Roswell.it - Fanfiction
SPECIALE

IL FIGLIO DI NESSUNO (Nobody Son)

Capitoli 13-18


Riassunto: Questa storia, in 37 capitoli, è la prima di cinque fanfiction collegate tra loro. La vicenda ha luogo dopo 17 anni dall'episodio "Four Aliens and a Baby".

Valutazione contenuto: non adatto ai bambini.

Disclaimer: Ogni riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.

Introduzione dell'autrice: Amo il personaggio di Max e le dolci sfaccettature del suo carattere: la sua insicurezza, il suo senso di responsabilità, la sua generosità nel pensare sempre prima agli altri. Lui non sarà il protagonista di questa ff, ma sarà presente al pari di tutti gli altri personaggi che abbiamo imparato ad amare, così da non fare torto a nessuno. I protagonisti saranno Nate e Alyssa. Non voglio anticiparvi nulla, per non togliervi il gusto della scoperta ma, come dice l'autrice, questa storia ha luogo dopo 17 anni da ‘Four Aliens and a Baby’ e con questa informazione non ci vuole uno scienziato spaziale per capite chi è Nate, mentre sarà più difficile immaginare perché avrà vita difficile col futuro suocero. Quello che abbiamo visto in ‘Graduation’ non è mai accaduto.


Capitoli 1-6
Capitoli 7-12

Capitolo 13

La colazione di Nate – per quello che riuscì a mangiare – gli ballava nello stomaco, minacciando di fargli passare ancora una volta la notte in bianco. Non lo aiutava il fatto che ogni volta che Max prendeva una buca, le sue interiora sobbalzassero e lo portassero sempre più vicino a rimettere.
L'atmosfera dentro la SUV presa in prestito da Philip era molto tesa, e sia Nate che Max sapevano che la colazione con i Guerin non era andata molto bene. Dopo aver sentito Michael disgustato dal fatto di dover essere di fronte al figlio di Tess, Nate aveva fatto finta di niente, sedendosi come se non fosse successo nulla e cercando di mangiare un po' della sua colazione. ma la conversazione al tavolo era opprimente e sgradevole e solo la saltuaria presenza di Alyssa offriva una piccola tregua.
Dietro al volante, Max aspirò profondamente e lasciò uscire lentamente l'aria. "Ti senti bene, Nate?" gli chiese, senza togliere gli occhi dalla strada. I suoi occhi erano nascosti da un paio di occhiali da sole e Nate desiderò che non li indossasse – sembrava che non importa quello che Max potesse dire, i suoi occhi lo avrebbero tradito.
"Sto bene." rispose Nate, pensando che se avesse vomitato, Max si sarebbe accorto che era una bugia.
"Mi dispiace che Michael ti abbia offeso." disse Max, con un'espressione di disapprovazione. "Qualche volta lui è … solo Michael."
"Lui mi odia."
Max fece una risatina. "Lui non ti odia."
"Mi ha chiamato Spot."
Il sorriso di Max svanì e lui rimase in silenzio.
Non era nel carattere di Nate essere polemico, ma aveva deciso di averne abbastanza delle umiliazioni che aveva subito da quando era arrivato nel New Mexico. Non aveva chiesto nulla a questa gente – non voleva entrare a far parte delle loro vite, essere inserito nel loro testamento, essere invitato alle feste di compleanno. Tutto quello che voleva era la verità. Almeno questo gli era dovuto, vero?
"Perché mi ha chiamato Spot?" domandò più duramente che poté, il che voleva dire non molto. "Era un modo di dire tra voi ragazzi? Stavate seduti e ridevate del bambino che avevi fatto adottare, come se fosse un cucciolo messo di peso fuori dalla porta?"
Max si accigliò e continuò a guardare la strada. Per qualche ragione, Nate sentì un moto di simpatia per lui. Non sapeva perché.
"No, Nate Non puoi essere più lontano dalla verità." disse Max, alla fine.
"Allora perché il tuo amico mi ha chiamato Spot e ha pronunciato il nome di mia madre come se fosse spazzatura? C'è qualcosa che mi stai nascondendo?"
Seguirono alcuni momenti di silenzio, poi Max si accostò al lato della strada fermandosi avanti ad un cartellone pubblicitario del Museo dell'UFO. Parcheggiò il fuoristrada e si girò nel sedile per rivolgersi verso Nate. Quando parlò, il suo tono di voce fu dolce, le sue parole misurate e prive di ogni genere di rabbia.
"Ascolta, Nate. Io non sono sicuro di metterti in grado di capire perché le cose stanno come stanno, ma c'è una ragione per tutto. Michael non si è fidato mai di nessuno, meno di tutti di tua madre."
Nate batté gli occhi, sorpreso. "Perché?"
"Non lo so con precisione, ma loro non sono mai andati molto d'accordo. Lei era una studentessa che si era appena trasferita – lei arrivò qui quando eravamo al secondo anno delle superiori. Io credo che abbia rotto l'equilibrio del gruppo. Michael non si è mai fidato degli estranei. Qualche volta questa diffidenza lo rende aspro, così mi scuso se è stato sgradevole con te, stamattina."
Nate si guardò in grembo, fissando una delle sue unghie. "Tu … Tu amavi mia madre?"
Max esitò per un attimo, come se stesse cercando le parole giuste. "Eravamo così giovani, Nate. Quello che credi di sentire, non sempre è quello che tu senti veramente. Io mi fidavo di lei, posso dirti solo questo."
Nate si mordicchiò un labbro, mentre la domanda di Annie gli ritornò alla mente.
"E cosa puoi dirmi dei suoi genitori? Vivono ancora qui? E se è così, posso incontrarli? Anche loro sono miei nonni, sai …" La sua voce venne meno, insicura.
"Il padre di Tess morì un paio di anni prima di lei." disse Max. "Lei non mi hai mai parlato di sua madre, così presumo che se ne fosse andata e che fosse morta anche lei."
Sulle prime Nate si addolorò di non poter conoscere nessuno dei familiari da parte di sua madre, poi gli tornò in mente il commento di Annie - "Conveniente." Guardò in su e rivolse a Max un sorriso, che gli costò un grande sforzo.
"Okay." disse. "Credo che dovrei essere felice di aver trovato almeno uno dei miei genitori, no?"
Max sorrise e tornò al volante. "Anche io sono felice. E ora andiamo a vedere uno di quegli orribili posti per turisti di cui ti ho parlato."

