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SPECIALE

CUORI PRIGIONIERI (Captive Hearts)

Capitoli 109-114


Riassunto: Questa storia, in 118 capitoli, comincia subito dopo gli eventi dell'episodio "Amore alieno" (1.16), e nulla di quello che è accaduto dopo l’episodio è rilevante ai fini della storia. Max non è un re. Tess non esiste, non ci sono Skins o duplicati o Granilith.
Torniamo indietro al tempo in cui Max non ha occhi che per Liz e il suo più grande desiderio, la sua più grande paura è che lei in qualche modo possa ricambiarlo.

Valutazione contenuto: non adatto ai bambini.

Disclaimer: Ogni riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.


Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24
Capitoli 25-30
Capitoli 31-36
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Capitoli 43-48
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Capitoli 97-102
Capitoli 103-108

Capitolo 109

Mary guardò il ragazzo, che stava immobile a pochi passi da lei, e non ci furono più dubbi nella sua mente sul fatto che era l’uomo dei suoi sogni. Dietro di lui c’era la ragazza, una versione cresciuta di Ellie, che teneva tra le braccia un fagottino. Papà Max. Mamma Tesoro. E un fratellino di nome Matthew.
Erano così giovani, probabilmente appena ventenni, ma il loro sguardi erano così vecchi, come se la fatica della gioventù li avesse fatti invecchiare prima del tempo o forzati a maturare oltre i loro anni. Si tenevano per la mano, come per trarre forza l’uno dall’altra. poi Max disse il suo nome.
“Mary. Lei si chiama Mary.”
Come faceva a saperlo? Si ricordava ancora il suo nome da quando quella bambina si era smarrita nel parco? Alzò la mano per poggiarsela sul petto, sapendo in qualche modo che c’era qualcosa di più. Erano entrambi immobili, poi Mary deglutì e disse “Tu sei Max.”
“Si.” La parola gli uscì di scatto dalla bocca.
Mary spostò lo sguardo sulla donna che aveva vicino.”Tu sei Tesoro.”
“Liz.” Max riuscì a malapena a girare la testa per indicarla. “Il suo nome è Liz.”
“Lei mi ha detto che tu la chiami Tesoro.” Le mani di Mary erano strette sul davanti del suo vestito.
“E’ vero.” Max tornò a guardare Mary.
“Il nome di vostro figlio,” Mary lanciò uno sguardo al fagottino. “è Matthew.” Vide Max muoversi protettivamente davanti al bambino e se lei avesse mai avuto qualche dubbio, ora non l’aveva più. Santa Madre di Dio, di quale orrore aveva fatto parte per tutto quel tempo?
Max fece un passo avanti e con una voce piena di dolore disse “Lei sa dov’è mia figlia? Può portarmi da Ellie?”
Mary non aveva mai visto occhi così pieni di sofferenza, e così colmi di speranza nello stesso tempo. Annuì lentamente e disse semplicemente “Si.”
Dietro a Max, Liz scoppiò in lacrime e lui la strinse tra le braccia, parlandole dolcemente e cercando di calmarla. Le prese Matthew dalle braccia che tremavano e lo tenne stretto, mantenendo una stretta protettiva anche su di lei. I suoi occhi non si staccarono da Mary, timoroso che se avesse spostato lo sguardo, lei sarebbe sparita.
“Dove?” la sua voce tremava. “Mi dica dov’è Ellie.”
“Te lo mostrerò.”

***

“Tom? Tom, c’è una telefonata per te.” chiamò Amanda, infilando la testa nella porta della camera. La vista che le si presentò le fece scuotere la testa e scoppiare in una risata. Tomas ‘Tully’ Tollefson era nella stanza con Tom jr., di 8 anni, sopra le spalle e Shane, di 5 anni, attaccato alle sue gambe e fingeva di essere un elicottero. I ragazzi lo adoravano, anche se spesso lui rientrava quando loro erano già a letto.
“Chi è?” chiese Tully guardando l’orologio. I ragazzi cominciarono a brontolare, immaginando che il loro divertimento stava per finire.
“E’ il tuo capo.” Amanda gli tese il cordless e Tully si alzò, assumendo l’atteggiamento del lavoro. I ragazzi scesero dal loro padre e Amanda li portò in camera loro.
Senza perdersi in preamboli, Carl andò dritto al sodo. “Tully, ho bisogno di te.” disse mentre si districava nel traffico. “Ho una traccia di Ellie. Incontriamoci ai Park Ridge Apartments in E. Beardsley Road.”
“Ellie?” disse Tully sorpreso. Erano riusciti finalmente a trovare qualcosa? “Max è con te?”
“Non riesco a trovarlo. A casa non mi risponde e nemmeno al cellulare. Ho provato a chiamarlo anche in ufficio, poco fa, ma non c’è.”
“Sono già per strada.” disse Tully al telefono. “Hai un numero di appartamento?”
“No. Ancora non sono stato in grado di accertarlo. Ma Ellie è sicuramente in un appartamento di quel palazzo. Sta a noi scoprire quale.”
“Arrivo.” Tully riattaccò il telefono e si diresse verso la porta.”

