Roswell.it - Fanfiction
SPECIALE

CUORI PRIGIONIERI (Captive Hearts)

Capitoli 19-24


Riassunto: Questa storia, in 118 capitoli, comincia subito dopo gli eventi dell'episodio "Amore alieno" (1.16), e nulla di quello che è accaduto dopo l’episodio è rilevante ai fini della storia. Max non è un re. Tess non esiste, non ci sono Skins o duplicati o Granilith.
Torniamo indietro al tempo in cui Max non ha occhi che per Liz e il suo più grande desiderio, la sua più grande paura è che lei in qualche modo possa ricambiarlo.

Valutazione contenuto: non adatto ai bambini.

Disclaimer: Ogni riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.


Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18

Capitolo 19

Max suddivise il contenuto di un’altra scatola dell’impressionante archivio di Milton. Milton aveva trascorso anni a raccogliere ogni articolo che fosse anche remotamente collegabile agli UFO o a strani avvistamenti o a improvvise sparizioni. Max era contento che avesse catalogato minuziosamente tutto. Non gli era voluto molto tempo per trovare la sezione riguardante i laboratori militari o le organizzazioni governative. Aveva trascorso le ultime quattro ore a leggere tutti gli articoli del National Enquirer sull’ argomento.
Qualcuno di quei documenti aveva parole o frasi o intere pagine cancellate, informazioni che erano ancora segrete al pubblico.
Si strofinò con le mani gli occhi ormai stanchi, e distese il collo cercando di alleviare la tensione alle spalle. Basandosi sulla quantità di articoli che aveva raccolto Milton negli anni, Max pensò che gli sarebbero occorsi giorni per avere un piccolo indizio, se non trovava un altro sistema. Non poteva permettersi il lusso di scoraggiarsi, ricordò a se stesso. La vita di Liz dipendeva da questo. Si curvò sopra la scatola e continuò, lentamente ma con attenzione, la fatica di esaminare ogni singolo documento.

***

Nel pomeriggio, Max arrivò a casa tardi, stanco e affamato. Non aveva mangiato niente da quando era uscito da casa quella mattina. Aprì la porta d’ingresso e gettò la sua giacca sulla spalliera di una sedia in soggiorno. Udì un rumore provenire dalla cucina e girò in quella direzione.
“Mamma, sei tu?” chiese, mentre camminava.
“Max, amore. sei a casa!” disse Diana, allontanandosi dal frigo. Diede un’occhiata a suo figlio ed il sorriso le si congelò sulla faccia. “Oh, Max, sembri così stanco. Dove sei stato tutto il giorno?” Attraversò la stanza e fece scorrere le dita tra i suoi capelli arruffati.
“Mamma …” disse Max, allontanando la testa e lisciandosi i capelli con una mano. Prese una Cherry Coke dal frigo e si appoggiò contro il bancone. “Sono stato al Centro UFO cercando tra … Lascia perdere!”
Lasciò scemare la voce e Diane, ancora una volta, sentì una stretta al cuore, al pensiero della sofferenza che stava provando.
Prese una ciotola dal tavolo e cominciò a riempirla d’acqua. “stai cercando qualcosa che ti possa aiutare a trovare Liz?” Lo guardò mentre lui stava incrociando le braccia sul petto con un’espressione frustrata.
“Si.” rispose quietamente
“Trovato niente?” gli chiese ancora.
“No.” rispose Max spostando il peso da un piede all’altro. “Non ancora.”
“Max, amore, non scoraggiarti.” disse Diane stringendogli il braccio e lui sollevò gli occhi per guardarla. “Sono passati solo due giorni. Tu la troverai. La porterai a casa e starà bene.”
“Spero che tu abbia ragione, mamma.” Il quel momento il campanello della porta suonò ed entrambi si girarono verso il soggiorno. “Vado io.” disse Max e si diresse verso l’ingresso. Sentì il sangue gelarsi quando, aperta la porta, vide dall’altra parte lo Sceriffo Valenti.
“Max.” disse lo Sceriffo, togliendosi il cappello. “Gradirei che tu venissi alla Stazione di Polizia perché vorrei farti alcune domande.” Valenti era affiancato da un Vicesceriffo che lui non conosceva. Max guardò dall’ uno all’altro, ma non riuscì a decifrare l’espressione delle loro facce.
“Su quale argomento?” chiese, anche se conosceva la risposta.
“Sulla sparizione e sul possibile assassinio di Liz Parker.” disse Valenti, fissando con durezza il ragazzo che gli stava di fronte.
Max sentì che le ginocchia si piegavano ma si sforzò di mantenere l’espressione neutra. Gli ci volle qualche momento per essere in grado di scegliere le parole da dire. “Mamma.” chiamò senza distogliere lo sguardo da Valenti. ”Sarà meglio che tu chiami papà.”

***

Alla Stazione di Polizia, Diane Evans andava avanti e indietro in attesa dell’arrivo di Philip. Lo Sceriffo Valenti aveva portato Max nella stanza sul retro, già da mezz’ora. Lei gli aveva ripetuto di non dire nulla prima dell’arrivo di suo padre. Stava guardando la porta di ingresso, quando Philip arrivò, girando gli occhi per la stanza. Quando scorse Diane , andò al suo fianco.

“Ho avuto il tuo messaggio per incontrarci qui. Dimmi cosa è successo.” disse vedendo lo sguardo preoccupato della moglie.
“Lo Sceriffo ha portato qui Max per fargli delle domande.” disse Diane con la voce che tremava. “Le sue precise parole sono state ‘sulla sparizione e sul possibile assassinio di Liz Parker’. Ho detto a Max di non dire nulla prima del tuo arrivo.”
“bene. Dov’è adesso?” Philip conosceva bene la Stazione di Polizia. C’era stato più volte di quante ne riuscisse a ricordare. Quando Diane disse che era stato scortato sul retro, lui le strinse la mano e tentò di rassicurarla. “Andrà tutto bene, non ti preoccupare, ma ci vorrà un po’ di tempo. Perché non vai a casa e metti al corrente Isabel di quello che sta succedendo?”

Diane annuì e con riluttanza, si girò per uscire. Aveva bisogno di avvertire sua figlia, prima che lo facesse qualcun’altro. Philip si diresse all’interno della stazione alla ricerca del figlio. Oltrepassò due stanze da interrogatorio vuote, prima di trovarlo. Attraverso il vetro, lo vide seduto rigidamente accanto al tavolo con le mani strette davanti a lui. Valenti gli era seduto di fronte e Philip vide che spingeva una lavagnetta bianca davanti a Max. Philip lo vide guardarla nervosamente e poi girare lo sguardo per la stanza. Max si fermò di colpo quando vide suo padre attraverso il vetro e fu sommerso da un senso di sollievo.
Valenti aveva avuto Max per gli ultimi venti minuti e gli aveva girato intorno, come fa un leone con la preda. Max aveva tenuto la bocca chiusa, come sua madre l’aveva avvertito di fare. Non voleva apparire diffidente, ma sapeva che Valenti non era uno sprovveduto sceriffo di una cittadina fuori mano. Valenti era intelligente, e aveva sospetti che andavano ben oltre la sola sparizione di Liz

Philip entrò nella stanza e fece un cenno di saluto a Valenti “Sceriffo, cosa sta succedendo qui?.” Attraversò la stanza e si sedette accanto a suo figlio. Max si irrigidì ancora di più e lui gli dette un buffetto rassicurante sulla mano.
“Philip, sono contento che tu sia qui.” disse Valenti spostando la sedia di fronte a lui. “ Devo fare a Max alcune domande su quello che è successo quel giorno allo State Park e su quello che è accaduto fino ad oggi.”
Max, a disagio sulla sedia, cambiò posizione, cercando di non far capire a Valenti quanto fosse nervoso.
“Okay, Jim.” rispose Philip amichevolmente. “Noi vogliamo collaborare. Cosa vuoi sapere?” Philip aveva già istruito Max su quello che poteva o non poteva dire, nel caso l’avessero interrogato.

“Va bene, Max.” cominciò Valenti “Vorrei che mi raccontassi tutto quello che hai fatto il primo marzo di questo anno.” Gli occhi di Valenti puntarono su Max, per studiarne le reazioni. “E’ stato l’ultimo giorno che qualcuno ha visto Liz Parker viva.”
Max sostenne il suo sguardo e cercò, coraggiosamente, di non lasciar trapelare le sue emozioni. Valenti lo stava provocando, cercando di scatenare le sue reazioni, e ci stava quasi riuscendo. Lasciarsi andare ed urlare che Liz era viva non avrebbe migliorato affatto la situazione.

“Era un normale giorno di scuola.” replicò Max con cautela, misurando ogni parola che diceva. “Quel pomeriggio, quando Liz finì di lavorare al Crashdown, sono passato a prenderla per andare in biblioteca.”
“Ma voi non siete andati in biblioteca, vero?” chiese Valenti.
“Si, ci siamo andati.” rispose Max.
“Nessuno vi ha visti. Max.” disse svelto Valenti “Ida lavorava al bancone, quel pomeriggio, e non ha visto né te, né Liz.”
“veramente … non siamo entrati dentro.” Max guardò nervosamente suo padre e poi ancora lo Sceriffo. ”Mi ero fermato nel parcheggio e, quando ci siamo resi conto che avevamo tutto quello che ci serviva per la nostra ricerca, abbiamo deciso di andare da qualche altra parte. Sa, qualche posto più …simpatico, per studiare.”
“Così siete andati allo State Park, vero?” chiese Valenti.
“Si. Era una bella giornata, calda per essere marzo. Così abbiamo pensato che sarebbe stato bello studiare vicino al lago.” I pensieri di Max corsero indietro a quel giorno. La sua mente vedeva l’immagine di Liz, seduta sul sedile della Jeep, i capelli che fluttuavano al vento, mentre lui guidava sulla statale, e la sua faccia inondata dal sole.
“Quando siamo arrivati al lago, ho parcheggiato la Jeep e abbiamo cercato un buon posto per metterci a studiare.”
“Avete visto se c’era qualcun altro? Qualche turista? Qualche persona del posto?”
“No. Almeno non credo.” Max cercò di rimanere concentrato su Valenti. Ricordò a se stesso che doveva limitarsi a raccontare i fatti essenziali. Niente di più.
“Allora, una volta arrivati lì, cosa avete fatto?” Valenti tamburellava con le dita contro il piano del tavolo ed il suono era come un trapano nelle orecchie di Max.
Improvvisamente risentì il freddo acciaio del tavolo da esame, sotto la sua schiena e il ricordo di quello che era successo quel giorno, lo sommerse.

Nella sua mente rivedeva la sonda scendere verso i suoi occhi e riviveva quel dolore, mentre un’ altra gli veniva sospinta nella gola attraverso il naso, soffocandolo. Serrò le mascelle quando la visione di quello che avevano fatto a Liz lampeggiò dentro di lui. Chiuse gli occhi e cercò di scacciare l’immagine di lei legata al tavolo e delle sonde che entravano nella sua pelle pallida.
“Max, mi hai sentito?.” chiese Valenti, osservandolo da vicino.
Max aprì gli occhi e si sistemò sulla sedia. Fece un profondo respiro e i suoi occhi si rivolsero al padre. Philip annuì con la testa, per fargli capire che doveva continuare. Max tornò a guardare Valenti e notò che i suoi occhi si socchiudevano, diffidenti.
“Um … noi … ,” Max si impuntò, mentre tentava di riacquistare la padronanza di sé.
”Siamo scesi alla spiaggia e abbiamo trovato un posto simpatico per sederci. Abbiamo sentito un rumore proveniente da una macchia di alberi vicino e … noi, ah …siamo andati a vedere di cosa si trattasse. Liz pensava che fosse un animale ferito. Ricordo di aver visto Liz inciampare e cadere, poi ho sentito qualcosa che mi colpiva e dopo di questo non ricordo più nulla. La prima cosa che ricordo era che camminavo lungo la statale il sabato mattina, quando lei mi ha trovato.”