***

Più tardi, quella sera, dopo essersi assoggettato alla visite del Museo dell'UFO e del luogo dell'impatto, Nate uscì dal motel, portando la sua biancheria sporca.
Doveva ancora trovare una lavanderia automatica, ma doveva cercarne una prima di dover riciclare i suoi vestiti per la terza volta. Infilò la biancheria sporca in un sacco di tela e si diresse verso il furgone.
Mentre lanciava il sacco sul retro, una convertibile rossa gli si affiancò.
"Hey, viaggiatore." gli disse una voce familiare.
Nate si voltò sorridendo, per vedere Alyssa che stava dietro al volante. I capelli, sciolta la coda di cavallo, le ricadevano sciolti intorno al viso ed erano più lunghi di quello che Nate aveva immaginato. La macchina era bella – apparentemente il loro disaccordo non aveva fermato Maria dal comprare a sua figlia una macchina molto costosa.
"Hey." rispose lui. "Che stai facendo da queste parti?"
"Oh, sai – sto cercando motociclisti solitari e autisti di furgoni." Guardò verso il sacco che Nate aveva appena gettato sul furgone. "Non stai partendo, vero?"
"No, devo solo trovare una lavanderia."
"Bene, non hai un appuntamento divertente per il sabato sera!" Con una risata, spense la macchina e ne uscì fuori.
Mentre girava intorno alla macchina, Nate spalancò gli occhi involontariamente. L'aveva sempre vista con indosso quell'orrenda divisa turchese da cameriera, ma con i vestiti normali sembrava completamente differente. Portava un top bianco molto aderente, un paio di pantaloncino kaki e aveva ai piedi dei sandali ornati di perline. L'uniforme le teneva nascoste le curve – Alyssa era rotonda nei punti giusti, e se solo fosse stata un po' più alta, sarebbe stata una modella perfetta. La sua pelle era leggermente abbronzata – Nate pensò che l'abbronzatura fosse dovuta alle pattinate fatte con suo padre. In poche parole, lei era la anti-Annie.
Quando si fermò davanti a lui, Nate cercò di non fissare il suo seno.
"Potrei trovare qualcosa di meglio da fare." le confessò timidamente. "Ma nessuno mi farebbe entrare in un locale con i vestiti che puzzano."
Lei rise ancora. "Si, forse è meglio che tu faccia qualcosa in proposito."
Lui annuì, leggermente deluso dal fatto che lei ora era lì, ma che se ne sarebbe andata. "Mi dispiace, ma devo rinunciare alla tua compagnia."
Lei scrollò le sue spalle abbronzate. "Non è necessario. Potrei venire con te."
Lui sollevò un angolo della bocca. "Alla lavanderia?"
Un'altra scrollata. "Perché no?"
Capendo che non scherzava, lui fece una risatina. "Sicuro, perché no?" Lui guardò la macchina di lei. "Solo che il mio furgone non è elegante come quella …"
Alyssa si guardò alle spalle, i lunghi capelli che oscillarono al movimento. "A chi importa? Andiamo!"
Poi gli indicò una lavanderia che, essendo sabato notte, era deserta. Sedettero da soli sulle economiche sedie di plastica allineate contro la parete di vetro rafforzato, e guardarono i vestiti di Nate girare nella lavatrice.
"I miei genitori sono sconcertanti." annunciò inaspettatamente Alyssa.
Nate la guardò, inarcando un sopracciglio.
"Lo sono." ribadì lei. "So che sono stati irritanti, questa mattina a colazione. Vorrei solo che la smettessero di litigare. Sembrano non accorgersi che tutti li vedono quando si comportano così."
Lui le fece un sorriso comprensivo. "Loro sembrano un po' … um, ostili l'una verso l'altro."
Lei alzò in aria una mano e il suo braccialetto tintinnò dolcemente. "L'inchiostro non si è ancora asciugato."
"L'inchiostro?"
"Il loro divorzio. Sono ancora nella fase 'devo riuscire ad umiliarti', ancora nello stadio dell'amarezza."
"E tu ti ci trovi in mezzo." osservò Nate con delicatezza.
Lei annuì. "Sono separati da un anno – papà ha trovato un appartamento e se ne è andato l'estate scorsa. Ma non hanno risolto niente. A volte credo che abbiano bisogno di vivere insieme solo per poter fare a pezzi tutto e liberarsi della rabbia. Può essere?"
Nate le fece un altro sorriso di sostegno. Dentro di se, stava pensando che lui comprendeva la rabbia di Michael Guerin. Provò ad immaginare come avrebbe reagito sapendo che sua figlia era fuori, da sola, con una persona che lui odiava – e che questa persona non poteva smettere di guardare il suo corpo.
"Partirai presto, vero? gli chiese lei dopo un po'."
Nate annuì. "Si. Probabilmente domani o dopodomani."
Lei si accigliò un po'. I suoi occhi scuri si diressero verso la mano di lui, che teneva appoggiata su una coscia. "Hai una ragazza?"
Il cuore di Nate saltò un battito, poi fece un tondo, duro, contro le costole. Era una reazione stana alla domanda della ragazza, specialmente considerando il fatto che era fidanzato. "Si." rispose, tralasciando la parte del fidanzamento.
"Si? Anche io." disse lei, facendogli un sorriso furbo. Sporgendosi, gli prese la mano e la voltò, in modo da vederne il palmo. Usando le dita, gli lisciò il palmo, mandandogli piccole scariche di elettricità per tutto il corpo. "Sembra che ci sia una connessione tra di noi." gli disse, senza guardarlo in faccia. "Sento che noi, in un modo o nell'altro … siamo una cosa sola."
Nate inghiottì la saliva.
Alyssa chiuse il dito attorno a quello di lui e lo guardò negli occhi quelli di lei indagatori, quelli di lui sconcertati. "Lo senti, Nate?" gli sussurrò.
E lui credette di sentirlo. Forse solo per un momento, circondato ironicamente dal profumo del detersivo e dal rumore delle lavatrici, ma Nate ebbe l'impressione che ci fosse veramente qualcosa di speciale tra di loro. Qualcosa che con Annie non aveva mai sentito.
Mentre ci stava meditando su, avvertì soffici labbra contro le sue, sentì il dolce sapore di Alyssa Guerin sulle sue labbra. Non ci fu resistenza, né fitte di rimorso che gli facessero respingere quella bella ragazza. No, fu esattamente l'opposto. Con la sua mano libera, Nate avvicinò il viso di lei, poi fece scorrere le dita tra i suoi capelli soffici. All'inizio il bacio di Alyssa fu gentile, poi più pressante. Il cuore di Nate cominciò a battere più forte, il suo bisogno per questa affascinante estranea che cresceva ogni minuto.
Poi le guardò i suoi occhi e le loro labbra si staccarono. Nate sentì l'aria entrare ed uscire in modo irregolare dal suo corpo. Mentre centinaia di pensieri negativi si affollarono tutti insieme nella sua testa, lui cercò di scusarsi delle sue azioni. Tipico di Nate prendersi la colpa di qualcosa che non aveva iniziato lui.
Ma l'espressione di Alyssa si trasformò in un sorriso, che gli arrivava fino agli occhi sotto forma di meraviglia "Santo Cielo!" mormorò.
Nate le sorrise di rimando. Anche lui era d'accordo – baciarla era stato meraviglioso.
Lei non gli chiese nulla di più. Soddisfatta, si accoccolò contro di lui, fino a che il suo bucato fu pronto. Tornati al motel, Alyssa non si aspettò nemmeno il bacio della buona notte. Stettero in piedi accanto al furgone, per un lungo momento, tenendosi per mano e parlando di niente e, quando per lei arrivò il momento di andare via, lei si limitò ad abbracciarlo e a salire in macchina.
Nate la vide allontanarsi, col corpo che gli formicolava per l'eccitazione. Sapeva che più tardi, quando avrebbe dovuto chiamare Annie e raccontarle della giornata, sarebbero arrivati i sensi di colpa. Naturalmente non le avrebbe detto di aver baciato una parente sconosciuta in una lavanderia pubblica, tuttavia quel bacio era impresso nella sua mente.
Per ora fremeva di eccitazione. Afferrò il sacco dal retro del furgone e si diresse verso la stanza del motel. Ma non fece in tempo a fare nemmeno un paio passi, che il mondo attorno a lui si oscurò. Sapeva cosa stava per succedere e si sforzò di impedirlo, ma non c'era nulla che potesse fare.
Davanti a lui c'erano una serie di edifici bassi. Era notte e c'erano elicotteri che volavano sulla sua testa, che controllavano con fasci di luce il terreno al di sotto. Nate guardò in alto e si mosse in avanti con tutta la determinazione che riuscì a raccogliere. Continuò a camminare, sapendo si avere una missione da compiere, sapendo che doveva farlo per il bene di tutti quelli che erano coinvolti, benché non fosse sicuro di chi fossero.
All'improvviso, vide delle jeep e persone con la divisa militare – era forse in qualche base? Non avendo controllo sul suo corpo, alzò le mani davanti agli uomini, davanti agli edifici. Ci furono spari di avvertimento e un improvviso, accecante fascio di luce diretto contro i suoi occhi. Sentì crescere l'attesa dentro di lui, poi sembrò che tutto esplodesse …
Ora Nate era per terra, in ginocchio e senza fiato. Sotto le sue mani sentì la polverosa superficie del parcheggio del motel. Si sentì spaventato ed arrabbiato – un'altra visione. Erano sparite da quando i suoi ricordi si erano sbloccati e lui aveva sperato che fossero scomparse per sempre. Ma erano tornate in modo duro e terrificante.
Frustrato, si sedette in terra, appoggiando la schiena alla ruota del furgone e si prese la testa tra le mani. Perché gli stava accedendo tutto questo? Stava veramente diventando pazzo? Guardando in basso, vide il riverbero di una luce provenire da chissà dove e pensò fosse la luce di una finestra del motel. Poi si rese conto che non proveniva da una delle camere, ma piuttosto … da dentro la sua camicia.
Con le dita che tremavano, Nate si aprì la giacca e vide qualcosa brillare sotto la sua maglia. Assurdamente terrorizzato, tirò giù il collo della maglia per scoprire un piccolo gruppo di segni che brillavano proprio sopra il suo cuore. Con orrore, ne riconobbe il disegno …
Era la costellazione di stelle che aveva visto per tutta la sua vita.