***

Chris era rimasto senza fiato, si liberò e cadde pesantemente sul letto accanto a lei, passandole una mano tra i capelli spettinati. Il cuore gli batteva forte nel petto e le sue parti basse erano ancora pervase da una persistente sensazione. Accidenti. Quella Tracy era … un … gran… bel… pezzo… di donna. Voleva fare di nuovo sesso con lei. Si. Appena fosse stato in grado di respirare di nuovo. Lei l’aveva spossato e questa era una cosa che non succedeva spesso. Correzione. Che non era mai successa. Ora lei, probabilmente, avrebbe voluto qualche tenerezza. Che sciocchezza! Le tenerezze erano così … intime. E lui non voleva nessuna intimità. Voleva solo fare del buon sesso. Tutto qui.
Tracy rotolò via da lui e con grande sorpresa di Chris, si sedette sul bordo del letto e si stirò. Osservò il suo corpo mentre si muoveva, i muscoli del suo addome piatto, il seno sodo e pieno, i duri e rosei capezzoli, di cui si sarebbe volentieri preso cura di nuovo. Le sue gambe erano leggermente aperte e lui si sentì eccitare ancora una volta. Bastava la sua vista a farlo svegliare. Di solito dopo aver fatto sesso, lui era pronto a riprendersi i vestiti e a tornarsene a casa.
Tracy finì di stirarsi e si alzò dal etto, nuda come il giorno in cui era nata. “Io sono affamata. Vuoi qualcosa anche tu?” gli disse.
Chris la guardò, con in mente un solo pensiero. Non voleva coccole?
Un telefono squillò e Chris guardò la pila dei suoi vestiti, riconoscendo dal suono che la chiamata era sua. Saltò fuori dal letto e pescò tra le sue cose fino a che lo trovò. Rimase in piedi, mentre con una mano teneva premuto il telefono contro l’orecchio e con l’altra si massaggiava i muscoli del petto.
“Pronto?” rispose, senza perdere d’occhio lo splendido corpo di Tracy.
“Chris?” Carl aspettava impaziente che un semaforo diventasse verde. “Smetti qualsiasi cosa tu stia facendo e vieni ai Park Ridge Apartments on E. Beardsley Road.”
“Che succede?” Chris appoggiò il telefono sulla spalla e prese i suoi shorts, infilandoci le gambe muscolose.
“La figlia di Max è in uno di quegli appartamenti.” Carl diede gas al motore, appena cambiò la luce.
“Max è con te?” Chris si infilò nei jeans e si sedette sul bordo del letto per mettere calzini e scarpe.
“No. Non riesco a contattarlo. Sbrigati e vieni qui.”
“Arrivo.” disse al telefono e spinse il bottone di disconnessione. Finì di allacciarsi le scarpe e raccolse la camicia dal pavimento.
“Devi andare via?” gli chiese Tracy dalla soglia della stanza. All’improvviso si sentì esposta, stando lì nuda mentre lui era completamente vestito.
“Mi dispiace.” Chris si infilò la camicia.
“Hai detto il nome Max.” Tracy cominciò a raccogliere i suoi vestiti. “Io conosco una Max che lavora per il Dipartimento di Polizia. Max Evans. Lo conosci?”
“Max?” Chris la guardò sorpreso. “Era il Max di cui stavo parlando. Lavoriamo insieme nella stessa Unità” Guardò Tracy ed un pensiero gli passò per la mente. Che forse doveva conoscere una ragazza, prima di portarla a letto. “Sembra che stasera, riavrà indietro il suo cucciolo.”
“Il suo cucciolo?” Tracy era scioccata. “Suo figlio è stato rapito? Quando? Non ho letto niente del genere.”
“No, non quello che è appena nato.” Chris si aggiustò la camicia. “Sua figlia.”
“Sua figlia?” Max aveva una figlia? No. Max aveva un maschio. Lei aveva visto le foto. Gliele aveva mostrate lui.
“Si. Non lo sai? Un pazzo di dottore l’ha rapita la notte in cui è nata. Max la sta cercando da quasi tre anni.”
“E Liz lo sa?” Liz non le aveva mai detto che Max aveva una figlia.
“Certo che lo sa. Lei è la madre.” Lesse sul suo viso la sorpresa e si criticò per aver parlato troppo e non era da lui. Di solito non parlava con le ragazze con cui faceva del sesso, specialmente dei casi su cui stava lavorando. Si diresse verso la porta e disse “Bene, devo andare. Ti chiamerò una volta o l’altra.” La cosa strana era che lo pensava veramente.
“Certo. Sarebbe bello.” replicò Tracy. Chi stava prendendo in giro? Lo sapeva che non avrebbe richiamato.
Lo seguì fino all’ingresso dell’appartamento, quando lui si girò e le disse “Hey, mi hai detto che lavori a Beardsley Road, giusto? Sai dove sono i Park Ridge Apartments?”
“Certo. Lavoro proprio lì. Perché?”
“E’ dove devo andare. Il mio capo pensa che la figlia di Max sia lì.”
“E’ l’edificio alla sinistra del bar, dove ti ho incontrato oggi.” gli disse Tracy, poi aggrottò le sopracciglia.
“Grazie.” Chris si voltò verso di lei e la baciò prima di lasciarla.
“Chris …” Tracy era presa da un pensiero. Lui si girò a guardarla e lei gli disse “Oggi, al lavoro, la governante mi ha chiesto di guardare la figlia del Dottore, perché sua sorella stava male. Io non sapevo nemmeno che il Dottore avesse una figlia, lui non me lo aveva mai detto, ma … ora che ci penso, lei somigliava in un nodo incredibile … a Liz.”
Chris la guardò, poi le disse “Finisci di vestirti. Sarà meglio che tu venga con me.”

***

“Stai bene?” chiese Max dolcemente, tenendo un occhio sulla strada ed uno su Liz. La sua mano stringeva quelle di lei e poteva sentire la sua tensione.
Lei lo guardò e quando i loro occhi si incontrarono, lei strine la mano di Liz e disse “Lo sarò.”
Max sapeva cosa intendeva dire. Nessuno dei due sarebbe stato veramente bene finché non avesse tenuto Ellie tra le braccia. Gli occhi di lui si posarono sullo specchietto retrovisore e vide Mary, seduta sul sedile di dietro, piegata in avanti con le mani sul viso. Ora capiva che tutte le sue paure su di lei erano state infondate. Mary non era a conoscenza di quello che Johnson stava facendo. Lei non era una complice. Lei era solo la donna che aveva cresciuto ed amato sua figlia, come se fosse la sua.
“Può dirci qualcosa di lei?” Max tentò di allontanare il groppo che aveva in gola.
Mary si tolse le mani dalla faccia e i loro occhi si incontrarono sullo specchietto. Lei sapeva che non avevano modo di recuperare il tempo perduto o i momenti speciali che avevano mancato, ma forse lei poteva aiutarli a vedere la bambina che lei conosceva.
“E’ una bambina tranquilla, ma facile alla risata.” cominciò Mary. “A colazione le piacciono le frittelle e il suo cibo favorito è un panino col formaggio grigliato. Negli ultimi mesi ha cominciato ad amare il Tabasco e ora lo mette dappertutto.” Vide uno scambio di sguardi tra la coppia sul sedile anteriore e vide le lacrime scendere dagli occhi di entrambi. “Riesce a parlare in continuazione, ma non provate a correggerla. Ha un filone di testardaggine lungo un miglio.”
Ora stavano sorridendo attraverso le lacrime e Mary realizzo che, forse, in qualche modo, la conoscessero già.
“Disegna tutto il tempo ed è molto brava a farlo. Le piace disegnare cavalli che volano in aria, e una famiglia che lei disegna sui fogli e che fa vedere solo a me. Chiama il papà Max, la mamma Tesoro, la bambina Ellie ed il neonato Matthew. Io ho sempre pensato …” La sua voce si affievolì e lei si coprì ancora il viso. “Non lo sapevo. Non lo sapevo.”
“Per favore.” Liz si voltò e toccò gentilmente il braccio di Mary. “Per favore, ci racconti altre cose.” Mary guardò i suoi occhi comprensivi, così grandi e scuri, proprio come quelli di sua figlia. Proprio come quelli di Ellie.
Asciugandosi le lacrime, Mary fece un profondo respiro prima di continuare. “Le piace aiutarmi in cucina, e i biscotti sono i suoi favoriti. Le piace mangiare l’impasto dei biscotti, ma di solito finisce per sporcarsi tutta la faccia, Ama giocare mentre fa il bagno e le piacciono le storie della buona notte. Il suo libro favorito è ‘Il Coniglio di Velluto’. Me lo fa leggere tutte le sere. Credo che ormai lo sappia a memoria, dopo averlo sentito così tante volte. Lei … lei …”
“Lei cosa, Mary?” la incoraggiò Max.
“Lei mi ha detto che un giorno il suo papà l’avrebbe trovata, e l’avrebbe fatta diventare reale. Io … ho sempre pensato che fosse solo una fantasia. Perché il coniglio del libro voleva diventare reale e ho immaginato che lei stesse solo mischiando realtà e fantasia, perché è molto piccola, ma … ora …”
Max si passò una mano sugli occhi, perché non riusciva più a guidare. Ellie aveva sempre avuto fiducia in lui. Pregò che quella notte, lui avrebbe potuto dimostrarsi degno di quella fede. Liz posò la mano sul suo braccio e lui la coprì con la sua, entrambi attingendo forza dall’altro. I loro occhi si incontrarono, dividendo una silenziosa comunicazione, poi lei si girò ancora verso Mary.
“Vada avanti.” la incitò Liz.
“Ha una bambola con la quale dorme tutte le notti e le piace tenerla sotto il braccio. Non fa storie per dormire la sera, perché dice che le piace sognare.” Mary vide passare tra loro un altro sguardo e, sebbene non lo comprendesse, immaginava di sapere perché. I sogni non erano realmente … sogni. Erano qualcosa di più, ma lei non sapeva cosa.
“E’ una bambina adorabile, così piena di vita …” Mary fece una pausa e scosse la testa. “ma non con lui. Con lui non lo è mai e, fino ad ora, non ne capivo il perché.” Mary singhiozzò e si coprì la bocca con la mano. Tutto aveva senso ora.
Max rallentò la velocità e si fermò, guardando l’edificio dall’altra parte della strada. Si asciugò il viso con la manica, costringendosi a bloccare le emozioni che ascoltare Mary gli aveva riportato in superficie, poi si schiarì la voce prima di voltarsi a guardare Liz.
“Tu aspetta qui con Mary e Matthew …”
“Tu non andrai lì dentro da solo.” Liz afferrò il suo braccio, spaventata.. “Dimmi che non hai intenzione di entrare lì dentro da solo!”
“Lui non è mai stato … violento.” disse Mary incerta, pensando all’uomo con cui aveva vissuto negli anni passati.
“Si che lo è.” Max si voltò a guardarla, col veleno nella voce. Vide i suoi occhi spostarsi sulla moglie e Mary capì che c’erano cose che il Dottore aveva fatto e che era meglio che lei ignorasse.
“Max, ti prego …” lo supplicò Liz.
La sua voce perse il tono duro, ma nei suoi occhi rimase la determinazione. “Trova un telefono. Cerca di rintracciare Carl. Forse Rachel sa dov’è. Digli dove sono e digli di venire subito. Io vado avanti a controllare le cose, poi l’aspetterò lì.”
“Max …” Liz lo guardò con gli occhi pieni di lacrime. Sapeva che lui non avrebbe aspettato.
Le mani di Max si posarono sulle sue guance e lui l’attirò a se, baciandola dolcemente, poi staccandosi da lei e poggiandole la fronte sulla sua. Le mani di Liz coprirono le sue e, quando lui cominciò a parlare, lei aprì gli occhi.
“La prossima volta che ti vedrò,” giurò Max “non sarò solo.”
Le diede ancora un bacio, poi lo sentì staccarsi da lei. La portiera della macchina si aprì, lui corse attraverso la strada e salì i gradini di ingresso del Park Ridge Apartments. Si guardò indietro un ultima volta, poi sparì all’interno.
“Aspetta!” gridò Mary. “E’ tutto protetto da un sistema di sicurezza. Le serrature, le porte e anche l’ascensore. Non riuscirà ad entrare.”
“Ci riuscirà.” disse Liz dolcemente. Nessuna serratura avrebbe potuto tenere fuori Max.