Valenti lo squadrò e si alzò in piedi. “Così, cosa stai tentando di raccontarci, Max?” disse, mentre camminava in cerchio nella piccola stanza. “ Stai sostenendo di non ricordare nulla degli ultimi due mesi e mezzo della tua vita? E ti aspetti veramente che noi ci crediamo?”
“Sto dicendo la verità, Sceriffo. Non riesco a ricordare niente dopo quel momento!” mentì Max. Concentrandosi, riuscì a sostenere lo sguardo profondo dello Sceriffo. Non battere gli occhi, si ordinò. Non guardare altrove. Non sembrare colpevole. Valenti fu il primo ad abbassare gli occhi.
Si avvicinò al distributore dell’acqua e ne versò un po’ in un bicchiere di carta. “Hai sete, Max? Philip? Posso offrirvi qualcosa da bere?” Quando sia Max che Philip scossero la testa, passò ad un’altra serie di domande.
“Max, come descriveresti la tua relazione con Liz?” chiese Valenti, tornando a guardarlo attentamente.
“Siamo molto uniti.” disse Max, ricordandosi di dare risposte brevi.
“Ma è successo qualcosa di strano tra voi due, proprio prima della vostra sparizione? Ricordo che tu e Liz vi parlavate a malapena tra gennaio e febbraio, non è vero?” chiese Valenti.
“No … o meglio, si, ma …” balbettò Max. Pensava di essere preparato a queste domande, ma ora era stupito. “Liz e io abbiamo smesso di frequentarci per qualche tempo, ma siamo tornati insieme a febbraio.”
“A febbraio, quando?”
“E’ successo … proprio … prima … “ disse Max, mentre la voce gli veniva a mancare.
“Proprio prima della vostra improvvisa scomparsa?” Valenti guardò Max annuire con la testa. “Capisco. E perché avevate smesso di vedervi?”
“Io … “ cominciò Max, cercando di pensare a cosa dire. “Non ero pronto per una relazione seria.”
“Ed è così che consideri la tua relazione con Liz? Seria?” chiese Valenti “E’ la tua ragazza? La tua amante?”
Max inghiottì nervosamente e guardò suo padre.”Dove vuole arrivare, Sceriffo?” chiese Philip.
“Sto solo cercando di stabilire che tipo di relazione ci fosse tra loro.” replicò Valenti con voce pacata.

Cambiando direzione ancora una volta, spiazzò Max con la domanda successiva.”Perché c’era il sangue di Liz sparso per terra?”
“Io non lo so. Forse si era ferita cadendo.” rispose Max cautamente.
“C’era una quantità enorme di sangue per terra e sui cespugli. Sei sicuro di non sapere come è successo?” chiese Valenti strizzando gli occhi.
“Sceriffo, penso che abbia fatto abbastanza domande per stasera. Max ha collaborato pienamente, ma ora dobbiamo andare.” Philip si alzò dal tavolo e Max lo seguì prontamente. Il padre gli mise una mano sulla spalla e la strinse. “Andiamo a casa, Max.”

Valenti li guardò dirigersi verso la porta. Sapeva che il ragazzo stava mentendo. Era certo che lui sapesse esattamente cosa era successo a Liz Parker. “Max.” chiamò, mentre la mano di Philip era già appoggiata alla maniglia. Quando Max si fu girato, Valenti parlò ancora. “Te la senti sottoporti ad un test poligrafico?”
Max aprì la bocca per rispondere, ma Philip lo fermò. “Parleremo di questo un’altra volta, Sceriffo.” Aprì la porta e spinse Max a passare per primo. Salutò Valenti e seguì suo figlio fuori.

Capitolo 20

Liz era sdraiata sul letto, fissando il soffitto e sentendosi stordita. L’avevano portata indietro nella stanza già da due giorni e l’avevano lasciata lì. Gli inservienti le portavano i pasti e poi la lasciavano tranquilla. Si girò e si strinse al cuscino. Il cuscino di Max. Vi si accoccolò contro e aspirò profondamente. Il suo profumo era ancora forte, come se la sua testa di fosse sollevata solo pochi minuti prima. L’aveva sognato la notte scorsa. Sognare di lui che la faceva alzare e la liberava da quel posto. Sognare di lui che la baciava profondamente mentre la portava in salvo. Sognare le sue forti braccia che la tenevano al sicuro scacciando via tutte le sue paure. Quando si era svegliata, il ricordo del sogno l’aveva fatta sorridere per la prima volta da quando se ne era andato.

Il sorriso sparì quando fu riafferrata dalla realtà del posto in cui era. Sarebbero venuti per lei, oggi? Il dottore avrebbe scoperto il suo segreto? L’avrebbero sezionata e le avrebbero strappato via la nuova vita che portava dentro? Per esaminarla? distruggerla? Max avrebbe mai saputo che, anche se per poco tempo, loro avevano creato qualcosa di meraviglioso?

Liz fu scossa dai suoi pensieri, quando la porta si aprì, sbattendo contro la parete. Liz si sedette sul letto con gli occhi spaventati, tirandosi la coperta contro il petto. Due inservienti vestiti di bianco entrarono nella stanza, spingendo una barella. Il terrore si impadronì di lei quando riconobbe quello con i capelli scuri. I graffi sulla sua guancia erano infiammati, lo sguardo arrabbiato e, quando i loro occhi si incontrarono, poté vedere un breve lampo di odio, prima che guardasse altrove.

La prese un panico improvviso. La sua mente urlava per Max, terrorizzata dal fatto che erano lì e che erano venuti per lei. Le furono tolte le coperte e mani rudi la afferrarono le mani e i piedi. Gridò per chiedere aiuto, sapendo che nessuno sarebbe venuto, ma provando lo stesso. Scalciò, colpendo l’uomo biondo sullo stomaco. Lui si piegò con un gemito e poi le bloccò le gambe. L’uomo con i graffi le prese violentemente i polsi e allora Liz sentì il suo corpo che veniva sollevato dal letto e messo sulla barella. Continuò a lottare, cercando di liberarsi dalle loro prese.

“Siamo di cattivo umore, non è così?” disse il biondo, mentre si sforzava di tenerle ferme le gambe.
“Non ha ancora imparato a stare al suo posto.” replicò minacciosamente l’uomo dai capelli neri. Le distorse i polsi, gioendo alla vista del dolore che le attraversava il viso.
“Tenetela ferma!” disse il dottor Johnson entrando nella stanza. Liz lo vide avvicinarsi al suo fianco, con una siringa ipodermica in mano. Giro il braccio, esponendo l’accesso alla curva interna del gomito e con calma inserì l’ago. Liz sentì il fluido scorrerle dentro e gli effetti furono quasi istantanei. Le sue palpebre cominciarono a chiudersi e il suo corpo si rilassò, incapace di lottare. Cinghie furono passate sul suo petto e sulle gambe, per tenerla ferma. I polsi e le caviglie vennero bloccati.
“Perché.” sussurrò Liz con angoscia. “Perché mi fate questo?” I suoi occhi incontrarono quelli del medico e solo per un momento le sembrò di vedervi della compassione. Le sue palpebre divennero troppo pesanti per tenerle aperte mentre la droga le scorreva nelle vene e la portò nel buco nero dell’incoscienza.
“Andiamo!” disse Johnson agli inservienti e la spinsero oltre la porta.

***

Max prese un’altra scatola dalla pila accanto a lui e la sistemò sul pavimento. Si accoccolò e gli uscì una lamento quando i muscoli intorpiditi protestarono tornando a quella posizione scomoda. Aveva cominciato all’alba, controllando inutilmente una scatola dopo l’altra.

“Max, facciamo una pausa.” disse Michael dall’altra parte della stanza. Poteva vedere i cerchi scuri sotto gli occhi di Max e la tensione sul suo viso. Michael vide le sue mascelle serrarsi e sapeva che avrebbe avuto qualcosa da obiettare. “Abbiamo bisogno di mangiare qualcosa. Siamo stati qui tutta la mattina . Lo so che è importante, ma devi prenderti cura di te, sai. Quando troveremo quello che stiamo cercando, e lo troveremo, avrai bisogno di tutta la tua forza per portarla fuori da lì.”

Max si strofinò le mani sopra gli occhi. Sapeva che Michael aveva ragione, ma lui stava quasi perdendo la speranza di trovare qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse condurlo a Liz. Lui e Michael erano arrivati nell’archivio di Milton, questa mattina, pieni di ottimismo. Ma mano a mano che vuotavano le scatole, Max sentiva che la sua speranza svaniva.
“Michael …” cominciò a dire Max e poi, improvvisamente, fu invaso da un senso di panico. La paura lo colpì violentemente e fece cadere una scatola per terra mentre la sua mente si riempiva delle sue grida. “LIZ!” urlò e crollò sul pavimento, stringendosi la testa.

“Max!”, Michael corse al suo fianco e poggiò le sue larghe mani sulle sue spalle. “Max. Cosa c’è?”
Lo schiacciante senso di paura durò per alcuni minuti, poi svanì. Quando la sensazione fu passata, Max riusciva a mala pena a respirare. Liz era nei guai. Non sapeva come fosse in grado di saperlo, ma lo sapeva. E non aveva la possibilità di farci nulla.
“Era Liz, nella mia mente.” Max era scosso da quello che aveva appena provato. “Dio, Michael. Le sta succedendo qualcosa di terribile.” Si prese la testa tra le mani, tremando per l’agitazione. Una opprimente sensazione di impotenza lo avvolse. Frustrato, si alzò in piedi e cominciò a dare colpi, lanciando una scatola attraverso la stanza e scaraventandone un’altra sopra il mucchio che aveva accanto.
Michael lo vide camminare per la stanza come un animale in gabbia, con gli occhi ossessionati e le mani tra i capelli. Poteva sentire la frustrazione di Max venir fuori ad ondate. Michael si chinò per raccogliere il contenuto della scatola che Max aveva lanciato sul pavimento e cominciò a rimetterlo a posto.
“Michael.” disse Max desolato “Lo farò io.” Si inginocchiò accanto a Michael e cominciò a raccogliere i fogli sparsi sul pavimento. Prese in mano il ritaglio di un notiziario ed il respiro gli si fermò in gola quando gli occhi misero a fuoco la fotografia al centro della pagina. Lì, al centro del foglio, c’era la faccia sorridente del dottor John Miller. “Oh, mio Dio!”
“Cosa c’è.” disse Michael agitato.
“E’ lui.” disse Max con una furia controllata. “Questo è il bastardo che ha fatto gli esperimenti su di me.” teneva il foglio così stretto che le nocche delle dita erano bianche.

“Cosa dice l’articolo?” chiese Michael e Max girò la pagina in modo che lui potesse leggerla.
‘JOHN miller, Dottore in Filosofia e Direttore del Lakely Institute, è stato recentemente onorato per i suoi eccezionali studi nel campo della ricerca genetica. Il Lakely Institute, fondato nel 1947 dal defunto William T.Lakely, e famoso per le sue rivoluzionarie scoperte sul DNA ricombinato … William T.Lakely, ampiamente conosciuto per la sua convinzione sul presunto incidente di Roswell nel 1947 … Miller ha assunto la direzione dell’istituto nel 1989 …’

“E’ questo, Michael.” disse Max eccitato. “E’ qui che tengono Liz!”
“Ma dove si trova?” chiese Michael. “L’articolo non dice dove si trova.”
Max uscì dalla stanza, con Michael che faticava a stargli dietro. Corse sul retro dell’ufficio ed andò direttamente al computer di Milton. Digitò il nome nel motore di ricerca e l’immagine del Lakely Institute comparve sullo schermo.
“Subito fuori da Almagordo, nella Riserva Militare di Fort Bliss. E’ un sito governativo.” Max spinse la sedia lontano dal computer e si alzò velocemente.
“Cosa credi di fare, Max? “ Michael lo trattenne per un braccio mentre si stava dirigendo verso la porta.
“Vado a prenderla. Cos’ altro dovrei fare?” disse Max duramente.
“Pensaci, Max.” disse Michael stringendogli il braccio. “E’ una base militare. Non possiamo semplicemente entrare lì e portarla in salvo.”
“Io devo portarla fuori da lì.” rispose Max, soffocando la rabbia a malapena. “Devo portarla fuori da lì ORA! Dio solo sa cosa le stanno facendo mentre io sto qui a parlare con te.”
“E la porteremo fuori da lì, giusto il tempo di pensare a come.” Lasciò il braccio di Max e i due si guardarono l’un l’altro. “Abbiamo bisogno di un piano.”