Capitolo 14

Le nocche di Nate bruciavano, quando colpì la solida porta di legno degli Evans in Murray Lane. Era mezzanotte passata e c'era leggero strato di nebbia che era sceso sui giardini ben curati e ovviamente irrigati del comprensorio. Dentro di se, Nate aveva un guazzabuglio di emozioni – paura, rabbia, risentimento. Ora era lampante che gli avevano mentito, che c'era qualcosa che lui non era pronto per sapere.
Per cominciare, perché la sua memoria si era sbloccata solo quando lui si era trovato faccia a faccia con Max? E come era possibile che lui potesse avere ricordi riferiti a quando era così piccolo? Perché lui aveva sempre osservato nel cielo quella particolare formazione di stelle che ora era impressa nel suo petto? Perché aveva visioni di veicoli militari, elicotteri, comete che cadevano e esplosioni? Perché quelle cose non gli erano successe fino a che non era arrivato a Roswell?
Perché gli era stato impedito di sapere della sua adozione fino a che non fosse stato maggiorenne? Perché non aveva un certificato di nascita? Perché, ovviamente, Max gli aveva mentito sul fatto di sapere una o l'altra di quelle cose?
Nate era stanco di cercare risposte. Era tempo di averle.
Con la rabbia che gli scorreva nelle vene, bussò di nuovo alla porta, questa volta più insistentemente. Dopo pochi attimi, la luce nel portico lo accecò, poi la porta si aprì lentamente. dall'altra parte c'era Max, vestito con una t-shirt ed con i pantaloni di un pigiama, i capelli arruffati e gli occhi aperti solo a metà.
"Santo Cielo, Nate" disse insonnolito. "Sveglierai tutto il quartiere."
"Voglio delle risposte." esplose Nate
Max si strofinò gli occhi e sbadigliò. "Non potresti aspettare? Perché io …"
"No. Non posso aspettare."
Max inarcò un sopracciglio, poi si spostò dalla porta per far entrare Nate nella casa buia. "Solo, parla piano, Nate. Mamma e papà sono addormentati – o almeno lo erano."
Nate ignorò il suo sarcasmo e lo seguì in casa fino alla cucina, dove Max accese la luce e si lasciò cadere stancamente su una delle sedie del tavolo. Nate preferì restare in piedi.
"Cosa c'è?" gli chiese Max, appoggiando un gomito sul tavolo. "Che cos'è tutta questa urgenza? Hai bevuto?"
Nate scosse la testa. "No, non ho bevuto. Credo che tu mi abbia ingannato, Max."
Da parte di Max non ci fu alcuna reazione. "Dici? E perché?"
"Per le cose che non mi hai detto."
"Quali, per esempio?"
"Ho avuto un ricordo che non sono riuscito ad afferrare per tutta la mia vita. Mi ha tormentato – era lì, potevo quasi vederlo e poi spariva. Poi, ho incontrato te ed è diventato chiaro."
Max batté gli occhi, ma non reagì.
"Vuoi sapere qual'era quel ricordo?" domandò Nate, sentendo l'ostilità salire nella sua voce, benché si fosse riproposto di mantenersi freddo. "Era il ricordo di te che mi tenevi in braccio – quando ero piccolo."
Max spostò la testa da una parte, ma la sua espressione rimase impassibile.
"Non capisci?" chiese Nate allungando un braccio. "Le persone normali non hanno ricordi di quando erano neonati, Max."
"I ricordi sono conservati nel subconscio." spiegò Max, con tono polemico. "Che noi possiamo o no accedervi è un'altra questione. Tutti abbiamo ricordi così vecchi."
"Ma perché io posso accedere a questi ricordi? Non è normale."
Max si strinse nelle spalle. "Io non posso saperlo, Nate Ognuno di noi è differente dall'altro."
Nate si sentì ribollire il sangue. Stava giocando con lui come il gatto con il topo. Max Evans voleva far finta di non essere il più grande bugiardo sulla faccia della terra. "Credo che tu mi abbia mentito."
A quel punto le sopracciglia di Max si sollevarono "Su che cosa?"
"Sul fatto di ignorare la clausola di non sapere della tua esistenza fino alla mia maggiore età. Sul fatto che io non ho un certificato di nascita. Mi hai detto di non sapere nulla di entrambe le cose."
"Non ne so nulla." negò pacatamente Max.
"Fesserie." Nate si allontanò dall'uomo che pretendeva di essere suo padre e si passò le mani tra i folti capelli. Fece un paio di respiri profondi, poi si voltò di nuovo per vedere Max che lo stata studiando in silenzio. Nate si impose di parlare più lentamente e con molta attenzione. "Che cosa mi stai nascondendo, Max? Perché mi stai mentendo? Da quando sono arrivato, io … vedo delle cose."
Max si raddrizzò e Nate notò che ora non sembrava più tanto insonnolito e pronto a tornare a letto. "Cosa vuoi dire?"
Nate fissò il soffitto. Se avesse detto a Max delle sue visioni, forse l'avrebbe preso per pazzo. Se non gli diceva nulla, probabilmente avrebbe perso l'occasione di sapere cosa significassero. "Vedo delle cose, in pieno giorno. Visioni."
Max deglutì visibilmente e Nate decise che non era un buon segno.
"Ho visto furgoni che non esistono, cose che sfrecciavano nel cielo, grandi esplosioni. E sembravano tutte così reali, ma quando aprivo gli occhi …" le parole di Nate si persero e lui si rese conto di quanto potessero sembrare assurde. "E' normale tutto questo, Max?"
Max fissò il tavolo, senza parlare.
"Senti," cominciò calmo Nate, tentando di offrirgli una tregua. "Se mi dici la verità, uscirò dalla tua vita per sempre."
Max fece una smorfia ironica e scosse la testa. "No, Nate. Se io ti dicessi la verità, non saremo mai più uno fuori dalla vita dell'altro."
Nate sentì avvicinarsi il familiare dolore di stomaco, al commento di Max. "Voglio sapere. Devo sapere."
Ci fu un lungo silenzio, poi Max guardò l'orologio. "E' tardi, Nate. Non che questo importi. Ma tutto sembra differente il giorno dopo e scommetto che quando domattina ti sveglierai, le tue preoccupazioni saranno sparite."
Nate si accigliò, deluso. Scosse la testa disgustato, poi prese il collo della sua maglia. Lo tirò giù, guardando Max negli occhi. "Veramente? Pensi che anche questo domattina sarà sparito?"
L'attimo successivo rivelò che Nate aveva visto, negli ultimi due giorni, solo la faccia da poker di Max, che scomparve quando i suoi occhi si posarono sui segni che risplendevano sul petto di Nate. Mentre la sua bocca si spalancava per la sorpresa, rimase senza fiato, come se qualcuno gli avesse un pugno nello stomaco. Girando la sedia, piantò entrambi i gomiti sul tavolo e si prese la testa tra le mani.
"Oh, Dio, Nate" sussurrò, con la voce piena di rimorso e di disperazione.
Nate rimase in piedi, senza muoversi dalla penisola della cucina, la maglia ancora tirata giù per mostrare il simbolo. Osservò Max per un lungo momento, chiedendosi cosa gli passasse per la testa. Era ovvio che Nate aveva smontato il suo bluff – era arrivato il momento che Max facesse vedere le sue carte.
Quando Max si voltò verso di lui, la sua espressione era piena di dolore, più di quanto Nate credesse possibile sopportare per una persona. "Non immaginavo che finisse così." confessò.
Nate lasciò andare la sua maglia. "Così come?"
"Volevo che tu avessi una vita normale, Nate. Ecco perché ti ho dato in adozione. Ho chiesto a mio padre di farti adottare come abbandonato, perché non volevo che tu mi ritrovassi."
Nate si accigliò. "Non volevi fastidi da parte mia."
Max scosse la testa. "No, questo non è vero. Io pensavo che tu fossi al sicuro, se restavi lontano da me, se non avessi mai nemmeno saputo chi ero. Pensavo che fosse molto meglio per te non conoscermi." Si morse le labbra e Nate penso che fosse vicino alle lacrime. "Io ti avrei tenuto con me, se …"
"Se cosa, Max?"
"Se non fosse per quello che sono."
Tutto questo non aveva senso. Da quello che Max gli aveva detto, lui era un ambientalista, che lavorava per l'Istituto Oceanografico di Boston. Cosa c'era di pericoloso? "Io non capisco." disse Nate
Nello sguardo di Max lesse il fallimento, unito ad una dose di mortificazione. Nate si sentì turbato e preoccupato per lui, nello stesso momento. Max fece un profondo respiro.
"Nate, tua madre non era … tua madre ed io … non siamo di queste parti.
Il silenzio riempì la stanza mentre Nate cercava di comprendere cosa Max volesse dire. Venivano dalla Louisiana o da qualche altra parte? Anche concentrandosi, non riusciva a trovare un posto di origine che fosse tanto orrendo.
"Okay." disse alla fine. "E allora?"
Max spostò lo sguardo per un momento, sospirando. "Noi non siamo di questo pianeta, Nate"
Nella mente di Nate, confusione lasciò il posto all'incredulità, che subito si trasformò in rabbia. "Questo non è divertente, Max. Ora non è il momento di scherzare,"
Max scosse la testa in segno di diniego. "Io non sto scherzando. Su questo argomento sono maledettamente serio."
Nate fece una smorfia. "Oh, andiamo. Ma mi hai preso per un idiota? Siamo a Roswell, la capitale mondiale degli alieni – quante volte hai usato questa patetica storia con qualcuno? Si, capisco – i miei genitori sono alieni. Sai, dici così tante balle, che …"
"Nathan." disse Max decisamente, costringendo suo figlio al silenzio. "La ragione per cui non hai il certificato di nascita, è perché non sei nato su questo pianeta."
Nate rimase in silenzio, pensando che quella era la scusa più ridicola che avesse mai sentito. Ma, se non altro, Max Evans stava guadagnando punti per la sua creatività. "Mi stai facendo perdere tempo." disse alla fine. "Ho chiuso con te. lasciami stare."
Girando sui talloni, Nate si avvicinò alla porta. Non aveva fatto che due passi, quando si rese conto che non riusciva ad andare avanti. Di fronte a lui era apparsa quella che sembrava una strana nebbia verde, che gli impediva di muoversi. Confuso, mise una mano avanti e sentì che la nebbia si piegava al suo tocco, tirandosi come un elastico. Un brivido gelido gli traversò il corpo, mentre la paura minacciava di prendere il sopravvento sul suo istinto di fuggire.
Girandosi velocemente, vide Max ancora seduto sulla sua sedia, ma con il braccio teso in direzione della porta, col palmo della mano aperto.
"Ci sono un sacco di cose che non sai." gli disse calmo. "Un sacco di cose che non avevo intenzione di dirti. Ma ora sembra che non abbia altra scelta."
Il cuore di Nate cominciò ad impazzire nel suo petto, l'istinto di fuggire ancora forte. I suoi occhi azzurri vagarono per la stanza, cercando una via di fuga. Poi una percezione lo colpì – se Max era riuscito a fermarlo mentre usciva dalla porta, sarebbe stato capace di fermarlo in qualsiasi altra direzione avesse cercato di fuggire?
"Nate, calmati." gli disse Max dolcemente, avvertendo ovviamente in lui i segni del panico. "Non devi prendertela con me."
"Non devo prendermela te?!" gridò Nate "Non ho la più pallida idea di cosa sia succedendo qui, niente di quello che hai detto ha un senso e tu mi hai intrappolato, per l'amor di Dio! Ho tutti i diritti di prendermela con te!"
Max si limitò a chiudere gli occhi come sola risposta ed abbassò la mano, facendo scomparire il campo verde. "Per favore non scappare." sussurrò più a se stesso che al suo visitatore.
Ma Nate non si curò della preghiera di Max. Tutto quello che voleva era uscire al più presto da quella casa. Niente era andato per il verso giusto e quella non sembrava essere una delle sue allucinazioni – il che significava che era tutto vero e che Max Evans era un alieno. Niente di tutto quello che Nate aveva letto o visto gli faceva credere che gli alieni fossero buoni, creature inoffensive da avere attorno. Così fece l'unica cosa che poteva fare.
Scappò.