Capitolo 110

Max era di fronte all’unico ascensore al piano terra del Park Ridge Apartments, col cuore impazzito nel petto.
Ellie era li sotto, solo due piani sotto di lui, così vicina che poteva quasi sentirla. Col senno di poi, pensò che avrebbe dovuto sentirla, ma allora non aveva realizzato cosa stesse sentendo. L’insolito desiderio di ritornare nella zona, nel parco dall’altra parte della strada, avrebbe dovuto essere un indizio, ma lui aveva passato la maggior parte della vita a nascondere la sua ‘alienità’, che non aveva dato ascolto a quello che i suoi sensi alieni gli stavano dicendo.
Ora tutto questo non importava più, pensò. Tutto quello che contava era che lui era lì, e Ellie era li sotto, e lo stava aspettando. Johnson avrebbe potuto essere una complicazione, ma non lo sarebbe stato a lungo. Avrebbe dovuto fare attenzione, muoversi con cautela, fino a che Ellie fosse stata fuori di lì, poi sarebbe tornato indietro e si sarebbe assicurato che Johnson non potesse più far del male a nessuno. Max non era una persona violenta, ma nel caso di Johnson avrebbe fatto un’eccezione.
Premette il pulsante dell’ascensore ed attese impaziente che arrivasse. Grazie alla descrizione di Mary, sapeva cosa aspettarsi, quando avrebbe raggiunto i piani inferiori. La prima porta accanto all’ascensore, sarebbe stata il laboratorio, ma la descrizione che lei gli aveva fatto era stata approssimativa, per non dire minima. Lei non era mai andata oltre l’anticamera e non aveva idea di come fosse il laboratorio.
Dopo il laboratorio c’era l’appartamento dove Ellie aveva imparato a gattonare, a camminare e a dire le sue prime parole. Mary gli aveva descritto la disposizione delle camere e lui aveva memorizzato la camera dove, in questo momento, Ellie stava dormendo. Sarebbe dovuto entrare nell’appartamento con molta cautela, visto che Johnson era tornato dal suo viaggio, ma lui non si preoccupava di questo. Non c’era niente che quell’uomo potesse fare per fermare Max ora. Niente.
Solo la morte avrebbe potuto fermare Max dal riprendersi quello che era suo e lui non sarebbe stato l’unico a morire in quel caso.
L’ascensore arrivò e Max entrò all’interno, spingendo il pulsante del secondo piano interrato. Le porte si chiusero e Max si sentì fremere d’ansia mentre aspettava, ma l’ascensore non si mosse.
Spinse ancora ripetutamente il bottone, ma non avvertì alcun movimento. I suoi occhi girarono per il claustrofobico spazio, chiedendosi come mai l’ascensore stesse perfettamente immobile, poi vide il pannello e lo slot per l’inserimento della carta, che non aveva notato prima. In molti dei posti più costosi, questo sistema di sicurezza impediva agli ascensori di scendere ai piani inferiori senza averne l’autorizzazione. Comunque non era una cosa importante. Non avrebbe costituito un problema per Max.
Premette la mano contro il pannello e la mano brillò di una luce dorata che aumentò di intensità e sbiadì non appena l’ascensore cominciò a scendere. Togliendo la mano, aveva solo un pensiero in mente.
‘Sto arrivando, Ellie. Sto arrivando per te.’

***

Johnson era seduto alla sua scrivania e controllava le carte di cui lui e Jenny avrebbero avuto bisogno nella sua nuova vita. Anche se non aveva completamente preso accordi con Hunter per partire per san Francisco così presto, non era importante. Trovare lavoro non sarebbe stato un problema. Lui e Jenny potevano cominciare la loro vita ovunque.
Con la coda dell’occhio vide una piccola luce lampeggiare sulla scrivania e si girò per aprire la porta della stanza.
“Questa dovrebbe essere Mary.” mormorò quasi impercettibilmente e premette il bottone del monitor a circuito chiuso per accenderlo.
Sorrise a se stesso, pensando che il livello di sicurezza adottato era un po’ eccessivo, anche per lui. C’erano telecamere nell’ascensore, nell’atrio del primo livello, in quello del secondo e nel laboratorio.
In tutto quel tempo, nessuno aveva cercato di entrare. Il loro isolamento era stato completo, ma era contento di aver giocato sul sicuro. Ora che Mary era a casa, pensò con sollievo, poteva procedere con la fase successiva del suo piano.
Le sarebbe mancata, ma la morte di Mary avrebbe assicurato a lui e a Jenny una fuga facile e …
“Oh, maledizione.” Johnson restò senza fiato all’immagine che comparve chiaramente sullo schermo. “No. NO. NO. Questo non può succedere.!” Si alzò di scatto dalla sedia, che cadde sul pavimento. “No! Non può essere qui. Non può essere!”