***

Max allargò la mappa sul tavolo della cucina. Lui e Michael avevano discusso il piano per un’ora., come arrivare alla base, dove era situato il Lakely Institute, come entrare e trovare Liz e come portarla in salvo.
“Quando partiamo?” Michael si sentiva meglio, ora che avevano piano d’azione. Di solito era lui che faceva le cose senza pensare, ma questa volta sapeva che era troppo pericoloso. La posta era troppo alta; la vita di Liz, la sanità mentale di Max, la salvezza di tutti loro.

“Isabel sarà a casa tra pochi minuti. Dobbiamo aspettarla.” Max arrotolò la mappa e la mise insieme agli altri oggetti che si sarebbero portati dietro nel loro viaggio. “Le diremo tutto quello che abbiamo scoperto e allora ce ne andremo via da qui. Più presto partiremo, più presto vedrò Liz sana e salva.”

***

Max parlava a malapena, guidando verso Fort Bliss. Erano passate quasi dodici ore da quando aveva percepito il panico e lo sgomento di Liz ed ora la sensazione diventava più intensa, mano a mano che si avvicinavano. E se fosse arrivato troppo tardi? E se la stavano ancora torturando? E se avessero fatto pagare a lei la sua fuga? E se … e se lei fosse …No, non voleva nemmeno pensarci. Pensarci, crederci, l’avrebbe portato alla pazzia. Liz era viva e lui, stanotte, l’avrebbe riportata a casa.

“Cinque miglia.” disse Michael, puntando il dito fuori dalla statale per indicare che il Forte era cinque miglia davanti a loro.
“E’ ora di mettere in azione il piano.” Max fece un profondo respiro e irrigidì i nervi. Uscì dalla statale alla prima rampa e incrociò gli abitanti del posto che guidavano verso la città. “Qui.” specificò Max fermandosi davanti a un locale aperto 24 ore su 24. Si infilò nel parcheggio, vicino ad una jeep dell’esercito. Max aprì la portiera e girò intorno al veicolo, osservando la targa e le altre insegne militari.
Si guardò intorno con cautela e, notando che non c’era nessuno, tornò alla sua Jeep e passò la mano sulla targa e sul parabrezza. Dette al veicolo l’aspetto necessario per passare un’ispezione all’ingresso della Base, poi entrarono nel locale. Erano quasi le dieci di sera, ma il locale era ancora pieno di personale militare. Alcuni erano ancora in uniforme, qualcuno in abiti civili , ma dallo sguardo e dal modo di comportarsi, era ovvio che erano militari.
Max e Michael sedettero al bancone ed esaminarono il locale. Ciascuno di loro cercava un possibile candidato e prima Michael, poi Max, li individuarono e si avvicinarono ai rispettivi bersagli. Michael sfiorò un uomo che aveva pressappoco la sua costituzione ed il suo colorito, che aveva appena finito di pagare per la sua consumazione.
Un sorriso indifferente gli traversò il viso alla facilità con cui riuscì ad impadronirsi del portafoglio dell’uomo. Max si chinò verso un soldato, scusandosi, per raggiungere una bustina di zucchero con una mano, mentre gli sottraeva il portafoglio con l’altra. Poi, con naturalezza, si diressero verso il bagno degli uomini.
Si lavarono le mani, in attesa che gli altri occupanti della stanza finissero le loro faccende e se ne andassero, poi Max chiuse la porta.
“Così sembra che il mio nome è Matt Walker e sono un soldato semplice.” disse Max prendendo l’ID tra le mani. Brillò per un attimo, mentre Max cambiava la foto nella propria.
Miche fece lo stesso, poi gli tese l’ID per mostrarglielo. “Devi chiamarmi Paul Anderson e sarà meglio che tu mi dia del ‘signore’ perché sia dia il caso che sono un sergente.”
“I soldati chiamano i sergenti ‘signore’ o solo ‘sergente’?” chiese Max.
“E come diavolo vuoi che lo sappia?” rispose Michael incerto.
Max scrollò le spalle e sentì qualcuno che cercava di aprire la porta. “Sbrigati!” sbraitò Max e passò la mano sui suoi abiti, cambiandoli in un’uniforme da lavoro. Michael fece altrettanto mentre Max si affrettava a far inceppare la serratura. Poi la aprì sbraitando “Dannata porta, si è bloccata!” Uscirono velocemente dal locale e saltarono nella Jeep. Max mise in moto e si diresse all’ingresso principale del Forte.

***

Valenti si infilò nel traffico, proprio dietro la jeep di Max. Ancora non riusciva a capire quali fossero le intenzioni di quei due. Li aveva seguiti fin da Roswell, tenendosi a distanza di sicurezza. Era piuttosto pratico di sorveglianza ed era certo di non essere stato individuato. Era stato sorpreso dalle azioni di Max, quando si era fermato davanti al locale. Aveva ispezionato con attenzione una jeep militare, poi era tornato alla sua. Per qualche strana ragione, aveva fatto strani movimenti con la mano, muovendo il braccio sopra la jeep e toccando il parabrezza. Poi i ragazzi erano entrati, e dopo essersi seduti al banco per qualche minuto, si erano alzati ed erano andati sul retro, presumibilmente per usare il bagno o il telefono. Dopo un attimo, ne erano usciti vestiti da capo a piedi in uniformi militari e avevano velocemente lasciato il locale.
Jim era scioccato. Prima di tutto, perché erano vestiti da militari? Secondo, come diavolo avevano fatto a cambiarsi in così poco tempo? E terzo, da dove venivano quelle uniformi? Erano riposte sul retro in attesa che le prendessero? Dove volevano arrivare, quei ragazzi? Valenti continuò a seguirli a distanza, mentre le domande si affollavano una dopo l’altra nella sua mente.

***

Max guardò Michael mentre si avvicinavano al cancello di ingresso del Forte. Aveva il suo ID pronto, sul sedile accanto e Michael teneva il suo in mano. Quando furono davanti alla sentinella, Max alzò il cartellino verso il finestrino e dopo aver dato solo un’occhiata, la guardia gli fece segno di proseguire.
“Bene, questo è stato facile.” disse Max con sollievo.
Michael controllò la mappa che si erano portati dietro e gli indicò dove dirigersi. Dopo diversi minuti, Max fermò la Jeep accanto al Lakely Institute. Parcheggiò in una piazzola circondata da alberi e cespugli. L’aspetto gradevole della facciata dell’edificio nascondeva la spaventosa natura di quello che vi succedeva dentro. Max avrebbe voluto lasciare la Jeep, correre verso la porta ed uccidere tutti quelli che provavano ad impedirgli di trovare Liz.

“Non ancora, Max.” lo mise in guardia Michael, appoggiandogli la mano sul braccio. “Eravamo d’accordo di fermarci un attimo, prima di cercare di entrare. Ora siamo qui. pochi minuti in più non sono importanti.”
Max non ne era sicuro, ma sapeva però che farsi uccidere per un’azione impulsiva non avrebbe aiutato Liz. Guardarono la facciata della costruzione per diversi minuti, senza vedere movimento. Max mise in moto la jeep e fece il giro del fabbricato, parcheggiando l’auto vicino all’ingresso posteriore. Stettero al buio guardando l’edificio in silenzio.
“Vieni, andiamo"!” disse Max infine. Non erano riusciti a vedere niente. Nessun movimento all’interno, nessuna luce che si accendeva o si spegneva, nessuno entrare o uscire. Si avvicinarono all’ingresso posteriore e Max posò la mano davanti alla serratura. Si sentì un lieve rumore ed entrarono nell’edificio.
Si fecero attentamente strada nel corridoio, fermandosi al minimo suono o rumore. Max girò un angolo e si trovò all’improvviso davanti ad un punto di controllo. Fece velocemente un passo indietro, e Michael si fermò bruscamente dietro di lui.
“La guardia ha uno speciale cartellino di sicurezza. Ricordo che le guardie e gli inservienti li portavano.
Max tirò fuori il suo ID militare e lo tenne tra i palmi delle mani. le sue mani brillarono leggermente e quando le aprì c’era una replica del cartellino di sicurezza. Lo appuntò sul taschino della camicia e fece lo stesso con quello di Michael. Max fece un passo avanti e Michael lo afferrò per il braccio.
“Cosa hai intenzione di fare, Max?” gli sussurrò.
“Sono sicuro che ci tenevano al livello 3, sotterraneo. L’ascensore è proprio al lato della guardia.” Max guardò Miche negli occhi, mostrando la sua determinazione. “Delle due una: o la guardia ci lascia passare, o è morta!”
Michael lo guardò stupito. Non aveva mai visto questo tipo di durezza in Max, prima di allora. La sua intenzione di uccidere un uomo lasciò Michael perplesso. Max era sempre stato quello che rifletteva sulle cose, cercando soluzioni alternative, mantenendo un controllo stretto sulle cose intorno a lui. Vederlo così, era una cosa che non si sarebbe mai aspettato. Era per quello che aveva dovuto sopportare quando era prigioniero lì dentro? Era perché Liz era in pericolo? Era possibile che Liz contasse così tanto per lui, da fargli rischiare tutto pur di riportarla indietro?

“Andiamo. Devi solo venirmi dietro.” Max proseguì senza lasciare a Michael che la possibilità di seguirlo. Max si diresse al punto di controllo, cercando di mantenere lo sguardo dritto e risoluto. “Walzer e Anderson , qui per prendere un pezzo per il dottor Miller.” La guardia prese il sue elenco e cominciò a cercare i loro nomi sulla lista. Max si concentrò sulla pagina, e cambiò gli ultimi due nomi.
“Okay, eccovi!” mormorò la guardia. Lesse i nomi e controllò i cartellino del soldato che gli stava davanti. “prendete l’ascensore dietro di me. Terzo livello sotto.” Ed allungò l’elenco a Max per farglielo firmare, poi fece lo stesso con Michael.

Max trattenne il respiro, mentre giravano intorno al controllo e si avvicinavano all’ascensore. Tenne la testa bassa, sicuro che la sua immagine era stata memorizzata dalle telecamere di sicurezza del laboratorio. Si abbassò il berretto sulla fronte, spinse il pulsante della discesa e aspettò con ansia l’arrivo dell’ascensore. Le porte si aprirono lentamente e i due entrarono dentro. Con la mano che tremava spinse il bottone 3-, pregando che non ci fossero uomini armati ad aspettarli quando le porte si sarebbero riaperte.
Max sospirò di sollievo quando le porte si aprirono su un corridoio vuoto. Uscì con cautela, con Michael alle calcagna. Usò il suo istinto, per trovare la direzione sicura verso la stanza in cui lui e Liz erano stati tenuti prigionieri per tante settimane. Vide la tripla striscia correre sul pavimento, vide i minuscoli segni e gli scolorimenti che aveva memorizzato mentre era lì. Arrivato ad un incrocio, Max si fermò, guardando in tutte le direzioni.

“Da questa parte.” disse e girò verso destra. Rallentò il passo e si fermò di fronte ad una porta senza identificativi. Ne toccò la superficie e Michael lo vide irrigidirsi. “Questa è la stanza dove ci siamo svegliati, dopo che loro … dopo che ci avevano esaminati la prima volta.” Ricordi di lui steso sul tavolo da esame, che vedeva impotente Liz soffrire vicino a lui, gli inondarono la mente.