Capitolo 15

Nate cercò a tentoni le sue chiavi, con le dita difficili da controllare come i tentacoli di un polipo. Le chiavi tintinnarono protestando, poi gli scivolarono dalle mani e caddero sul pavimento del furgone. Imprecando in silenzio contro se stesso, cercò a tastoni nel buio finché non le trovò.
Devi calmarti, Nate, ricordò a se stesso, poi rise ricordando che pochi minuti prima Max gli aveva detto le stesse parole. Dopo aver fatto un paio di profondi respiri, cercò di fermare il tremito delle sue mani ed aprì a ventaglio il mazzo di chiavi alla ricerca di quella marcata Ford, che avrebbe messo in moto il furgone. La trovò e la infilò nell' accensione, girandola e spingendo l'acceleratore nello stesso momento. I sassi schizzarono da sotto le ruote, mentre il veicolo strideva per la strada.
Doveva andare via da Roswell. Ora. Tutte quelle assurde, pazzesche cose che la gente diceva su quella trappola per turisti erano vere – gli alieni vivevano qui e, per quello che Nate ne sapeva, anche da molto tempo. Se Max Evans era un alieno, chi altri lo era? I suoi genitori? I suoi amici? Alyssa?
E lui era un alieno?
Perdendo la guerra con il suo stomaco, Nate si fermò al lato della strada, aprì la portiera del furgone e rigettò ripetutamente.
Non era successo niente. Era stato tutto un sogno, un'allucinazione. A questo punto, Nate si sarebbe anche accontentato di essere impazzito, come spiegazione – impazzire gli sembrava meno grave che sapere che c'erano alieni che camminavano liberamente per il mondo.
Mentre riprendeva la strada verso il motel, Nate credette di sentire un rumore, ma preferì ignorarlo. Dopo tutto il suo furgone era pieno di rumori – e se si fosse messo paura per ognuno di loro, avrebbe fatto solo quello.
Cosa stava facendo Max in quel momento? Stava radunando una truppa di alieni per inseguirlo? Certamente non poteva tornarsene a letto come se nulla fosse successo …
Girando il volante verso destra e sollevando una nuvola di polvere, Nate fermò il furgone davanti alla stanza del motel. Tutto quello di cui aveva bisogno erano 20 secondi per mettere insieme la sua roba e sarebbe stato fuori di lì, sulla statale, e avrebbe guardato Roswell dallo specchietto retrovisore. Mentre correva intorno al furgone, però, sentì l'inconfondibile suono dell'acqua che cadeva sul terreno. Il terrore si impadronì di lui facendolo fermare e guardare sotto il furgone – acqua e antigelo stavano formando una pozza verso le ruote posteriori.
Sapendo che ormai la sua fuga era impossibile, Nate aprì il cofano e vide che il manicotto del radiatore si era spaccato e che stava spruzzando acqua dappertutto. Erano le due di notte e non c'era modo di trovare un ricambio.
Era bloccato a Roswell almeno per un altro giorno.
Impreparato a questo nuovo ostacolo, Nate si guardò intorno nel motel buio, cercando nemici nell'ombra. Non voleva restare lì. Voleva tornare a Chautauqua, ad essere il figlio naturale del proprietario di un negozio di esche e di sua moglie, che amava cucinare.
Sentendo un brivido lungo la schiena, si girò velocemente ed entrò in camera, chiudendo la porta dietro di se, e mettendo anche il catenaccio. Ora, tutto quello che doveva fare era aspettare l'alba …
Seduto sul letto, Nate fece andare su e giù nervosamente un ginocchio, mentre paura e trepidazione crescevano senza controllo nel suo corpo. Aveva bisogno di qualcosa, di qualcuno che lo aiutasse. Si cercò nelle tasche fino a che non trovò il suo cellulare e compose il numero di Annie. In Pennsylvania era molto presto, ma lui non poteva aspettare.
"Ciao, Nate." disse Annie cinguettante, quando rispose alla chiamata. Aveva un tono di voce molto allegro.
Nate si accigliò. "Non ti ho svegliata?"
"No. E' sabato notte e, visto che tu non ci sei, sono uscita con alcune amiche."
Lui decise di lasciar perdere le domande – tipo con chi fosse e se ci fossero ragazzi – in vista della situazione. "Ascolta, Annie, sto tornando a casa."
"E' meraviglioso, Nate. Quando arriverai?"
"Appena avrò trovato un manicotto per il radiatore del furgone."
Lei fece una smorfia. "Te l'avevo detto che quel macinino si sarebbe rotto … C'è qualcos'altro? Mi sembri strano."
"Annie, avevi ragione."
"A proposito di cosa?"
Ancora non glielo aveva detto e già suonava così stupido. "A Roswell ci sono gli alieni, Annie."
Lei scoppiò a ridere. "Certo che ci sono."
"Dico sul serio! Annie, devi ascoltarmi."
Lei lasciò andare un sospiro di impazienza. "Andiamo, Nate. Gli alieni non esistono."
"Ci sono." insistette lui. "E Max Evans è uno di loro."
Ci fu una lunga pausa e quando Annie parlò di nuovo, lui ebbe l'impressione che cominciasse a dubitare che lui stesse scherzando. "Certo che lo è." scherzò, ma il tono allegro era sparito.
"Lo è. L'ho visto con i miei occhi.'
"Cosa hai visto?"
"Lui mi ha immobilizzato. Stavo cercando si scappare da lui, ha tirato fuori una cosa nebbiosa e non mi sono potuto più muovere." La voce di Nate salì di tono, denunciando la sua isteria.
Apparentemente questo bastò per far si che Annie gli credesse. "Mio Dio, stai bene?"
Lui chiuse gli occhi lentamente, sollevato dal fatto che lei avesse compreso e gli avesse creduto. "Si, sto bene. Non ha cercato di farmi del male. Quando mi ha liberato, sono scappato via, Annie. Devo andare via da qui il prima possibile."
"Sono contenta che vieni via." La sua voce suonava distante, come se stesse pensando a qualche altra cosa. "Torna a casa prima che puoi, Nate"
"Certo, tesoro. Te lo prometto. Appena avrò il manicotto del radiatore, me ne andrò da qui."
"Bene. Chiamami se ci sono sviluppi, capito?"
"Certamente."
"Fa attenzione, Nate. Ti amo."
"Anche io ti amo."
Nate fu incapace di dormire e rimase seduto finché l'alba cominciò ad illuminare la stanza. Fra poco, avrebbe potuto procurarsi il pezzo di cui aveva bisogno e si sarebbe messo in viaggio. Non pensava di fermarsi, ma di dare gas fino a che fosse arrivato sano e salvo al bungalow dei suoi genitori, al lago.
Mentre ancora il solo stava sorgendo, Nate sentì un lieve bussare. Il suo sguardo si puntò sulla porta e il suo corpo si tese in reazione.
"Nate, apri la porta." La voce di Max gli arrivò calma e addolorata.
Nate scosse la testa ma non rispose – e se avevano circondato il posto?
Un altro bussare leggero. "Per favore, Nate. Ho bisogno di parlare con te. Non devo per forza entrare io – puoi uscire tu, se vuoi. Non ti farò del male."
Nate deglutì e rimase immobile.
"Ci sono cose che devi sapere." continuò Max. "Una volta che te le avrò dette, potrai andare dove vorrai. Non ho intenzione di trattenerti qui."
Gli sembrò sincero. Nate si alzò, traballante sulle gambe stanche e aprì la porta quel tanto che lo permetteva la catena. Max lo guardò con gli occhi pieni di emozione.
"Possiamo parlare?" gli disse sottovoce.
Nate annuì, ma fu l'unico movimento.