***

Carl frenò e scese al volo dalla macchina, notando che gli altri non erano ancora lì. Tully sarebbe arrivato presto e Chris sarebbe arrivato non appena si fosse districato dalla conquista del giorno. Sfortunatamente non era ancora riuscito a trovare Max. Non era sicuro di dove fosse, ma Carl aveva un brutto presentimento.
Non era da Max rendersi irraggiungibile. Lui era sempre stato in grado di contattarlo, o al numero di casa, o al cellulare, ma non quella sera, proprio quella sera che era così importante.
Si spostò dietro la macchina, poi sentì una mano afferrare il suo braccio e farlo girare. La sua reazione istintiva fu di prendere la pistola, ma la sua mente elaborò quello che i suoi occhi stavano vedendo. “Liz! Che ci fai qui?”
“Ellie è in quell’edificio.” Liz spostò lo sguardo dalla pistola nella fondina alla feroce espressione della sua faccia e si tirò indietro, difendendo protettiva Matthew.
“Lo so. Sono risalito a Mary attraverso la compagnia dei taxi. Ha una sorella che …”
Fu allora che notò l’anziana donna che le stava accanto. Lui non era un sensitivo, né un chiaroveggente, ma in qualche modo sapeva chi era quella donna. Non aveva dubbi. Mary.
“Max è dentro.” La voce spaventata di Liz faceva coppia con lo sguardo nei suoi occhi e Carl si sentì gelare il sangue.
“E’ entrato da solo?” la sua voce era dura e piena di apprensione. “E la copertura? Sa fare di meglio che entrare in un posto come quello senza le spalle coperte!”
“Quando si tratta di Ellie, agisce senza riflettere. Lui …”
“Agire così significa farsi uccidere!” scoppiò Carl e subito se ne pentì. Vide la sua faccia pietrificarsi e la prese tra le braccia. “Andrà tutto bene. Johnson non c’è e …”
“Lui è qui.” Liz si staccò da lui, trattenendo un singhiozzo. “E’ tornato oggi, nel tardo pomeriggio. Lui è in casa …” I suoi occhi si posarono sulla facciata dell’edificio, ricordando le cose orribili di cui Johnson era capace … e Max era lì, ad affrontarlo da solo.
“Non ti preoccupare.” Carl la condusse alla macchina e l’aiutò a sedersi nel sedile anteriore. “Non permetterò che gli succeda qualcosa di male.” La vide fissare lo sguardo sulle sue spalle, determinata a non cedere alle sue emozioni, e Carl ammirò il suo spirito e la sua forza.
Matthew si mosse e l’attenzione di Liz si spostò su di lui, cullandolo dolcemente e cercando di non lasciare che le sue emozioni lo sconvolgessero. Sentendo una presenza dietro di lui, Carl si girò verso l’anziana donna che accompagnava Liz. “Lei è Mary. Mary Connor.”
“Si.” rispose lei timidamente. Lo riconosceva dai sogni, i suoi lineamenti particolari e il suo naso rotto, anche se sapeva che non lo aveva mai visto prima.
“Mi dica dov’è Ellie. Mi dica il numero dell’appartamento. Mi dica tutto.”

***

Tully fermò la macchina e tirò fuori la sua forma alta e dinoccolata dal ristretto interno dell’auto. Avrebbe veramente voluto comprare una macchina più grande, ma il dentista aveva detto che Missy aveva bisogno di un nuovo apparecchio e la lavatrice era di nuovo guasta e lui avrebbe voluto prendere un sistema di irrigazione, così non avrebbe più dovuto uscire fuori e spostare quello stupido tubo per tutto il giardino, così avrebbe dovuto convivere con l’auto. La portiera protestò quando lui la chiuse, e lui si affrettò a raggiungere Carl sul marciapiede.
Prima ancora che riuscisse a salutare, l’aria si riempì di un suono rombante, che cresceva con l’avvicinarsi di una SUV nera. L’auto decelerò per fermarsi dietro alla macchina di Tully e il rumore cessò improvvisamente quando il motore si spense e Chris uscì dal veicolo col suo solito atteggiamento insolente.
Entrambi, Carl e Tully, lo guardarono sorpresi mentre aiutava una donna a scendere dal sedile del passeggero, poi gli occhi di Tully si spalancarono per lo stupore nel riconoscere la ragazza. Da quando Chris portava le sue ragazze al lavoro con lui?
Chris si unì al piccolo gruppo sul marciapiede, poi notò Liz che era seduta sul sedile anteriore della macchina di Carl. Una donna anziana era sul sedile posteriore e lui si guardò intorno chiedendosi dove fosse Max. se Liz era lì, ci doveva essere anche lui.
“Dov’è Max …” cominciò a dire, mentre Liz usciva dall’auto.
“Tracy?” disse sorpresa. “Che ci fai …”
“E’ una storia lunga.” la interruppe Chris. “ma Tracy ha il codice di accesso per entrare in quel posto. Mi ha detto che lì dentro è una specie di labirinto, o almeno lo è il laboratorio. Non conosce l’appartamento.” Mentre parlava, guardava la donna anziana nel sedile posteriore dell’auto di Carl. “Chi è questa nonna?”
“Questa è Mary.” Carl disse il suo nome e le sopracciglia di Chris si inarcarono.
“E’ una storia lunga.” Carl rispose allo sguardo interrogativo di Chris. “Ad ogni modo, Mary mi ha descritto l’appartamento. Max è già andato lì, e allora diamoci da fare.”

***

Max premette la mano contro il pannello di sicurezza della seconda porta, sapendo dalla descrizione di Mary, che era quella dell’appartamento e che Ellie era dall’altra parte. Sentì uno scatto ed un sibilo quando la porta si aprì e Max si rese insensibile mentre entrò.
La stanza era scura e lui poggiò le spalle contro la porta per permettere ai suoi occhi di adattarsi all’oscurità e di capire dove fosse.
Non si illudeva che Johnson avrebbe lasciato andare Ellie senza combattere. Quell’uomo era capace di tutto. Era certo che Johnson fosse armato e, sebbene Max sapesse di essere in grado di proteggere se stesso, non poteva rischiare che succedesse qualcosa ad Ellie. Non ora, non dopo tutto quel tempo, non quando era così vicino.
Si allontanò dalla porta e lentamente, con cautela, traversò il soggiorno, usando le mani per guidare i suoi passi. Le sue dita toccarono la spalliera di una sedia e una immagine gli balenò in mente. Mary che cantava sottovoce mentre dava il biberon ad Ellie. Rimase senza fiato all’emozione che accompagnò la visione, percependo l’amore di Mary per la bambina e l’amore di Ellie per lei.
L’immagine svanì velocemente e gli ci volle un minuto per regolarizzare il suo respiro. Ripreso il controllo, ricominciò a camminare per l’appartamento. Un corridoio si apriva alla sua sinistra e, grazie a Mary, sapeva che portava alle stanze da letto.
La prima sulla destra era quella di Ellie, con quella di Mary proprio lì accanto. Lo studio di Johnson era a sinistra e subito dopo c’era la sua stanza da letto. Se fosse stato abbastanza silenzioso, forse avrebbe potuto portare via Ellie senza che Johnson se ne accorgesse e poi sarebbe potuto tornare per lui. Tornare e porre fine a questo incubo, senza incertezze.
Max entrò nel corridoio e le assi del pavimento cigolarono sotto i suoi passi. Trattenne il respiro e si immobilizzò, ma l’appartamento restò silenzioso. Aspettò un minuto e, quando il silenzio continuò, tentò un altro passo. Ricominciò a respirare quando il pavimento cooperò con lui e si avvicinò alla porta della camera di sua figlia.
Tese la mano verso la maniglia e chiuse gli occhi in una preghiera silenziosa, sperando che la porta non cigolasse, che Ellie non si mettesse paura, che non gridasse per la sorpresa. Le sue dita si strinsero sulla maniglia, poi la girò lentamente con la mano ed aprì la porta un agonizzante centimetro dopo l’altro.
Questa volta il Signore era dalla sua parte e lui scivolò nella stanza senza essere stato scoperto. L’aria era calma, immobile ed una lieve luce notturna sulla parete disperdeva leggermente l’oscurità. Più che vederlo, sentì il letto a pochi passi da lui e si mosse in avanti, camminando contro il suo lato. Unì insieme le mani producendo una luce che partiva dai suoi palmi, e guardò verso il letto con le pulsazioni che correvano per l’aspettativa di vedere sua figlia per la prima volta dopo notte in cui era nata.
Il suo cuore si strinse e l’aria abbandonò i suoi polmoni e un’espressione di orrore assoluto gli percorse il viso. Il letto era vuoto. Le coperte erano state tirate da una parte, in disordine, e solo una bambola dai capelli scuri lo guardava con occhi vuoti. La luce divampò tra le sue mani e il suo sguardo furioso percorse la stanza, ma lei non c’era. Oh, Dio. Lei non era lì.
“Ellie?” sussurrò, pensando che doveva essere lì. Doveva. Lei doveva esserci, Questo non doveva succedere. Non un’altra volta. Ti prego, Dio. Non un’altra volta.
“Ellie.” chiamò di nuovo, combattendo l’ondata di panico che stava crescendo dentro di lui. Si alzò in piedi e attraversò la stanza, aprendo la porta del bagno, ma lei non era nemmeno lì. Non era da nessuna parte.
Era fermo al centro della camera vuota, con le mani strette a pugno lungo i fianchi e l’angoscia di quegli anni sul viso tormentato.
“ELLIE!” Max gridò il suo nome. “ELLIEEEEEE!”

