a diventare piuttosto faticoso... -
- Oh, sì, lo vedo! Sono davvero splendidi... -
- Sì, per fortuna hanno una salute di ferro - La ragazza si preparò mentalmente ad un pomeriggio di chiacchiere amene. Non era facile, per lei, fingere che le cose andassero bene quando in realtà si macerava al pensiero di Max e dei figli, ma non c’era altro che potesse fare. Aveva dovuto inventarsi una vacanza studio in Europa per Shiri e Jason, con Max come solo accompagnatore dato che a lei non erano state concesse le ferie, e non era del tutto certa che i genitori le avessero creduto. L’importante, in ogni caso, era che avessero smesso di tormentarla con le domande perché dubitava che sarebbe riuscita a mantenersi calma se le avessero chiesto di nuovo quando sarebbero tornati... Al preside, invece, aveva detto che erano partiti con il padre e che sarebbero stati via alcune settimane, e sul volto dell’uomo era comparsa un’espressione tra il seccato ed il rassegnato. Chiaramente non approvava quell’inopportuna prolungata assenza da scuola, ma se solo avesse potuto immaginare quanto non la sopportasse lei per prima!...
Alla fine, comunque, il pomeriggio trascorse piacevolmente e si lasciò convincere a trattenersi anche a cena. In fin dei conti l’aspettava soltanto una casa vuota e fredda. Che fretta c’era di rientrare?

- Signora Evans! Salve! - Linda Kransick sorrise alla donna bionda, che la fissò con evidente sorpresa. Ci conosciamo? - chiese perplessa.
- No, a dire il vero no. Mia nipote va a scuola con i suoi figli... - Davanti allo sguardo sconcertato di lei si affrettò ad aggiungere: - Sono la zia di Alexandra Cooper. Mi chiamo Linda, Linda Kransick -
- Ehm, salve, ma... ecco... veramente i miei figli sono entrambi laureati. Credo che abbia sbagliato persona... -
A quelle parole Linda Kransick corrugò la fronte. - Eppure Alexandra mi aveva detto... -
- Guardi, le assicuro che i miei ragazzi non vanno più al liceo da un bel pezzo! - Diane la guardò con simpatia. - Mi dispiace. Buongiorno... -
La donna rimase a guardarla allontanarsi mentre sul viso le si dipingeva un’espressione preoccupata. Terminò in fretta di sbrigare le commissioni che l’avevano portata in città poi tornò a casa e andò in cerca della nipote. - Alexandra! -
Nell’udire il suo tono ansioso la ragazza lasciò cadere la penna sul quaderno e raggiunse la zia nel soggiorno. - Sì? Che c’è? -
- Alexandra, lo sai che io tengo molto a te e, anche se qualche volta hai avuto l’impressione del contrario, ho cercato di darti tutta la libertà di cui avevi bisogno. Ma sappiamo entrambe in che razza di pasticci ti eri cacciata a Los Angeles, e non intendo vederti nuovamente nei guai... -
- Zia, di che diavolo stai parlando? -
- Ho scoperto che mi hai detto delle bugie a proposito dei compagni di scuola che frequenti. E questo, Alex, non depone a tuo favore. Roswell è una piccola città tranquilla però perfino qui ci sono persone poco raccomandabili, e se dovessi venir sorpresa anche solo con una dose di droga addosso lo sai cosa succederebbe, vero? -
Cominciando a sentirsi arrabbiata la ragazza incrociò le braccia davanti al petto e la fissò freddamente. Non mi sono più drogata dopo la disintossicazione. E nessuno dei miei compagni ha mai visto neppure una canna -
- Io non so chi siano, non conosco le loro famiglie, e non mi fido -
- Davvero? Eppure ti è capitato di parlarci al telefono, qualche volta, e non credere che non mi sia accorta del terzo grado che gli facevi... -
- Mi avevi detto di essere in classe coi figli di Phillip Evans, ma oggi ho incontrato sua moglie Diane. A quanto pare i loro figli sono laureati. Non è vero che frequentano la Roswell High!... -
- Cosa?! - Alexandra spalancò gli occhi incredula. - Zia, non è possibile! Ti giuro che... -
- Alex, se osi inventare altre storie come questa credimi: andrò subito a parlare col giudice! -
- No, zia, davvero! Jason e Shiri Evans sono miei compagni! Forse... forse ci sono altri Evans... Forse...
- C’è solo una famiglia Evans, sull’elenco telefonico - replicò la donna con voce piatta.
Come una furia Alexandra si precipitò all’ingresso e prese la guida scorrendola rapidamente. - E’ vero... - mormorò, poi scosse sorpresa la testa. - Ma questo non è il loro indirizzo! Loro abitano in South Lea Avenue! -
Non del tutto convinta Linda si avvicinò alla nipote e controllò a sua volta. Sbuffando, le tolse di mano la guida e andò verso il telefono.
“- Casa Evans. Chi parla? -”
Nell’udire la voce femminile riattaccò di colpo e si volse a guardare Alexandra con aria di condanna.
- Aspetta! - La ragazza le prese il ricevitore e compose un numero che ormai conosceva a memoria dopodiché, senza attendere risposta, lo avvicinò al suo orecchio.
“- Pronto? -”
Colta alla sprovvista Linda si schiarì la gola. - Scusi, è la signora... la signora Evans? -
“- Sì. Chi è all’apparecchio? -”
- Buona sera, sono la zia di Alexandra Cooper. Volevo parlare con sua figlia. E’ in casa? -
All’altro capo del filo ci fu una breve esitazione, poi la voce riprese a parlare sommessa. “- No, mi spiace. Posso esserle d’aiuto? -”
In piedi accanto alla donna Alexandra aveva potuto seguire tutta la conversazione e, con una smorfia di trionfo, le sottrasse il ricevitore. - Salve, signora, sono Alexandra. Senta, io... - giocherellò col filo del telefono pensando freneticamente ad una scusa plausibile - Io avrei bisogno di riavere alcuni appunti che avevo prestato a Jason qualche tempo fa. Potrei venire a prenderli? -
“- Alexandra! Ciao! Sì, certo, vieni pure quando vuoi. -”
- Grazie, allora ci vediamo più tardi. Salve - Soddisfatta, depose il microfono e tornò a fissare la zia. Mi credi, adesso? -
In preda all’imbarazzo e alla confusione Linda Kransick andò a rimettere a posto l’elenco telefonico. Scusami. Il fatto è che quando la signora Evans mi ha risposto in quel modo mi sono sentita morire... -
- A quanto pare ci sono due signore Evans, anche se sull’elenco ne è riportata una soltanto. Però avrei preferito che tu avessi avuto almeno un dubbio, invece ti sei subito scagliata contro di me! Mi sono sempre comportata bene, da quando sono arrivata a Roswell, e a scuola sono tra le migliori! -
- Tesoro, lo so, ma sono molto preoccupata per te... E’ vero, durante questi mesi sei stata bravissima, solo che nelle ultime settimane sei... sei cambiata. Sei diventata quasi scontrosa, e... non so, temevo che fosse successo qualcosa... -
Alexandra chiuse per un attimo gli occhi. Era vero, da quando Jason era sparito dalla circolazione senza più dar segno di sé era diventata piuttosto nervosa, ma credeva di averlo nascosto bene. Evidentemente sua zia non si era lasciata ingannare dalle apparenze... E in fin dei conti le aveva sempre mostrato il suo affetto... - Scusami, hai ragione. Il fatto è che io e Jason... - Scrollò le spalle e le sorrise con tristezza. - Ci eravamo messi insieme, poi lui è partito e... Mi manca, tutto qui - ammise.
La donna la guardò cautamente. - Sei... incinta? - domandò piano.
- No. Prendo la pillola per mantenere regolare il ciclo, ricordi? No, non aspetto un bambino, ma sono arrabbiata con Jason perché non mi ha mai chiamata, neppure una volta! -
- Allora lascialo perdere. Evidentemente non fa per te... - cercò di consolarla lei.
- Già - Alexandra non aggiunse altro. E come avrebbe potuto? Come poteva dire alla zia che la sola idea di non fare più l’amore con Jason la faceva star male? Come poteva dirle che quando la teneva fra le braccia e la baciava aveva l’impressione di volare fra le stelle? Come poteva dirle che senza di lui le sembrava che il mondo avesse perso la sua luce? Scuotendo malinconicamente la testa andò a cercare le chiavi della macchina. - Vado a prendere quegli appunti... - mormorò.
Una volta giunta davanti alla graziosa villa in cui abitavano gli Evans Alexandra rimase per un po’ a guardare le finestre illuminate del pianterreno. Pioveva ancora molto forte e non aveva alcuna fretta di lasciare il relativo tepore dell’auto per affrontare quel muro d’acqua... Attese quasi un quarto d’ora poi si fece coraggio e, tiratasi su il cappuccio della giacca a vento, afferrò l’ombrello. Quando arrivò alla porta d’ingresso emise un fischio sommesso. - Accidenti, che roba! - Agitò l’ombrello prima di chiuderlo ed appoggiarlo contro la parete dopodiché suonò e tese l’orecchio per cogliere il rumore dei passi che si avvicinavano.
Liz Evans l’accolse con un dolce sorriso sulle labbra e un peluche in mano. - Vieni, entra pure! -
Alexandra la scrutò attenta. Era così strano pensare a lei come alla madre di Jason e Shiri... Era talmente... piccola... di altezza, oltre che di età... Doveva essere sul metro e sessanta, quasi venti centimetri meno di lei, e sembrava un’adolescente... Si rese conto delle linee di tensione attorno alla bocca e si domandò se fossero dovute alla lontananza del marito. Una volta Shiri le aveva detto che i suoi genitori erano molto legati, e probabilmente doveva pesarle essere rimasta sola coi bambini più piccoli...
- Posso offrirti qualcosa? Magari del tè? Sei bagnata fradicia... -
- Sì, in effetti un po’ di tè andrebbe benissimo, grazie. -
Liz le indicò la trapunta su cui Claudia e Ethan stavano giocando. - Perché non ti togli le scarpe e vai da loro? Se vuoi vado a prenderti dei calzettoni asciutti... -
- La ringrazio ma sto bene così. Comunque credo che mi leverò le scarpe e andrò a fare compagnia ai gemelli. -
- Perfetto! Torno subito! -
Di lì a pochi minuti, come promesso, Liz arrivò con un vassoio su cui aveva disposto le tazze, la zuccheriera, un piatto colmo di biscotti e i tovaglioli di carta. - Ecco qua, qui ci sono latte e limone - Indicò due piccoli contenitori bianchi. - Non sapevo cosa preferissi così li ho portati entrambi... -
- Non doveva disturbarsi, signora... - Alexandra le sorrise gentilmente, e lei ricambiò il sorriso. - Ti prego, chiamami Liz. “Signora” mi fa un certo effetto... -
In quel mentre Ethan cominciò ad agitare una manina verso l’alto. - Jay! -
Liz si chinò sul bimbo e gli diede un bacio sulla fronte. - Cosa c’è, tesoro? -
Ethan emise un allegro gorgoglìo. - Jay! Jay... - Tese entrambe le braccia ridendo contento, e la ragazza gli prese con dolcezza le piccole dita. - Che hai, amore? -
Il piccolo la guardò dondolando la testa. - Jay! - disse ancora, due deliziose fossette sulle guance tonde.
- Ho capito, ti piace la parola jay... - lo prese affettuosamente in giro lei.
In quel mentre si udì un tonfo sordo e Liz alzò di scatto il viso. - Cosa...? -
- Jay! - ripeté Ethan soddisfatto, e stavolta la ragazza comprese. - O mio dio! - Lasciò andare le manine del figlio e si precipitò al piano di sopra, seguita dallo sguardo sconcertato di Alexandra.
Tranquillamente seduta fra i suoi amati cubi di gomma Claudia continuò a costruire torri sbilenche poi prese uno dei tanti peluche sparpagliati accanto a lei e lo lanciò al fratello. - Jay... - disse imbronciata.
Nel frattempo, saliti i gradini a due a due, Liz era arrivata nella camera del figlio maggiore e gli occhi le corsero subito allo scaffale semivuoto poi ai libri ammucchiati per terra. E al corpo inerte di Jason. - No! - Il suo grido disperato attirò l’attenzione di Alexandra, che fece per slanciarsi verso le scale ma venne trattenuta dall’improvviso scoppio di pianto di Ethan. - Ehi, piccolino, che ti è successo? -
Poiché il bimbo continuava a piangere non ebbe altra scelta se non quella di stringerselo al petto e cullarlo nel tentativo di tranquillizzarlo, ma i suoi occhi continuavano ad andare al soffitto. - Liz? Tutto bene? - gridò ad un tratto, impensierita dal prolungato silenzio.
La risposta giunse dopo un bel pezzo, attutita dalla distanza, e sentendosi vagamente spaventata Alexandra mise giù Ethan, che ora aveva quasi smesso di singhiozzare. - Liz...? - Si alzò in piedi e con cautela si avvicinò alla scala, decisa a controllare di persona.

- Jason, amore, rispondimi! - Inginocchiatasi accanto al figlio Liz lo girò delicatamente sulla schiena e sentì le lacrime rigarle le guance. Il viso di Jason era graffiato e sporco di sangue, come pure il giubbetto che indossava. Con mano tremante ne scostò i lembi e fissò la maglietta macchiata e strappata. Facendo violenza su se stessa la sollevò e si lasciò sfuggire un gemito alla vista della brutta ferita sanguinante. Serrò con forza le mascelle e in qualche modo riuscì ad alzare Jason quel tanto che serviva per sistemarlo sul letto. Si diede poi da fare per togliergli il giubbetto e la maglia dopodiché corse in bagno per prendere una bacinella e riempirla d’acqua calda, spalancò l’armadio della biancheria e prese degli asciugamani puliti, infine tornò accanto al ragazzo e cominciò a pulirgli il volto ed il torace. Sentendo il richiamo di Alexandra si volse di colpo in direzione della porta. - Sì, tutto bene! Erano solo dei libri caduti per terra! - gridò, poi tornò a concentrarsi sul figlio. - Tesoro, mi senti? Cos’è successo? Dove sono Max e Shiri? Jason, ti prego, riesci a sentirmi? -
- Mamma... - La voce di Jason risuonò roca ed incerta. Il giovane socchiuse gli occhi e cercò di sorridere ma una violenta fitta al basso ventre trasformò l’accenno di sorriso in una smorfia di dolore.
- Shh, non parlare... - lo zittì Liz, sentendosi in colpa per averlo sollecitato nelle condizioni in cui era.
- No... - Jason deglutì a fatica. - Shiri... è con Bren... al sicuro... Papà... non lo so... Lui... mi ha detto di andarmene... Io... non volevo ma poi... mi hanno colpito... -
Profondamente angosciata per quelle notizie la ragazza gli scostò i capelli dalla fronte sudata. - Non preoccuparti, coniglietto, adesso sei di nuovo a casa... Ora pensa a guarire, e dopo vedremo come aiutare papà, d’accordo? -
Jason annuì, e strinse le labbra per non lasciarsi sfuggire un gemito quando la madre prese a pulire la pelle intorno alla ferita vicina allo stomaco.
- Liz? E’ qui? -
La voce sommessa di Alexandra fece sussultare Liz, che s’immobilizzò e trattenne il respiro sentendo i passi avvicinarsi inesorabilmente. - E’ Alexandra. E’ venuta a prendere degli appunti... - bisbigliò incontrando lo sguardo interrogativo del figlio.
Il ragazzo le prese allora il polso impedendole di continuare a pulirlo e, chiedendole in silenzio perdono, le scostò il braccio da sé. Chiuse gli occhi e si trasportò altrove.
Trattenendo a stento un singhiozzo Liz si chinò a nascondere la bacinella e i panni sporchi di sangue sotto il letto poi cominciò a radunare i libri rimasti sul pavimento.
- Liz? -
- Scusa, avevo lasciato la finestra aperta e il vento ha buttato giù un po’ di roba... Vieni, cerca pure i tuoi appunti... -
- Ah... Ok, grazie... - Alexandra si avvicinò alla scrivania ingombra di libri e quaderni accuratamente impilati e cominciò a sfogliarli ma con la coda dell’occhio guardò Liz, ancora inginocchiata a terra, e poi il letto, con le coperte smosse e gli indumenti abbandonati da una parte. Alla luce dorata che illuminava la stanza notò le chiazze brunastre e corrugò la fronte. Liz le era sembrata nervosa e tesa. Che diamine era successo in quella stanza?!? Sempre più incuriosita si sforzò di concentrarsi nella ricerca degli appunti ed infine trovò la familiare foderina del suo quadernone. - Eccoli! -
Intanto Liz aveva finito di rimettere a posto, e la guardò con evidente sollievo. - Bene! Allora possiamo tornare di sotto. Temo che il tè si sia freddato, però... -
- Non importa. Si è fatto tardi ed è meglio che torni a casa. Scusi per il disturbo... -
- Non dirlo neanche! Ti accompagno... - Così dicendo la scortò fino alla porta dopodiché si fiondò al telefono e chiamò Isabel.
Parlò concitatamente cercando di spiegare quel che era accaduto e Isabel, non riuscendo a capire nulla, le disse di calmarsi e di aspettarla. - Arrivo subito, Liz, va bene? Dammi cinque minuti, ok? -
“- O...ok -”
Isabel non perse tempo e radunò tutto quel che avrebbe potuto servirle per almeno due cambi per Natalie, poi si aggiustò davanti al petto il marsupio e vi sistemò la bimba. - Coraggio, si va a trovare la zia Liz! -