"Nate, queste sono cose di cui non si può parlare in pubblico." lo avvertì Max. "Vieni fuori. Andiamo a fare quattro passi."
"Sei solo?" chiese Nate.
Max si sorprese della domanda. "Si, sono solo."
Nate chiuse la porta e sfilò la catena, poi tornò ad aprirla e guardò quell'alieno con diffidenza.
"Stiamo andando solo a fare quattro passi." gli confermò Max. "Quando non vorrai più camminare, ci fermeremo. Okay?"
Nate annuì in silenzio e chiuse la porta dietro di lui. Quando passarono accanto al furgone, Max indicò il liquido giallo-verdognolo che era in terra.
"Lo sai che hai il manicotto del radiatore rotto?" gli disse.
Nate annuì. "Si. Sto aspettando che apra un negozio di autoricambi."
Max guardò il sole che stava sorgendo. "E' domenica. Non troverai nessun negozio del genere aperto oggi a Roswell."
Nate si demoralizzò. Bloccato qui. Ancora.
"Posso aggiustartelo." si offrì Max con ritrosia. "Senza bisogno di autoricambi."
Nate lo guardò circospetto, chiedendosi cosa potesse significare.
"Vedremo più tardi." mormorò Max, infilandosi le mani in tasca e cominciando a camminare nella strada polverosa.
Per un po' camminarono in silenzio, con Nate di mezzo passo indietro rispetto a Max, in modo da poterne osservare i movimenti.
"Non ti biasimo per essere sconvolto." disse Max alla fine, prendendo a calci una lattina di birra, sul ciglio della strada. "Non è una notizia facile da ricevere o da assimilare. Ma quello che ti ho detto ieri sera, Nate, è la verità. Tess non era umana al cento per cento, e neanche io lo sono."
"Ma tu sembri umano." cercò di dire Nate, poi ripensò a quei film scadenti di fantascienza, dove gli alieni potevano cambiare aspetto. Anche Max poteva farlo?
"Io sono mezzo umano." spiegò Max. "E mezzo alieno. Un ibrido."
Nate deglutì. "E io … Io sono un alieno?"
Max gli fece un mezzo sorriso. "No. Tu sei tutto umano, Nate. Quando io e Tess ti abbiamo concepito, le nostre metà umane si sono riunite per fare un umano intero."
Bene, questo era un sollievo … aspetta, fare? "Mi avete fatto? Come in un laboratorio?"
Max scoppiò a ridere. "No. Tu sei stato concepito, um, in modo normale." Puntualizzò la sua frase con una risatina che ebbe vita breve. "Ascolta, Nate. Io non desideravo niente di più che essere un padre per te e darti via è stata una delle esperienze più dolorose della mia vita. E' una storia lunga, ma io ti ho cercato per tanto tempo. E quando finalmente ti ho trovato, mi sono reso conto che non potevo tenerti con me." Diede a Nate un'occhiata furtiva, piena di anni di sofferenza.
"Perché no?" chiese Nate
"Come ti ho detto ieri notte – per chi sono. Fuori, nel mondo, c'è gente cattiva, gente che pensa che gli alieni vogliono distruggere il mondo."
Gli occhi azzurri di Nate si spalancarono. "Ed è vero?"
Max sorrise allegramente. "Non la maggioranza. Ma la paura e l'ignoranza ha lasciato che gente come me venisse catturata, torturata, uccisa." Max chiuse gli occhi per un attimo e Nate si chiese quali ricordi stessero riaffiorando nella sua mente. "Io sapevo che se tu fossi rimasto con me, e quella gente avesse scoperto che tu eri mio figlio, saresti stato esposto a cose orrende. Non ho avuto altra scelta che allontanarti."
"Ma non avrebbero potuto crescermi tuo padre e tua madre? a Nate questa possibilità sembrò logica.
Max scosse la testa. "No. Loro sapevano che gli Evans erano i miei genitori. Avrebbero fatto presto ad associarti a me attraverso loro."
"Chi?"
"L' FBI. Il governo."
Nate si guardò le scarpe, ricordando le immagini dei veicoli e degli elicotteri militari che sommergevano la sua mente. A un certo punto, il potere doveva aver scoperto la verità su Max. Era quello che stava cercando di dirgli?
"Cosa ti è successo?" chiese Nate curioso.
Max fece qualche passo in silenzio, anche i suoi occhi fissi a terra. "Sono stato catturato. Quando avevo la tua età. Mi hanno torturato, hanno minacciato di uccidere i miei amici." Max si accigliò. "Mi hanno rubato l'innocenza. Non sono più stato lo stesso."
Nate si accigliò come suo padre: la loro espressione era identica.
Ma Max si scosse velocemente. "Ad ogni modo, non volevo che ti accadesse nulla del genere, così chiesi a mio padre di trovarti una meravigliosa famiglia con cui tu potessi vivere, persone che sarebbero state buone con te, come i miei genitori lo erano stati con me."
Nate sorrise. "Sono brave persone, Max."
Max ricambiò il suo sorriso. "Questo è bellissimo, Nate. Questo è quello che volevo." fece un respiro e si fermò sul ciglio della strada. Dietro di loro, il Tumbleweed non era altro che un puntino. "Tu devi tenere tutto questo segreto. Non devi dirlo a nessuno. Più gente ne sarà a conoscenza, più tutti noi saremo in pericolo."
Salvo che Nate lo aveva già detto ad Annie. Doveva avvertire Max che …
"Come ti ho detto, ci sono un sacco di cose che non sai e qualcuna che non sono certo di riuscire a spiegartela, per farti comprendere." continuò Max. "Ma se lasci la città, io non potrò nemmeno provarci." Si morse le labbra, riflettendo. "Ti prego, dimmi che resterai. Almeno per un altro giorno."
Nate ci penso, e realizzò che se solo si fosse fidato di Max per un altro giorno, avrebbe avuto l'opportunità di sapere molte cose. Decidendo che valeva la pena di correre il rischio, annuì in silenzio. Max sorrise e poggiò una mano sulla sua spalla.
"Bene. Ora torniamo indietro ed aggiustiamo il tuo furgone."
Arrivati al Tumbleweed, Nate guardò stupito Max aprire il cofano del furgone e toccare con la punta delle dita il manicotto. In un secondo fu aggiustato e tornato come nuovo.
"Dovrai procurarti dell'antigelo." disse Max raddrizzandosi. "Non sono bravo a fare incantesimi sui prodotti chimici."
Nate fece una risata nervosa e ringraziò Max, che raggiungeva la SUV di suo padre. Mentre vedeva Max uscire dall'area di parcheggio, Nate si sentì più rilassato, non terrorizzato come lo era stato la sera precedente. Certo, era ancora piuttosto agitato, ma non temeva più per la sua vita.
Mentre rientrava nella stanza, il suo cellulare cominciò a squillare. Lo prese e riconobbe il numero di Annie. Bene – aveva giusto bisogno di parlarle; la doveva avvisare di non dire a nessuno quello che le aveva rivelato.
"Ciao, Annie." disse nel telefono.
"Nate, rimani dove sei. Non venire a casa." La sua voce era molto tesa.
"Ma di che stai parlando?"
"Ho parlato con mio padre."
"Di cosa?" Le sopracciglia di Nate si strinsero in un'espressione di confusione.
"Lui conosce delle persone, Nate"
"Che genere di persone?" Nate senti che il cuore cominciava ad impazzire. Aveva la sensazione che Annie avesse fatto qualcosa di tremendo.
"Gente del governo. Gente interessata su quello che hai scoperto."
"Oh, Annie, no. Dimmi che non è vero." Un senso di terribile fatalità scese sopra di lui e lo pervase di disperazione.
"Dovrebbero essere lì prima di sera."