***

Carl infilò la mano nella giacca ed estrasse la pistola mentre Chris infilava la carta di accesso nella fessura della parete dell’ascensore. Con un ronzio ed un leggero sobbalzo, l’ascensore cominciò a scendere e Chris giocherellò con l’oggetto che teneva in mano, dalla forma e dalla consistenza di una carta di credito. “Se tu hai la carta d’accesso di Mary e io ho quella di Tracy, come ha fatto Max a scendere? Mary ne aveva due?”
“Credo di sì.” rispose Carl e si guardò intorno, dopo aver controllato che la sua pistola fosse carica. Lui conosceva la verità, cioè che Max non aveva bisogno di nessuna carta, ma che poteva fare da solo. L’ascensore si fermò, le porte si aprirono e i tre uomini silenziosamente entrarono nell’atrio.
Le pareti bianche erano illuminate e intravidero una porta davanti a loro, sulla destra, ed un’altra subito appresso. Tutte e due le porte avevano dei pannelli di sicurezza che ne impedivano l’accesso da parte di estranei. Grazie al cielo loro ne avevano i codici. Andarono avanti, con le pistole puntate in modo innocuo sul pavimento o sul soffitto ma pronte a sparare appena se ne presentasse la necessità. Carl non aveva mai ucciso nessuno, nello svolgimento del suo dovere, ma questa sera era deciso a farlo, se fosse stato necessario.
Avanzando nel corridoio, Carl accennò alla prima porta usando la punta della sua pistola. “Chris, Tully, controllate il laboratorio. Io controllerò l’appartamento.”
Entrambi gli uomini annuirono e seguirono le istruzioni. Entrambi sapevano che probabilmente l’azione si sarebbe svolta nell’appartamento, ma erano una unità da molto tempo e non mettevano in discussione gli ordini. Chris inserì la carta di accesso e digitò il codice, dopo di che lui e Tully entrarono nel laboratorio. Carl si diresse alla fine del corridoio e all’unica altra porta. Inserì la carta nel pannello di sicurezza e pregò che Max non si fosse già fatto ammazzare.

***

Max finì di controllare la stanza di Johnson ed entrò nello studio, senza nemmeno evitare di fare rumore. Loro non c’erano. Ellie non c’era. Ancora una volta era arrivato troppo tardi. La consapevolezza lo stava schiacciando, ma lui andò avanti, sperando e pregando che Johnson, nella fretta della fuga, avesse lasciato qualche traccia dietro di sé.
L’evidenza della fretta di Johnson, era intorno a lui. Cassetti lasciati aperti, con il contenuto sparso attorno. la coperta del letto di Ellie tirata via. Johnson andava di corsa quando si era allontanato da lì e non era solo. Ancora una volta, il mostro era scappato via nella notte, portando con lui la figlia di Max.
Il cassetto centrale della scrivania era semiaperto e Max lo aprì completamente, per vedere qualcosa che per lui non era una sorpresa. Era pieno di documenti falsi, patenti del New Mexico, dell’Arizona, della California, del Texas, di New York e perfino del Maine. Nomi, qualcuno dei quali riconosceva, qualcuno no. Johnson e Robertson e James e Moore e anche Sinclair. Lo colpì la realizzazione che Johnson non aveva più intenzione di usare quei nomi e che la traccia stava diventando sempre più fredda. Infilò la mano nel cassetto e ne estrasse una manciata di inganni e bugie, gettandoli contro la parete.
La faccia di Johnson si burlava di lui, guardandolo dai falsi documenti, con un sorriso che mascherava la sua vera natura. Con un singhiozzo strozzato che gli uscì dalla gola, Max si chiese “Come farò a dirlo a Liz?”

***

Carl traversò il soggiorno in silenzio, con la pistola puntata davanti a lui. Poteva sentire movimenti arrivare dal fondo dell’appartamento e ne seguì il rumore. Da una porta aperta lungo il corridoio, usciva una luce. Quando i suoi piedi fecero scricchiolare le assi del pavimento, si fermò e si acquattò, sapendo che il suo vantaggio se ne era andato e, con la pistola sempre puntata in avanti, si diresse in corridoio.
Max sentì il rumore e lo riconobbe immediatamente. C’era qualcuno in corridoio. Johnson? Forse si era dimenticato qualcosa ed era tornato indietro a prenderla? Una figura comparve all’improvviso nel corridoio e la mano di Max scattò in avanti, proiettando uno scudo che si avvolse attorno all’uomo e lo spinse indietro nel corridoio, facendolo volare contro la parete. La figura era immobilizzata dallo schermo di energia, schiacciata contro la parete e Max le si avvicinò, i lineamenti trasformati in una maschera di odio e ribrezzo. Ora poteva uccidere Johnson, far finire la sua miserabile vita usando lo scudo per spremere la vita fuori di lui … e fu allora che la vista di un volto familiare penetrò la sua rabbia.
Con uno sforzo agonizzante, Max ritrasse il suo scudo e vide la figura crollare sul pavimento. Cadendo sulle ginocchia Max, inorridito da quello che aveva fatto, gridò “Carl!”