Liz prese Isabel per un braccio e l’attirò dentro casa richiudendo con forza la porta alle sue spalle. - Grazie per essere venuta subito! Oddio, non so che fare! Ho bisogno del tuo aiuto! -
- Forse è meglio se mi spieghi dall’inizio... - la invitò gentilmente lei.
Con mano tremante la ragazza sfiorò la guancia morbida di Natalie. - E’ davvero una bellissima bambina... -
- Liz, comincio a preoccuparmi sul serio. Ti prego, dimmi tutto! - Mentre parlava Isabel tolse la figlia dal marsupio e la porse alla cognata per potersi sfilare il cappotto, dopodiché riprese la bimba in braccio e andò verso il divano. Allora? -
Sforzandosi di essere chiara e sintetica allo stesso tempo Liz si sistemò al suo fianco. - Mentre giocavo coi gemelli Ethan deve aver percepito la presenza di Jason perché si è messo a chiamare “Jay”, e poi si sono sentiti dei rumori su, nelle camere da letto. Allora sono corsa di sopra e ho trovato Jason a terra, quasi svenuto. Era ferito e molto debole, non ce la faceva a parlare... Avevo appena iniziato ad occuparmi di lui quando è arrivata Alexandra. Era passata a prendere degli appunti, e non vedendomi tornare dev’essersi preoccupata. E Jason, per non farsi vedere, si è teletrasportato. Ma non so dove! Non ho idea di che fine abbia fatto!... E’ riuscito solo a dirmi che Shiri è con Bren e che non ha notizie di Max... -
Mentre parlava Isabel si era fatta sempre più pallida. - E Michael? -
Liz fece un cenno sconsolato con la testa e la giovane donna si oscurò in volto. - Maledizione! - Con fermezza le porse Natalie. Tienila tu, per favore, mentre cerco di connettermi a Jason! - Pochi secondi dopo scivolò nello stato di trance che le avrebbe permesso di raggiungere il nipote.
La scena che si presentò ai suoi occhi era strana, sfocata, con Jason al centro di uno spazio non ben definito. Il ragazzo si guardava intorno come se non vedesse ciò che lo circondava, sembrava che cercasse qualcuno “oltre”.

- Jason? -
La figura snella ed elegante di Isabel si avvicinò lentamente a quella slanciata e muscolosa del giovane, ma questi pareva inconsapevole della sua presenza.
- Jason, sono Isabel. Puoi sentirmi? -
Dovette insistere a lungo prima che il ragazzo voltasse il capo verso di lei. - Zia? - Parlò con voce sorpresa, quasi incredulo di vederla lì.
- Tesoro, sai dove ti trovi? - Isabel, rendendosi conto del suo disorientamento, pronunciò la domanda con dolcezza cercando di non mostrare la profonda preoccupazione che provava.
Dopo averla fissata per alcuni secondi Jason si volse a guardare il panorama indistinto attorno a lui. - Su Antar - disse semplicemente.
A quel punto l’aliena lo prese per mano costringendolo a prestarle attenzione. - No, Jason, sei sulla Terra, a Roswell. Sei tornato a casa, da tua madre! Te lo ricordi, questo? -
Il ragazzo corrugò la fronte concentrandosi. - No, io... non me lo ricordo... Poco fa ero qui, e parlavo con papà... ma poi lui ha insistito perché andassi via... Lo zio Michael è andato in avanscoperta e non è ancora tornato... Sono passate quattro ore... Io... io temo che non tornerà più... -
Spaventata a morte da quelle parole Isabel gli prese il viso con una mano. - Jason, dov’è Max? Che posto è questo? -
- Camdir del nord. La città di... Khar... - Il nome gli uscì dalle labbra con disprezzo. Il nome del traditore. Il nome dell’uomo che aveva ordinato l’assassinio dei suoi genitori. Il nome di colui cui stavano dando la caccia da troppi giorni, ormai...
La donna parve colpita dall’informazione. Perché Max si era spinto nella roccaforte di Jender Khar? Possibile che fra lui e Michael non avessero intuito il pericolo che avrebbero corso nel territorio del nemico? Khar era subdolo, viscido... aveva saputo mascherare benissimo i suoi veri sentimenti, e non era da Michael commettere un’imprudenza come quella! Soprattutto non quando erano in gioco le vite di Max e Jason! Dovette fare un notevole sforzo su se stessa per tornare a concentrarsi sul problema immediato. - Tesoro, tu... tu sei dovuto andare via da casa e non sappiamo dove ti trovi... Liz è molto preoccupata... Dimmi dove sei e verremo subito da te... -
- Questa è Camdir... - ripeté Jason confuso.
- Sì, certo, ma non è il posto dove ti trovi nella realtà, capisci? - insisté Isabel con impazienza.
Il ragazzo sbatté le palpebre nel vano tentativo di comprendere le sue parole. - Nella realtà? Io... non so... Papà... Sicuro... Freddo... - Rabbrividì di colpo e si serrò le braccia al petto. - Tanto freddo... -
Poi, all’improvviso, vennero inghiottiti da un’oscurità fluttuante e Isabel si ritrovò sola.

- Isabel! Isabel, è tutto a posto? - Liz aveva seguito con ansia il movimento degli occhi sotto le palpebre dell’amica, il suo respiro sempre più affannoso, e avrebbe voluto scuoterla per svegliarla e farsi dire cosa stava succedendo. Ma sapeva che così avrebbe spezzato di colpo il collegamento mentale fra lei e Jason, e in quel modo avrebbe distrutto l’unica possibilità che aveva di scoprire dove fosse finito...
La giovane donna si svegliò di colpo e si passò una mano tremante sul viso ancora pallido. - Credo che... che non stia bene... E’ convinto di essere su Antar... Però è impossibile! Neppure con i graniliti avrebbe avuto la forza di spostarsi due volte consecutive su distanze del genere!... -
- Allora... non sei riuscita a scoprire dove si trova?!? -
Isabel osservò il suo volto angosciato. - No, mi spiace... - Non volendo spaventarla ulteriormente preferì evitare di rivelarle quello che Jason le aveva detto a proposito di Antar. Poi le venne un’idea. - Aspetta, quando gli ho detto che quello non era il posto in cui si trovava nella realtà ha mormorato... papà... sicuro... e... freddo, tanto freddo. Significa qualcosa, per te? -
Gli occhi di Liz si velarono di lacrime. - Jason vuole molto bene a Max... Sarà in ansia per lui... -
- Sembrava che parlasse riferendosi a sé... - obiettò Isabel. - Come se... come se stesse cercando di descrivere... la sua realtà... -
Liz guardò la neonata che stringeva fra le braccia. “La sua realtà... Oddio, Jason...” Il pensiero delle sue condizioni, della possibilità che avesse usato quelle parole per indicare il suo stato, la faceva star male.
- Eppure... deve esserci un senso... - mormorò ad un tratto. “Papà... sicuro... freddo...” continuò a ripetere dentro di sé mentre Isabel la fissava in silenzio. - Forse... voleva dire che è al sicuro da papà... - Alzò gli occhi ad incontrare quelli della ragazza. - Non su Antar, qui, a Roswell - precisò notando come lei avesse cominciato a scuotere la testa.
- Come, qui a Roswell?!? -
- Qui, da qualche parte, dove... dove sta di solito Max! - concluse illuminandosi.
- E cioè? -
L’evidente perplessità di Isabel non smorzò l’entusiasmo di Liz. - La camera da letto di Max - spiegò.
Si guardarono per un istante poi, all’unisono, si alzarono e corsero al piano superiore.
Liz spalancò la porta della propria stanza col cuore in gola ed un sorriso speranzoso, che svanì non appena si rese conto che non c’era nessuno. Che non c’era mai stato nessuno.
Anche Isabel si sentì come svuotata quando scoprì che non c’era alcun segno del nipote, poi si mise a riflettere ad alta voce. - Hai detto che c’era Alexandra. E Jason non voleva essere visto da lei... Quindi... - Osservò pensosa l’ampio materasso intatto, senza vederlo realmente. - Quindi... -
- La sua vecchia camera! - Liz tornò a sorridere - A casa dei tuoi - precisò.
- Vado subito a telefonare! - Isabel scese in fretta le scale e si mise a frugare nella borsa alla ricerca del cellulare. - Pronto, mamma? Ciao, senti, puoi andare a controllare se Jason è nella stanza di Max? Sbrigati, per favore, è molto importante! -
Trascorse meno di un minuto, poi udì di nuovo la voce della donna, agitatissima. - Ok, ok! Adesso... torna da lui, per favore, e non farlo muovere! Io e Liz arriviamo subito, d’accordo? Grazie, mamma... -
Interruppe la comunicazione e compose il numero di Morgan per avvertirlo che stava andando a casa dei genitori e che sarebbe rimasta lì ad aspettarlo, dopodiché si rimise il cappotto e sistemò le cinghie del marsupio intorno alle spalle. - Liz?! - chiamò gridando per farsi sentire. - Avevi ragione, Jason è dai miei! Sbrigati! -
Ma Liz era già corsa a mettere i cappottini ai gemelli e poco dopo era accanto a lei, pronta per uscire. Come sta? - domandò ansiosa.
- Non lo so. Appena mia madre ha confermato che Jason era nella stanza di Max ho riattaccato - Isabel la precedette fuori di casa poi, vedendola lottare con la chiave, che proprio non voleva saperne di sfilarsi dalla serratura, le scostò bruscamente la mano e con i suoi poteri sbloccò il meccanismo. - Ecco fatto, e adesso muoviamoci! -