L’immagine del suo fragile corpo nudo che giaceva sul pavimento di quella stanza lo colpì, facendogli provare un’ ondata di rabbia e di paura. Rabbia per quello che quei mostri avevano fatto loro. Paura per quello che potevano aver fatto a Liz quando erano stati divisi.
“Max …” disse Michael tentando di riportarlo al presente. Gli occhi di Max si aprirono e lui proseguì per il corridoio. “Max c’è qualcosa che non va. E’ tutto troppo tranquillo.”
Max non rispose, concentrato sul percorso che aveva fatto dalla stanza di contenimento alla cella che lui e Liz avevano diviso. Accelerò il passo e, improvvisamente cominciò a correre verso la fine del corridoio, sapendo esattamente dove andare. Girò un angolo e si fermò bruscamente.
la porta era aperta. La porta della stanza dove aveva trascorso tanto tempo era vuota. Avvertì un movimento all’interno e si precipitò avanti e fu afferrato al panico guardando la stanza. Il letto era sfatto e l’armadio era aperto e vuoto. Ogni traccia di occupazione era sparita. La stanza era pervasa dall’odore del disinfettante e di detersivo. Non era rimasto nessun segno che Liz era stata lì.
“No … “ mormorò Max. a malapena capace di respirare. Un lamento venne fuori dalla sua gola, diventando sempre più forte mentre vagava senza scopo nella stanza vuota. “No … no … NO … NO.” Max ripeteva ancora ed ancora, in crescendo di tono.Era arrivato troppo tardi. Lei non c’era più. LEI E’ MORTA, gridava la sua mente, LEI E’ MORTA ED E’ COLPA MIA. L’ HANNO UCCISA PERCHE’ SONO STATO COSI’ PAZZO DA PERMETTERE CHE SI INNAMORASSE DI ME.

Max cadde sulle ginocchia, con le gambe tremanti che non erano più in grado di sorreggerlo. Era tutta colpa sua. Lei era stata catturata a causa sua. Era stata torturata a causa sua. E ora era morta a causa sua. Il suo petto soffocava, il suo cuore batteva così forte che sarebbe certamente scoppiato. Che era proprio quello che lui voleva. Lei era morta perché lui si era azzardato a credere che loro due avrebbero trascorso la vita insieme e, ora che lei non c’era, non gli importava più vivere nemmeno un momento. Quella mattina, quando aveva percepito il panico di Liz, dovevano essere stati i suoi ultimi pensieri, i suoi ultimi momenti di vita. Sentì la mano di Michael toccargli la spalla e la spinse via.
La porta del bagno si aprì e lui mise a fuoco una figura.
Si alzò come un razzo dal pavimento e l’afferrò per la gola. La sbatté contro la parete stringendola ed alzandola dal pavimento.
“PERCHE’?” urlò verso la faccia spaventata. “PERCHE’? CHE COSA LE AVETE FATTO?” Michael gli afferrò le braccia cercando di interrompere la sua stretta sulla gola dell’uomo, ma Max lo spinse da parte. “CHE COSA LE AVETE FATTO?” Max urlava ancora e alla fine Michael riuscì a tirarlo via.
Il custode si lasciò scivolare a terra, tenendosi la gola e tossendo, mentre cercava di far entrare l’aria nei polmoni. Max era in piedi accanto all’uomo, bollendo per la rabbia. Michael si inginocchiò avanti al custode e lo scosse fermamente per le spalle.
“La ragazza che era in questa stanza … cosa le è successo?” chiese Michael deciso. Non ottenendo risposta, Michael lo afferrò per le braccia, sbattendogli la testa contro la parete dietro di lui. “LA RAGAZZA!” gridò Michael “DOV’E’?”
“Hanno prelevato i pazienti, questa mattina.” rispose allora l’uomo, terrorizzato. “Non so dove li abbiano portati.” la mano di Michael si portò alla sua gola e gli occhi dell’uomo si chiusero per la paura. “Lo giuro. Non so dove li hanno portati.”

Max fece un passo verso il bagno e notò i cuscini e le lenzuola nel carrello della biancheria sporca. Ne toccò uno e poi un altro e quando toccò un cuscino, fu colpito da una serie di immagini. Liz impaurita, mentre delle mani l’afferravano. Liz che lottava con forza mentre cercavano di legarla. Liz che fissava un ago entrarle nel braccio. Sospirò di sollievo e si strinse il cuscino al petto. Liz era viva. Grazie a Dio, Liz era viva. Ma dove l’avevano portata? Ed in nome di Dio, come sarebbe riuscito a trovarla, ora?

Capitolo 21

Max aprì la porta posteriore del Centro UFO ed uscì nel vicolo. Era tardo pomeriggio ed il sole si attardava nel cielo, gettando lunghe ombre davanti a lui mentre camminava verso casa, demoralizzato, con le spalle curve e le mani cacciate nelle tasche. Erano passati giorni da quando lui e Michael avevano fatto il loro tentativo di salvataggio, solo per scoprire che erano arrivati troppo tardi per salvare Liz. Il cuore era pesante, come se camminasse portandosi il peso della consapevolezza di aver fallito con Liz ancora una volta.

Ad ogni giorno che passava, la sentiva allontanarsi sempre di più da lui. Aveva il suo viso inciso nella mente, ogni linea ed ogni curva memorizzati fino al più piccolo dettaglio. Quando la notte chiudeva gli occhi, le lacrime che erano sulle guance di Liz, ancora lo ferivano. I suoi sogni erano pieni delle grida di lei che lo chiamava, che stendeva le mani verso di lui solo per scoprire che le sue dita non riuscivano a raggiungerla.
Notte dopo notte, Max si svegliava dagli incubi, attorcigliato nelle lenzuola madide di sudore, ascoltando le grida di Liz che gli echeggiavano a lungo nella testa, prima di affievolirsi. E poi si sarebbe seduto sul letto per il resto della notte, le gambe piegate contro il petto, la fronte appoggiata sulle ginocchia mentre il suo corpo tremava per il senso di colpa, per il dolore e per il rammarico. La luce della luna cadeva sulle sue guance bagnate, illuminando quelle lacrime che lui versava di notte, solo e perduto nei ricordi che lo tormentavano.

Il calore del sole al tramonto, gli scaldava la schiena e i piedi lo portavano per strade familiari, ma Max si sentiva freddo e vuoto dentro. Sarebbe mai riuscito a trovarla? Avrebbe ancora rivisto gli occhi neri di Liz incontrare i suoi? Avrebbe ancora toccato la pelle soffice delle sue guance e i suoi capelli di seta? La disperazione scendeva su di lui, giorno dopo giorno, mentre cercava qualcosa che l’aiutasse a trovarla e , giorno dopo giorno, falliva. Sperso nei suoi angosciosi pensieri, si dirigeva verso casa, incurante di qualsiasi cosa lo circondasse.
“Evans!”
Max rallentò quando il suono penetrò nella sua mente tormentata. Il suo nome. Qualcuno aveva pronunciato il suo nome. Si fermò al centro del marciapiede e si guardò intorno. Alla sua destra vide un’ombra staccarsi alla parete di un edificio, con aria minacciosa. Era in controluce, tra i raggi del sole che tramontava, ma Max sapeva chi era. Aveva riconosciuto immediatamente la sua voce.
“Kyle.” disse quietamente, cercando di usare un tono neutrale e non minaccioso, sapendo che Kyle non era lì per scambiare galanterie.
“Ti sei preso gioco di tutti, Max.” cominciò Kyle avvicinandosi ancora a Max. “Ho dovuto lasciarla andare, solo perché lei si era innamorata di te. E tutti pensavamo che tu ricambiassi i suoi sentimenti. Non avevamo idea di che razza di maledetto bastardo sei in realtà. Che cosa è successo?” Kyle colpì con violenza la spalla di Max, spingendolo indietro. “Cosa le hai fatto? Huh? Lei si era accorta che tu non sei quello che pretendi di essere? Aveva scoperto il lato oscuro che tu cerchi di nascondere a tutti?” La mano di Kyle lo colpì di nuovo sulla spalla e Max incespicò all’indietro.

“Non è come pensi, Kyle.” Max alzò le mani con i palmi in su. “Non voglio battermi con te.”
“Nemmeno io voglio battermi con te, Evans.” disse Kyle a denti stretti. Afferrò Max per il bavero della camicia e lo tirò violentemente contro di sé, fino ad essere lontani solo pochi centimetri. “Io voglio ucciderti. Voglio farti a pezzi. Voglio farti sentire tutto il dolore che tu hai fatto provare a Liz.”
“Io non le ho fatto nulla.” Max chiuse gli occhi mentre le parole di Kyle lo ferivano come fossero coltelli. Sapeva che non c’era modo di farsi ascoltare da Kyle. Non c’era nulla che lui potesse dire per far sì che Kyle comprendesse. Per Kyle, per il padre di Kyle, per i Parker e per la maggior parte della gente di Roswell lui aveva ucciso Liz e sepolto il suo corpo nel bosco o nel lago o a qualche altra parte così nascosta che quando l’avessero ritrovata, di lei non sarebbe restato altro che un mucchietto di ossa sbiancate.

Kyle guardò Max, bruciando di rabbia. Lui, a modo suo, aveva amato Liz e doveva vivere col suo senso di colpa e di responsabilità. Se avesse lottato per lei, se solo avesse tentato di convincerla a rimanere insieme a lui, forse lei sarebbe stata ancora viva. Liz aveva detto che tra loro era finita e aveva lasciato la porta aperta perché Max entrasse dentro. Kyle aveva sempre sentito che c’era qualcosa di strano in quel ragazzo. Tutto intorno a lui era pieno di misteri e di segreti, non aveva mai permesso a nessuno di essergli vicino, tranne quell’altro eccentrico di Michael Guerin. Avrebbe dovuto seguire il suo istinto e proteggere Liz da quel pazzo bastardo: Invece, aveva preso le distanze ed ora Liz era morta.

“Io non le ho fatto del male.” ripeté Max. Posò le sue mani sul petto di Kyle e lo spinse via dal suo bavero. La sua forza sorprese Kyle, che fece un passo indietro.
“Allora, dove è lei, adesso?” disse provocatorio Kyle.
“Non lo so.” disse Max semplicemente. Sapeva che nulla di quello che diceva, avrebbe potuto cambiare l’odio che Kyle privava per lui. c’era solo una cosa che Max poteva fare, perché cambiassero idea su di lui. Trovare Liz, e trovarla viva.
“Sarò in prima fila quando pronunceranno la tua condanna, Evans.” Kyle fissò Max ancora per un attimo, poi si girò e sparì nell’ombra.

***

Valenti assistette con trepidazione allo scontro tra suo figlio e Max Evans. Stava seguendo Max da lontano, in macchina, prendendo nota dei suoi movimenti. Vide Kyle uscire dall’ombra, afferrare Max per la camicia e la sua mano corse alla maniglia dello sportello, intenzionato a scender e ad interrompere il confronto. Il suo istinto gli diceva che Kyle non era all’altezza di scontrarsi con Max Evans. Anche se Valenti non aveva mai visto Max battersi, e nemmeno alzare la voce con rabbia, sapeva che dietro quella quiete esteriore, era nascosto qualcosa di oscuro.

Valenti tirò un sospiro di sollievo quando vide Max alzare le mani in segno di sottomissione, restio ad accettare la sfida di Kyle. Dopo qualche istante Kyle lasciò andare Max e andò via. Max rimase immobile sul marciapiedi, mentre i minuti passavano, fissando la strada davanti a lui. Dopo un po’ riprese il cammino e Valenti continuò a seguirlo a distanza.

***

Max accelerò il passo, evitando le persone che incrociava. L’odio negli occhi di Kyle lo aveva raggelato e il sapere che non c’era nulla che potesse fare per provare di non aver fatto del male a Liz, lo stava portando alla disperazione. Sentì ancora una volta chiamare il suo nome e si irrigidì, preparandosi ad un altro scontro. Si guardò intorno alla ricerca del nuovo avversario, quando i suoi occhi caddero su un ragazzino che stava giocando in un giardino.
“Max! Max"! Vieni qui, Maxie!” gridava allegramente il bambino e rideva ad un cucciolo che corse per il giardino e gli saltò addosso, leccandogli la faccia. Il ragazzino sembrava avere sei anni circa e il cucciolo, un ‘golden retriever’ era un mucchietto di pelo e zampe troppo grandi. Max sorrise, per la prima volta dopo giorni, vedendo il bimbo giocare col cucciolo, dimentico di tutto intorno a sé, eccetto che del mucchietto di pelo, della lingua umida e della coda che si dimenava. Il ragazzino rideva, prendeva una palla e la tirava. Il cagnolino le correva dietro, l’attenzione focalizzata solo sulla palla. Finì sulla strada e il sorriso Max si trasformo in una smorfia di timore quando vide il cane uscire a tutta velocità dal cancello, mentre una macchina si avvicinava.