Capitolo 16

"Sali in macchina, Nate"
Lui non riusciva a muoversi, non riusciva a fare quei passi che lo avrebbero portato alla macchina, dove Max lo stava aspettando. Era stato tradito – dalla persona di cui si fidava di più, la persona con cui aveva pensato di passare tutto il resto della sua vita. Non aveva senso. Non Annie. 'Rimani dove sei', questo era quello che gli aveva detto. Non 'Vattene da lì prima che la tempesta di abbatta sulla città', ma 'Rimani dove sei'. Rimanere dov'era e cosa- aspettare di essere portato via con il resto degli alieni?
"Nate, sali in macchina." ripeté Max pressante. "Dobbiamo andare via – ora."
Consegnando Max Evans, Annie aveva condannato anche il suo fidanzato? E per l'amor di Dio – perché? Perché avrebbe dovuto fare una cosa simile? E come aveva fatto ad agire così velocemente? Era qualcosa che lei si aspettava? Perché non c'era voluto molto a convincerla che esistevano sulla Terra forme aliene di vita? Perché sembrava che Nate fosse stato ingannato fin dal primo giorno che l'aveva vista, una ragazzina magra, lentigginosa, senza amici che sembrava essere stata abbandonata sul ciglio della strada.
Max portò la macchina nel parcheggio e scese velocemente da dietro al volante. Girando intorno al veicolo, afferrò Nate per il braccio e lo costrinse a muoversi in direzione della macchina. Nate si guardò alle spalle, verso la camera del motel dove era rimasta gran parte della sua roba e cominciò a protestare.
"Non c'è tempo." disse Max. "Non possiamo perdere altro tempo, Nate." Aprì rudemente la portiera dalla parte del passeggero. "Entra."
Nate fece quello che gli era stato detto, lanciando un'occhiata alle poche tende aperte, mentre Max si risedeva al posto del guidatore. Il suo posteriore aveva a malapena toccato il sedile e già stava facendo retromarcia, alzando una scia di polvere. Poi furono sulla strada, allontanandosi da Roswell.
Erano passati solo venti minuti, da quando aveva telefonato a casa degli Evans, nel frenetico tentativo di parlare con Max, che doveva ancora rientrare dalla sua visita mattutina al motel. Per quello che ne sapeva Nate, Max era rientrato, qualcuno gli aveva porto il telefono e lui aveva parlato con Nate, poi aveva ripreso la macchina ed era tornato di corsa al Tumbleweed. O era successo così o lui aveva il potere di volare.
"Cos'altro le hai detto?" chiese Max, guardando nello specchietto retrovisore. Aveva un tono preoccupato e stanco, ma sorprendentemente privo di rabbia.
"Cosa vuoi dire?" chiese Nate, scuotendo la testa e cercando di mettere da parte il pensiero del tradimento.
"Tu le hai detto che io sono un alieno, giusto?"
Un'ondata di senso di colpa passò in Nate. "Si."
"E che altro? Le hai fatto il nome di qualcun altro?"
Nate inarcò le sopracciglia. "Io non lo so -"
"Andiamo, Nate. Dovrai pur sapere cosa le hai detto!" Nella voce di Max era comparso all'improvviso un tono brusco, disperato e Nate trasalì.
"Non è questo quello che intendevo dire." rispose, tenendo a freno la sua timidezza. "Quello che intendevo dire è che non so chi siano gli altri alieni. Tu non me lo hai detto." La piccola parte di Nate che non era mai arrabbiata, cominciò a riscaldarsi – dopo tutto, le risposte di Max a molte delle sue domande erano state ambigue. "Io non lo so."
Max gli lanciò un'occhiata dal sedile del guidatore, poi fece un lungo respiro e riportò lo sguardo sulla strada. "Hai ragione. Non avrei dovuto aggredirti così. Ora è importante mantenerci freddi – pensieri avventati portano ad azioni avventate."
Nate fece un piccolo gesto di consenso, pensando che quel piccolo discorsetto non era rivolto solo alle sue orecchie. "Dove stiamo andando?"
"Dove nessuno verrà a cercarci."
Nate si guardò attorno nella macchina. "E non riconosceranno l'auto'"
Max scosse la testa. "L'ho presa da uno sfasciacarrozze qualche tempo fa, e l'ho rimessa a posto proprio in previsione che potesse accadere un fatto come questo."
Sfasciacarrozze? Si, la macchina era vecchia, ma era in eccellenti condizioni. Nate si ricordò del miracolo fatto da Max col manicotto del radiatore e ritenne che il 'rimettere a posto' non era consistito in niente di più del passarci sopra la mano.
"Ascolta, Nate" disse Max, continuando a guardarlo attraverso il retrovisore. "Devi dirmi tutto quello che sai su Annie."
Nate sentì un dolore allo stomaco. In quel momento non voleva nemmeno pensare a lei, a quello che poteva aver fatto – specialmente se comportava il fatto di aver messo l'FBI sulle loro tracce. "Cosa vuoi sapere?"
Max gli lanciò un'occhiata. "Quando l'hai conosciuta? Chi è suo padre? Come fa a conoscere i governativi?"
Nate si strinse nelle spalle. "L'ho conosciuta quando avevo dodici anni, ho cominciato ad uscire con lei quando ne avevo quattordici e mi sono fidanzato con lei quando ne ho compiuti diciotto. Va alla Clarion University in Pennsylvania. Suo padre è avvocato."
Max alzò un sopracciglio. "E' lui che si è occupato della tua adozione?"
Nate ritornò col pensiero alla conversazione che aveva auto con suo padre, cercando di fare breccia nel panico per ricordare la sua risposta. "No. Lo ha fatto il nonno di Annie."
Max lo guardò con l'espressione di un esperto investigatore alle prese con un lavoro duro.
"Tuo padre conosceva il nonno di Annie?" chiese Nate.
Max scosse la testa. Non ne sono sicuro. Mio padre sta cercando di scoprire tutto quello che può – quando scoprirà qualcosa ce lo farà sapere."
Per un po' viaggiarono in silenzio, poi la realizzazione cadde su di lui come una valanga – se qualcuno del governo era stato tanto intelligente da scoprire che Max era un alieno e che di conseguenza anche Nate lo era, sarebbero stati capaci di scoprire anche che erano stati gli Spencer a crescerlo? Anche loro erano in pericolo?
"Max." disse Nate con impeto. "E se vanno da mia madre e da mio padre? E se cercassero di far loro del male? E se già fossero lì?" le sue parole vennero fuori a raffica.
Max alzò la sua mano. "Qualcuno si sta prendendo cura di loro – il padre di Annie non è l'unico a conoscere della gente."
Nate socchiuse gli occhi. L'efficienza con cui Max aveva organizzato la loro fuga era incredibile. Era come se avesse fatto pratica per tutta la vita aspettandosi un evento del genere. E forse, considerando quello che aveva detto a Nate sulla sua precedente cattura, non aveva altra scelta che essere sempre pronto.
"Torniamo ad Annie." ordinò Max, girando il volante a sinistra verso un sentiero polveroso nel deserto. "Chi sono i suoi amici?"
"Amici?" Nate ci pensò un po', rendendosi conto che Annie non aveva amici fissi tranne lui. Quella che le era più vicina era Chris – che veniva al lago solo durante l'estate. "Lei, uh, non ne ha molti …"
L'espressione di Max era tutto fuorché soddisfatta. "Non ne sono sorpreso." Si voltò verso Nate "E cosa mi dici di te? Hai degli amici?"
Nate annuì. Pur non avendo una vasta cerchia, aveva alcuni amici molto intimi, la maggior parte dei quali conosceva da sempre.
"Bene." Gravemente, Max tornò a guardare la strada e Nate si chiese se anche lui avesse passato un'infanzia solitaria. "Qualcuno di loro potrebbe tradirti?
"No." Nate non ebbe bisogno di pensarci due volte.
Nella macchina calò il silenzio e gli sembro quasi di sentire le rotelle girare nel cervello di Max, mettendo insieme i pezzi. Proprio quando gli sembrò che stesse per dire qualcosa, il suo cellulare suonò ed entrambi sobbalzarono.
Sollevando il fianco, Max si cercò in tasca e prese il telefono. Quando vide l'ID di chi chiamava, Nate credette di vedere un malinconico sorriso traversare i suoi occhi.
"Hey, baby." disse Max nel microfono. "Lo so, tesoro … Io sto bene, non preoccuparti … Lo sai dove sto andando … no, non venire, stattene al sicuro … si, lui è con me … "
Nate si agitò sul sedile, sentendosi stranamente coinvolto in quella conversazione unilaterale.
Max si passò la lingua sulle labbra e batté gli occhi un paio di volte. "Ti prego, non piangere … andrà tutto bene, te lo prometto … " Fece un profondo sospiro e Nate si chiese se, malgrado le sue parole, non stesse per piangere. "Liz, vuoi fammi un favore? Per piacere? Vai da Isabel, okay? Sai che non sa gestire molto bene situazioni come questa. Vuoi farlo per me? … Grazie, amore … anche io ti amo … più di quanto tu possa immaginare … lo farò … ciao … "
Max chiuse il cellulare e Nate avrebbe voluto trasformarsi in una palla di gomma e gettarsi fuori dalla macchina. Era ovvio quanto quella serie di eventi li stesse travolgendo tutti e lui sentì un senso di colpa crescere nella sua coscienza.
Nate scosse la testa, ed abbassò lo sguardo. "Non volevo che accadesse tutto questo." disse sottovoce. "Credevo di potermi fidare di lei."
Max inarcò lievemente le sopracciglia. "Alla fine, tutti ci siamo fidati della persona sbagliata."
Nate trasalì, convinto che anche se il commento non era diretto a lui, perlomeno lo riguardasse. Ammesso che se ne fosse reso conto, Max non fece nulla per dissipare quell'impressione.
"Siamo arrivati." annunciò Max fermando la macchina. Una nuvola di sabbia si alzò intorno all'auto, e si allontanò nel paesaggio brullo.
Nate guardò la strana formazione rocciosa davanti a lui. Risaltando nel paesaggio pianeggiante che la circondava, la montagna sembrava decisamente alta, con la forma di una V rovesciata. Non si vedevano costruzioni di nessun genere.
"Arrivati dove?" chiese confuso.
"Al campo base." disse Max, aprendo la portiera ed uscendo nel deserto.
Nate arricciò il naso. Avevano in programma di montare una tenda nel bel mezzo del nulla totale, tra sabbia e rocce? Dove serpenti e dingo avrebbero potuto mangiarsi vivi?
"Aiutami a scaricare i bagagli, vuoi?" lo chiamò Max dal retro dell'auto.
Nate uscì, con le gambe che tremavano e si chiese, una volta arrivato dietro l'auto, se Max gli avrebbe dato un colpo in testa e l'avrebbe chiuso nel bagagliaio, per farlo sparire per sempre. Dopo tutto, forse era così che trattavano chi tradiva il loro segreto – forse mantenevano quel sito remoto per 'sfuggire alla legge' ed eliminarli facilmente. Il pensiero gli additò la dolorosa evidenza – lui non conosceva nulla dell'uomo con cui era appena fuggito.
Ma quando girò dietro la macchina, trovò Max che si era caricato uno zaino sulle spalle e stava prendendo dal portabagagli altri rifornimenti.
"Prendi per prima la legna da ardere." gli ordinò sommessamente.
Nate obbedì, prendendo una bracciata di ceppi, ordinati con cura.
"Seguimi." disse Max, prendendo qualche borsa e cominciando a camminare verso la strana formazione rocciosa. Prima di allontanarsi troppo, comunque, toccò la macchina con l'indice e la tinta divenne immediatamente marrone e maculata, confondendosi con l'ambiente come un camaleonte.
Nate sollevò un sopracciglio per la sorpresa, ma lo seguì obbediente, guardandosi intorno di tanto in tanto. La paranoia non l'aveva abbandonato – forse stava portando il combustibile per la sua pira funeraria. Forse c'era un esercito di piccoli uomini verdi che aspettavano dall'altra parte della roccia per colpirlo alla testa e bruciare le prove.
Max si fermò davanti a quella che sembrava una comune parete di roccia. Spostando il carico su un braccio, passò una mano sulla superficie e subito comparve l'impronta di una mano argentata che brillò sulla sua scia. Nate rimase a bocca aperta mentre guardava Max poggiare la mano sulla roccia, coprendo l'impronta con la sua mano. Dopo pochi istanti, sentì un rumore di pietra che scorreva su pietra e apparve la caverna.
Girandosi per dare a Nate un'occhiata stanca, Max lo sollecitò ad entrare. "Va' avanti."
Um, no. Nate non era all'altezza di confrontarsi con un essere che muoveva la roccia senza fare il minimo sforzo – ma non aveva nessuna intenzione di entrare nella caverna per primo.
Max sembrò leggergli nella mente. "Non c'è nulla all'interno che possa farti del male."
"Lo so." mentì Nate. "E' solo che …"
"Andrò avanti io." Max passò nell'apertura, poi fece segno a Nate di seguirlo.
Dentro la caverna, l'aria era più umida rispetto all'esterno; c'era odore di stantio e di muffa. Nate aveva letto dei libri che parlavano dei pipistrelli che vivevano nelle Carlsbad Caverns e si chiese se vivessero anche in quel posto – avrebbero dovuto dormire circondati da topi volanti?
"Che cos'è questo posto? chiese a Max mentre seguiva con cautela i suoi passi.
"Un posto che nessuno conosce." gli rispose lui, camminando dritto per qualche metro e poi facendo una svolta.
Quello che Nate vide davanti a se lo lasciò senza respiro. Contro una parete c'era una serie di quello che sembravano essere palloni scoppiati, racchiusi in una struttura di metallo; brillavano di una luce azzurra e pendevano molli dal loro involucro. Il suo sguardo si diresse al soffitto, che era in realtà una intelaiatura di metallo, incisa con intricati dettagli.
"Puoi poggiare la legna da quella parte." disse Max, indicando un angolo poco lontano. "Lì starà asciutta." Posò il suo zaino e le borse che stava portando e cominciò ad aprirle.
Nate si decise a chiudere la bocca e depositò la legna dove gli era stato detto. Dopo aver studiato il posto per qualche minuto, raggiunse Max per aiutarlo a vuotare le borse – che risultarono contenere sacchi a pelo e coperte di lana. Max sembrava avere il completo controllo di se stesso, sebbene Nate ritenesse che quell'atteggiamento fosse per lui un rimprovero senza fine.
"Che succederà adesso?" chiese Nate sommessamente.
"Siamo in democrazia, Nate" gli spiegò Max, sistemando la pila delle coperte. "Prima di prendere qualsiasi decisione, dobbiamo aspettare che gli altri siano arrivati."
Gli altri. Max non gli aveva ancora rivelato chi fossero gli altri alieni, ma Nate sperò che Michael Guerin non fosse uno di loro. Perché se Michael stava veramente cercando un motivo per fare a pezzi Nate, lui gliene aveva appena fornito uno.