Non fu facile per Liz guidare sotto il violento acquazzone che ancora flagellava la città, e quando arrivarono a casa degli Evans era molto tesa.
Senza dire una parola si tolsero i soprabiti zuppi di pioggia e li abbandonarono su una sedia prima di salire al piano di sopra.
- Mamma? -
- Isabel! Vieni, presto! -
Nell’udire il richiamo della donna Liz sentì una stretta al cuore. - Jason... - Non si soffermò a liberare Ethan e Claudia dai seggiolini cui erano saldamente fissati ma corse su per le scale, seguita da presso da Isabel.
- Jason, tesoro... mi senti? - Chinatasi sul figlio gli scostò dalla fronte la folta frangia bagnata di sudore poi, con raccapriccio, si avvide del telo zuppo di sangue che Diane teneva premuto sul suo ventre. - Oh no... - Si rivolse sconvolta ad Isabel. - Ti prego, fai qualcosa! - la pregò con voce spezzata.
- Io... non sono in grado di aiutarlo, mi dispiace... - Poi, davanti allo sguardo disperato di lei, fece un respiro profondo e mise le mani accanto a quelle della madre. - Posso provare a modificare la struttura molecolare delle sue cellule, ma non credo che questo basterà a chiudere la ferita... -
- Provaci! -
Isabel si concentrò e sentì gli infinitesimali cambiamenti che stava apportando, tuttavia si rese subito conto del fatto che, in quel modo, aveva solo potuto impedire l’ulteriore cedimento del tessuto interno. L’emorragia è ancora in corso. Liz, se non facciamo subito qualcosa temo che... che possa... -
- No! Non lo dire! Non pensarlo neppure! -
- Liz, ho paura che Isabel abbia ragione - disse Diane Evans, anche lei spaventata per la gravità dello stato del ragazzo.
- Non possiamo portarlo in ospedale! - protestò lei. - Non è possibile! -
- E’ l’unica cosa che possiamo fare, invece... - cercò di farla ragionare la signora Evans.
- Ma scopriranno che il suo sangue è diverso! -
- Se aspettiamo ancora non gli resterà più sangue, Liz! - obiettò Isabel.
- Non si può rifare lo scambio delle provette. Non questa volta! -
- Jason rischia di morire -
Il tono spassionato di Isabel risuonò dolorosamente alle orecchie di Liz, che si raddrizzò con fatica. - Va bene. Ti... ti spiace se ti lascio i bambini? Non voglio portarli con me... -
“Non voglio che me li portino via per esaminare anche loro” tradusse Isabel dentro di sé. - Certo, non preoccuparti. Me ne prenderò cura finché non tornerete a casa, tu e Jason... -
- Vado a chiamare un’ambulanza - si offrì Diane.
- Non c’è tempo, mamma. Dovete portarlo voi -
Mentre Isabel si accingeva a sollevare il corpo inerte di Jason si udì il rumore della porta d’ingresso che si apriva e Diane sorrise con sollievo. - E’ Phillip! L’ho chiamato subito dopo la tua telefonata... - spiegò.
Pochi istanti dopo, infatti, l’uomo fece capolino nella stanza e alla vista del nipote spalancò gli occhi. Santo cielo, ma cosa gli hanno fatto?!? -
- Papà, devi portarlo al pronto soccorso o morirà dissanguato. Liz verrà con te - Isabel strinse per un attimo la spalla della cognata. - Non preoccuparti per i gemelli, a loro penseremo io e la mamma. -
- Grazie - Liz si sforzò di sorriderle poi prese la coperta che Diane le tendeva e col suo aiuto vi avvolse Jason prima che Phillip lo sollevasse in braccio, dopodiché scese in fretta le scale, si rimise il cappotto e uscì per aprire lo sportello posteriore dell’auto.
Mentre l’uomo partiva facendo sgommare le ruote lei continuò a tenere il panno premuto sulla ferita del figlio. - Coraggio, coniglietto, vedrai che presto sarà tutto finito... Ci sono io, con te... Coraggio.. -
Dieci minuti più tardi erano davanti all’Eastern NM Medical Center, dove lavorava Liz, e la ragazza non perse tempo nel recuperare personalmente una barella su cui adagiare Jason. Al piccolo gruppo di infermieri e medici che le si fecero subito incontro fornì i dati basilari e spiegò che il suo sangue non era compatibile con alcun gruppo per cui era inutile che facessero prelievi o trasfusioni. - Avete capito? Sarebbe solo tempo sprecato! Bisogna bloccare subito l’emorragia, invece... -
Nell’udire la secca replica di uno dei medici Liz alzò la voce, ormai prossima a perdere il controllo. - Io sono un biologo, e sono sua madre! So quello che dico! Occupatevi soltanto dell’emorragia! -
- Sta diventando isterica! Ed è lei che ci sta facendo perdere tempo! - Senza darle modo di ribattere l’uomo spinse con decisione la porta a vento che conduceva alle sale operatorie e a Liz non rimase che guardare impotente il gruppetto allontanarsi con Jason. - Se gli fanno l’esame del sangue è la fine... - bisbigliò affranta mentre Phillip le circondava affettuosamente le spalle. - Per adesso preoccupiamoci dell’operazione. A quello ci penseremo dopo, ok? Una cosa alla volta... -
- Già, una cosa alla volta... Una più terribile dell’altra... -
- Che vuoi dire? -
Davanti alla sua espressione sconcertata la ragazza sentì le lacrime salirle agli occhi. - Jason non sa che fine abbia fatto Max - rivelò.
“Max... Oh, figliolo, no...”
Sentendo il suo dolore Liz lo abbracciò. - Torneranno da noi. Tutti quanti. Torneranno... - disse pianissimo.
Rimasero per un poco così, cercando di trarre conforto l’uno dall’altro, poi Liz si tirò indietro. - Devo andare da lui, devo essere sicura che non scoprano la verità -
- Vengo con te. Potresti aver bisogno di un avvocato... -
Si scambiarono un rapido sorriso complice, ed insieme varcarono la soglia del settore del pronto intervento.
Non ebbero alcuna difficoltà nel trovare la sala operatoria giusta. Per quanto privo di sensi, Jason sembrava aver creato una specie di legame mentale con la madre e Liz si fermò senza esitare davanti ad una porta con un inserto di vetro. - E’ qui - disse semplicemente. Trattenendo il respiro si avvicinò alla porta ma le immagini apparvero confuse al suo sguardo velato. “Jason, tesoro...”
Un inserviente che stava uscendo da un’altra stanza la vide e con voce gentile la invitò ad accomodarsi nella sala d’attesa. - Non può restare qui, ma stia tranquilla che appena possibile il dottore verrà a parlarle. La prego... - Con un gesto del braccio le indicò il divanetto e le sedie pochi metri più avanti ma lei non si mosse. - Io... lavoro qui. Per favore, mi faccia entrare! - lo supplicò.
- Allora conosce le regole e lo sa, che non è permesso... Coraggio, vada a sedersi laggiù... -
Liz fece per protestare poi si rese conto che, così facendo, avrebbe potuto attirare l’attenzione del personale della sicurezza e quella era l’ultima cosa che voleva. Chinando il capo rassegnata si allontanò insieme a Phillip.
Circa mezz’ora più tardi il trillo del suo cellulare la fece trasalire. Pensò subito ai gemelli, ad Isabel, e quando invece udì la voce della madre si portò una mano tremante al viso. - Ciao, cosa c’è? - chiese cercando di apparire disinvolta. - No, infatti... Non lo so con esattezza, perché? - Con una smorfia mosse le labbra formando le parole ‘mia madre’ e Phillip annuì comprensivo. - Senti, ti ringrazio per l’invito ma davvero non posso venire. No, mi spiace. No... - Si girò di scatto dando le spalle al suocero. Mamma, ti assicuro che in qualsiasi altro momento ne sarei molto felice però stasera non posso venire a cena da te, va bene? - Tacque di nuovo, poi replicò: - No, loro hanno già mangiato - Diede un’occhiata all’orologio. - E’ vero, sono le nove... - confermò con un certo stupore. Strano, le sembrava che fosse trascorso molto più tempo da quando aveva ricevuto la telefonata di Alexandra... - Scusa, ti chiamo domani, d’accordo? Buona notte. - Così dicendo interruppe la comunicazione e poi rimase a fissare l’apparecchio. - Non ho avvertito Maria - realizzò confusa. Cominciò a comporre il suo numero ma smise dopo le prime tre cifre. No, meglio domattina. Adesso riuscirei solo a farla agitare e invece sia lei che Mathias hanno bisogno di dormire. Domani... - si ripromise.
Il suo tono quasi assente turbò profondamente il signor Evans, che le prese con affetto una mano. - Ce la farà, vedrai! - disse.
- Sì - Liz rispose in maniera automatica, dopodiché si alzò e andò ad appoggiarsi contro la parete oltre la quale suo figlio lottava per la vita. Chiuse gli occhi. “Jason...” Tutto il suo essere si concentrò su di lui, nel disperato tentativo di trasmettergli la forza e l’energia di cui aveva bisogno.
Phillip non poté fare altro che guardarla e pregare in silenzio.
Dovettero attendere quasi tre ore prima che il chirurgo uscisse dalla sala operatoria, e Liz si raddrizzò a fatica sentendo le gambe tremarle per la tensione. - Allora? Come sta mio figlio? - gli chiese con voce roca.
Phillip le si avvicinò protettivo e fissò l’uomo. - Siete riusciti ad arrestare l’emorragia? -
- Sì, anche se non è stato semplice. Sembrava che qualcosa fosse letteralmente esploso dentro di lui... Che gli è successo? -
- Io... non lo so. L’ho trovato a casa tornando dal lavoro e non ha avuto il tempo di spiegarmi prima di svenire... - Liz alzò su di lui i suoi grandi occhi scuri. - Posso vederlo, adesso? - lo supplicò.
- No, è ancora sotto l’effetto dell’anestesia, e... -
- Cosa?!? Gli avete fatto l’anestesia?!? Lui non può prendere medicinali! Non dovete dargli niente! - In preda all’ansia si slanciò in avanti riuscendo a schivare il suo braccio teso per afferrarla e varcò la porta a battente. - Jason! -
Uno degli infermieri, un uomo grande e grosso, la bloccò prima che potesse raggiungere il lettino ed il chirurgo, che le era corso dietro, cercò di calmarla. - Stia tranquilla, le sue funzioni vitali sono state tenute sotto stretto controllo e posso assicurarle che si sveglierà prima di domani mattina! Adesso deve solo riposare, e le prometto che non gli verrà somministrato alcun antibiotico se prima non saranno verificate possibili reazioni allergiche... -
- Non c’è nulla da verificare! Non dovete dargli nessun farmaco! Nessuno, capito? -
- Senta, posso aspettare solo dodici ore, e purché non gli si alzi troppo la temperatura! Poi sarò costretto a fare un prelievo di sangue per le prove allergiche... -
Liz lo guardò con durezza tuttavia non disse nulla. Se qualcuno si fosse azzardato ad avvicinarsi a Jason con una siringa avrebbe lottato con tutte le sue forze per strappargliela dalle mani!
- Per favore, ora esca. Dobbiamo portare suo figlio in terapia intensiva -
Dopo aver lanciato un’occhiata in direzione di Jason, a malapena visibile attraverso il muro umano di assistenti ed infermieri, la ragazza si ritirò in buon ordine e, insieme ad Evans, raggiunse la sala d’attesa del reparto.
La tensione l’aveva svuotata di ogni energia e sedette quasi con gratitudine sul divano più vicino, poi si allungò a sfiorare una mano di Phillip Evans, accomodatosi al suo fianco. - Ti sono molto riconoscente per l’aiuto, ma si è fatto tardi e sarebbe meglio che tornassi a casa... -
- Non ho alcuna intenzione di lasciarti sola - replicò l’uomo con un sorriso gentile.
Liz sentì un nodo serrarle la gola. I genitori adottivi di Max erano delle persone davvero stupende... Con un sospiro tirò fuori dalla borsa il cellulare. - Allora avverto Isabel che l’intervento è finito e che è andato tutto bene. Almeno spero... -
- Niente pessimismo, ragazza! -
Lei accennò un sorriso triste. Di solito non era pessimista ma in quell’occasione le era molto difficile controllare il proprio stato d’animo... La voce di Isabel risuonò ansiosa nel piccolo ricevitore, e in breve le spiegò la situazione.
Tranquillizzata, l’aliena le confermò che i gemelli dormivano senza problemi e che sarebbe rimasta con loro a casa dei genitori fino al suo ritorno. “- Anche Morgan è qui -” confessò, e Liz poté immaginare la smorfia che in quel momento le storse le belle labbra “- Non ha ritenuto opportuno che mia madre ed io restassimo sole con i bambini. A volte si comporta come se io stessa fossi una bambina, e solo perché ha dodici anni più di me! -”
Liz emise un sospiro. Poteva capire i dubbi di Morgan. In fin dei conti erano molto giovani, anche se le esperienze vissute li avevano costretti a crescere più in fretta dei loro coetanei... - Hai... hai sentito Max? -
“- No, mi dispiace. Ho provato, ma è troppo lontano... Non riesco a raggiungerlo... -”
- Non importa. Grazie comunque... -
“- Liz, è mio fratello! Sono preoccupata per lui esattamente come te! -” Ci fu un breve silenzio, poi la salutò con tono sommesso e chiuse la comunicazione.
- Tutto bene? -
- Sì. C’è anche Morgan, con loro. - Scosse piano la testa - Non so come fare con Maria. Ha il diritto di sapere quello che è successo, soprattutto deve sapere che forse anche lei e Mathias sono in pericolo... Lassù le cose devono essersi rivelate più complicate del previsto... -
- Perché ci sono andati? - volle sapere Phillip.
- Questioni politiche. A Max non interessano, in realtà, però sono importanti per gli altri e quindi a volte è costretto ad intervenire - Non poteva dirgli che, in quel caso, si trattava di rendere inoffensivo un uomo che aveva ancora il potere di fare del male alla famiglia reale di Antar. Non voleva che pensasse che Max fosse vendicativo. Perché non era così e lei lo sapeva benissimo. Max desiderava soltanto proteggerli... E comunque, fermando Jender Khar e la sua smania di vendetta per la potenza economica perduta, avrebbe aiutato anche la sua gente, su questo non c’erano dubbi! Rodhya e l’intero Consiglio erano convinti che Max avesse risollevato le sorti del pianeta in un modo che nessuno avrebbe mai potuto aspettarsi, considerando lo scempio che ne aveva fatto Volnis...
- E’ strano pensare a Max come ad un re - commentò ad un certo punto l’uomo.
Liz sorrise suo malgrado. - E’ sempre stato un tipo tranquillo ed introverso, però aveva un modo di dire le cose... Non so, alla fine si faceva comunque quello che voleva lui... -
- Sì, è una cosa che avevo notato da quando era un bambino e giocava con Isabel... Non riesco a ricordare una sola volta in cui lei lo abbia contraddetto... In ogni caso la situazione è decisamente cambiata con l’adolescenza. Allora sono diventati entrambi più... indipendenti... -
- E’ stato quando Max mi ha... mi ha salvata - ammise Liz deglutendo con un certo sforzo. - Quel giorno io ho sconvolto la sua vita e quella di Isabel. Da allora è diventato tutto molto complicato, e pericoloso... Confesso che in certi momenti mi sono sentita in colpa per aver costretto Max ad uscire allo scoperto. Se non fosse stato per me lui sarebbe ancora un normale ragazzo americano... -
Phillip Evans le diede una pacca affettuosa sul ginocchio. - Mio figlio non è un normale ragazzo americano, e prima o poi la cosa sarebbe venuta fuori. Non prendertela con te stessa, cara... Ho visto come gli brillavano gli occhi quando parlava di te, anche solo per dire di aver preso un bel voto nell’esperimento di laboratorio che avevate fatto insieme... Lo hai reso felice, e Diane ed io te ne saremo sempre grati. -
Lei lo guardò incerta. - Ma probabilmente senza di me avrebbe avuto una vita più tranquilla... -
- Tesoro, stiamo parlando di amore, non di tranquillità. E voi vi amate moltissimo. Io non avrei potuto sperare di più, per lui... -
Non ancora del tutto convinta la ragazza abbassò gli occhi e tirò su col naso. - Non può sapere se sarebbe stato meglio con un’altra... -
- Se non ricordo male ci ha provato - obiettò secco lui ricordando il primo, pazzesco matrimonio del figlio.
- Tess lo aveva ingannato, perciò non conta... -
L’uomo fece una spallucciata. - In ogni caso alla fine è tornato da te. E’ sempre tornato da te, quindi ritengo che questo significhi qualcosa, non credi? -
- Io lo so che Max mi ama con tutto se stesso - cercò di spiegare Liz - Quello che voglio dire è che forse, con un’altra donna, la sua vita sarebbe stata più semplice. Non sarebbe stato costretto a rivelare il suo segreto, e l’FBI non gli avrebbe mai dato la caccia... -
- Forse. Però dubito che sarebbe stata la stessa cosa. Il vostro è un legame molto profondo, speciale. Comunque sia, credo che questo valga qualsiasi sacrificio, non lo pensi anche tu? -
- No. Niente vale la vita di mio figlio - Così dicendo la ragazza sentì qualcosa spezzarlesi dentro e, senza quasi rendersene conto, si ritrovò fra le sue braccia, scossa dai singhiozzi.
- Shh, Liz, non fare così... Il dottore mi è sembrato abbastanza tranquillo. Vedrai che domattina Jason starà molto meglio... -
- Io... lo spero davvero... Ma quello che mi spaventa di più è che possano scoprire le anomalie del suo sangue... - Liz lo guardò con gli occhi colmi di lacrime. - Ti rendi conto di quello che gli farebbero? -
- Non succederà - affermò Evans con decisione.
La ragazza sospirò e, non potendo più restare seduta, tornò davanti alla piccola stanza in cui era stato trasferito Jason. Dal momento che nei paraggi non c’era nessuno aprì la porta e si avvicinò al letto. Vedendo che il figlio sembrava riposare tranquillo prese una sedia e vi si accomodò. Osservò a lungo il suo viso pallido e disteso e gli prese una mano fra le sue. - Dormi, amore... C’è la mamma, qui con te... - Si chinò a baciarlo sulla fronte. - Nessuno ti farà del male... -
Rimase con lui fin quasi all’alba poi, avendo bisogno di andare in bagno, si alzò e gli sfiorò il volto con una carezza gentile. - Torno subito, tesoro... - sussurrò.
Nel frattempo Phillip Evans era andato a sua volta a controllare lo stato del nipote, e Liz gli si accostò in silenzio.
- Mi sembra che stia meglio - rilevò l’uomo, sollevato.
- Sì, anche a me. - La ragazza accarezzò la testa del figlio. - Voglio portarlo a casa. Non intendo tenerlo qui un minuto più del necessario... -
Evans corrugò la fronte. - Aspetta almeno di essere sicura che non abbia la febbre, poi basterà che tu firmi la liberatoria e nessuno potrà obiettare. Anche se credo che il dottore che lo ha operato avrà qualcosa di ridire... -
- D’accordo, allora... allora aspetteremo ancora un po’... Che ore sono? -
- Le sei e mezza. Liz, sei sfinita. Lascia che ti riaccompagni a casa! Devi dormire... -
- No. Non me ne vado senza di lui -
- Sei davvero testarda! -
- Lo so - Liz gli sorrise poi si infilò le mani in tasca. - Però avrei proprio voglia di un caffè. Lo vuoi anche tu? -
- Sì, grazie. Andiamo, vengo con te... -
Avevano parlato sottovoce per non disturbare il ragazzo, e uscirono in punta di piedi. Avevano percorso solo un breve tratto del corridoio quando videro Nancy Parker camminare a passo deciso verso di loro.
- Mamma?!? -
La donna guardò con apprensione la figlia e Phillip Evans. - E’ stata Diane a dirmi che eravate qui. Ho provato a richiamarti stamattina appena mi sono alzata ma non rispondevi e mi sono preoccupata, così ho telefonato a lei ed ho saputo di Jason. Come sta? -
- Meglio, a quanto sembra... - Liz sentì all’improvviso tutta la stanchezza di quella notte insonne, e non protestò quando la madre l’abbracciò. - Tesoro, perché non me l’hai detto? Sarei venuta subito e avrei potuto tenerti compagnia... -
- C’è Phillip... -
- Ma io sono tua madre! - esclamò, ferita. Si scostò un poco da lei e osservò il suo viso segnato dalla tensione. - Perché non mi hai avvertito? -
- Non puoi capire... -
- No, certo che non posso se tu non mi spieghi! - Nancy le posò una mano sulla guancia. - A volte ti sento così ostile... Non mi hai ancora perdonato, vero? -
Davanti alla sua espressione triste Liz si sentì a disagio. Era vero, c’erano dei momenti in cui il ricordo di come sua madre avesse trattato Max, e lei stessa, la faceva ancora soffrire e non si sentiva pronta a lasciarsi tutto alle spalle...
- Non mi hai ancora perdonato - ripeté la donna dispiaciuta lasciando ricadere il braccio.
- No, mamma, il fatto è che... è che è così difficile... Ci sono tante cose che non sai... -
- E allora dimmele! - la sollecitò lei, e davanti al suo silenzio fece un passo indietro. - Però Phillip le sa... - disse con amarezza.
La ragazza annuì debolmente. - Sì - confermò.
- Capisco... - Nancy cercò di darsi un contegno. - E... dov’è Max? -
Liz volse altrove lo sguardo. - Non c’è -
A quel punto Nancy Parker decise di affrontare la figlia una volta per tutte. - Senti, è vero, in passato tuo padre ed io siamo stati alquanto duri nei confronti di Max... -
- Non solo in passato - la interruppe secca lei.
- D’accordo, hai ragione - ammise la donna, - però è perché il suo comportamento continua a lasciarci perplessi! - Indicò il corridoio alle spalle di Liz. - Mio nipote è in un letto d’ospedale, e lui? Dov’è, lui? E poi, che bisogno c’era di partire durante il periodo scolastico? Lasciandoti da sola coi gemelli, per di più! Scusa, ma a me sembra da irresponsabili!... -
- Max non è un irresponsabile! Ha cercato di proteggere Jason... - Sentì una lacrima solitaria scenderle lungo la guancia e sollevò una mano per asciugarla tuttavia, con suo grande sgomento, a quella ne seguirono molte altre.
- Oh, Liz, tesoro... - Nancy la strinse in un abbraccio affettuoso. - Coraggio, bambina mia, vedrai che si rimetterà tutto a posto... - mormorò cercando di consolarla.
La ragazza si abbandonò contro di lei dando libero sfogo alla propria angoscia.
Ci vollero diversi minuti perché si calmasse, poi si raddrizzò e accettò con un pallido sorriso il fazzoletto che le diede la madre. - Grazie... - disse con voce incerta.
- Va meglio? -
Liz fece cenno di sì con la testa. - Scusami. Sono... sono un po’ tesa... -
La donna le scostò una ciocca di capelli dal volto. - Non devi giustificarti, piccola mia... So cosa si prova quando qualcuno che ami sta male... -
- Vi ho portato un po’ di caffè - Phillip Evans si avvicinò con due bicchieri di plastica. - Liz ed io stavamo andando a prenderlo prima che tu arrivassi... -
- Grazie - Nancy prese un bicchiere e guardò la figlia prendere il proprio con entrambe le mani. Le spezzava il cuore vedere la sua sofferenza e avrebbe tanto voluto aiutarla, se solamente lei glielo avesse permesso...
- Ho incontrato un’infermiera, al distributore. Mi ha detto che il dottore arriva alle sette, quindi dovrebbe essere qui fra poco. - le informò l’uomo.
Liz lo guardò riconoscente. Non vedeva l’ora di riportare Jason a casa...
E, come previsto, dieci minuti più tardi il chirurgo che aveva operato Jason giunse nel reparto e andò subito a controllare le condizioni del ragazzo dopodiché si fece incontro al gruppetto. - Salve, a quanto pare suo figlio ha superato la prima fase del dopo intervento senza nessun problema. Non ha febbre e non ci sono segni di infezione, quindi ritengo che ormai si possa considerare fuori pericolo. -
- Bene. Allora vorrei portarlo a casa -
- Beh, a dire il vero sarebbe il caso che rimanesse qui almeno un paio di giorni. - obiettò lui.
- Ha detto che è fuori pericolo, no? -
- Sì, ma... -
- Senta, mi assumo io tutta la responsabilità. Dove devo firmare? -
- E’ una pazzia! Non si è ancora svegliato dal... - provò ad insistere il medico, tuttavia Liz lo interruppe puntandogli contro un dito con fare accusatorio. - La pazzia è stata quella di anestetizzarlo senza prima avermi consultato! - Abbassò il tono, dura. - Dove devo firmare? - chiese nuovamente.
Senza più aggiungere una parola l’uomo la precedette fino alla direzione e le diede l’apposito modulo, dopodiché fece un ultimo tentativo. - Ci ripensi, per il bene di suo figlio! - la implorò.
- Mi creda, so quello che faccio - Detto questo Liz fece dietrofront e tornò in terapia intensiva dove, con l’aiuto della madre, sfilò a Jason i pantaloni dell’ospedale e gli rimise quelli che indossava all’arrivo e che una premurosa inserviente aveva recuperato insieme agli stivaletti, poi lo avvolse nella coperta e si tirò indietro perché Phillip potesse prenderlo in braccio. Si assicurò che la testa del ragazzo poggiasse fermamente sulla spalla del signor Evans e gli accarezzò i capelli. Poi, vedendo che apriva gli occhi, gli sorrise. - Ciao, coniglietto... - disse piano.
Mentre uscivano dalla stanza Nancy le si avvicinò esitante. - Sei sicura di quello che fai? -
- Più che sicura - Liz le strinse una mano. - Stai tranquilla, adesso si riprenderà in fretta... -