“NO!” chiamo Max e cominciò a correre, pur sapendo che non avrebbe mai fatto in tempo a raggiungerlo. Il tempo sembrò rallentare mentre Max ed il bambino guardavano il cane correre per la strada. Il suono stridente della frenata riempì lì aria della sera ed udirono un forte guaito di dolore, seguito dal silenzio. Max si bloccò sui due piedi, sapendo che il cucciolo era stato schiacciato dall’impatto. Il guidatore aprì lo sportello della macchina e Max notò che era una giovane donna, ovviamente sotto shock. Era scossa e tremava , con la mano che le copriva la bocca.
Max vide il ragazzino correre per la strada e si costrinse a muoversi. Corse verso la macchina, gridando alla donna di impedire al bambino di avvicinarsi troppo. Lei lo afferrò mentre lui si divincolava, piangendo per il suo cane.
Max si inginocchiò davanti alla macchina e guardò sotto. Il cane era steso accanto alla ruota e Max poteva vedere il sangue espandersi sotto di lui. Il corpo era immobile e senza vita ed il suono doloroso delle grida del bambino penetrò nel cuore di Max. Qualcosa che era caro ed amato era appena stato tolto al ragazzo, travolto in un istante e Max si precipitò.

Lui poteva fare qualcosa per il piccolo. Lui poteva trasformare di nuovo le lacrime in un sorriso. Non gli importava del rischio che poteva correre, in quel momento. Sapeva solo che lui poteva fare la differenza, che qualcosa di amato sarebbe stato preservato.
Si allungò sotto la macchina e si avvicinò il cucciolo. La sua mano si mosse sopra il sangue che bagnava il pelo, sentendo le ferite e le ossa rotte. Si sporse sopra il corpo, per coprirne la vista, mentre la sua mano brillava nel riparare i danni. Sentì il cucciolo muoversi, e col tocco della mano ripulì il pelo dal sangue, prima di raccoglierlo e stringerlo tra le braccia. Il cucciolo si dimenava e stendeva la testa, leccando Max sul collo e sul mento e fino ad arrivargli alle guance. Max rise e si passo una mano sul viso, tentando di pulirsi i baci del cucciolo.

Max si fermò di fronte al bambino con il cagnolino che si dimenava impazzito tra le sue braccia. Scodinzolava a mille all’ora e la sua lingua lappò il padroncino, leccandogli via le lacrime. Il bimbo sedette sull’erba ed il cucciolo gli si arrampicò in grembo, continuando leccargli il viso.
“Così il tuo cucciolo si chiama Max?” chiese Max dolcemente. Il ragazzino annuì mentre rideva delle feste che il cucciolo stava ancora facendo. “Anche io mi chiamo così!” aggiunse Max.
“Non può essere il tuo nome.” rise il ragazzo come se Max avesse detto qualcosa di buffo. “E’ un nome da cani"!”
Max trattenne una risata guardando il ragazzo ed il suo cane. “Bene, credo di portare questo nome da più tempo del tuo cane.”
“Oh.” replicò il ragazzo e ci rifletté sopra.
Max lanciò un’occhiata alla donna che guidava la macchina. Era visibilmente scossa dall’incidente, ma aveva cominciato a calmarsi ed ora sorrideva a come il cucciolo leccava qualsiasi lembo di pelle esposta che gli riuscisse di raggiungere. Mani, braccia, menti, orecchie, non faceva differenza. Era un cucciolo felice.
“Come ti chiami?” chiese Max tornando a guardare il ragazzino.
“Davey.” rispose la sua vocina.
“Tu vuoi bene al tuo cucciolo, vero Davey?” chiese Max serio. Il ragazzo annuì e strinse ancora il cucciolo. “Davey, è una tua responsabilità prenderti cura di lui. Non tirare la palla per la strada, perché la prossima volta, lui potrebbe farsi male.” Max vide che il suo labbro inferiore cominciava a tremare e le lacrime gli si affacciavano agli occhi.
“Hey,” disse Max con dolcezza ed il bambino guardò verso di lui.”So che farai un buon lavoro nel prenderti cura di lui, Vero?” Il bambino annuì ancora e poi sorrise quando Max gli scompigliò i capelli.
“Grazie per l’aiuto.” disse la donna quando Max si fu alzato. “Ero sicura di aver preso in pieno quel povero cucciolo. Avrei giurato di aver sentito la macchina che gli passava sopra. Ero troppo spaventata perfino per guardare.”
“Sono contento di essermi reso utile. Si sente bene? Lei ha subito un piccolo shock.” chiese Max con interesse.
“Sto bene. Ora devo proprio andare.” Tornò verso la macchina, salì, chiuse lo sportello, poi tirò giù il finestrino. “Sei un salvatore, Max.” disse mentre l’auto si allontanava e Max le sorrise inconsapevolmente.

“Davey,” cominciò a dire Max, inginocchiandosi ancora una volta accanto a lui. “Il tuo cucciolo è stato veramente molto fortunato stasera, perché c’era il suo Angelo Custode a proteggerlo.” Il bambino lo ascoltava interessato, continuando ad accarezzare il cucciolo.” Di solito, dorme con te la notte?”
“Si, sul mio letto.” rispose Davey.
“Bene, Davey, dato che è stato toccato dall’Angelo Custode stanotte, quando si sarà fatto buio, potrebbe brillare, così sarebbe una buona idea mettergli sopra una coperta quando dorme, in modo che nessuno se ne accorga. Forse potresti lasciare la luce accesa, stanotte. Pensi di riuscire a ricordartelo?”
“Me ne ricorderò.” rispose convinto Davey.
Max accarezzò il cagnolino ancora una volta poi si alzò in piedi, e vide Davey tornare a casa con il cucciolo alle calcagna.

La sera diventava silenziosa, mentre Max riprendeva la strada di casa. I suoi pensieri erano ancora cupi e malinconici, ma si fermò per un momento, concedendosi qualche minuto per gioire della visione di un bambino e del suo cane e dell’indimenticabile sensazione dei baci del cucciolo sul suo mento.

***

Valenti vide che Max stava tornando indietro e si domandò cosa diavolo stesse succedendo.
Quando lo vide stendersi, capì che il cane era stato investito dalla macchina. Aveva visto la ruota passare sopra al povero animale, ma quando Max lo tirò fuori da sotto la macchina si dimenava e leccava come solo i cuccioli possono fare, i cuccioli vivi.

Valenti premette lo stop della videocamera e poi fece tornare indietro il nastro. Forse la registrazione avrebbe chiarito cosa era successo esattamente. Rivide il cane correre in mezzo alla strada, e poi lo vide ancora, ed ancora, ed ancora. Ogni volta l’ immagine era chiara. Il cucciolo era finito sotto la ruota anteriore del lato del passeggero, che gli era passata proprio sopra.
Valenti poteva vedere chiaramente il danno irreparabile che l’animaletto aveva sofferto, eppure quando Max l’aveva tirato via da sotto la macchina, era pieno di vita. Come poteva essere possibile?Cosa aveva fatto Max nel breve momento che, con il suo corpo, impediva a Valenti di vedere chiaramente? Rimise in moto la macchina e, quando Max girò l’angolo, guidò fino al punto in cui era avvenuto l’impatto. Scese e si inginocchiò vicino a una macchia liquida che era sull’ asfalto. Vi immerse la punta di un dito e lo avvicinò alle narici per annusarlo. Poi lo strofinò contro il pollice per tastarne la consistenza e allora i suoi occhi si diressero verso l’ultimo posto dove aveva visto Max, prima che girasse l’ angolo. Sangue. C’era una larga chiazza di sangue nel mezzo della strada. Ne prelevò un campione, ma non aveva il minimo dubbio che le analisi avrebbero confermato che era sangue canino. C’era un’unica spiegazione. In qualche modo, Max aveva riportato quel cane in vita. Come era possibile?

Capitolo 22

Max girovagava senza una meta, almeno così pensava, fino a che si ritrovò davanti al Crashdown Café. Era dove veniva sempre. Se era in cerca di un rifugio, o di cibo, o di compagnia, o solo di un senso di pace, lo trovava lì. Almeno fino ad ora. Liz era la parte bella della sua vita, anche quando era piccolo. Andava lì da bambino, a prendere un frullato e a passare il tempo aspettando di avere la possibilità di vederla per un attimo.

In quinta elementare, Max aveva fatto in modo che lui e Liz capitassero nella stessa classe. Sedeva al banco dietro a lei e alla fine trovò il coraggio di parlarle. Col tempo la loro amicizia era cresciuta, ma Max manteneva le distanze, per non lasciarle capire quali fossero i suoi veri sentimenti per lei.
Aveva quasi messo le radici al Crashdown, fermandosi dopo la scuola per uno spuntino, per studiare o per fare i compiti. Quando non era troppo occupata, Liz si fermava accanto al suo tavolo e lo aiutava con biologia o si limitava a parlare con lui di qualcosa che riguardava la scuola.
Quelli erano i tempi in cui Max era contento, quando aveva ancora Liz vicino. Ora, guardando l’insegna al neon lampeggiare, quel posto gli sembrava vuoto. Poteva vedere il terrazzo su cui si era arrampicato tante volte, l’anno passato. Sembrava freddo e poco invitante.
Le luci, che lei accendeva sempre, ora erano spente. La sua presenza indugiava nell’aria attorno a lui, ma gli serviva solo a ricordare quello che aveva perso. Si sentiva isolato, tagliato fuori da un posto che gli aveva sempre dato conforto.
Lui non era più desiderato lì. Non era più il benvenuto.
Una mano lo toccò sulla spalla e lui si girò, preparandosi ancora una volta ad un attacco. Quello che vide, non era quello che si era aspettato, non era qualcosa che si sentiva ancora pronto ad affrontare.
“Maria.” Dal suo ritorno non le aveva ancora parlato. Sapeva che Michael le aveva raccontato quello che era successo, dove era stato, ma lui non era ancora pronto ad incontrarla. Era la migliore amica di Liz, e guardandola sentì tutto il senso di colpa e tutta la vergogna tornare in superficie.

“Max.” disse semplicemente Maria. Aveva lasciato il locale da qualche minuto e l’aveva notato, immobile, nell’ombra. Anche al buio, riusciva a vedere quanto fosse diventato pallido. Aveva perso diversi chili ed il suo viso appariva smunto. Ma il peggiore dei cambiamenti avvenuti in Max Evans era nei suoi occhi. Lei non li aveva mai visti così tormentati. Aveva sopportato molto dolore, un gran senso di colpa, e tutto si rifletteva nei suoi occhi.
“Io … io volevo venire a parlarti.” La sua voce era fievole e non riusciva a guardarla negli occhi.
“Va tutto bene, Max.” disse lei dolcemente. La sua mano si posò sul braccio di Max e poi scese a prendergli la mano. Gli strinse anche l’altra e stettero per un attimo uno davanti all’altra, Max con gli occhi rivolti in basso e Maria che gli stringeva le mani. Lui si chinò ed appoggiò la testa sulla spalla di Maria, trovando conforto in un amicizia che sapeva di non meritare. Lei lo abbracciò, cercando di rassicurarlo, sperando che capisse che lei non lo accusava di nulla.

“Dimmi cosa è successo, Max.” Lei avvertiva la sua tensione, mentre Max sollevava la testa per guardarla.
“Pensavo che Michael ti avesse detto … “
“Voglio sentirlo da te, Max.” Lo vide accennare con la testa, ma ancora evitava di guardarla negli occhi. “Inoltre, tu conosci Michael. Non è certo Mister Chiacchierone.” Per un attimo, l’ombra di un sorriso comparve sul viso di Max. Poteva immaginare il racconto di Michael. ‘Max e Liz sono stati catturati. Lui è riuscito a fuggire. Lei no. Fine della storia’.
Max fece un passo indietro e sedette pesantemente sulla panchina che era dietro di lui, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e la testa fra le mani. Maria si sedette accanto a lui ed aspettò pazientemente che lui cominciasse.
Max raccontò tutto quello che era accaduto. Quanto fosse carina Liz il giorno che era andata a prenderla il marzo scorso, e come loro fossero andati al lago per studiare. Le raccontò del globo che brillava in modo strano e di quando si erano risvegliati in quel posto orrendo. Le raccontò delle cose tremende che avevano fatto a Liz, come le avessero prelevato pezzi di pelle dalle gambe e come ogni mese avessero invaso il suo corpo per prelevarle gli ovuli.
Disse cose che non si sarebbe mai aspettato di dirle, che nemmeno Michael conosceva. Le descrisse il compleanno speciale che Liz aveva organizzato per lui, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime al ricordo di come fosse apparsa felice, quella sera. Le disse di come, notte dopo notte, si fossero sostenuti a vicenda e di come, alla fine, avessero cercato di più del solo conforto l’uno nelle braccia dell’altra.
Le raccontò, nei minimi, terrificanti dettagli, di cosa era successo quando si era trovato bloccato nella stanza di trasferimento, con Liz intrappolata dall’altra parte. Il suo corpo tremava, mentre parlava a Maria di come le guardie avevano sparato a Joshua e poi si erano precipitate su Liz. trascinandola fuori dalla stanza. Le disse che l’ultima cosa che aveva visto erano i suoi occhi terrorizzati e le sue mani tese verso lui, mentre supplicava di essere salvata. Maria ascoltò in silenzio, mentre le parole gli uscivano impetuosamente. Gli posò un braccio sulle spalle, tentando di dargli il conforto di cui aveva disperatamente bisogno. Quando finì di parlare, Max si coprì la faccia con le mani, cercando di combattere contro le sue emozioni.