Capitolo 111

Chris impugnava la pistola con tutte e due le mani e la teneva puntata contro il soffitto, mentre penetrava nel laboratorio. Tully era proprio dietro di lui e i loro movimenti erano sincronizzati, armonici, in accordo uno con l’altro. Erano una coppia fin da quando Chris si era aggiunto all’Unità e si conoscevano bene, dentro e fuori. Potevano leggere a vicenda il linguaggio dei i loro corpi, anticipare le reazioni dell’altro e c’era tra di loro una fiducia cieca. Come uomini, erano differenti come la notte e il giorno, ma come colleghi si completavano a vicenda.
Si diressero verso la porta successiva, Chris che guardava a sinistra e Tully a destra e fu Chris a vedere per primo l’oggetto sul pavimento.
“Tul … “ Chris teneva bassa la sua voce e Tully guardò nella sua direzione. Chris fece un cenno con la testa e Tully ne seguì la direzione fino a scorgere una scatola di pastelli che giaceva sul pavimento. Erano della misura gigante, proprio per dita che non avevano ancora tre anni. la sua piccola Tina ne aveva una identica.
I pastelli non appartenevano a questo posto, non a pareti sterili con odore di antisettico nell’aria. I lucidi banconi di acciaio e le provette non erano dintorni adatti a una scatola di pastelli o alla bambina che li aveva usati.
Il fatto che fossero lì, sul pavimento, diede a Tully la speranza che la piccola non fosse lontana. Le dovevano essere caduti, mentre Johnson cercava di fuggire.

***

“Dov’è Mary?” Ellie si dibatteva tra le sue braccia, respingendogli il petto e scalciando. “Io voglio Mary!”
“Mary ci sta aspettando.” mentì Johnson, ma la bambina continuò a dimenarsi. “Calmati, Jenny. Zitta adesso.”
Si era aspettato la sua agitazione, visto che l’aveva svegliata dal sonno all’improvviso, ma non aveva previsto quanto si sarebbe agitata. Stava lottando contro di lui e alla fine dovette poggiarla in terra, prima che facesse cadere tutto.
Quando l’aveva presa dal letto, lui aveva afferratola volo un paio delle sue cose preferite per tenerla tranquilla ed una borsa con le cose essenziali, che aveva preparato già da prima. Un certificato di nascita, che poteva passare per vero, con una foto ID adattata. Carte di credito con differenti nominativi e soldi in contanti. Una quantità di contante. Una enorme quantità di freddo contante.
Si era rifugiato nel laboratorio, chiudendo la porta proprio nell’attimo in cui le porte dell’ascensore si aprivano, e Johnson vi si appoggiò contro. Coprì con una mano la bocca di Jenny, per farla tacere e trattenne il proprio respiro, aspettando di vedere se Max Evans si sarebbe fermato in laboratorio o sarebbe andato nell’appartamento.
La fortuna era dalla sua parte e lui s’infilò nel laboratorio, per prendere le annotazioni degli esperimenti su Jenny. Molte erano state salvate su Crashdown, sapendo che erano più maneggevoli di voluminosi registri di laboratorio, ma era stato allora che Jenny aveva cominciato a dimenarsi energicamente.
Non le era piaciuto quando le aveva messo la mano contro la bocca e da quel momento lo aveva combattuto.
Afferatale la mano, la trascinò verso l’uscita di emergenza in fondo al laboratorio, forzandola quasi a correre per tenere il passo con lui. Un libro che aveva preso per lei gli scivolò dalle braccia cadendo rumorosamente sul pavimento e Ellie si guardò indietro con gli occhi spalancati per la preoccupazione.
“No!” gridò, cercando di sciogliersi dalla sua presa. “L’Oniglio di Velluto. Fermati! No! Devo prendere L’Oniglio di Belluto!”
“Ti comprerò un libro nuovo.” Johnson le tirò il braccio. “Ti comprerò un libro più bello.”
“No! gridò Ellie, cercando di sfilare le sue dita dalla presa. “No! Devo prenderlo!” Per Ellie, il libro conteneva la promessa che i suoi sogni sarebbero diventati Reali, e senza di esso Ellie credeva che il mondo dei suoi sogni non sarebbe mai diventato vero.
“NO!” gridò ancora, mentre Johnson la trascinava dietro un angolo e lei perse di vista il libro. Ellie smise di tirar via le sue dita e invece posò la sua manina su quella di Johnson e il suo palmo cominciò a brillare. Johnson gridò per l’improvviso dolore e le lasciò il braccio ed Ellie corse a riprendere il libro.
“Jenny?” Johnson si era fermato all’improvviso e si stava controllando il dorso della mano. Già si stavano formando delle vesciche, il dolore era forte e la sua mente stava cercando di recepire il fatto che Jenny gli avesse fatto del male. Jenny? la sua preziosa Jenny? Gettò in terra tutto quello che stava portando e tornò indietro nella direzione da cui erano venuti. “Jenny?”
Ellie raccolse il libro e se lo strinse al petto, lasciandosi andare ad un sospiro di sollievo. Sentì i passi dietro di lei e una decisione riempì il suo sguardo. I suoi piedi scalzi non facevano rumore e corse nella direzione opposta, via dall’uomo che faceva finta di essere suo padre.

***

“Hai preso il numero di targa del camion che mi fa investito?” chiese Carl dal pavimento. Respirava con difficoltà e il petto gli faceva un male del diavolo. E la schiena. E la testa. E le spalle …
“Gesù, Carl!” gridò Max. “Ti ho fatto male? Hai qualcosa di rotto? Ti fa male qualcosa?” Ora Max era in ginocchio e faceva scorrere freneticamente la mani sopra il suo partner, controllando la gravità delle sue lesioni.
“Sono gesti un po’ sfacciati, non ti pare?” Carl cercò di mandare via le ragnatele dal suo cervello. “Non lasciare che Chris veda quello che stai facendo.”
“Carl!” gridò ancora Max, ignorando quello che gli stava dicendo e concentrandosi sulle sue condizioni fisiche.
“Sto bene.” scansò via Max, poi grugnì quando cercò di alzarsi in piedi. Si sentiva le gambe di gelatina.
“Carl! Mi dispiace! Mi dispiace!” Le sue mani risplenderono quando gli toccò il braccio, poi la spalla e la nuca. Carl spalancò gli occhi alla strana sensazione, al vibrante calore che passava dalle mani di Max ai suoi muscoli ed alle sue ossa. Il dolore che un minuto prima pervadeva tutto il suo corpo, cominciò a scemare, fino a che tutto quello che rimase fu una sensazione di meraviglia per quello che Max aveva appena fatto.
In quel momento Carl realizzò che Max aveva il potere di spezzare la vita di un uomo, di controllare il mondo intorno a lui, di dominare il mondo, ma non lo aveva mai usato per scopi malvagi. Quanti uomini avrebbero fatto altrettanto se avessero avuto un potere come quello? La sua ammirazione per il ragazzo crebbe a passi da gigante. Max Evans aveva un potere illimitato nelle sue mani, ma lo usava per fare del bene, per aiutare vittime innocenti, per guarire malattie e ferite.
“Sto bene.” Con un piccolo aiuto da parte di Max, Carl si alzò in piedi. “Sto bene.” Guardandosi attorno, constatò una cosa ovvia. “Sono andati via.”
“Si.” Max girò la testa, ma non prima che Carl avesse visto l’espressione di profondo dolore che vi si rifletteva. “Ho esaminato la sua scrivania, cercando una traccia, qualcosa che potesse dire dove la sta portando.”
“Buona idea.” Carl cercò di incoraggiarlo. Poteva sentire il modo in cui la sua voce tremava. “Non può essere andato molto lontano. Mary è uscita meno di un’ora fa.”
Max alzò la testa chiedendo “Sai di Mary?”
“Le ho parlato qui fuori.” gli mostrò la carta d’accesso. “E’ così che siamo entrati. Lei è fuori con Liz e …” Tacque all’improvviso, vedendo lo sguardo di Max quando lui aveva nominato sua moglie. Dopo tutto quel tempo, Carl aveva cominciato a conoscerlo bene e sapeva cosa stava pensando. “Max …”
“Lascia perdere …”
“Va fuori e parlale, Max.” lo esortò Carl. “Lei avrà bisogno di te.”
“Io …” Max scosse la testa e si coprì il volto con le mani. “Posso sentirla.” la sua voce tremava. “Ellie. Come se fosse qui. Questo posto è pieno di lei. Ho toccato il lavandino del bagno e l’ho vista lì, in piedi, mentre si lavava i dentini. Ha un piccolo sgabello dove sale per arrivare allo specchio. Le piace il sapore del dentifricio e qualche volta succhia l’acqua dallo spazzolino, dopo averlo risciacquato. L’ho vista sguazzare nella vasca, giocare con le bolle. L’ho vista sbandare contro la parete dell’ingresso, mentre ancora stava imparando a camminare. Si è fatta un graffio sul braccio, quella volta, e quella stessa notte, quando era da sola nel letto, se lo è guarito. E non aveva nemmeno un anno. Ho toccato la sua coperta, il suo cuscino, e l’ho vista dormire tranquillamente nel suo letto. Carl …” Max si voltò verso di lui con un groppo in gola e gli occhi pieni di lacrime non versate. Il suo mento tremò, mentre diceva “Io non avevo mai visto il viso di mia figlia mentre dormiva fino ad ora …”
“Max …” Carl poteva sentire il dolore che emanava la sua anima tormentata.
“E ora … è andata via … e non la vedrò mai più …”
“Non è finita, Max.” insistette Carl. “Johnson è fuggito di corsa, senza tempo per coprire le sue tracce. Mary ci ha dato la descrizione della sua macchina. Daremo l’allarme generale. Non arrenderti!” Agendo a spron battuto per scuotere Max dalla sua disperazione, Carl si diresse alla scrivania, aprendo i cassetti e controllandone il contenuto. “Vieni qui. Da’ un’occhiata. Qui c’è qualcosa.” Una luce lampeggiante sulla scrivania attirò la sua attenzione e la indicò. “E questo cos’è?”
Anche Max l’aveva notata e vi aveva posato la mano sopra, sperando di avere un flash. Chiuse gli occhi e all’improvviso lo vide, un monitor nascosto nell’armadio dietro la scrivania e corse lì spalancandone le ante. Lo schermo era spento, scuro e Max accese l’interruttore, osservandolo mentre prendeva vita e cominciava a brillare e a diventare chiaro. Ci volle un momento perché Max realizzasse che stava guardando una sezione del laboratorio nella porta accanto, poi un figurina corse attraverso lo schermo e il cuore gli si fermò nel petto.
“Ellie!”