- Ciao -
- Ciao! - Jason sorrise e batté la mano sul bordo del dondolo. - Vieni, siediti qui! -
Comodamente sistemato sul suo grembo Ethan osservò con gli occhioni sgranati la ragazza avvicinarsi e sedersi accanto a Jason. - Andra... - la salutò reclinando la testa contro il petto del fratello, come lui contento di vederla.
Il giovane trasalì impercettibilmente quando il fianco del bimbo gli sfiorò l’addome. La ferita non si era ancora chiusa e bastava un nonnulla per causargli dolore. Tornato a casa, dopo un giorno di assoluta immobilità aveva messo a tacere le proteste della madre e si era alzato dal letto non potendone più di essere relegato nella propria stanza, anche se c’era sempre qualcuno a fargli compagnia, e nonostante la profonda debolezza e le fitte al ventre era sceso al piano inferiore. La prima volta era rimasto accasciato sul divano, semisvenuto, finché il nonno Phillip, che era passato a trovarlo, lo aveva preso in braccio e riportato in camera. Gli era stato vietato di muoversi per il resto della giornata, ma l’indomani pomeriggio lo zio Jim lo aveva aiutato a raggiungere di nuovo il salotto ed aveva trascorso con lui un paio d’ore seguendo una partita di football in televisione.
Da allora era trascorso un altro giorno e finalmente aveva avuto l’autorizzazione ad uscire in giardino. In realtà non aveva ancora sufficienti forze per fare qualcosa di più che passare da una stanza all’altra, tuttavia sentiva che stava recuperando il controllo dei propri poteri e, cosa più importante di tutte, sua madre si era convinta che era ormai fuori pericolo e gli aveva dato modo di raccontare quel che era successo dal momento in cui lui e gli altri erano arrivati su Antar.
Quella mattina si era tenuto un vero e proprio consiglio di guerra, cui avevano partecipato le zie Isabel e Maria, poi erano arrivati anche lo zio Jim e lo zio Morgan ed i toni si erano fatti un po’ più accesi. Anzi, incandescenti! Nel sentire che zia Isabel avrebbe accompagnato sua madre Morgan si era arrabbiato moltissimo e le aveva intimato di non partire, al che lei era scattata in piedi battendo i pugni sul tavolo e gridando che non avrebbe mai abbandonato suo fratello e che sarebbe partita ugualmente, anche contro il suo parere. A quel punto lo zio l’aveva supplicata, le aveva detto che aveva paura che potesse succederle qualcosa, che non voleva perderla, ma lei aveva ribadito che era ciò che sarebbe successo se avesse perduto Max. Poi si era messa a piangere e l’aveva implorato di perdonarla. Era stata una scena terribile, di cui aveva avvertito tutta la violenza ed il dolore sotterranei, molto più forti di quel che era potuto apparire agli altri presenti, e lo aveva lasciato come stordito, annientato. Per quanto due persone si amassero, era così tanto il male che potevano farsi... Alla fine lo zio Morgan aveva abbracciato zia Isabel e le aveva promesso che lui ed il padre avrebbero fatto tutto il possibile per coprire i loro movimenti. Soltanto allora il cuore aveva ripreso a battergli con regolarità e lo sguardo era tornato normale, perdendo la vitrea fissità che aveva acquisito quando l’esplosione di emozioni lo aveva travolto suo malgrado. Stremato, aveva mormorato di aver bisogno di dormire un poco e si era ritirato nella propria stanza.
Preoccupata, Liz aveva salutato rapidamente i suoi amici e lo aveva seguito. Si era sdraiata dietro di lui abbracciandolo con tenerezza e sorvegliando il suo sonno finché il richiamo mentale di Claudia, affamata, l’aveva costretta a lasciarlo.
Quando era sceso di nuovo dabbasso, sentendosi decisamente meglio, Jason aveva pranzato a sua volta dopodiché era uscito in giardino per tenere d’occhio i fratelli più piccoli mentre giocavano all’aperto approfittando del tepore di quel pomeriggio assolato.
Liz era andata in ospedale per avvertire che aveva bisogno di un ulteriore periodo di congedo straordinario e sarebbe rientrata di lì a poco.
L’arrivo di Alexandra era stato una piacevolissima sorpresa. Aveva spesso pensato a lei, in quei giorni, e più di una volta si era ritrovato davanti al telefono, la mano posata sui tasti. Ma poi non aveva mai composto il numero. Cos’avrebbe potuto dirle? Che non poteva tornare ancora a scuola perché non era capace di guarire la propria ferita ed il minimo movimento brusco avrebbe fatto strappare i punti? Che gli era mancata da morire? Che avrebbe voluto addormentarsi sempre tenendola fra le braccia? Che desiderava baciarla con tutto se stesso?
E adesso lei era lì, in tutta la sua seducente bellezza. Sorrideva, ma il sorriso non le arrivava agli occhi, quei meravigliosi occhi verdi in cui avrebbe voluto annegare. Quando sei tornato? - gli chiese ignorando l’invito a sedersi.
- Qualche giorno fa. Come stai? -
Alexandra fece una buffa smorfia. - E’ questa la domanda più importante, vero? ‘Come stai?’ - Alzò le spalle ed infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans. - Bene. Sono sopravvissuta. E’ quello che so fare meglio, sai? Mi riferisco al sopravvivere... -
Jason la fissò disorientato. Avvertiva il suo risentimento e sapeva di esserne la causa, pur non comprendendone il motivo.
- Tanto per cambiare non hai idea di quel che voglio dire, vero? - lo prese in giro. Davanti al suo silenzio scrollò il capo e si sedette accanto a lui. - Sei sparito per tre settimane. Mi avevi detto che dovevi partire per qualche giorno, ma non ti sei fatto mai sentire. Nemmeno una telefonata. E questo mi ha fatto male perché credevo che fra di noi ci fosse qualcosa d’importante. Evidentemente, nonostante tutto, sono più ingenua di te visto che avevo pensato che fossi sincero... - Lo guardò dritto negli occhi - Ho fatto sesso con più uomini di quanti riesca a ricordare, fin da quando avevo tredici anni, e so benissimo che con te è stato diverso. Con te, per la prima volta nella mia vita, ho fatto l’amore. Con te pensavo di aver trovato un ragazzo che mi trattava con rispetto, che si preoccupava di farmi provare piacere, che dopo mi stringeva fra le sue braccia invece di alzarsi e andarsene lasciandomi un po’ di soldi o una dose... Ma la sai una cosa? Quegli uomini erano più onesti di te! In fondo, hanno sempre mostrato la loro vera faccia. Tu, invece, sembri tanto perbene, pulito... e invece sei un grande bastardo! - Ecco, lo aveva detto. Gli aveva detto tutto ciò che, in quelle lunghissime notti solitarie, le era cresciuto nel cuore. Un cancro di disillusione, amarezza, odio. Perché aveva creduto di essere finalmente amata, e invece era stata solo una farsa...
- Prima non potevo telefonarti perché non... non potevo... - concluse miseramente lui.
- No? E perché? Avevi dimenticato il tuo cellulare e non c’era nessuno cui chiedere di lasciarti fare una chiamata? Oppure non c’era campo? - Sollevò una gamba premendo il tallone sul dondolo e con il gomito si appoggiò al ginocchio. - A proposito, dov’è che sei stato? - chiese noncurante.
Il ragazzo deglutì a fatica. - Nella città in cui è nato mio padre. Lui... non è di Roswell, è stato adottato quando era molto piccolo... - Abbozzò un sorriso. - E lì non ci sono telefoni fissi né campo per i cellulari - Tornò serio, - ma avrei dovuto chiamarti quando sono tornato a casa. Mi dispiace per non averlo fatto. -
- Ah, certo, ti dispiace... E’ un po’ poco, per quello che c’è stato fra noi... Amore, sesso... comunque tu voglia chiamarlo... Anche se solo per qualche ora, io e te abbiamo condiviso tutto. Non credi che meritassi qualcosa di più di una semplice intenzione? -
Nel sentire le parole ‘abbiamo condiviso tutto’ Jason sussultò. Era successo? Nonostante la cura che aveva posto nel tenere sotto controllo il proprio istinto, che lo spingeva a fondersi totalmente con lei, lo aveva fatto? O magari era successo quando si era ubriacato? Oddio, no, non poteva avere commesso una simile pazzia!
La sua ansia improvvisa non sfuggì ad Alexandra, che si sentì morire. - La cosa ti disturba? - chiese con voce secca, tentando di tenere su la maschera di durezza che si era imposta per non crollare.
- Quale cosa? - domandò lui sottovoce distogliendo lo sguardo.
- E’ stato come sprofondare l’uno nell’altro. Oppure no? - lo sfidò a contraddirla.
Il giovane impallidì, e senza accorgersene strinse con maggior forza il braccio intorno al fratellino. Alexandra gli stava moltissimo a cuore, voleva renderla felice, voleva riempire la sua vita di gioia e di luce, voleva darle tutto il piacere e l’amore di cui sentiva che lei aveva bisogno. Ma non poteva darle anche la sua anima altrimenti l’avrebbe spaventata, l’avrebbe allontanata per sempre da sé, e questo gli avrebbe fatto troppo male...
- Che c’è, hai paura di rispondere? - lo stuzzicò Alexandra. Dio, come non sopportava la sua ritrosia ad aprirsi... Erano stati amanti, possibile che si sentisse ancora in imbarazzo all’idea di parlare con lei?!
Con un sospiro carico di mestizia Jason allungò timidamente una mano per sfiorare la sua, abbandonata fra di loro. - Sì - ammise sottovoce.
Sorpresa, la ragazza rimase per un attimo immobile poi accennò una risata. - Evviva la sincerità! - disse con un vago sapore di scherno. - Allora, adesso sei pronto a dirmi la verità? A dirmi se volevi solo divertirti oppure se tieni davvero a me? Se mi sono sbagliata, se... - La voce le si spezzò e dovette fare uno sforzo per continuare, se posso ancora provare rispetto per me stessa... - terminò in un bisbiglio. Dio, aveva lottato così tanto per riconquistare la stima di sé che il solo pensiero di dover cominciare daccapo le faceva girare la testa. Non poteva sopportare il pensiero di essersi ingannata a tal punto su quel che credeva fosse nato fra di loro...
- Sì! - Il ragazzo rialzò di scatto il capo. - Sì, Alexandra, tu meriti tutto il rispetto del mondo! - Sollevò la mano per accarezzarle la guancia. - Ho talmente paura di perderti che continuo a fare uno sbaglio dopo l’altro... Io vorrei solo farti capire che sei importantissima, per me. Che vorrei darti tutto, tutto! Non so se questo sia amore o abbia un altro nome, ma desidero che tu sappia che ti porto nel mio cuore, sempre... - Trattenne per un attimo il fiato prima di chiedere: - E nel tuo cuore c’è un po’ di posto per me? -
Alexandra lo fissò a lungo in silenzio, sforzandosi di capire se fosse stato sincero. - Se me lo avessi chiesto anche soltanto la settimana scorsa ti avrei risposto di sì senza alcuna esitazione - disse poi. - Adesso... non lo so, ho bisogno di tempo per rifletterci. - Mise giù la gamba e cercò di nuovo i suoi occhi. - Nonostante quello che mi hai detto credo che tu non abbia le idee molto chiare su di noi. Se oggi non fossi venuta da te quando mi avresti fatto sapere che sei rientrato? O avrei dovuto aspettare di incontrarti a scuola? - Vedendo che lui esitava a rispondere serrò per un attimo le mascelle. E Shiri? - chiese diffidente.
- E’ ancora fuori, con mio padre. - Avrebbe voluto continuare a parlare per trattenerla ancora lì, ma Alexandra non gliene diede la possibilità. - Ah... - Si alzò di scatto. - Stammi bene - lo salutò con voce piatta prima di voltarsi e andarsene.
Jason tese il braccio per fermarla riuscendo tuttavia solo a sfiorarle le treccine.
Quando ormai era solo una macchia confusa dietro il velo delle sue lacrime sentì una manina tiepida posarsi piano sulla ferita e l’energia fluire delicatamente dentro di lui. Consapevole del potere che stava ripristinando le cellule danneggiate estromettendo allo stesso tempo i punti di sutura passò anche il braccio libero intorno alla schiena del bimbo e gli diede un bacio sulla testa. - Ti ringrazio, piccolino, ma vorrei tanto che potessi guarire pure le altre ferite... - sussurrò, poi chiuse gli occhi e lo strinse contro di sé.
Fu così che li trovò Liz, ed il fiato le mancò nel vedere la luminosità dorata sotto le dita di Ethan. Ethan... - Fino a quel momento né lui né Claudia avevano manifestato alcun potere particolare, e scoprire che suo figlio aveva la stessa capacità di Max la sorprese piacevolmente. Nonostante l’apparenza serena, infatti, sapeva che Jason soffriva molto e non poteva che essere grata alla sorte per il dono del suo ultimogenito.
Udendola il ragazzo si raddrizzò con cautela. - Ciao, mamma. - la salutò sommesso.
- Ciao, tesoro. Va tutto bene? -
- Sì, certo. - Così dicendo scese dal dondolo ed attese che la donna si avvicinasse. - E tu? - domandò, notando la tensione sul suo volto.
Liz si strinse nelle spalle. - Non è stato facile ma alla fine ho ottenuto due settimane di aspettativa. Niente stipendio, in ogni caso non sono certo i soldi a mancarci... - Guardò il visetto paffuto e sorridente di Ethan. - E tu, birbantello? Vuoi fare concorrenza a Max e Shiri? - Lasciò che il bimbo le afferrasse la mano e si sentì sommergere dalla tenerezza. “I miei ragazzi... Oh, Max, sono così belli...” Tornò a studiare il figlio più grande. - Adesso sarà meglio che rientri. Mi sembri stanco... -
Senza protestare Jason si volse per chiamare Claudia, la quale lanciò un gridolino e, un po’ trotterellando un po’ gattonando, tornò allegra da lui. - Jay, su! -
- Non vuoi che ti prenda su la mamma, invece? - si offrì Liz chinandosi a sollevare la bambina. Non era sicuramente il caso che Jason si caricasse anche il suo peso!
Ben contenta di stare tra le braccia della madre, Claudia si protese verso di lei continuando a ripetere gioiosa: Mamma! Mamma! -
Mentre si dirigevano in cucina la giovane donna fece una smorfia. - Anche se Ethan ha chiuso la tua ferita vedi di non esagerare, hai capito? -
Scrollando il capo Jason si avvicinò al seggiolone e vi sistemò il bimbo. - Stai tranquilla, non ho alcuna intenzione di finire di nuovo bloccato a letto... -
- Ho detto ad Isabel che sarei passata a prenderla alle sette. Sei sicuro di sentirti bene? Altrimenti possiamo rinviare la partenza a domani... -
Il ragazzo fissò gli splendidi occhi cangianti sulla madre. - Papà ha bisogno di te. Io e i gemelli ce la caveremo benissimo da nonna Diane. -
Liz emise un sospiro profondo. - Ok. Allora dammi il tempo di far mangiare i bambini e poi andiamo a preparare la tua valigia. -
- Posso fare da me! - cercò di protestare lui, ma la donna non volle sentir ragioni. Non era del tutto sicura che Ethan avesse avuto la capacità di guarire completamente Jason, e non intendeva correre rischi inutili.
Come stabilito, alle sette in punto andarono a casa di Isabel e da lì si recarono dagli Evans.
Isabel salutò a lungo i genitori, che abbracciarono commossi sia lei che la piccola Natalie, poi diede un bacio a Claudia e a Ethan. Quando si ritrovò davanti al nipote più grande gli sorrise con affetto e gli scompigliò i capelli. - Cerca di tenere a bada le piccole pesti, ok? -
- Farò del mio meglio, te lo prometto! - Sorridendo malinconicamente ricambiò la sua rapida stretta.
Poco dopo era tra le braccia di Liz, che non riuscì a trattenere lacrime di commozione. - So che avresti voluto venire con noi, coniglietto, ma è meglio così, credimi... -
Il ragazzino si abbandonò contro la madre. - Lo so. Tu puoi aiutare papà molto più di quanto potrei fare io... - Pronunciò le ultime parole con tristezza ma consapevole della verità in esse contenuta.
- Cercheremo di tornare il prima possibile. - Liz lo serrò più forte. - Ti voglio tanto bene, tesoro... - Poi si scostò da lui e abbozzò un sorriso. - Sii paziente con Maria, ti prego, è molto preoccupata per Michael... -
- Certo, non ci sono problemi. - Jason sorrise a sua volta ricordando la valanga di domande che la zia gli aveva fatto quando era andata a trovarlo, dopodiché l’abbracciò di nuovo. - Ti voglio bene anch’io, mamma... - mormorò.
Dai comodi sedili imbottiti del passeggino i gemelli seguirono affascinati lo scambio di saluti e gorgogliarono felici quando infine Liz si chinò su di loro. - Fate i bravi, mi raccomando! - Li baciò sulla fronte, gli occhi nuovamente lucidi, e poco dopo si ritrovò a bordo del fuoristrada, alla cui guida si era messo Morgan.
L’uomo era molto teso, anche se cercava di nasconderlo. L’ansia che provava dal momento in cui Isabel lo aveva informato della sua intenzione di andare con Liz era andata aumentando con l’avvicinarsi della partenza e ora doveva lottare con tutte le proprie forze per non invertire il senso di marcia.
Ben presto superarono i confini della città e si ritrovarono in pieno deserto.
Seduta accanto al marito Isabel divideva la propria attenzione fra lui e Natalie, placidamente addormentata nel marsupio. Il piccolo scudo di forza che avvolgeva la bimba per proteggerla da eventuali urti illuminava l’abitacolo con la sua delicata fosforescenza verdastra rendendo i loro volti spettrali.
Liz, angosciata per la sorte di Max, guardava fuori dal finestrino senza in realtà vedere nulla.
Non appena furono giunti nel punto previsto Morgan spense il motore e rimase per alcuni secondi immobile al proprio posto.
- Ti prego, non essere arrabbiato... - bisbigliò ad un tratto Isabel voltandosi a guardarlo.
L’uomo emise un sospiro profondo. - Vorrei esserlo, ma non ci riesco. Perché so che faresti lo stesso per me. Però preferirei mille volte che tu non partissi, lo ammetto... - Detto questo sganciò la cintura di sicurezza e scese dal veicolo, aprì lo sportello di dietro per Liz poi fece il giro ed aiutò Isabel ad uscire. Ti sarei grato se evitassi di farti ammazzare, e vedi di riportare indietro sua altezza reale e il grande generale. Non ho nessuna voglia di accompagnarti di nuovo in questo maledetto posto... - le disse piano per non farsi sentire dalla cognata.
Isabel s’irrigidì. Si rendeva perfettamente conto che quello voleva essere un tentativo di sdrammatizzare tuttavia non si sentiva dell’umore giusto per apprezzarlo. - Stai tranquillo. Jason è ancora troppo giovane per salire sul trono... - rispose altrettanto piano. Poi girò sui tacchi e fece per allontanarsi quando si sentì afferrare per il gomito. Il bacio di Morgan, profondo, intenso, disperato, penetrò nella sua anima, e vi rispose con tutta se stessa.
Poi, senza dire nulla, l’uomo la lasciò andare e lei si avviò verso il sentiero che conduceva all’ingresso della caverna.
Liz li aveva osservati in silenzio sentendosi in colpa per averli coinvolti, poi aveva fatto un piccolo cenno di saluto a Morgan e si era incamminata dietro Isabel.
Nel frattempo, a casa degli Evans, Jason aveva insistito nel voler aiutare i nonni a mettere a letto Ethan e Claudia poi, incapace di prendere sonno, era rimasto a guardare il soffitto fino all’alba, lo stereo acceso a bassissimo volume, mentre la cera dell’unica grande candela che illuminava la piccola stanza si scioglieva goccia dopo goccia segnando il lento trascorrere delle ore. Quando infine il sole aveva annunciato l’inizio del nuovo giorno si era alzato. Aveva fatto la doccia e indossato i jeans ed una felpa, aveva infilato alcuni libri a casaccio nello zaino ed era sceso in cucina per prepararsi la colazione.
Diane, intenta ad accendere il bollitore elettrico, lo fissò sbalordita. - Jason! Cosa ci fai in piedi?!? -
Il ragazzo si avvicinò per darle un bacio sulla guancia poi le sorrise imbarazzato. - Vado a scuola. Ora sto bene, nonna, davvero... -
La donna socchiuse gli occhi. - Mi dispiace ma non puoi farlo - disse semplicemente.
- Nonna, ti prego, io devo andarci! - la supplicò lui, ma Diane scosse decisa la testa. - No, tesoro, non è possibile. Oggi è domenica. -
- Cosa?!? - Jason si sentì un perfetto idiota. Non sapeva con esattezza quanto tempo fosse rimasto su Antar, né aveva idea di quanti giorni fossero passati dal momento in cui si era teletrasportato a casa sua. Però adesso sapeva che era domenica. Una stupida, banalissima domenica! Gli parve che il mondo gli crollasse addosso e Diane Evans, avvertendo la sua delusione, lo abbracciò con affetto. - Approfittane per riposare ancora un poco, così domani sarai in ottima forma e i tuoi amici saranno contenti di rivederti... - lo consolò.
“Loro sì, ma Alexandra? Ho combinato un tale pasticcio...” pensò Jason pieno di rammarico.
Neppure a Phillip sfuggì lo stato demoralizzato del nipote, e si affiancò alla moglie nel tentativo di distrarlo tuttavia divenne ben presto chiaro che il ragazzo, pur assecondando i loro sforzi, rimaneva assente. Fu per questo che l’invito di Maria a raggiungerla per le prove, nel primo pomeriggio, venne accolto da entrambi i coniugi con sollievo, e quando fecero il loro ingresso nel locale in cui la giovane si sarebbe dovuta esibire quella sera rimasero piacevolmente colpiti dall’improvvisa ed intensa vitalità che apparve sul bel viso di Jason.
Maria aveva una voce splendida e cantava benissimo e persino i gemelli rimasero incantati ad ascoltarla. Poi, esaurito il repertorio previsto, li raggiunse al tavolo cui avevano preso posto e sorrise. - Sono davvero contenta di rivederti in piedi! - disse prendendo fra le proprie una mano di Jason.
Lui ricambiò il sorriso con affetto sincero, poi un’ombra gli attraversò lo sguardo. Il ricordo del silenzio mentale di Michael lo colpì con dolorosa violenza. Come poteva la zia sorridergli in quel modo pur sapendo che non aveva fatto nulla per aiutare Michael? Presa un’improvvisa decisione si voltò verso i nonni. - Io vado a casa con lei. Tornerò per l’ora di cena. -
Diane lo fissò preoccupata ma preferì con contraddirlo. - D’accordo, tesoro, allora ci vediamo più tardi... -
Cercando di non mostrarsi troppo sorpresa Maria salutò il pianista e seguì il gruppetto fuori del locale.
Dopo essersi nuovamente complimentati con lei gli Evans se ne andarono insieme ai bambini e Maria, preso Jason sottobraccio, s’incamminò in direzione della casa della madre. - Devo riprendere Mathias - spiegò.
- Perché non lo hai portato con te? - volle sapere il ragazzo.
- Perché ha l’abitudine di gorgogliare a tempo con la musica e Jack, il pianista, non lo sopporta. Dice che lo distrae... - rispose lei facendo una smorfia.
- Ah, quindi ha ereditato la tua passione? -
- Beh, certo il canto non è la passione di Michael! E’ terribilmente stonato! -
Scoppiarono entrambi a ridere, poi Maria assunse un’aria intenerita. - Però ama canticchiare la ninna nanna a Mathias e lui lo ascolta fino alla fine con gli occhi sgranati, dopodiché si addormenta. E’ bellissimo guardarli... - disse piano.
A quel commento Jason tornò serio. Sì, doveva farlo. Doveva rintracciare lo zio. A tutti i costi.
Quando infine si ritrovarono seduti faccia a faccia sul divano dell’accogliente salotto dei Guerin il ragazzo inspirò a fondo e spiegò il proprio piano. - Ora che ho recuperato tutte le mie forze posso provarci di nuovo. Prima, su Antar, eravamo troppo sotto pressione, avevamo perso già quattro uomini e lo zio Michael era furioso con se stesso per essersi lasciato convincere da papà ad assecondarlo. Il fatto è che papà sapeva che per Khar era una faccenda personale e voleva evitare di scatenare un’altra guerra civile. Per questo, pur sapendo che Camdir era diventata una vera e propria trappola, ci siamo addentrati nel suo territorio con una piccola squadra. Ma a quanto sembra quell’uomo conosce perfettamente il meccanismo alla base dei nostri poteri ed è riuscito a trovare il modo di neutralizzarli. -
- Come? - Maria lo ascoltava senza quasi respirare, le dita intrecciate con tanta di quella forza da rendere bianche le nocche. Aveva allattato, cambiato e messo a dormire Mathias cercando di tenere a bada la tensione che era andata crescendo in lei dal momento in cui erano entrati in casa, consapevole del fatto che il ragazzo voleva parlarle di Michael, e adesso pendeva letteralmente dalle sue labbra.
- Non lo so, forse si tratta di una rete di energia in grado di deflettere le emanazioni mentali, perché né papà né lo zio avevano avvertito la presenza dei soldati prima che questi ci sparassero contro. Quando mancavano pochi chilometri alla città eravamo rimasti solo noi tre e il capitano Rostad, e a quel punto Michael ha insistito perché rimanessimo indietro mentre lui cercava di trovare un percorso sicuro. Io... credo che papà abbia accettato per evitare che potesse succedere qualcosa anche a me. Era molto preoccupato... Poi, però, quando abbiamo visto che lo zio non tornava e non riuscivamo a connetterci con lui papà mi ha ordinato di andarmene. - Arrossì leggermente - Sulle prime ho protestato perché non volevo lasciarlo da solo, ma quando ci siamo resi conto che stavano arrivando altri soldati abbiamo dovuto sparpagliarci per non farci sorprendere, e a quel punto non mi è rimasto altro da fare che obbedire... -
- Non abbastanza in fretta, però, per evitare di venire ferito - osservò con gentilezza Maria.
Lui annuì in silenzio, ancora vergognoso per essersi comportato come un bambino mettendo così in pericolo la vita di altre persone. - Desidero provare a contattare di nuovo lo zio Michael, e questo è l’unico posto in cui possa farlo. - disse dopo un po’.
- Non credo che tua madre approverebbe - Il timore che lo sforzo potesse nuocere a Jason tratteneva la giovane donna dall’accettare la generosa offerta del ragazzo tuttavia, davanti alla sua risolutezza, non le restò che arrendersi. - D’accordo, allora. Però promettimi che farai attenzione! -
- Ok - Evidentemente rasserenato per il consenso ottenuto si distese sulla schiena e le sorrise. - Grazie per la fiducia. -
- Non c’è di che, tesoro! - Maria gli diede un bacio sulla fronte poi accostò una poltroncina e sedette accanto a lui.
Il ragazzo chiuse gli occhi scivolando subito in uno stato di trance profonda.
Quella volta non ebbe alcuna difficoltà nello stabilire il collegamento con lo zio. A quanto pareva era tenuto prigioniero in un ambiente semibuio e isolato, ed era ferito. Nel sentirlo Michael sembrò rianimarsi, cominciò a tempestarlo di domande, ma lui poteva sentire la sua debolezza, il dolore che gli irrigidiva il corpo, e d’impulso lo raggiunse.