“Non biasimare te stesso, Max.” disse Maria attraverso le lacrime.
“Come faccio?” implorò Max. “Tutto questo le è successo a causa mia.”
“Max, Liz ti ama. Lei sapeva quali rischi avrebbe corso, e li ha accettati. Inoltre, Max, tu lo sai come si arrabbierà quando saprà che tu ti sei sentito in colpa per tutto questo? Lei sarà furiosa con te.” Gli sorrise, cercando di allentare la sua tensione.
Gli occhi di Max incontrarono quelli di Maria e lui non poté fare a meno di restituirle il sorriso.
“E sarà meglio che tu le stia alla larga, quando stanno per arrivarle le mestruazioni.” disse Maria, tentando di sollevargli l’umore.
“Oh, lo so, lo so.” Max rise ricordando come, uno o due giorni al mese, tutto sembrava irritarla e lo maltrattava senza alcun morivo. Ora ne capiva la ragione.
L’intermittenza delle luci del Crashdown, riportò il suo pensiero al presente. Gli aveva fatto bene parlare con Maria e lui realizzò ancora una volta come la sua amicizia con lei fosse diventata importante.
“Andiamo, Max. Ti do un passaggio fino a casa.” Maria si alzò dalla panchina e Max la seguì. Durante il tragitto, gli raccontò storie su Liz, cose che lui non aveva mai saputo prima. Lo fece ridere di nuovo, raccontandogli storie di vacanze e di feste, cose che erano accadute prima che lui entrasse a far parte delle loro vite. Quando la macchina si fermo sulla strada di casa sua, Max uscì dalla macchina e si fermò accanto allo sportello del conducente.
“Grazie, Maria.” le disse posando la mano su quella di lei. Sapeva che lei avrebbe compreso che il grazie non era solo per il passaggio. Con il cuore pesante, lei lo guardò traversare la strada ed entrare in casa. Pregò che riuscissero a trovare Liz al più presto, non solo per salvare lei, ma per salvare tutte le persone che l’amavano dall’angoscia che vivevano ogni giorno.

***

La sua mente si fece strada a rilento nel buio intenso. Avvertì per prima cosa un rumore, un basso, costante suono in sottofondo. Cercò di sollevare la mano, come per sposare una ciocca di capelli dalla faccia, ma scoprì che era incapace di muoversi. Aprì piano gli occhi e tentò di mettere a fuoco quello che la circondava.
La stanza non le era familiare. Le luci erano basse e gli angoli della stanza erano in ombra. Era circondata da attrezzature mediche, il che spiegava il suono che sentiva. Un monitor segnalava il ritmo del suo cuore. Uno schermo mostrava la frequenza della sua respirazione ed un altro leggeva la sua pressione arteriosa. Con la coda dell’occhio notò un movimento e velocemente richiuse gli occhi, fingendo di dormire. Avvertiva la presenza di qualcuno vicino a lei che controllava i monitor e sentì una mano che le tastava il polso. Cercò di rimanere ferma e rilassata.
“Qualche segno di ripresa?” chiese una voce maschile dai piedi del letto.
“Non ancora, dottore.” replicò una voce femminile proprio accanto a Liz. “C’è stato un breve aumento del battito cardiaco qualche minuto fa, tranne questo, sembra che stia dormendo da giorni come morta. Ora che l’effetto dei sedativi è finito, dovrebbe svegliarsi.”

La mano lasciò il suo polso e Liz sentì rumori di passi che si allontanavano. Aprì gli occhi con cautela e tirò un respiro di sollievo constatando che la stanza era vuota. Tentò di ricordare dove fosse e come fosse arrivata lì, ma senza risultato. L’ultima cosa che ricordava era la lotta che aveva sostenuto mentre stavano portandola via dal suo letto e la puntura che le avevano fatto al braccio.

Liz lasciò il tempo ai suoi occhi di adattarsi alla luce fioca della stanza. Ridusse al minimo e suoi movimenti e cercò di tenere stabile il ritmo del respiro e del battito cardiaco, per non attirare ancora l’attenzione dell’infermiera. Era chiaro che fosse in una stanza di ospedale, simile a quelle dei reparti di rianimazione. Una intera parete era di vetro, per consentire al personale di controllare i pazienti in ogni momento. Notò la costante attività intorno alla sua stanza, mentre persone vestite di bianco passavano con tabelle o vassoi con attrezzature mediche. La sua attenzione fu attratta da qualcosa alla sua destra e trattenne il respiro.
Attraverso la parete di vetro che divideva la sua stanza da quella vicino, poté chiaramente distinguerne l’occupante.
Era sdraiato sulla schiena, con i polsi e le caviglie assicurati da cinghie che ne limitavano i movimenti. Tubicini gli uscivano dal naso, dalla bocca e dal torace e flebo gli entravano nelle vene delle braccia. Il torace ed il braccio erano fasciati e Liz vide che le bende erano intrise di sangue. Il viso era parzialmente nascosto dai tubi, ma lei riuscì a riconoscerlo immediatamente. Joshua.

Liz vide un’infermiera entrare nella stanza di Joshua e prendere una cartella dai piedi del letto. L’aprì e prese nota di quello che i monitor segnalavano. Dopo diversi minuti ripose la cartella al suo posto e attraversò la stanza, diretta al carrello per le medicazioni. Depose diversi oggetti su un vassoio e ritornò al fianco di Joshua, poi la vide sostituire le bende impregnate di sangue con altre pulite.
Liz fu eccitata dalla scoperta che Joshua non fosse morto nel loro tentativo di fuga, ma si chiese quanto fossero gravi le sue ferite. Il suo colore era svanito. La sua pelle era pallida ed esangue e, anche da quella distanza, poteva vedere come fosse smunto il suo viso.

“Allora, sei sveglia.”
Liz girò la testa lentamente al suono della voce familiare. Il dottor Johnson era in piedi accanto al suo letto, con le mani incrociate sul petto. Il suo viso era in parte in ombra, per la scarsa illuminazione della stanza. La sua faccia era inespressiva e Liz non riuscì a capire cosa stava pensando.
“Dove sono?” chiese Liz debolmente.
“Sai che non posso dirtelo.” replicò Johnson.
“Da quanto sono qui?” Per Liz perdere la cognizione del tempo era quasi peggio del fatto stesso di essere prigioniera. Significava perdere la connessione col mondo esterno. Non sapere il giorno o l’ora significava non esistere, tra quelle pareti, e questo era qualcosa che Liz non accettava.
“Liz, non farmi domande alle quali sai benissimo che non posso rispondere.” Il suo tono era freddo e la fece rabbrividire.
“Perché non può rispondere?” lo implorò “Io non sono una minaccia, per voi. Sono qui, in questo letto, con i polsi legati. Ci sono un centinaio di persone dall’altra parte del vetro. Sono intrappolata qui e non ne uscirò più, allora perché non può rispondermi?”
“Sono contento che ti sia svegliata, Liz.” disse Johnson, ignorando la sua domanda. “Tra poco cominceremo una nuova serie di test. Fino ad allora, farai bene a riposare.” Johnson si girò per uscire, poi si fermò. Guardò nella sua direzione, ma evitando di incontrare i suoi occhi. “Mi dispiace, Liz. Mi dispiace che debba andare in questo modo … ma è necessario.”
Liz lo vide lasciare in fretta la stanza. Una lacrima scese dai suoi occhi, seguita da un’altra e da un’altra ancora.
“Max … “ sussurrò disperatamente, mentre si chiedeva se l’avrebbe mai più rivisto.

Capitolo 23

Max era disteso nel suo letto, al buio, fissando a vuoto il soffitto. Isabel aveva lasciato la stanza da pochi minuti e le aveva chiesto di spegnere la luce, uscendo. La sua delusione aveva riempito l’aria della stanza e si chiese come sarebbe riuscito a superare quella notte, e quella dopo, e quella dopo ancora.

Aveva perso il conto delle volte che Isabel aveva provato, senza successo, di raggiungere Liz nei sogni. C’era riuscita una sola volta, da quando lui aveva fatto ritorno a casa. Era stato un sollievo sapere che lei stava bene e che nessuno le aveva fatto del male dopo che lui l’aveva abbandonata. Questo non era corretto, cercò di ricordare a se stesso. Lui non aveva abbandonato Liz, si era solo trovato nel posto sbagliato nel momento sbagliato, e il risultato era stato che ora lui era a casa e lei non c’era.
Tentare di convincersi, non funzionava. Si sarebbe sentito in colpa per il resto della sua vita. Liz non si meritava nulla di quello che le era successo. La sua sola colpa era stata quella di lasciarsi andare all’amore che provava per uno scherzo della natura come lui. Perché la vita era così ingiusta? Lui aveva capito, dalla prima volta che aveva posato lo sguardo su di lei, che sarebbe stata l’unica che avrebbe mai amato.
Non importa che allora avesse avuto solo otto anni. Un solo sguardo ai suoi occhi meravigliosi, era stato sufficiente per farlo innamorare di lei profondamente e follemente e quel sentimento era cresciuto col passare del tempo.

Era stato facile all’inizio, quando lei non sapeva nemmeno che lui esistesse. La poteva osservare mentre giocava, o durante il pranzo e lei non si era mai accorta di nulla. Si era accontentato di questo per anni, di guardarla, di amarla da lontano e di sognare di lei. Si era impegnato moltissimo nelle materie scientifiche, lottando per capire biologia, fisica e chimica, solo per poterle stare vicino. La mente di Liz afferrava al volo le nozioni scientifiche e questo, in aggiunta al suo fascino, la rendeva ancora più irraggiungibile per lui.
Max non era interessato a lei solo per il suo aspetto o per il suo corpo. Che lei fosse bella, era solo un premio in più per gli occhi di lui. Il cuore di Max Evans era stato catturato da Liz Parker tanto tempo prima e nessuna avrebbe mai potuto prendere il suo posto. Come avrebbe fatto a sopravvivere senza di lei? Non avrebbe nemmeno voluto provarci!

Recitò in silenzio una preghiera, sperando che ci fosse veramente un Dio che potesse ascoltarlo. ‘Proteggila, fino a quando riuscirò a riportarla a casa …’
Le sue palpebre cominciavano ad appesantirsi ed il suo corpo invocava l’oblio del sonno, dove non avrebbe avuto pensieri, né sentimenti, né ricordi. Il ridestarsi dei suoi pensieri lo torturava con immagini di quello che poteva succederle, delle terribili cose che le avevano fatto, ogni giorno più difficile da vivere del precedente.
I suoi occhi si chiusero e il suo respiro si regolarizzò.
Le sue braccia si stesero in un gesto automatico, cercando di raggiungere il soffice corpo che ormai era abituato a sentire accanto al suo. Le sue dita si chiusero nel vuoto ed un sospiro di desolazione uscì dalle sue labbra.

***

Liz si girava e rigirava, incapace di trovare una posizione comoda. Aveva il polso dolorante per la cinghia, ma almeno poteva muoversi di più di quando aveva entrambi i polsi legati. Si voltò sulla schiena e fissò il soffitto. La notte era il momento peggiore. Di notte, il silenzio poteva essere assordante. Di notte, le mancava la sensazione delle braccia di Max intorno a lei.