***

“Credo che abbiamo un problema.” disse Chris con voce sbigottita e si voltò verso Tully.
“Di che stai parlando … Dannazione!” esclamò Tully quando anche lui lo vide.
“Si è organizzato per far saltare in aria questo posto.” sibilò Chris guardando il congegno appoggiato alla parete. “E credo che questo non sia l’unico. Sarà meglio che uno di noi vada ad avvertire Carl.”
“Andrò io.” Era Tully a prendere le decisioni. “Tu cerca la bambina e gli altri di questi affari.”
“Eccoti la carta.” Chris la porse a Tully perché potesse entrare nell’appartamento. L’uomo più alto allungò una mano e i due si scambiarono un’occhiata.
“Non farti ammazzare.” disse Tully burbero. Il timer sul congegno continuava il conto alla rovescia dei minuti e dei secondi. 12:42 . . . 12:41 . . . 12:40 . . . 12:39 . . .
“Non ne ho nessuna intenzione.” Chris tentò un sorriso sfacciato. “Di sopra c’è una ragazza che mi aspetta.”

***

Ellie correva, cercando di ricordarsi da quale direzione era arrivata. Le stanze la facevano confondere e tutto era troppo grande. Ora non sentiva più i passi di papà Dottore, ma poteva ancora sentire la sua voce che le chiedeva di tornare indietro. Sembrava cattivo, arrabbiato e spaventato e lei si strinse ancora di più il libro al petto.
Sentì un rumore arrivare da una porta dietro di lei e si girò spaventata. Cercò con ansia un posto dove nascondersi, poi aprì l’anta di un armadio e vi entrò dentro. Era buio lì e lei era spaventata, e trattenne il respiro quando i passi si fecero sempre più vicini.
“Jenny! Jenny! Dobbiamo andare ora! JENNY!”
Lei chiuse forte gli occhi e cercò di non muovere un muscolo.

***

Tully allungò la mano verso la porta, quando quella si aprì e si trovò all’improvviso di fronte a Max Evans. Ma questo era molto differente dal Max Evans che lui conosceva. Questo Max Evans aveva una durezza che Tully non aveva mai visto prima.
“L’hai vista?” gli domandò Max entrando a tutta velocità nel laboratorio, con Carl alle calcagna.
“Ellie? No.” Tully scosse la testa. “Non era nell’appartamento?”
“No.” rispose Carl. “E’ da qualche parte qui dentro. L’abbiamo vista sulla telecamera a circuito chiuso. Ellie e Johnson sono qui, da qualche parte, nel laboratorio.”
“Allora abbiamo circa 12 minuti per portarla fuori da qui.” li mise in guardia Tully, sentendosi accapponare la pelle.
“Cosa?” Max si girò verso di lui. Di cosa diavolo stava parlando?
“Questo posto è stato minato. Non so quante cariche ci siano. Chris ne ha trovata una e io ne ho appena trovata un’altra, ma sono sicuro che ce ne sono altre. Credo che abbia intenzione di distruggere qualsiasi evidenza che lui sia mai stato qui, non importa quante persone possano morire nel frattempo.
“Vuoi dire …?” chiese Carl e Tully annuì.
“Io non sono un esperto di munizioni, ma in questo posto c’è una quantità di C-4 pronto ad esplodere. Non c’è tempo per una evacuazione e ci sono 14 maledetti piani pieni di gente sopra le nostre teste.
“Gesù!” imprecò Carl e si voltò a guardare Max.
La domanda rimase inespressa tra di loro, ma Max sapeva cosa gli stava chiedendo. Carl stava domandandosi se lui avesse potuto usare i suoi poteri per disattivare i congegni e salvare decine, forse centinaia di vite, mentre Johnson stava fuggendo e portando via Ellie.
No. NO. La mente di Max si ribellò. Non era giusto. Come potevano pretendere una cosa simile da lui. Come poteva Carl chiedergli di scegliere tra sua figlia e tutte quelle persone sconosciute nel palazzo sopra di lui. Max lottò con i suoi demoni, costretto ancora una volta a fare una scelta che un uomo non avrebbe mai dovuto fare.
La sua mente gridò per Ellie, supplicando il suo perdono, e lentamente annuì. Non avrebbe potuto vivere con la consapevolezza della morte di tutte quelle persone, nella sua ricerca di salvare la vita di una.
“Tully.” Carl entrò in azione. “ Indica a Max dove sono gli esplosivi …”
“Cosa?” balbettò Tully, scioccato al punto da non poter parlare.
“Fallo!” abbaiò Carl. Con lo sguardo fisso su Max, gli giurò “La troverò per te.” E se ne andò, scomparendo nei meandri del laboratorio.
Max chiuse gli occhi in una preghiera silenziosa, poi si girò verso Tully e gli disse semplicemente. “Mostrameli.”