- Jason! Dannato pazzo! Che diamine ci fai qui? - lo apostrofò Michael cercando di sollevarsi sui gomiti.
Nel vedere le piaghe che gli segnavano il torace Jason sentì gli occhi riempirsi di lacrime e quasi cadde in ginocchio. - Cosa ti hanno fatto? - mormorò desolato.
Il giovane ricadde pesantemente all’indietro, senza più forze. - Questa è una banda di tagliagole, non di soldati! Ho trovato questo posto per caso. E’ una specie di guarnigione distaccata delle forze di Khar, e credo custodisca i comandi di quelle maledette reti di protezione relative a questo settore. Solo che sono stato scoperto prima che riuscissi a trovarli... -
- Perché non hai risposto ai nostri richiami? Avremmo potuto aiutarti... -
- Sì, finendo anche voi in questo schifo! - Michael fece un respiro profondo cercando di riprendere fiato. Dov’è Max? - domandò guardando oltre le sue spalle.
- Non lo so - confessò il ragazzo. - Ci siamo separati alcuni giorni fa. Io... sono tornato a casa, a Roswell. -
- Perché? - volle sapere lui.
- Perché è il primo luogo sicuro che mi è venuto in mente -
A quelle parole Michael scoppiò in una risatina, subito soffocata da un accesso di tosse seguito da un rivolo di sangue che gli uscì dalla bocca. - Roswell... sicuro... - borbottò, e tossì di nuovo.
Senza perdere altro tempo Jason gli passò le braccia intorno alle spalle e lo sollevò un poco stringendolo contro di sé. - Hai bisogno di essere curato - disse, e senza dare altre spiegazioni richiamò sufficiente energia per teletrasportare entrambi da Shiri.
La ragazza stava parlando con Lhara e Bren quando il gemito di Michael, come al solito in preda alla nausea dopo quel viaggio poco ortodosso, attirò la sua attenzione. Con un piccolo grido corse verso di loro e aiutò il fratello ad adagiare delicatamente lo zio.
- E’ ferito - disse Jason mentre Shiri già posava le mani sul petto di Michael.
Fu questione di secondi, poi Michael si alzò in piedi e studiò il nipote. - Bene, adesso stammi bene a sentire, tu! Non muoverti da qui finché non avrò avuto modo di parlare con tuo padre! Hai usato molta energia e non ho alcuna intenzione di vederti in preda ad un altro attacco di crescita accelerata! -
- Ormai sono capace di tenere sotto controllo le mie cellule! - protestò Jason.
- Sì, come no! Resta qui, capito! - Detto questo Michael si rivolse a Shiri. - E tu vedi di non dargli corda! - Poi le si avvicinò e la baciò su una guancia. - Grazie per avermi guarito - disse in un sussurro prima di indirizzarsi agli Alehnikar. - Posso avere un’astronave con cui tornare su Antar? -
- Certo, Rath! Aehm, Michael... - Lhara accennò un sorriso mentre lui chinava la testa in un rapido cenno di saluto, dopodiché trasmise l’ordine e poi fissò sconcertata Jason. - Potresti spiegarci cos’è successo? - chiese.
- E’ troppo complicato e adesso non ne ho il tempo, scusami. - Si girò verso la sorella. - Hai notizie di papà? -
Shiri serrò i pugni frustrata. - No. Ho provato a domandare a Rodhya ma neppure lui sa che fine abbia fatto. Sembra che sia scomparso nel nulla... -
- Mamma e la zia Isabel sono in viaggio per Antar per cercare di scoprire qualcosa. Speravo che almeno tu... - si interruppe angosciato, ma dopo un attimo s’illuminò. - Forse potremmo fare un altro tentativo unendo le nostre forze! -
- Jason, lo zio ha ragione: non devi esagerare nell’usare i tuoi poteri... - provò a dissuaderlo lei.
- Allora adoperiamo i graniliti. Ti prego! - insisté Jason.
Vedendo la sua esitazione Bren le andò accanto e le pose gentilmente una mano sulla spalla. - Fallo pure, penserò io a tenervi sotto controllo. Se sento qualcosa che non va interrompo il contatto, d’accordo? -
Shiri annuì piano ed intrecciò le dita con quelle di Jason. Poco dopo, sospesa davanti ai loro volti, stava la sagoma ovoidale del granilite.
Insieme, i due ragazzi si concentrarono ma ancora una volta non ebbero fortuna nello stabilire la connessione mentale con Max.
- Ho paura - mormorò allora Shiri, ed il fratello chinò lo sguardo sul granilite che ora stringeva nella mano. - Anch’io - rispose. - Però sono certo che la mamma riuscirà ad aiutarlo. Lei può farlo, credimi. - Tornò a fissarla nei caldi occhi nocciola. - Devo tornare a casa. Non posso lasciare soli Claudia e Ethan...
- Sei sicuro di stare bene? Lo zio Michael ha ragione, lo sai, vero? -
- Sì, certo, ma stai tranquilla: userò l’energia del granilite. -
- Ok, allora. Salutami gli zii e i nonni. -
- D’accordo. Ciao... - L’abbracciò con affetto poi sorrise imbarazzato a Lhara e Bren. - Scusatemi per l’intrusione. -
- Figurati! E’ sempre un piacere vederti, Jason... - Bren gli strinse la mano dopodiché fece un passo indietro e lo guardò dissolversi letteralmente nell’aria. - E’ un ragazzo davvero in gamba - commentò voltandosi verso Shiri.
- Lo so - rispose lei. - Mi manca. Mi mancano tutti... - bisbigliò.
- Avresti potuto andare con lui - disse il giovane sommesso.
- Non sono ancora pronta a separarmi da te - fu la risposta altrettanto sommessa di lei.