Durante il giorno intorno a lei c’era movimento. Lei tentava di memorizzare tutti i volti ed ascoltava attentamente tutte le conversazioni. Non sapeva perché lo facesse, ma sapeva che ascoltare la faceva sentire meglio. Quella sera aveva visto due uomini parlare dall’altra parte del vetro, ma li aveva sentiti come se fossero stati vicino a lei. Come poteva essere successo? Era possibile che la gravidanza stesse cambiando il suo corpo in modi che non riusciva ad immaginare?

Si passò la mano sulla pancia e pensò alla vita che era dentro di lei. Le droghe che avevano usato per sedarla, potevano aver danneggiato il bambino? L’avevano tenuta in stato di incoscienza per giorni interi. Sicuramente non era stata una buona cosa. Johnson aveva detto che gli esami sarebbero cominciati presto. Avrebbero fatto male al bambino? Quando le avrebbero fatto lastre o TAC, il bambino ne avrebbe risentito? Se lei glielo avesse detto, o se loro l’avessero scoperto, cosa avrebbero fatto?
Liz sentì una sensazione palpitante nella parte più profonda della sua mente e le uscì un sospiro. Era come una presenza, come quando Max si connetteva con lei, ma non così forte. Era il suo bambino che le stava parlando? Forse la connessione che lei e Max dividevano, era un tratto comune e le madri potevano parlare con i loro bambini, finché li portavano in grembo. Sarebbe diventata più forte mano a mano che il bambino cresceva? L’avvertì di nuovo ed un sorriso le spuntò sul viso. Per la prima volta da quando Max era andato via, Liz sentì che non era sola.

***

Liz fu destata dal suo sonnellino dal suono dell’allarme. Guardò in alto spaventata dalla confusione dall’altra parte del vetro. Stava arrivando qualcuno? Max stava cercando di liberarla? Il suo cuore accelerò i battiti e i suoi occhi girarono in cerca di lui.
L’aumento dell’attività sembrò concentrarsi nella stanza di Joshua e vide tutto lo staff muoversi intorno a lui. Guardando i monitor, vide che il cuore di Joshua aveva di nuovo problemi. Un defibrillatore gli fu posto a fianco e un’infermiera cominciò a settarlo. Liz vide Johnson precipitarsi nella stanza e correre al letto, togliere le piastre dalle mani dell’infermiera e poggiarle sul torace di Joshua. Il suo corpo fece un balzo e ripiombò nel letto.

Liz sentì Johnson che urlava “Ancora!” e il corpo di Joshua disegnò di nuovo un arco nell’aria.
“Ancora!” gridò Johnson di nuovo e di nuovo fino a che un suono si sentì un debole suono. Tutti gli occhi erano posati sul monitor fino a che videro la linea alzarsi una volta, de volte e poi segnalare il battito regolare. Questa battaglia andava avanti da giorni, ormai. Liz aveva perso il conto delle volte che Joshua era stato riportato indietro dalla morte. Lo sforzo era anche evidente sul viso di Johnson.

Aveva cerchi scuri intorno agli occhi, per la mancanza di sonno. Liz si chiedeva se Johnson ci tenesse così tanto a tenere Joshua vivo solo perché era un esemplare alieno e se voleva salvare veramente il suo paziente.
Liz sentì un profondo senso di colpa scendere su di lei. Sapeva che era sbagliato augurarsi che Joshua non migliorasse, ma finché l’attenzione era concentrata su di lui, lasciavano tranquilla lei. Gli esami che Johnson aveva annunciato erano stati rimandati, e fra una cosa e l’altra, erano passate più di due settimane. Più a lungo fosse stata capace di tenere nascosto il suo segreto, meglio sarebbe stato.

***

“Per, favore può togliermi questa?” Liz pregò l’infermiera che le stava rimettendo il legaccio al polso, girando il braccio e la mano. “Dovrei andare al bagno.”
“Usa questa!” rispose l’infermiera porgendole una padella.
“Non è già abbastanza che mi teniate qui contro la mia volontà?” gridò Liz “Dovete per forza umiliarmi ogni volta?” Guardò attraverso la parete tutte le infermiere e i tecnici all’altra parte del vetro. Non potevano permetterle almeno un po’ di intimità?
L’infermiera la ignorò e fini di prendere note sulla sua cartella. Poi si girò senza una parola e Liz la vide lasciare la stanza. Il dottor Johnson apparve e Liz lo vide parlare con l’infermiera. Lui guardò nella sua direzione poi consultò la cartella che l’infermiera gli aveva portato. Dopo diversi minuti restituì la cartella all’infermiera e si diresse verso Liz.

“Bene, Liz, sento che stai facendo qualche capriccio, oggi.” Johnson sostenne il suo sguardo per un momento, poi spostò il lenzuolo dalle sue gambe. Le sue dita calde toccarono le caviglie di Liz, controllandone il gonfiore. Soddisfatto, rimise a posto il lenzuolo e si mise al fianco del letto.
Liz strinse le mani a pugno, quando il dottore abbassò il lenzuolo per scoprirle i fianchi. Chiuse gli occhi, pregando silenziosamente perché la lasciasse stare, perché il suo segreto rimanesse tale, sapendo che era solo questione di tempo.
Johnson alzò la camicia esponendo la sua pancia e cominciò a palparla. Prese lo stetoscopio dal collo e poggiò il metallo freddo contro la pelle, all’altezza del cuore. Ascoltò attentamente e poi si mosse un po’ più in basso, ripentendo l’operazione ancora una volta fino a fermarsi al di sotto del suo ombelico. la sua espressione era neutra e Liz non riusciva a decifrarla. Sapeva? Aveva sentito il battito di un altro cuore?
Johnson rimosse lo stetoscopio e lo mise distrattamente nella tasca del suo camice prima di riabbassarle la veste e di ricoprirla col lenzuolo. Guardò da vicino le sue mani e poi i suoi polsi e notò le abrasioni causate dalle cinghie. Liz lo guardò mentre raggiungeva il carrello delle medicazioni e tornava con un tubo di crema e con le bende. Medicò la pelle danneggiata e poi le fasciò i polsi.
“Andrà meglio fra un giorno o due.” Johnson le mise una mano sulla testa. Poi camminò ancora verso il carrello e ne tornò con un contenitore sterile. “Voglio un campione delle tue prime urine, domani mattina. Lascerò questo al bagno per te.”

Liz mosse il polso e i suoi occhi si spalancarono quando si rese conto di non essere più legata. Le avrebbero permesso di muoversi liberamente per la stanza? I suoi occhi seguirono il dottore mentre apriva la porta del bagno. Quando ne riemerse credette di aver intravisto un sorrisetto sulla sua faccia, che subito tornò neutrale. Raggiunse la porta, ma quando già aveva posato la mano sulla maniglia, si voltò per guardare Liz.
“Ti vedrò domattina. Liz.” disse ed uscì dalla porta, scomparendo dalla sua vista.
Liz trattenne il respiro e sentì lo stomaco sottosopra. Lui sapeva. In qualche modo lui aveva scoperto il suo segreto.

***

Liz era distesa tranquilla mentre Johnson la esaminava attentamente , ascoltando il suono del cuore e il ritmo della respirazione. Le sue mani le cinsero la gola alla ricerca delle pulsazioni e della tiroide. Andò ai piedi del letto e controllò le pulsazioni alle caviglie e controllò se ci fosse edema. Le alzò un piede ed appoggiò la gamba ad una staffa sul lato del letto. Liz chiuse gli occhi e lui alzò l’altro piede e Liz si preparo all’esame che stava per subire. Il battito del cuore crebbe enormemente, sapendo ormai con certezza che il suo segreto era stato scoperto.

Johnson completò la visita in silenzio, mentre Liz si mordeva le labbra. Dopo quella che le sembrò un’eternità lui sposto lo sgabello lontano dai piedi del letto e si tolse i guanti di gomma.
“Puoi sederti, adesso.” disse, interrompendo il silenzio.
Liz si copri, pudicamente, e si affrettò a spostarsi al centro del letto. Lui riposizionò il lenzuolo sotto i suoi fianchi e le sollevò la gonna esponendo la sua pancia. prese dal vassoio un centimetro a nastro e la misurò dall’osso pubico ad un punto proprio sotto al seno.
“Da quanto tempo lo sai?” chiese Johnson
“Cosa vuole dire?” chiese Liz dopo una lunga pausa.
“Non c’è bisogno di fingere, Liz.” disse Johnson guardandola negli occhi.
“Noi abbiamo registrato i tuoi cicli per tutto il tempo che sei stata con noi. Siamo stati un po’ preoccupati per Joshua, il che ci ha lasciato poco tempo da dedicarti, ma ieri sera l’infermiera ha attirato la mia attenzione sul fatto che hai tre settimane di ritardo. E’ stata una pazzia, trasferirci qui alla montagna, ma siamo di nuovo in ballo ora. Sono contento di sapere che tutti i nostri sforzi non sono stati vani.”
Era questo quello che avevano voluto fin dal principio, pensò Liz. Un figlio alieno, un ibrido. Un bambino innocente sul quale poter fare esperimenti, e da crescere per fare solo Dio sapeva cosa. Liz si strinse le braccia intorno al petto, mentre un brivido le correva per la schiena.
“Basandomi sul periodo in questione, direi che sei di circa cinque o sei settimane. Devo dirti che dubitavamo di ottenere una gravidanza al di fuori di voi due. Nessuno dei tentativi di fecondazione in vitro è riuscito. L’ utero artificiale era pronto e in attesa, mentre noi non riuscivamo a realizzare una fecondazione.”
“Utero artificiale?” chiese Liz.
“Si, una conquista piuttosto recente.” disse orgogliosamente Johnson. “Il dottor Miller è il genio che l’ha ideato. Abbiamo creato un ambiente artificiale per proteggere il feto. Siamo stati capaci di ottenere tanta pelle, dal lembo che ti abbiamo prelevato, da completare quattro uteri. La tua pelle serve come membrana esterna, un legame biologico tra te e il feto, per prevenire il rigetto. Veramente affascinante.”
“E’ questo che state cercando di fare?” disse Liz inorridita. “Rimuovere il bambino e crescerlo artificialmente?”
“No, no, Liz.” disse Johnson rassicurandola “Non mi sognerei di danneggiare il feto facendo una cosa così folle. Ci sarà tempo per provare questa teoria più tardi.” Prese una piccola scatola da un carrello ed una bottiglia di una specie di lubrificante, che le versò sullo stomaco. Fece scorrere la punta della scatola sulla sua pancia ed ascoltò attraverso gli auricolari collegati. La mosse diverse volte prima che un sorriso gli comparisse sul volto.
“Vuoi sentire?” chiese Johnson eccitato.
Liz annuì e lui girò un deviatore sul vicino carrello. La stanza si riempì di un rumore sibilante e Liz spalancò gli occhi per la curiosità. Johnson fece una risata alla vista della sua espressione e mosse la scatola mentre il suono andava e veniva.
“Che cos’è?” chiese Liz meravigliata.
“E’ il battito del cuore del tuo bambino!” disse Johnson , esperto in materia.
“E’ così veloce. Cosa c’è che non va?” Il timore la prese improvvisamente.
“E’ tutto normale.” disse Johnson con un sorriso “questo è il modo in cui battono i cuori dei bambini. Fino ad ora tutto sembra perfettamente normale.” rimosse lo strumento e la stanza piombò nel silenzio. Pulì il lubrificante dalla sua pancia e si girò per andarsene.
“Riposati ora. Vogliamo che tu passi la gravidanza in buona salute.” Johnson uscì, mentre Liz lo seguì con lo sguardo. Poteva ancora sentire il battito del cuore del suo bambino riecheggiarle nelle orecchie e si poggiò le mani sulla pancia. Due cose che aveva detto il dottore l’avevano colpita. Primo, “E’ stata una pazzia, trasferirci qui alla montagna”. Quale montagna? Forse era un indizioni dove si trovavano? Se, in qualche modo, avesse potuto farlo sapere a Max. Forse Isabel sarebbe stata capace di raggiungerla ancora, come aveva fatto qualche settimana prima. La seconda cosa che aveva detto, le aveva dato i brividi. Quando aveva parlato dell’utero artificiale aveva detto “Ci sarà tempo per provare questa teoria più tardi.” Chiuse gli occhi e rabbrividì al pensiero. Non l’avrebbero mai lasciata andare via.