Capitolo 17

Seduto con la schiena contro la parete della caverna, Nate rifletté che l'attesa era ancora peggio della paura provata durante la fuga. Lui e Max erano alla caverna già da un'ora e ancora nessuno si era fatto vivo, né loro avevano parlato molto. In effetti Max era uscito, ordinando a Nate di rimanere dov'era – la qual cosa convinse ancora di più il ragazzo che il suo destino fosse quello di essere sepolto vivo in quella caverna polverosa, a morire di fame e di sete.
Per qualche ragione, non riusciva a tenere lontana la sua mente dal ragazzino caduto nel ghiaccio. Si era sentito come lui? In che momento si era reso conto che la sua fine era arrivata? I che momento la sua mentre si era resa conto che non sarebbe uscito vivo dall'acqua ghiacciata? O forse non se ne era mai accorto? Forse era scivolato nella morte senza rendersi conto di morire?
Forse la sua era solo la prima di tante vite cui Nate era destinato a rovinare.
Max rientrò nella caverna, stringendo leggermente gli occhi per il cambiamento di luce. Il suo sguardo incontrò quello di Nate e il ragazzo pensò di avervi visto un lampo di simpatia. Traversata la caverna, Max scivolò accanto a lui e incrociò le sue gambe alla maniera indiana.
Dopo alcuni minuti di silenzio, disse "Iz non se la cava molto bene in frangenti come questi. Ho mandato Liz da lei per darle qualcosa da fare, oltre che preoccuparsi."
Nate girò la testa, guardandolo in silenzio.
Max tirò un sospiro. "Liz ha avuto a che fare con cose come queste per tanto tempo. Sono sicuro che qualche volta si concede di credere che siamo al sicuro, che possiamo smettere di guardarci alle spalle. Poi succede qualcosa come questo."
Nate si morse le labbra, trafitto ancora una volta dal senso di colpa. "Anche Liz è aliena?" gli chiese.
Max gli fece un mezzo sorriso. "Non proprio. Lei è nata umana."
Nate sollevò un sopracciglio. Nata umana? E ora cos'era?
"E' stata sua la decisione di non avere bambini." disse Max malinconicamente, guardando in basso per criticare i lacci delle scarpe. "Lei era qui quando ti ho dato via e ha visto quanto sia stato difficile. Credo che abbia pensato che un giorno poteva succedere a lei e che non sarebbe stata abbastanza forte da farlo."
Nate si morse il labbro e guardò il pavimento di pietra della caverna. Poteva solo immaginare cosa si provasse a dar via un pezzo di se stesso e si rese conto che per qualcuno dar via un bambino non era la scelta più facile ma, piuttosto, una decisione che ti cambiava tutta la vita.
"Liz è veramente professore ad Harvard." disse Max, tornando a guardare Nate
"Ti credo." disse Nate, cercando di fargli un sorriso rassicurante.
Max girò lo sguardo per un momento p prese un profondo respiro. "Ma io non sono veramente un ambientalista."
Il sorriso di Nate sparì. Gli aveva mentito. Perché?
"Io non lavoro per l'Istituto Oceanografico di Boston. Io non lavoro per nessuno – non ho una professione."
Così, Max era un fannullone, che viveva la sua vita a sbafo? Nate si chiese se gli alieni se gli alieni non fossero che un mucchio di incapaci …
Max fece un cenno verso l'interno della caverna. "Io faccio questo."
"Cosa fai?" chiese Nate "Ti nascondi sottoterra?" Come le parole gli uscirono di bocca, si pentì della sua rudezza.
Max scoppiò a ridere. "No. Io sono in costante contatto con gli altri alieni del pianeta, mettendo a punto piani di emergenza in caso di disastro, contrastando eventuali minacce al pianeta." Fece una risata amara. "A volte passo mesi senza vedere mia moglie."
Gli occhi azzurri di Nate si spalancarono. Minacce al pianeta? Piani di emergenza? Contatti con altre forme di vita aliena? Forse Max era maniacale – forse la sua convinzione era quella di essere una sorta di ambasciatore intergalattico. Nate avrebbe potuto credere a questa sua teoria – se non avesse visto Max usare i suoi poteri.
"E' una grande responsabilità." continuò Max.
"Come hai fatto ad ottenerla?" chiese Nate curioso.
Max sembrò esitare solo per un momento. "Perché io sono il re di un pianeta che non ho mai visto."
La rivelazione lasciò Nate completamente senza parole. Non sapeva cosa dire e non aveva idea di cosa pensare.
"Il pianeta dove sei nato." chiarì Max. "Quel simbolo sul tuo petto? E' il marchio che solo il re può portare."
Inconsciamente, la mano si Nate si posò sul petto, dove il simbolo aveva brillato la scorsa notte.
"Non avevo intenzione di dirti nulla." confessò Max. "Volevo darti meno risposte possibili e rimandarti indietro alla tua vita. Non volevo che fossi coinvolto in tutto questo." Il suo sguardo si posò sulla maglia di Nate. "Ma quando ho visto quello, ho capito di non avere nessuna scelta."
"Volevi rinnegare quello che sono?" chiese Nate, cercando di nascondere l'amarezza della sua voce.
Max scosse la testa. "No. Non ho mai rinnegato quello che sei. Ma non pensavo che tu potessi essere l'erede al trono e che fosse più sicuro per te non sapere nulla sugli alieni."
"Ma come facevo a non essere l'erede al trono? Io sono il tuo primogenito, vero?"
"Si. Lo sei." Max guardò ancora le sue scarpe e Nate immaginò che avesse qualche difficoltà a trovare le parole per spiegargli quello che voleva sapere. "Quando Tess ti portò sul nostro pianeta natale-"
"Mia madre mi ha portato via?" lo interruppe Nate incuriosito, specialmente perché Max gli aveva detto di non aver mai visto quel pianeta. "Perché tu non sei andato?"
Max si accigliò leggermente. "E' complicato da spiegare, Nate Accontentati di sapere che era necessario che Tess partisse da sola. Ad ogni modo, quando sei nato, a quanto pare sei stato respinto dai governanti del pianeta perché eri umano. Per questo lei è ritornata da noi. E dato che eri stato rifiutato, ho pensato che tu non fossi l'erede. Fino a che il marchio non è apparso sul tuo petto. Mi dispiace, Nate. Non era quello che avevo progettato per te."
Nate guardò la sua maglia, pensando alle implicazioni che comportava il portare quel marchio. "Questo vuol dire che ora io sono il, uh, re di un qualche pianeta?"
Max alzò le spalle. "Non lo so di sicuro, ma credo che quantomeno tu sia stato identificato come erede. Forse l'erede ed il re possono portare il suggello contemporaneamente." Fece con la testa un gesto di scusa. "Non abbiamo nessuno che possa rispondere alle nostre domande. Quelli che abbiamo incontrato sulla nostra strada, non sempre sono stati degni di fiducia."
Doveva essere stato tremendo, essere così pieni di domande, chiedersi qualcosa delle proprie origini e non avere nessuno cui poter chiedere. Nate conosceva quella sensazione – si era sentito così quando la busta scura, un eone fa, era arrivata a casa degli Spencer.
Lo sguardo di Nate si posò sugli strani oggetti a forma di pallone che stavano contro la parete. "E quelli cosa sono?" chiese.
Max sorrise. "Bozzoli di incubazione."
La testa di Nate si girò così velocemente in direzione di Max, che quasi gli venne un torcicollo. "Cosa?"
"Bozzoli." rise Max.
"Come nell' 'Invasione degli Ultracorpi'?" Un angolo della bocca di Nate si alzò in segno di semi-disgusto.
"Una specie." ridacchiò Max.
Nate si voltò per osservare i bozzoli. Ce n'erano solo quattro.
Partì dal presupposto che uno fosse di Isabel, visto che era la sorella di Max … cioè, se era veramente la sorella di Max. Uno doveva essere quello di sua madre. Questo lasciava il sinistro quarto bozzolo.
"Uh, Max?"
"Hmm?"
"Chi sono gli alieni?" Nate pregò con gli occhi Max di avere abbastanza fiducia in lui da dirglielo.
"Ci sono molti alieni su questo pianeta. Quelli che vengono dal mio – dal nostro pianeta, siamo io, tua madre, Isabel e Michael."
Nate indietreggiò visibilmente: la sua peggiore paura fu confermata.
"Michael abbaia ma non morde." lo rassicurò Max, senza che le sue parole riuscissero a tranquillizzarlo.
"Sta venendo qui, non è vero?" chiese dolorosamente.
Max annuì. "Probabilmente sarà qui tra poco – prendiamo sempre strade differenti, quando veniamo qui, nel caso che cerchino di seguirci." Chinò la testa da un lato. "E in effetti, qualcuno è arrivato."
Le sopracciglia di Nate si sollevarono per la curiosità. Dentro la caverna, era impossibile sentire qualcosa di quello che accadeva fuori. Almeno era impossibile per Nate …
Max si alzò in piedi, con i pugni stretti lungo i fianchi. Nate notò il movimento e si rese conto che Max non era convinto che fosse Michael quello che era arrivato.
E non lo era. Erano Maria e Alyssa. Maria gli sembrò alquanto spaventata, ma Alyssa sembrava piuttosto padrona di sé. Nate non riuscì a guardarla, non avrebbe potuto sopportare di leggere sul suo viso il disgusto per quello che lui aveva fatto.
Mentre Nate si alzava lentamente in piedi, Max traversò la caverna e prese Maria per un braccio.
"Stai bene?" le chiese, allungandosi, mentre parlava, per toccare una mano ad Alyssa.
"Stiamo bene." rispose Maria, benché la sua voce fosse un po' tremante.
"Dov'è Michael?" chiese Max.
"Sta nascondendo la macchina." rispose Alyssa.
Il cuore di Nate mancò un colpo e cominciò a battere un po' più veloce – non era sicuro se perché aveva sentito il suono della sua voce o all'imminente pugno dello stomaco che avrebbe ricevuto da Michael Guerin.
"Bene." disse Max. "Mio padre, si servirà di Kyle per tenerci aggiornati su quello che scoprirà.
Kyle? Nate lanciò uno sguardo a Max. Non aveva mai sentito quel nome.
"Per lui è troppo pericoloso venire qui." stava dicendo Max, mentre Nate riportò la sua attenzione su di lui. "Se loro sanno che io sono qui, se hanno visto me e Nate a casa loro, probabilmente sono sotto sorveglianza."
"Ha un senso mandare Kyle." disse Maria, leggermente in ansia. "Lui è già stato qui e sa quello che fa." Le sue parole erano esitanti, come se cercasse di convincere se stessa.
"Che diavolo è successo, Max?" la voce di Michael rimbombò all'ingresso della caverna.
Il tono minaccioso nella voce dell'uomo rese impossibile a Nate di distogliere vergognosamente il suo sguardo. Michael Guerin si stava dirigendo a grandi passi verso di lui, con gli occhi iniettati di rabbia. Max cercò di intervenire, mettendosi tra di loro. Nate fece diversi passi indietro, finendo intrappolato in un angolo come un coniglio.
"Michael, no!" lo mise in guardia Max, col tono della voce basso ma deciso.
Ma Michael attaccò, spingendo Max da un lato.
"Michael!" lo ammonì Maria gridando.
La voce di Alyssa uscì con un tono di implorazione. "Papà, no!"
La sua voce fu l'ultima cosa che Nate sentì prima che un pugno lo colpisse alla mascella e il suo mondo si oscurasse…