Non sapendo cos’altro fare Maria era corsa a prendere del ghiaccio e lo aveva avvolto in due strofinacci che aveva poi premuto contro le tempie bollenti di Jason. - Accidenti, ragazzaccio! Si può sapere che ti è saltato in mente?!? - Si morse le labbra a sangue quando lui si inarcò gemendo, il corpo scosso da brividi, poi, improvvisamente com’era iniziata, la crisi finì ed il ragazzino riprese a respirare in modo naturale.
Quando sollevò le palpebre Jason sorrise alla zia. - Michael è sano e salvo. Sta tornando nella capitale. -
La donna lo guardò con severità. - Bene. Non voglio conoscere i dettagli, non credo che mi piacerebbero, però adesso cerca di riposarti! Mi hai fatto prendere un bello spavento, sai? -
- Mi dispiace... -
- Ah, sciocco! - Si chinò ad abbracciarlo. - Grazie, tesoro! - disse trattenendo a stento le lacrime.
Sentendosi sfinito Jason le diede una pacca leggera sulla schiena poi scivolò in un sonno tranquillo.
Quando si svegliò scoprì un paio di occhioni verdeazzurri che lo scrutavano intensamente. - Ciao, Mathias! salutò il bimbo.
- L’ho preso per allattarlo, e da allora non ha smesso di fissarti! Credo che ti adori... - Così dicendo Maria depose un bacio leggero sulla testolina del figlio. - E credo che tu adori lui, come tutti gli altri bambini... -
- E’ vero - ammise Jason tendendo un braccio per prendere la mano di Mathias. - Ricordo il giorno in cui è nato... Era così piccolo... -
- Se ce la fai a metterti seduto puoi tenerlo un po’! -
- Sì, grazie - E con cautela si raddrizzò per poi sistemarsi il piccino contro il petto. - E’ davvero bello... -
Commossa, Maria guardò il visetto del figlio. - Chissà com’era Michael alla sua età? -
- Comunque ti somiglia moltissimo... - Jason continuò ad osservare i suoi occhi e ripensò allo zio. “Spero che vada tutto per il meglio, adesso...”

- Fermo! C’è... qualcosa di strano... - Max si guardò attentamente intorno, messo in allerta dal profondo silenzio che sembrava aleggiare nel tratto di bosco davanti a loro. - Potrebbe essere una trappola... - disse senza voltarsi.
Il suo compagno fece per raggiungerlo ma lui lo bloccò con un gesto imperioso del braccio. - No! Resta indietro! Almeno uno di noi deve salvarsi - Senza aggiungere altro fece un passo in avanti, cercando di analizzare l’improvviso senso di pericolo che avvertiva dentro di sé.
Lo scoppio di energia fu terribile nella sua silenziosa furia devastatrice. Il corpo di Max si arcuò e venne sollevato da terra prima di essere scagliato lontano, mentre Rostad fu investito in pieno dal riverbero e crollò al suolo privo di sensi.
Quando Max rinvenne rimpianse amaramente di averlo fatto. Giaceva in terra, sul fianco, con le braccia bloccate dietro di sé e le gambe flesse e quasi del tutto insensibili. Qualcosa gli stringeva i polsi e le caviglie al punto da avergli spezzato le ossa, e un cerchio metallico era stato fissato intorno al suo collo provocandogli una leggera pressione sulla trachea. Comprese di essere nudo, e di non poter fare il minimo movimento se voleva evitare di impazzire per il dolore. Una luce bianca e fredda, proveniente dal soffitto, gli feriva gli occhi aumentando il sordo pulsare alle tempie.
- Avresti dovuto rimanere sul pianeta in cui eri stato relegato, Zan. Avresti dovuto evitare di distruggere tutto quello che avevamo costruito con tanta pazienza. E soprattutto, avresti fatto meglio a non venire qui... - Jender Khar lo squadrò dall’alto con disprezzo. - Questa volta non riuscirai a scappare. Queste non sono le prigioni di Zoltar... Medita sui tuoi errori, giovane re... -
Rimasto solo Max abbassò le palpebre e cercò di attivare i suoi poteri ma non ci riuscì e lo sforzo lo indebolì ulteriormente. Comprese che doveva essere per via dell’anello che lo soffocava, impedendo al sangue di affluire al cervello e dargli così l’energia necessaria a stimolare le cellule che racchiudevano la chiave delle sue straordinarie facoltà. Non c’era niente che potesse fare, se non sperare che almeno Jason fosse riuscito a salvarsi.
Di tanto in tanto Khar si affacciava nella minuscola stanza e gli faceva qualche domanda cui lui non si curava di rispondere, sapendo perfettamente che il solo motivo di quelle visite era il desiderio di vederlo umiliato e sconfitto. Non intendeva dargli alcuna soddisfazione lasciando trasparire il senso di impotenza che lo angosciava, e soprattutto non voleva mostrare la prostrazione del suo corpo, indebolito dall’immobilità e dalla mancanza di cibo ed acqua.
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso dall’ultima volta che qualcuno si era affacciato nella sua prigione quando udì la porta aprirsi e la voce odiosa del suo nemico risuonare con perverso compiacimento. Ti ho portato compagnia, Zan! Guarda! Non sei contento? - Così dicendo l’uomo si avvicinò fino ad arrivare all’altezza della sua testa permettendogli, in questo modo, di vederlo. E di vedere la persona che era con lui.
“Liz!” Un impeto di rabbia e paura lo scosse e cercò di muovere la testa per incontrare il suo sguardo. Tutto quel che ottenne fu una fitta lancinante alla gola e la gelida risata di Jender Khar. Ma quel che gli fece più male fu il gemito quasi impercettibile di Liz, sconvolta nel trovarlo in quelle condizioni.
- Goditela finché puoi, mio giovane re... - Gli diede un leggero calcio sull’anca spingendolo in posizione supina e strappandogli un ansito di dolore per l’improvvisa torsione cui vennero sottoposte le braccia e le gambe. Poi, ad un suo cenno, la guardia che li aveva scortati strappò gli abiti di dosso a Liz e la costrinse ad inginocchiarsi accanto a Max che, nel sentire il suo grido strozzato e rumori di lotta, si era quasi strangolato tentando di voltarsi per capire cosa stesse succedendo.
I due si guardarono ansiosamente negli occhi, alla disperata ricerca di una conferma del benessere dell’altro.
- Allora? Sto aspettando... Piccola regina, questa è l’ultima occasione che hai per dare un po’ di piacere a tuo marito! -
Liz tremò nell’udire quelle parole. No, Max non poteva morire! Lei non lo avrebbe mai permesso! Ma se quell’orribile uomo li avesse uccisi entrambi? Cos’avrebbe potuto fare, allora, per salvarlo? Fece per accarezzare quel viso tanto amato cercando di non far caso alla disperazione che brillava nelle iridi d’ambra quando si sentì sollevare da dietro e mettere di peso sul grembo di Max.
- Adesso o mai più - li irrise Khar.
Max non riuscì ad impedirsi di accarezzare con lo sguardo il bel corpo di lei, le curve armoniose del seno e dei fianchi, le mani delicate e la massa setosa dei capelli. Si sforzò di non pensare a quel che sarebbe accaduto di lì a poco, a quel che avrebbero fatto ad entrambi. Perché sapeva che, per aumentare il suo tormento, l’avrebbero uccisa per prima, davanti ai suoi occhi. Avrebbero ucciso l’amore della sua vita, la donna per cui aveva abbandonato il sicuro rifugio dell’oscurità, colei che gli aveva dato tutto. Liz...
Anche lei lo fissava con tenerezza, lottando per trattenere le lacrime. Seguì le linee forti del suo volto e del torace, ignorando volutamente le tracce del dolore impresse come marchi di fuoco nella carne e nei muscoli torturati dall’innaturale posizione cui era costretto. Avrebbe voluto toccarlo, accarezzarlo, confortarlo... fargli sentire quello che provava per lui, che avrebbe sempre provato per lui... Gli pose una mano sul cuore e si concentrò sul battito cercando di dimenticare l’ambiente ostile che li circondava. Sentì le pulsazioni diventare più rapide sotto il suo palmo, e per un attimo trattenne il respiro. Come animate di vita propria le dita scivolarono sulla pelle tesa dello stomaco poi, con una lentezza estenuante, scesero verso il basso ventre. Piano piano si chinò in avanti e allo stesso tempo alzò lo sguardo su di lui, un piccolo misterioso sorriso sulle labbra.
Max la fissò per un attimo e con un brivido chiuse gli occhi. Nonostante tutto poteva sentire l’eccitazione scorrergli forte nelle vene, mentre la vicinanza stava già creando la profonda connessione che li univa quando facevano l’amore. Percepì la sua mente, la sua essenza, e con gratitudine rispose al suo sorriso. Subito dopo avvertì la bolla di energia psichica liberarsi superando le barriere della sua debolezza, mentre la familiare forma liscia del granilite si materializzava sotto la mano che Liz aveva insinuato fra di loro per nasconderne agli altri la presenza.
Non che ce ne fosse stato bisogno, a dire il vero, perché la quantità di energia veicolata dalla ragazza fu così grande che Max riuscì a teletrasportare via entrambi in una frazione di secondo, lasciando Jender Khar ed il suo sgherro a fissare esterrefatti gli anelli di metallo ormai vuoti.