Capitolo 24

Valenti scortò Max nella piccola sala da interrogatorio e gli indicò dove sedersi. La stanza era disadorna, le pareti che una volta dovevano essere state dipinte di bianco, ora erano sporche e stavano lentamente diventando beige. La sedia su cui sedeva era di legno con la vernice verde scuro ormai scrostata sui braccioli e le gambe. Gli unici altri mobili della stanza erano un paio di sedie uguali alla sua ed un tavolo dipinto dello stesso colore delle sedie.
“Max, questo è Henry Lewis.” Valenti indicò l’uomo che era appena entrato nella stanza. “Ti sottoporrà all’esame della macchina della verità e in pochi giorni ci darà il risultato dell’esame. Appena arriverà tuo padre, cominceremo.
“Salve.” mormorò Max a Lewis e lo guardò mentre regolava la sua apparecchiatura. Era un uomo di mezza età, di altezza media, con i capelli neri che cominciavano a diradarsi. Max lo vide togliersi la giacca ed allentarsi la cravatta. Sistemò il poligrafo sul bordo del tavolo e chiese a Max di avvicinare la sedia e di girarla in modo di dare le spalle alla macchina. Fili uscivano dal dispositivo e i contatti vennero posizionati sul petto di Max, sotto le braccia, sulla gola, nella parte interna dei polsi ed alle sue tempie. Dovette combattere il panico, ricordando che contatti come quelli erano stati usati su di lui nel laboratorio. Quella volta erano stati usati per scuotere il suo corpo con scariche elettriche di diversa intensità, per misurare la reazione del suo corpo. C’erano voluti giorni perché le bruciature causate dalle scosse guarissero, dopo di che gli esperimenti cominciarono di nuovo. Chiuse gli occhi e costrinse il suo corpo a rilassarsi.
Valenti lo guardò e notò come fossero serrate le sue mascelle e come il suo viso fosse impallidito. Non era questa la reazione che si era aspettato. Aveva assistito a molti di questi test e di solito i soggetti erano molto nervosi. Ma c’era qualcosa di differente nell’aspetto di Max, come se si aspettasse che cominciassero a torturarlo da un momento all’altro. Che cosa poteva portare Max a reagire in quel modo?

“Max, ti senti bene, figliolo?” chiese Philip entrando nella stanza. Si portò velocemente al fianco di Max ed appoggiò la sua borsa sul tavolo.
“Sto bene, papà.” Sospirò Max, contento che suo padre fosse finalmente arrivato. Si rilassò visibilmente e nascose i ricordi del laboratorio in un angolo della sua mente. Sapeva che non sarebbe mai riuscito a dimenticare quello che gli era successo, ma sapeva anche che rivangarlo non era salutare per lui.
“Non sei obbligato a farlo, Max. E’ una tua libera scelta. Voglio solo essere sicuro che tu lo faccia solo se ti senti veramente di volerlo fare.” Philip era preoccupato dello stato mentale di Max. Ad ogni giorno che passava senza nessun indizio, nessuna speranza di trovare Liz, suo figlio si chiudeva sempre di più.
“Papà, sono deciso. Sono pronto a farlo.” Sottoporsi al test era la sola cosa che poteva fare per provare che quello che si diceva di lui era sbagliato. Voleva farlo. Aveva bisogno di farlo.
“Va bene, siamo pronti.” annunciò Lewis dall’altra parte del tavolo. Fece le ultime regolazioni sul quadrante del dispositivo e prese una penna dal taschino. “Max, ti farò una serie di domande e tu dovrai rispondere si o no. Non dare risposte dettagliate. Rispondi solo si o no.” Lewis vide Max annuire per indicare che aveva capito e soddisfatto, prese una sedia e si sedette. Consultò la lista delle domande che lui e Valenti avevano preparato, controllò l’orologio e fece un’annotazione sulla macchina.
“Il tuo nome è Max Evans?”
“Si.
“Vivi al 6025 di Murry Lane?”
“Si.”
L’ago del poligrafo manteneva la linea dritta mentre Max rispondeva alle domande che gli venivano poste. Poteva sentire il suono dell’ago che graffiava la carta.
”Ora voglio che risponda a questa domanda con una bugia. La tua camicia è rossa?”
“Si.” rispose Max guardando la camicia verde che indossava. Aveva le maniche corte ed alcuni dei bottoni erano slacciati per permettere il passaggio dei fili che erano fissati al suo petto. Poteva sentire il sudore formarsi sotto le ascelle. Facendo attenzione, poteva sentire il suono dell’ago che andava avanti e indietro sulla carta.
“Hai una sorella di nome Isabel?
“Si.”
“Tua madre si chiama Diane?”
“Si.”
Lewis fece una pausa prima di fare la domanda successiva. Non aveva mai proposto questa domanda prima e si era chiesto perché Valenti l’avesse scelta come una delle domande di base. Decidendo che aveva lo stesso valore delle altre domande mirate a costituire un esempio di una risposta corretta, decise che non c’era ragione per non farla.
“Sei umano?”
L’ago sobbalzò violentemente sulla carta.
“Cosa?” chiese Max cercando di sembrare confuso.
Era rimasto scioccato dalla domanda, impreparato, e la macchina l’aveva evidenziato. Si voltò all’improvviso verso suo padre e si mosse sulla sedia per sedersi più dritto di prima. “Qual’era la domanda?
Lewis si accigliò quando vide l’ago tornare a segnare una riga dritta. Questo è strano, pensò. Non aveva mai avuto una reazione simile a una domanda di base, prima d’ora. Controllò i fili del macchinario e i contatti sulla pelle di Max. Valenti guardava con attenzione crescente. Era possibile che il suo sospetto fosse giusto? La sparatoria al Crashdown. Il foro del proiettile sull’uniforme di Liz. Il cane che aveva visto morire e che miracolosamente era di nuovo vivo quando Max l’aveva tirato fuori da sotto a macchina. Suo padre poteva aver avuto ragione in tutti questi anni? Gli alieni vivevano veramente tra noi?
“Proviamo ancora. Sei umano?”
“Si.” Rispose Max, preparato. L’ago disegnò una riga dritta, mentre Max si concentrava tenacemente.
“Ora rispondi con una bugia. Hai un cane di nome Spot?”
“Si.” Ancora una volta udì il suono dell’ago muoversi da un lato all’altro del foglio. Lewis continuava a prendere appunti ai margini del foglio ad ogni domanda fatta.
“Sei nato il 15 marzo 1983?”
“Si.” Rispose Max e poi si tese al rumore che faceva l’ago graffiando la carta. Usò la volontà per rilassarsi. Sapeva che le domande sarebbero diventate sempre più difficili. Non era questo il momento di vacillare.
Valenti vide l’ago muoversi sulla carta e rimase perplesso. Poi realizzò e si chinò verso Lewis.
“Max è stato adottato. Perciò, in realtà, non conosce la sua vera data di nascita.” disse Valenti semplicemente.
Lewis annuì, poi fece un’annotazione sul foglio ed annotò il tempo.
“Vai a scuola al West Roswell High Scool?”
Max esitò, incerto sulla risposta da dare. Non era più tornato a scuola da quando lui e Liz erano stati catturati, e non era certo di volerci tornare. I suoi genitori avevano parlato di un insegnante privato per finire l’anno che aveva perduto e poi trasferirsi ad un’altra scuola in autunno.
“Si.”rispose alla fine Max e sentì l’ago tentennare leggermente, rivelando la sua indecisione. Si concentrò per far andare dritto l’ago.
“Conosci Liz Parker?”
“Si.” Rispose Max chiudendo gli occhi per un attimo. L’immagine di lei era comparsa nella sua mente, sorridendogli con i suoi occhi scuri.
“Hai un fratello di nome Michael?”
“No.” Rispose Max dopo una breve esitazione. Aveva sempre pensato a Michael come ad un fratello. Nel suo cuore erano fratelli. Poté sentire ancora una volta l’ago che sobbalzava sulla carta.
Valenti se ne accorse e si sorprese. Aveva sempre sospettato che ci fosse qualcosa di insolito nel rapporto tra Max e Michael. Fratelli? Max e Isabel erano stati adottati. Michael era sotto la tutela dello Stato e non si sapeva nulla dei suoi genitori. Era possibile che quei tre fossero parenti? Prese un blocchetto dalla tasca e vi scrisse poche note.

“Eri al Crashdown quando hanno sparato a Liz Parker?”
“Si. Voglio dire, no. Nessuno ha sparato a Liz. E’ solo caduta quando il colpo è partito.” Max si mosse a disagio sulla sedia.
“Lavori al Centro UFO?”
“Si.”
“hai fatto del male a Liz Parker?”
“No.”
“Hai portato Liz Parker al Mirror Lake il primo marzo?”
“Si.”
“Hai ucciso Liz Parker?”
“No.”
“C’era il sangue di Liz Parker sui tuoi vestiti?”
“Si.”
“Hai colpito Liz Parker?”
“No.”
“Liz Parker era viva l’ultima volta che l’hai vista?”
“Si.”
“L’ultimo giorno in cui hai visto Liz Parker è stato il primo marzo?”
“Si.”
Durante tutto lo sbarramento di domande, Max rimase concentrato per tenere l’ago su una linea dritta. Il sudore scendeva dalle sopracciglia, mentre la stanza si faceva più calda ad ogni minuto che passava. Suo padre era seduto al suo fianco, sostenendolo mentre rispondeva alle domande, annuendo di tanto in tanto o sorridendogli in maniera rassicurante.
Finalmente, le domande terminarono e Lewis spense la macchina. “Ci vorrà un po’ di tempo per fare un resoconto dei risultati e darvi la mia conclusione. Signor Evans, le farò sapere quando la risposta sarà pronta.” Detto questo, tolse i contatti dal petto di Max, dai polsi e dalle tempie.

Max si abbottonò la camicia e si diresse, imbarazzato, verso suo padre. Poteva andare adesso, si chiese? Valenti lo avrebbe ancora trattenuto? Sapeva che le risposte su Liz erano andate bene, perché era pronto a rispondere. Ma ce n’erano state alcune che non si aspettava. Adesso Valenti avrebbe avuto ancora più sospetti su di lui?
“Grazie, Max. Ho apprezzato che tu abbia accettato di sottoporti al test. Puoi andare, adesso e ti contatterò, tra qualche giorno, per darti i risultati.” Valenti guardò Max lasciare la stanza. Il viso del ragazzo era triste e Valenti si ritrovò ad interrogarsi sulle sue precedenti idee. Max aveva veramente fatto qualcosa a Liz? Max SAREBBE STATO CAPACE a fare del male a Liz Parker? Il suo istinto gli diceva di no. Era stato Sceriffo per abbastanza tempo da giudicare piuttosto esattamente il carattere di un uomo. E Max Evans non dava l’impressione di essere un assassino.

Valenti richiamò l’immagine del cucciolo in braccio a Max. Max aveva guarito quel cucciolo. Ora ne era certo. Aveva fatto la stessa cosa con Liz al Crashdown? Tutto lasciava credere che Liz fosse stata colpita. Il sangue sull’uniforme, il foro del proiettile. Max aveva guarito anche lei, lasciandole l’impronta argentata che Kyle aveva visto?
“Posso darle i miei risultati preliminari già da ora, Sceriffo.” cominciò a dire Lewis e Valenti si distolse dalle sue elucubrazioni. “Ci sono alcune risposte piuttosto strane ma, secondo la mia opinione professionale, Max Evans non ha fatto del male a Liz Parker. Non ho alcun dubbio che sappia molto di più di quello che abbia detto, ma non ha fatto del male alla ragazza. Sta nascondendo qualcosa, solo che non so cosa.”
‘Io penso di saperlo, si disse Valenti. Penso di sapere esattamente cosa sta nascondendo.’

Continua...

Scritta da Debbi aka Breathless
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice dall'originale in inglese
a cura di Sirio, con la collaborazione di Coccy85


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