Capitolo 18

"Fermati! Michael, fermati subito!"
Nate aprì piano gli occhi, con la vista confusa e le orecchie che fischiavano. La nuca gli doleva, ma la sua mascella gli faceva male almeno dieci volte di più. Sentiva il sapore del sangue sulla lingua. Per quello che poteva dedurre, aveva perso conoscenza solo per pochi secondi – Alyssa era inginocchiata accanto a lui, gli occhi lucidi per la preoccupazione.
"Quante altre volte, Maxwell?" la voce di Michael risuonò nella caverna. "Quante altre volte tutti noi dovremo pagare per i tuoi errori?"
"Michael, falla finita." rispose Maria stancamente. Era ovvio che aveva già vissuto una situazione come questa.
"E tu sta' zitta." rispose Michael, puntando un dito nella sua direzione, prima di voltarsi di nuovo verso Max. "Sono venti anni, Max! Venti lunghi anni e stiamo ancora pagando. Prima Liz e ora questo!"
Quando Max parlò, la sua voce era tesa, come se riuscisse a malapena a mantenere il controllo. "Tu non devi pagare per nulla, Michael. Non ti ho mai chiesto di pagare per i miei errori."
"No? E allora che ci faccio in questa dannata caverna? Non mi sto nascondendo perché sono io quello che non sa tenere il suo affare nei pantaloni."
Alyssa fece un veloce, sgomento respiro e la preoccupazione nei suoi occhi si trasformò in qualcosa che sembrava compassione. Nate odiava quello sguardo, odiava il fatto che lei apparentemente sapeva qualcosa che lui invece ignorava. Una goccia di sangue gli scivolò lungo il mento.
Come Nate aveva temuto, la rabbia di Michael si volse nella sua direzione. "Non è diverso da sua madre, Maxwell. Sei solo troppo dannatamente cieco per accorgertene!"
"Lascialo stare." disse Max, con un tono leggermente minaccioso nella voce.
"Fesserie!" rispose Michael, raggiungendo Nate con un paio di passi. Alyssa sussultò poi si spostò mentre lui si chinava, afferrava Nate per un braccio e lo rimetteva in piedi. "Dovremmo portarlo fuori di qui e fare a lui quello che avremmo dovuto fare a sua madre il giorno che l'abbiamo incontrata."
Nate guardò con ansia verso Max, i cui occhi scuri stavano minacciando tempesta.
"Lascialo andare." ordinò Max.
"Mettiamolo ai voti!" decise Michael, ignorando l'avvertimento del suo amico. "Abbiamo votato l'ultima volta, per decidere se dovevamo distruggere quella sgualdrina di sua madre – votiamo ancora per decidere cosa fare di lui."
"Michael, basta così." disse Max, la mano stretta lungo il fianco.
"Come voti, cara?" chiese Michael a Maria, che guardava a disagio il pavimento. "Non hai votato per consegnarla? Mi sembra di ricordare che l'hai fatto." I suoi occhi si spostarono su Max. "Tu, naturalmente, hai sempre avuto il cuore tenero. Non avresti il coraggio di far male ad una mosca." Scrollò le spalle. "Tutti sappiamo qual è il mio voto." Si girò per cercare sua figlia. "Anche tu devi votare. Cosa dobbiamo fare? Distruggerlo o commuoverci e lasciarlo vivere?"
Alyssa singhiozzava, le lacrime che le scendevano lungo le guance. "Oh, papà …"
La presa di Michael sul braccio di Nate si allentò e gli sibilò nell'orecchio "Giuro, anche se dovesse essere l'ultima cosa che farò nella mia vita, che ti ridurrò in mille pezzi, piccolo bastardo."
Incapace di controllarsi, Nate cominciò a tremare, sapendo bene quanto quel pazzo dicesse sul serio. La cosa peggiore era che lui non aveva idea del perché Michael lo odiasse in quel modo – lui non lo conosceva nemmeno.
"Tu lo lascerai stare." la voce di Max era piatta e mortalmente calma. Gli occhi di Nate si posarono su di lui e vide che aveva alzato la mano destra.
Michael rise. "Cosa farai, Max? Ucciderai me per salvare lui? Perché non riesci a fartelo entrare in testa – la mela non cade mai lontano dall'albero! Possiamo schiacciarlo ora, prima che i suoi geni bugiardi ed assassini si riproducano."
La bocca sanguinante di Nate si spalancò. Assassina? Sua madre era un'assassina?
"Nate non è Tess. Lascialo stare." ordinò Max. Quando Michael non si mosse, Max strinse le mascelle, deciso di passare all'azione, a dispetto del fatto che doveva far del male al suo migliore amico.
"Non lo lascerò stare. Perché dovrei? E' solo uno piccolo, stupido umano, incappato in una vita che non sapeva nemmeno di avere -"
"Lui ha il sigillo."
Tutto il movimento nella caverna cessò. Michael aveva un'espressione sbigottita, lo sguardo fisso su Max. Lo sguardo di Nate passò dall'uno all'altro ed ebbe la sensazione che Michael avesse subito uno choc, come se fosse stato depennato dal testamento del nonno. Gli occhi di Maria erano spalancati e increduli. Alyssa aveva smesso di singhiozzare, la sua espressione era una replica di quella della madre.
"Questa è grossa." disse alla fine Michael, con voce pacata. "Questo è maledettamente grossa, Max!"
Con una spinta rabbiosa, Michael lanciò Nate contro la parete di pietra. Sentendo qualcosa che lo colpiva al fianco, lui trasalì e cadde sul pavimento della caverna. Alyssa si precipitò, allungando una mano verso di lui.
"Va fuori." ordinò Max.
"Max-" cominciò a dire Michael.
"Ho detto di andare fuori!" urlò Max, e tutti nella caverna sobbalzarono.
Michael arricciò le labbra, poi si diresse rabbioso verso l'entrata della caverna. Nate sussultò e si piegò in due, il dolore al fianco sempre più bruciante. Non aveva la più pallida idea di quello che aveva fatto per meritare quella punizione.
"Dove sei ferito?" chiese Alyssa, con la paura nella voce. Si muoveva sopra e intorno a lui, toccandolo dappertutto.
Nate la spinse gentilmente da parte. Non solo non voleva che lei lo toccasse, ma no poteva sopportare che lei avesse visto il padre ridurlo in quello stato. Non era ferito solo il suo corpo, lo era anche il suo orgoglio.
"Lasciami vedere." La voce di Max gli giunse tenera, la rabbia di poco prima scomparsa mentre si rivolgeva a suo figlio.
Nate rimase avvolto su se stesso, con gli occhi strettamente chiusi.
"Nate, lasciami vedere dove sei ferito."
Nate aprì gli occhi, per vedere Max accovacciato accanto a lui. Nei suoi occhi c'era l'onnipresente sguardo di scuse per Michael. Toccò con la mano la faccia di Nate e il dolore alla mascella scomparve immediatamente. Nate lo guardò sbalordito.
"Dove altro?" chiese Max. "Dove altro ti ha ferito?"
Nate si allungò lentamente, un dolore fortissimo che si allargava all'altezza della sua vita. "Qui." ansimò, toccandosi il fianco.
Gli occhi di Max si posarono sul punto che gli aveva indicato, poi posò la mano sulla parte dolorante. Nate indietreggiò e si morse il labbro, ma presto sentì una calda sensazione che partiva dal suo addome, seguita da niente di più che una piccola brezza. Quando incontrò lo sguardo di Max, vi lesse stupore e si chiese come facesse quell'alieno ad essere così incantato da lui, un fragile essere umano.
"Cosa mi hai fatto?" chiese Nate, stupito dal fatto di non sentire più dolore.
"Sei guarito." disse tranquillamente Max, e quella fu l'unica spiegazione che diede. Interruppe il contatto con gli occhi di suo figlio e guardò verso Alyssa, che era seduta a pochi passi da loro, con le braccia strette intorno al proprio corpo tremante. Bagnatosi le labbra, la raggiunse e le passò attorno un braccio.
Nate vide Alyssa sciogliersi semplicemente tra le sue braccia, forti singhiozzi che le scuotevano il corpo. Max la strinse forte e le baciò la sommità della testa, gli occhi pieni di dolore e di frustrazione. Nate sentì che gli si stava formando un groppo in gola, e si chiese quante volte lei avesse dovuto essere testimone degli assalti di Michael nei confronti di qualcuno – dopo tutto, lei aveva accennato al fatto che lui aveva picchiato dei paparazzi.
"Lui sta bene." le disse dolcemente Max tra i capelli.
Le fece un piccolo sospiro e si staccò da lui, con tracce di lacrime sulla pelle delicata. "Lo odio." disse con voce amara.
Max le fece un mezzo sorriso. "Non è vero."
"Si."
"Tu odi le sue azioni, Alyssa. Non odi l'uomo."
Nate sollevò un sopracciglio, sentendosi sicuro di odiare molto di più delle azioni di Michael Guerin. Ma l'importanza di quello che aveva fatto Max alla fine lo colpì ed allungò la mano per tirare su l'orlo della sua maglia. La sua pelle era intatta e quando si toccò sotto le costole, non provò alcun dolore.
"Cosa mi hai fatto?" ripeté semplicemente.
Max si girò, con le labbra leggermente piegate all’ingiù. Nate si chiese se ci fosse qualcos'altro che lui non sapesse e che Max non si sentiva pronto a rivelargli. Non che lo biasimasse, non dopo tutto quello che Michael aveva detto di lui.
"Alyssa." disse Max dolcemente. "Tu rimani con lui, okay?"
Lei annuì obbediente e si sedette accanto a Nate, con la spalla appoggiata contro di lui. Max si alzò e si avvicinò a Maria, che stava non lontano, guardando la scena senza parlare. In effetti, non aveva detto una parola da quando Michael le aveva detto di stare Zitta. Max le sfiorò il braccio e le disse qualcosa che Nate non riuscì a sentire, ma lei accennò di sì con la testa, mentre Max usciva.
Ora la caverna era così tranquilla che a Nate sembrò di sentire il suo sangue che gli scorreva nelle vene. Infine Maria fece un profondo sospiro e si sedette accanto a loro. Nate si morse un labbro e decise che, visto che ormai il danno era stato fatto, se avesse fatto qualche domanda non avrebbe certo potuto peggiorare la situazione.
"Hai conosciuto mia madre?" chiese timidamente a Maria.
Maria annuì, senza espressione.
"La conoscevi bene?"
"Abbastanza bene."
Nate guardò Alyssa, poi tornò alle sue domande. "E' stata una buona madre?"
Maria ebbe un cenno di disappunto. "E' arrivata ad uccidere per proteggere quello che era suo."
Dentro Nate, lo stomaco cominciò ad agitarsi, mentre l'accusa di assassinio fatta da Michael gli tornava in mente. E gli tornò in mente anche l'immagine che Nate aveva visto quella notte al lago, quell'immagine di sangue, grida e massacro.
"E' questo quello che ha fatto?" le chiese, la sua voce che si udiva a malapena. "Ha ucciso per proteggermi?"
Ci fu un'esitazione nello sguardo di Maria, poi annuì.
La bile salì alla gola di Nate, ma lui la respinse velocemente. "Chi ha ucciso?"
La mascella di Maria si irrigidì, ma una piccola lacrima brillò nei suoi occhi. "Il mio migliore amico."

Continua...

Scritta da Karen (MidwestMax)
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice
dall'originale in inglese, a cura di Sirio


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