- Max... Max... Oddio, Max... - Liz continuò a ripetere il suo nome mentre lo stringeva a sé e gli accarezzava i capelli sulla nuca.
E Max la serrava contro il proprio corpo come se non volesse più lasciarla andare, ricoprendole di baci il viso e le labbra. Non riusciva ancora a crederci. Erano liberi, ce l’avevano fatta! Khar non avrebbe ucciso la sua bellissima Liz!
Si erano ritrovati sul letto della loro stanza, nell’ala privata del palazzo reale di Antar, e si erano subito stretti in un abbraccio forte e disperato da cui non riuscivano ancora a staccarsi.
Poi, rispondendo alla decisa pressione di Max, Liz sollevò i fianchi e si unì a lui sospirando di piacere.
Passò molto tempo prima che il loro slancio si esaurisse, e alla fine giacquero appagati l’uno fra le braccia dell’altro.
- Non saresti dovuta venire... - la rimproverò gentilmente il giovane baciandole la fronte sudata.
- Quel farabutto aveva minacciato di ucciderti se il Consiglio non avesse ritirato il mandato di cattura nei suoi confronti, ed ero sicura che se anche l’avesse avuta vinta ti avrebbe eliminato lo stesso! E avevo ragione, sai? L’ho letto nei suoi occhi, quando mi hanno portata da lui... -
- Cos’è successo? -
La ragazza gli mise una mano sulla guancia e gli sfiorò il labbro inferiore con la punta del pollice. - Non mi ha lasciato il tempo di dire molto, ad essere sinceri... Mi ha interrotta con un gesto quasi di fastidio e ha detto qualcosa a proposito del fatto che gli avevi creato un’infinità di problemi e che aveva intenzione di risolvere la faccenda una volta per tutte, poi mi ha condotta da te. Il resto lo sai... -
- Già... - Chiuse gli occhi concentrandosi sul tocco delle sue dita. - Mi sono sentito morire quando ti ho vista... Sapevo che ti avrebbe fatto uccidere, lì, davanti a me, e che sarebbe rimasto a guardarmi mentre tu... - Rabbrividì al pensiero e Liz protese il capo in avanti per baciarlo con tenerezza. - Non è successo, e questo è l’importante! - bisbigliò, poi lo costrinse a guardarla. - Siamo vivi, e liberi. - Sorrise - Anche Jason sta bene... -
Quell’ultimo commento fece corrugare la fronte del giovane. - Jason? Allora è a Roswell? -
- Sì. Era ferito, ma ce l’ha fatta. Mi ha detto di Shiri e di Michael... -
Max le premette la testa contro l’incavo della spalla e sospirò. - Michael... Devo tornare a Camdir e cercarlo... -
- Vengo con te -
- Assolutamente no. Anzi, non dovresti neppure essere qui! - La baciò sul collo. - Non è un posto sicuro, questo... -
- Lo sai che non ci sono posti sicuri, per noi... - Liz mosse la testa per permettergli di raggiungere la pelle sensibile dietro l’orecchio. - E comunque sono venuta con Isabel -
- Isabel? - si stupì lui.
- Sì. Però ho dovuto faticare parecchio per evitare che mi seguisse da Jender Khar. Credo di essere riuscita a convincerla solo quando le ho fatto presente che non avrebbe potuto portare Natalie con sé... -
Sentendo che la sorella aveva affrontato il viaggio interstellare insieme alla figlia appena nata Max si irrigidì. - Non avreste dovuto farlo -
Liz lo fissò incredula. - Eravate partiti da tre settimane, non avevamo idea di cosa vi stesse trattenendo, e poi è comparso Jason, con delle gravissime ferite interne! Cosa pretendevi che facessi? Io dovevo venire su Antar! -
- Mi dispiace... Mi dispiace tanto, ma non potevo sapere che fosse così difficile fermare Khar... - Max la strinse nuovamente a sé e chiuse gli occhi. - Sono felice che tu sia qui... - sussurrò ricominciando a baciarla.
Fecero di nuovo l’amore poi Liz si ritrovò semisdraiata sulla schiena di Max, che aveva il volto affondato tra i cuscini. Le labbra e le dita della ragazza continuavano a tracciare sentieri sul dorso dell’alieno e lui emise un mugolìo di soddisfazione.
Fraintendendo l’origine di quel lamento, Liz gli sfiorò una spalla. - Ti fa ancora male? - chiese preoccupata.
Max non rispose subito. Era troppo concentrato sul calore del corpo di lei, sulle sensazioni che il suo tocco delicato gli provocava. - No - mormorò poi prendendole la mano e portandosela al cuore. L’energia è stata più che sufficiente a guarirmi... Grazie... -
- Per cosa? -
- Per essere la persona meravigliosa che sei - Con un sorriso tenero girò il viso per guardarla. - A volte mi domando come faccia ad amarmi così tanto... -
Lei si morse il labbro inferiore e fece finta di riflettere. - Mah... A volte me lo domando anch’io... - Poi rise piano. - Forse è perché sei Max Evans? - disse dandogli un bacio sulla tempia.
Il giovane abbassò le palpebre, sorpreso dalla dolcezza di quel gesto. Poi, cercando di riemergere dalla nuvola di felicità in cui era sprofondato, riaprì gli occhi. - Dove sono Ethan e Claudia? - Mancavano solo loro per rendere perfetto quel momento...
- Li ho lasciati con Jason, dai tuoi. Ormai sono svezzati e quindi ho preferito evitare che... - Venne interrotta da un frenetico bussare alla porta.
- Liz? Liz, sei tu? Ho sentito dei rumori! Sei già tornata?! - Senza attendere risposta Isabel entrò e spalancò gli occhi. - Max?!? - Si slanciò verso di lui abbracciandolo con forza mentre Liz, imbarazzatissima, si tirava un poco indietro tentando di coprirsi col lenzuolo.
- Max! Dio, ti ringrazio! - La ragazza era sul punto di scoppiare in lacrime e Max ricambiò la sua stretta con altrettanta emozione. Voleva molto bene alla sorella e sapeva che anche lei era sulla lista nera di Jender Khar, come tutte le persone che amava. Quando? Quando sarebbe finito quel maledetto incubo?
- Grazie per averlo riportato a casa... - sussurrò Isabel guardando riconoscente la cognata, poi liberò il fratello dall’abbraccio e si raddrizzò quel tanto che le permise di sedersi sul bordo del materasso, una mano di Max stretta fra le sue. - Non sapevo che foste già arrivati. Nessuno mi ha avvertita del ritorno della navetta... -
- La navetta non è ancora rientrata. Il pilota aveva l’ordine di aspettare un’ora prima di ripartire, e il tragitto da Camdir a qui è piuttosto lungo - spiegò Liz.
- Allora voi come...? - La giovane guardò Max, che scrollò una spalla. - Ci sono stati dei problemi, e... abbiamo dovuto usare un altro sistema per tornare indietro. -
Isabel li fissò sospettosa. - Che genere di problemi? -
- Senti, che ne dici di andare di là e aspettare che io e Liz ti raggiungiamo? Dacci solo il tempo di vestirci, ok? -
La ragazza si alzò sbuffando. - D’accordo - disse malvolentieri prima di uscire dalla stanza.
Rimasti soli Max chiuse per un attimo gli occhi. - Sapessi quanto non mi va di lasciare questo letto... -
Liz lo baciò sotto la nuca. - Lo so, credimi! - disse, poi scostò con decisione le coperte. - Ma sarà meglio muoverci altrimenti Isabel potrebbe decidere di venire a controllare cosa stiamo facendo... -
- Potrei bloccare la porta -
A quelle parole lei scoppiò a ridere. - Mm, è un’idea! Ricordati di farlo stasera... -
- Sta’ tranquilla, me ne ricorderò! - Con una smorfia il giovane si alzò e, sorprendendola, la prese in braccio e la condusse in bagno per fare la doccia insieme.
Un quarto d’ora più tardi erano seduti su un divanetto di fronte ad Isabel. - Abbiamo saputo della scomparsa tua e di Michael da Thien Anders, che era stato informato dal capitano Rostad. E’ stata una squadra di soccorso a trovarlo e a riportarlo indietro, il giorno dopo l’imboscata - spiegò al fratello. - Poi Khar ha inviato un ultimatum al Consiglio: o la smettevano di cercare di catturarlo oppure ti avrebbe fatto uccidere. Come puoi ben immaginare, a quel punto Rodhya ha dovuto indire una riunione per decidere cosa fare e, quando siamo arrivate noi, ancora non erano arrivati ad alcuna conclusione! A quel punto Liz ha deciso di andare di persona a Camdir, e non c’è stato verso di fermarla... - terminò con un sospiro.
- E Michael? - chiese Max preoccupato.
La ragazza fece un gesto di esasperazione con le mani. - E’ tornato poco prima di voi due, e gli è quasi preso un infarto nel vedermi! Quando ha saputo cos’aveva fatto Liz voleva scatenare un mezzo inferno e ho dovuto sudare sette camicie per calmarlo! Poi è andato a cercare Thien e Rodhya e credo che sia ancora con loro, ma è così impegnato nei suoi piani di salvataggio che non mi permette di distrarlo collegandomi a lui perciò ho dovuto mandare qualcuno per avvertirlo del vostro rientro! -
Max scosse piano la testa. - Non cambierà mai... - mormorò.
Liz lo guardò accennando un mezzo sorriso, poi mise una mano sopra la sua e gliela strinse. - E Shiri? E’ ancora su Rènida? - chiese, preoccupata per la sua incolumità. Non avrebbe mai immaginato che quella semplice domanda avrebbe suscitato una tale reazione nel giovane, il quale impallidì ed arrossì nell’arco di una frazione di secondo. - Ecco... è una faccenda un po’ delicata... Lei... - Si strofinò una mano sulla coscia, consapevole della gravità di quello che stava per dire. - Lei si è fidanzata ufficialmente con Bren. E intendo dire... ufficialmente... E’ stato necessario per evitare che gli alleati renidani di Khar approfittassero della situazione di crisi per destabilizzare il pianeta. Gli Alehnikar si sono dati molto da fare ma il loro governo è ancora instabile e la rete di potere costruita da Volnis è ben lontana dall’essere del tutto eliminata. In pratica, Lhara è stata accusata di aver isolato il pianeta e di essersi lasciata manipolare da Bren, e ha passato dei momenti difficili prima di riuscire a placare i dubbi del suo Consiglio. -
- E tu hai permesso che nostra figlia si lasciasse coinvolgere nelle loro faccende?!? - trasecolò Liz.
- Shiri sapeva a cosa sarebbe andata incontro se avesse accettato quel fidanzamento, ma conoscendo quello che prova per Bren puoi capire benissimo perché non abbia voluto ascoltarmi... -
- Quindi adesso...? -
Max annuì rassegnato. - Succederà a Lhara sul trono, a meno che lei non cambi idea e decida di restare sul suo pianeta. -
A quelle parole Liz sbuffò. - Quella ragazza ha detto chiaro e tondo che non ha alcuna intenzione di regnare! Accidenti, Max, era proprio necessario? -
- Lo era per lei. -
Isabel fece una risatina sarcastica. - C’è qualcosa di familiare, in tutto questo... Mettere a soqquadro la propria vita per salvare chi si ama... Che ne dici, Max? Non sembra anche a te? -
- Non è il momento di scherzare! - la riprese il fratello con durezza.
- No, certo che no - mormorò allora lei, guardando di sfuggita il volto cereo di Liz. - Scusatemi, devo andare ad allattare Natalie. Ci vediamo più tardi... - Così dicendo si alzò e se ne andò, lasciando dietro di sé un pesante silenzio.
Dovettero trascorrere alcuni minuti prima che Liz parlasse di nuovo. - E Bren? Che impressione ti ha fatto? -
- Sembra molto affezionato a lei, per quanto siano così diversi... Era un po’ teso, preoccupato, comunque sono certo che saprà prendersi cura di Shiri... -
- Lo spero per lui - Lo sguardo della ragazza si era oscurato. Nonostante la sua intelligenza e le particolari capacità di cui era dotata Shiri rimaneva pur sempre una bimba, una bimba che aveva donato il proprio cuore ad un uomo che avrebbe potuto distruggerla, se solo avesse voluto. Perché lei lo amava senza riserve e per questo era vulnerabile.
- Possiamo fidarci di Bren. Davvero -
Liz chinò la testa in segno di capitolazione poi si mise in piedi e cominciò a girellare per il salottino. - E... tornerà con noi sulla Terra? - chiese con voce sommessa.
- Certo! Finché non lo sposerà non è obbligata a rimanere con lui, e Lhara deve sistemare ancora diverse questioni prima di poter abdicare senza che la gente si sollevi contro Bren. Ci vorrà un po’ di tempo, e fino ad allora Shiri starà a Roswell. -
- E’ solo una bambina... - bisbigliò desolata, gli occhi velati dal pianto.
Senza parlare Max le andò accanto e la strinse fra le braccia.
Poco dopo la porta si spalancò di botto ed apparve Michael, che fissò la coppia con occhi di fuoco. Era ancora fuori di sé per l’angoscia di non essere riuscito ad arrivare in tempo per trattenere Liz nella capitale, per non parlare di quando il pilota che avrebbe dovuto riportarla indietro era tornato senza di lei, e se non fosse stato per Isabel avrebbe di sicuro commesso qualche sciocchezza. Tipo prendere una nave e partire per Camdir con un carico di bombe da sganciare direttamente sulla testa di quel maniaco di Jender Khar, e al diavolo le buone intenzioni di Max! Con certa gente l’unica maniera di intendersi era ricorrere alla forza, punto e basta!
- Michael! - Nel vedere l’amico Max si affrettò ad avvicinarglisi e a stringerlo in un abbraccio cui il giovane rispose suo malgrado. - Ero così preoccupato per te! -
- Ci ha pensato tuo figlio a salvarmi - commentò secco Michael.
- Jason?!? - Liz fece un passo verso di lui, pallida in volto. - Cosa vuoi dire? -
- Lascia perdere - disse l’alieno maledicendosi per l’infelice uscita.
- No, Michael, per favore, dimmelo! - lo implorò la ragazza.
- Senti, voleva soltanto sapere cosa mi fosse successo, così si è connesso con me e mi ha dato una mano a liberarmi... - rispose, semplificando notevolmente i fatti.
- Sicuro che sia stato solo questo? - indagò a sua volta Max.
- Ehi, io sono qui, giusto? E lui no. Quindi, è andata come vi ho detto! - In realtà era un po’ preoccupato perché sapeva che Jason era tornato sulla Terra dato che Shiri, benedetta ragazza, lo aveva avvertito subito dopo la sua partenza, ma non era certo quello il momento di dirlo...
- Va bene, a questo punto c’è una sola cosa che posso fare per eliminare Khar! -

Il Consiglio rimase in attonito silenzio ad ascoltare il resoconto dei fatti mentre Jender Khar, prelevato di sorpresa dalla sua roccaforte grazie agli sforzi uniti di Max, Michael ed Isabel, con l’ausilio dell’energia dei graniliti, se ne stava in piedi circondato da un manipolo di guardie armate.
Le testimonianze di Anja Rostad e Dewi avevano suscitato qualche perplessità. Perfino Rodhya faceva ancora fatica a credere a quel che Khar era riuscito ad organizzare, eppure l’espressione sardonica su quel volto fiero e duro non lasciava dubbi. Jender Khar aveva tratto enormi benefici personali dal governo invasore, e non ne aveva accettato supinamente la perdita.
Quando infine Max prese la parola per prima cosa ringraziò il Consiglio per l’ottimo lavoro che stava svolgendo per il benessere dell’intero pianeta, poi diede ordine al Comitato di Sicurezza di tenere conto delle nuove disposizioni per quel che riguardava i contatti con Camdir, dopodiché comunicò il passaggio dell’amministrazione della regione sotto il diretto controllo del Consiglio e l’esilio del traditore.
Liz era grata al marito per non aver eliminato fisicamente Khar, la sola idea la faceva star male, tuttavia non poteva non sentirsi a disagio al pensiero che l’uomo che aveva fatto di tutto per uccidere Max e lei stessa fosse libero di muoversi come meglio credeva. Lanciò uno sguardo di sottecchi ad Isabel e scoprì che la stava osservando.
Michael si accorse di quelle manovre e ne informò Max con un semplice tocco mentale.
Il giovane strinse le mascelle. Neppure lui era soddisfatto di quella soluzione però sapeva anche di non potersi comportare come un despota, come aveva fatto Volnis prima di lui. Certo, il ricordo di ciò che quel verme aveva tentato di fare a Liz gli bruciava moltissimo ma doveva avere la forza di resistere al desiderio di vendicarsi con le proprie mani...
Fu Jender Khar, però, a risolvere il problema. Udendo la sentenza, che lo condannava alla perdita di tutto quel che possedeva, compresa la libertà, sentì un’ondata incontenibile di odio sommergerlo e come una furia si slanciò contro Max.
Prima che riuscisse a raggiungerlo, però, le guardie lo crivellarono di colpi, e Max richiuse di scatto il pugno annullando il campo di forza che aveva creato d’istinto.
“- Ecco fatto! Pulito e veloce... -” fu il piatto commento di Michael.
Max non ebbe il coraggio di ribattere. Anche lui aveva pensato la stessa cosa...
Scossa da un forte tremito per la subitaneità di quell’attacco Liz gli si avvicinò ed emise un sospiro nel sentire il suo braccio circondarle la vita.
- Siamo terribilmente spiacenti di non aver saputo riconoscere il vero volto di quest’uomo, Altezza - esordì Rodhya, - e speriamo che in futuro sapremo vegliare con maggiore attenzione su di lei e sulla sua famiglia. Antar è il nostro mondo, e lei è, e sarà sempre, Antar -
Il giovane guardò Rodhya e tutti gli altri consiglieri portarsi la mano stretta a pugno sul petto in segno di saluto. - Grazie - disse semplicemente poi lasciò la sala, seguito dagli altri.
Più tardi, nella sala riunioni privata, si ritrovarono ancora una volta tutti insieme. A loro si erano aggiunti il capitano Rostad e Rona, la moglie di Thien Anders, che si era presa cura di Natalie mentre Isabel era in Consiglio.
Max non avrebbe mai dimenticato l’aiuto che Anja Rostad gli aveva dato per portare in salvo Liz, e non aveva avuto alcun problema a concedere all’uomo quel che desiderava: far parte del corpo scelto delle guardie reali, ed Anders lo aveva subito arruolato nel suo staff, ben consapevole delle grandi capacità di quell’uomo.
Rona Anders si avvicinò quasi riluttante ad Isabel e le porse la bimba, che si agitò un poco fin quando si ritrovò con la testolina poggiata sul cuore della madre. Allora si calmò immediatamente e tornò ad addormentarsi.
La donna sorrise commossa. - E’ stato un vero onore tenere in braccio sua figlia, principessa... -
Isabel la ringraziò poi andò verso Liz, che sembrava sulle spine. - Cosa c’è? - le chiese sottovoce.
- Voglio tornare a casa, da Jason. Voglio controllare di persona come sta -
- Già, ti capisco. Michael mi è sembrato più evasivo del solito... -
- Infatti. - Cercando di tenere a freno la propria impazienza osservò Rona parlare con Max e poi allontanarsi con lui. - E adesso dove vanno? - borbottò.
In realtà i due si limitarono ad uscire dalla sala per incontrare Loral Deemar, che aveva domandato al generale Anders e a sua moglie di aiutarla a vedere Max prima che ripartisse per la Terra.
Il giovane rimase sorpreso nell’ascoltare la richiesta della mutaforma, ma ne comprese subito il motivo. Senza il suo assenso non avrebbe potuto lasciare le forze armate se non come disertore, e invece lei voleva poter lavorare in qualità di medico nell’ospedale civile di Antar. Dopo tutti gli anni trascorsi lontano dall’ambiente militare non se la sentiva più di tornarvi, mentre le sarebbe piaciuto continuare ad occuparsi della gente così come aveva fatto a Miami Beach.
Anche stavolta Max non fece nessuna obiezione, e tutto sommato la richiesta di Loral era più che comprensibile. Confermò allora a Thien Anders di aver accettato le sue dimissioni e chiese a Rona di occuparsi dell’inserimento della mutaforma nel settore medico dopodiché tornò nella sala riunioni.
Notando come il viso di Liz si fosse illuminato nel vederlo sorrise dentro di sé e la raggiunse a passi rapidi. - Pronta? -
- Prontissima! - esclamò lei.
- Bene. -
Dopo aver salutato Rodhya ed Hansell prese Liz per mano e si diresse verso il corridoio privato che li avrebbe portati direttamente alla piattaforma mobile su cui una navetta li aspettava per condurli all’astroporto.

- Sono arrivati! - Shiri sentì un nodo in gola soffocarla. Era così combattuta! Voleva tornare a casa, da Jason e dai gemelli, dai nonni e dagli amici, e allo stesso tempo voleva restare con Bren.
Lui parve comprendere il suo conflitto e la prese fra le braccia. - Ti aspetterò tutto il tempo necessario, amore... - le disse guardandola negli occhi.
La ragazza si aggrappò alle sue spalle. - Grazie - bisbigliò.
- Grazie a te - fu la risposta di Bren prima che di chinarsi a baciarla.
Subito le loro menti si unirono ed entrambi videro attraverso i ricordi dell’altro la cerimonia del loro fidanzamento, l’atto che li aveva avvicinati in una maniera più intima di quanto avessero potuto immaginare.

Shiri indossava un semplice abito color oro lungo fino ai piedi, di un tessuto quasi impalpabile, e aveva sulla fronte una catenina di metallo prezioso. Bren, invece, portava una tunica stretta in vita e dei morbidi pantaloni aderenti che sottolineavano le sue gambe muscolose.
Mentre la guardava avanzare il giovane poteva sentire la paura che l’animava, e la capiva. Era troppo giovane per un passo del genere e non avrebbe mai voluto costringerla a farlo, ma lei era consapevole dell’importanza di quel gesto. Significava l’aperto legame fra la casa reale di Antar e quella di Rènida, e la salvezza di quest’ultima da un nuovo cruento dissidio interno.
Dal canto suo, Shiri non avrebbe mai sopportato di vedere Bren morire, soprattutto quando sapeva che avrebbe potuto aiutarlo. Per questo, pur essendo spaventata per quello che stava per fare, si era offerta di unirsi a lui. E lui aveva accettato.
Max aveva cercato di convincerla a riflettere, a ripensarci, ma dal momento in cui Bren aveva detto di sì lei aveva capito di non poter fare diversamente.
Lhara, invece, non aveva cercato di dissuadere il fratello, sapendo che sarebbe stata fatica inutile.
E così si erano ritrovati l’uno di fronte all’altra, con solo qualche centimetro a separarli.
Si erano guardati per un attimo in volto, incerti sui reali sentimenti dell’altro, poi Bren aveva iniziato a parlare. - Shiri di Antar, con questo atto io prendo su di me un impegno per la vita. L’impegno di rispetto per la regina - la baciò sulla fronte - di amore per la donna - abbassò la testa per baciarla sul petto - e di fedeltà per l’erede - si inginocchiò e depose un bacio sul suo stomaco.
In preda ad una violenta emozione Shiri gli mise entrambe le mani sulla testa. - Brentelwoodein Alehnikar, con questo atto io prendo su di me un impegno per la vita. L’impegno di onorare il tuo rispetto, il tuo amore e la tua fedeltà. -
L’uomo rimase per un attimo immobile, poi le prese gentilmente i polsi e si rialzò.
- La casa di Rènida passerà a Shiri di Antar il giorno del suo matrimonio con Brentelwoodein Alehnikar -
Le parole di Lhara avevano sollevato un piccolo polverone fra alcuni dei presenti, che avevano sperato di veder restaurare l’antica linea reale, mentre altri avevano accusato il colpo. Uniti, i due pianeti non avrebbero mai potuto venire sconfitti.
Ma Bren e Shiri erano consapevoli soltanto di quel che stavano provando, le mani nelle mani e gli sguardi incatenati. Qualcosa di fortissimo stava scorrendo in loro, qualcosa di cui non avrebbero mai più potuto fare a meno.

- Ti amo, Shiri -
- Ed io amo te, Bren -
Bren la baciò di nuovo, assaporando la passione che il semplice tocco delle dita di lei sulle sue braccia gli trasmetteva. Poi, con notevole sforzo, la liberò dal suo abbraccio e l’accompagnò fin dove li stavano aspettando.
Max, suo malgrado, sorrise comprensivo. Sentiva che la figlia e Bren si amavano con la stessa intensità con cui si amavano lui e Liz, e immaginava cosa dovessero provare in quel momento. Senza accorgersene serrò più forte la moglie contro di sé ed attese che Shiri si unisse a loro. - Grazie per esserti preso cura di lei - disse semplicemente, e l’uomo annuì in silenzio.
Quando furono a bordo dell’astronave la ragazza andò a sdraiarsi sulla sua cuccetta senza dire nulla, ma quando Liz le sedette accanto si sollevò e si rannicchiò fra le sue braccia scoppiando in lacrime.
Durante le lunghe ore di viaggio la madre non la lasciò mai sola e, quando finiva il suo turno al posto di guida, Max era lì con loro.
Shiri era grata ai suoi genitori per l’affetto di cui la circondavano e a poco a poco recuperò la serenità. Ormai Bren era parte di lei, e sapeva che lo sarebbe sempre stato.

- Adoro questa ragazza! Mi ha fatto prendere addirittura una A in storia! - Roger afferrò Alexandra da dietro e la sollevò facendola ruotare.
La ragazza strillò e rise. - Roger! Mettimi giù! -
Erano appena usciti da scuola, e Jason provò una fitta di gelosia nel vedere la coppia ridere e scherzare.
Tanya gli diede una leggera gomitata. - Sei stato tu a defilarti, non lei! -
Jason si girò a guardarla. - E’ questo che credi? -
- E’ quel che hai fatto capire a tutti non telefonandole mai per ben tre settimane -
- Ma non mi è stato possibile! - protestò lui.
- Raccontalo a un’altra, tesoro... - Così dicendo si allontanò lasciandolo solo.
- Ti prego, dammi un’altra possibilità... - mormorò allora a fior di labbra fissando Alexandra mentre se ne andava coi suoi amici dopo essersi limitata a lanciargli un’occhiata come unico saluto.
L’indomani fu una replica del giorno precedente, con l’unica differenza che avevano soltanto un corso in comune, ed in più c’erano gli allenamenti di basket.
L’indifferenza della ragazza lo stava distruggendo così, mentre entrava in palestra, Jason si costrinse a concentrarsi esclusivamente sul gioco. Era l’unico modo che conosceva per andare avanti. Era quel che aveva sempre fatto ogni volta che si era trovato a fronteggiare qualcosa di troppo doloroso...
Più tardi, quando si ritrovò nello spogliatoio coi compagni, rinunciò a farsi la doccia preferendo cambiarsi e andarsene in fretta.
Stava attraversando il parcheggio quando vide Alexandra appoggiata contro la sua macchina. Rallentò i passi fino a fermarsi, non sapendo bene cosa fare, poi lei si infilò le mani nelle tasche del cappotto e lo raggiunse. - Vuoi un passaggio? -
Jason rimase sorpreso per l’offerta ma non esitò nell’accettarla.
Mentre guidava verso casa sua la ragazza arricciò la punta del naso. - Non ti sei fatto la doccia? -
- No -
- Perché? -
- Non mi andava -
- Capisco... - Si voltò a guardarlo e del tutto inaspettatamente sorrise. - Vieni a farla da me - propose.
- D... d’accordo. - balbettò Jason, sempre più confuso.
Una volta arrivati alla fattoria Alexandra gli indicò il bagno. - Fai pure con comodo, mia zia è andata fuori città e rientrerà domani -
Senza dire nulla lui posò in terra lo zaino poi entrò nel piccolo locale e cominciò a togliersi i vestiti.
Rimase a lungo sotto il getto violento dell’acqua. Aveva bisogno di riflettere, di capire. Di smettere di sognare.
Quando uscì, rivestito di tutto punto, trovò la ragazza in piedi che l’aspettava. - Io... volevo parlarti - esordì, impacciata.
- Lo avevo immaginato - commentò lui con tono leggero, cercando di metterla a proprio agio. Dio, com’era bella...
- Ecco, io... ci ho pensato su tutta la notte... e... - Si schiarì la gola, non sapendo bene come continuare, poi scrollò la testa ridendo di sé. Non esistevano parole facili per dire quello che voleva ma in qualche modo doveva riuscirci. Si umettò le labbra rese secche dall’ansia e cercò il suo sguardo. - Voglio stare con te. Voglio fare l’amore con te, voglio che tu mi tenga fra le braccia, che riempia il mio mondo... - Abbassò la voce fino a ridurla a poco più di un sussurro. - Amami, Jason... ho bisogno di te... -
Col cuore che gli batteva all’impazzata per le parole che aveva appena udito il giovane le si accostò lentamente. - Sei sicura? Sei sicura che è questo che vuoi? - chiese con dolcezza.
- Sì - Lo fissò tesa. Moriva dal desiderio che la toccasse, che la baciasse... Voleva sentirsi di nuovo amata come succedeva ogni volta che la stringeva a sé.
E lui la strinse a sé, la premette gentilmente contro il proprio corpo prima di scostarsi quel tanto che gli permise di prenderle le labbra in un bacio appassionato.
Sentendo le sue mani sulla propria schiena Alexandra gemette e si arcuò insinuandogli le dita sotto la cintura dei pantaloni.
Senza mai lasciarla andare Jason la sollevò un poco e la sospinse fino al letto dietro di lei.

- Ciao, nonna, ti spiace se resto fuori a cena? -
Dall’altra parte del ricevitore la voce di Diane Evans risuonò perplessa. “- No, tesoro, certo che no! Però cerca di non rientrare troppo tardi, magari... -”
Sorridendo ad Alexandra, che lo guardava scuotendo forte la testa, Jason provò di nuovo. - Nonna? Veramente... vorrei rimanere fuori anche la notte. Posso? -
“- Tutta la notte?!? Ti sembra il caso? In fondo tua madre ti ha affidato a noi, e... -”
- Per favore! - la supplicò.
“- Ah, va bene! Sei proprio tale e quale tuo padre! Alla fine fate sempre quello che volete! -”
Il ragazzo scoppiò a ridere. - Allora ciao! Ti voglio bene, nonna! -
“- Anch’io te ne voglio, piccolo furfante... -”
- Tutto a posto? - chiese Alexandra afferrandolo per il braccio.
- Sì - confermò lui stringendosela al petto. - Contenta? -
- Da morire... - Gli passò una mano dietro la nuca costringendolo ad abbassare il capo e lo baciò.

Scritta da Elisa


Torna all'indice delle Fanfiction

Torna a Roswell.it