***

Chris sentì la voce che chiamava dalla stanza a fianco e, con cautela, si mosse in quella direzione. Poteva sentirlo chiamare ‘Jenny’ e seppe senza alcun dubbio che era Johnson. Si fece avanti adagio con la pistola puntata, pronto a sparare per mandare quel figlio di cane all’altro mondo, quando qualcosa cadde sul pavimento dietro di lui. Si voltò, intravedendo di sfuggita qualcosa di piccolo, che correndo aveva fatto cadere un vassoio di metallo, provocando un rumore che ancora echeggiava.
La distrazione era stata di breve durata, ma era stata sufficiente e quando avvertì i passi dietro di lui, seppe di aver fatto un errore fatale. Si voltò velocemente, ma il proiettile lo colpì in pieno petto prima che potesse completare il girò. Barcollò all’indietro sotto l’impatto e scivolò contro la parete, lasciando una traccia insanguinata dietro di lui. Non sentì dolore, solo un intorpidimento che gli traversò il corpo e guardò in basso per vedere la macchia insanguinata che si allargava sul suo petto.
“Dannazione.” la sua voce era pesante per lo choc. “Era una camicia nuova.”
Johnson guardò l’uomo che giaceva sul pavimento e tese il braccio. La pistola era pesante nella sua mano, ma lui non si era fatto scrupolo ad usarla. L’uomo sul pavimento non contava nulla. Quello che contava era trovare Jenny e uscire prima che l’intero palazzo saltasse in aria. Sentì un rumore pervenire dalla direzione da cui era arrivato e lui lo seguì, gridando “Jenny. Dobbiamo andare. Ora!”
Chris si sedette sul pavimento, con le gambe allungate davanti a lui ed il respiro che cominciava a diventare difficile. Sapeva che mancavano pochi minuti prima che le bombe esplodessero, ma non gli importava. Non ora. Non gli sarebbe comunque rimasto molto tempo. Una risata gli risalì dalla gola quando si rese conto che veramente, prima di morire, la tua vita ti passava davanti agli occhi, poi tossì il sangue che gli stava riempiendo la bocca. Una visione comparve davanti ai suoi occhi e lui cercò di metterla a fuoco.
Ellie era in piedi davanti all’uomo seduto sul pavimento, con una cosa rossa che si spandeva sulla sua camicia. Lo aveva conosciuto al Luna Park, l’uomo con cui Tracy stava facendo le cose sciocche, l’uomo che il papà aveva detto che lavorava con lui. Papà le aveva detto anche che lui era una delle persone buone e che lei avrebbe potuto fidarsi di lui. Ma papà Dottore gli aveva fatto qualcosa di brutto. La sua gola stava facendo rumori strani e Ellie gli andò più vicino.
Chris guardò un angelo negli occhi, chiedendosi se fosse venuto a prenderlo per portarlo in paradiso. Non era sicuro di esserselo meritato, ma nemmeno era sicuro di essersi comportato così male da meritarsi un viaggio all’inferno. Aveva sempre cercato di essere onesto e di non fare intenzionalmente del male a nessuno, tranne che ai cattivi ragazzi. Quello era il suo lavoro, prendere i ragazzi cattivi. Ma questa volta, un ragazzo cattivo aveva preso lui. E ora, mentre sentiva la sua vita scivolare via, aveva un solo rimpianto. Aveva fatto l’amore con tante donne, ma non si era mai innamorato.
L’angelo si chinò sopra di lui e Chris si sorprese che fosse così giovane. Solo una bambina, poco più che una neonata e sentì la sua manina premergli contro il petto. Una luce bianca quasi lo accecò e gli venne da pensare ‘Ci siamo. La morte. Finis’. C’era veramente una luce bianca al momento della morte. Ad averlo immaginato …
Il calore si allargò sul suo petto, diventando sempre più forte e lui non riuscì a distogliere gli occhi dai capelli scuri del piccolo angelo di fronte a lui. La luce diventò brillante come i raggi del sole e poi una voce, dolce ed innocente, gli riempì le orecchie.
“Tu ttai bene adesso.”
La luce svanì, lui aprì gli occhi e si portò le mani al petto. Il sangue era ancora lì, il buco del proiettile anche, ma lui sentiva come se la ferita non ci fosse più. Si aprì la camicia, vide la pelle intatta, e posò la mano sulla impronta della mano del piccolo angelo.
Sorpreso di essere in grado di muoversi, si alzò incerto sulle gambe e si guardo attorno, ma il suo piccolo angelo non c’era più.

***

Tully cercò di non pensare allo sparo che avevano sentito e mostrò a Max la prima delle bombe, notando che il timer segnava 10 minuti e 23 secondi. Aveva la gola secca e no poteva fare a meno di guardare Max, chiedendosi cosa diavolo stavano facendo lì. Aveva un grande rispetto per Max, e pensava che fosse un diavolo di ragazzo, ma era solo un ragazzo. Non aveva esperienza di esplosivi. Non aveva mai lavorato con gli artificieri. Non aveva nessuna esperienza in quel campo. Quell’edificio sarebbe diventato una palla di fuoco tra 10 minuti e 18 secondi, e nessuno di loro avrebbe potuto farci un accidente di niente.
Per un attimo Max si chiese come avrebbe reagito Tully alla sua iniziazione al Club ‘Io Conosco Un Alieno’, ma non aveva il tempo di attardarsi sull’idea. C’era troppo in gioco per preoccuparsi di mantenere i segreti. Troppe vite da mettere in bilancio. Si sporse in avanti per esaminare il congegno da vicino, e poi alzò la mano per coprire l’esplosivo. Chiuse gli occhi concentrandosi e una luce gialla cominciò a brillare sotto il suo palmo.
La struttura molecolare del C-4 cominciò a cambiare e in un attimo si trasformò in polvere, niente più che polvere. Tirò via la mano e Tully notò che il timer si era fermato a 10 e 12.
“Che diavolo …” Tully lo stava fissando a bocca aperta.
“Ce ne sono ancora tre, forse quattro.” disse Max e si addentrò nel laboratorio per raggiungerne un altro. Si disse di non pensare allo sparo che aveva sentito pochi minuti prima, o a chi poteva essere stato il bersaglio. Se non fosse riuscito a trovare in tempo le bombe che restavano, niente di tutto quello avrebbe più avuto importanza. Arrivò al secondo congegno e si accertò che fosse identico al primo.
Tully stava in un silenzio attonito mentre Max disattivava la bomba solo col brillare di una mano e poi lo seguì quando Max corse via, come se sapesse esattamente dove si trovasse il terzo.

***

Carl tenne la pistola spianata mentre girò l’angolo, sentendo che c’era qualcuno lì vicino. Pochi momenti prima aveva udito uno sparo, ma non poteva dire da quale direzione fosse arrivato. Tracy Coleman aveva ragione quando gli aveva detto che quello era un labirinto. Non era sicuro in quale direzione fosse aventi e in quale indietro. Avvertì un movimento alla sua destra e voltò in quella direzione, con la pistola puntata in avanti.
Non era preparato alla visione che si presentò ai suoi occhi quando scorse Chris con la camicia coperta di sangue. Carl lottò contro il bisogno di abbandonare la cautela e di correre verso di lui e usò il cervello per analizzare la situazione.
1. Chris aveva una quantità sorprendente di sangue sulla camicia.
2. Chris aveva un buco di proiettile nella suddetta camicia.
3. Chris era in piedi e camminava come se non ci fosse niente che non andasse in lui.
4. Chris aveva qualcosa di argentato sul suo petto, visibile a malapena sotto la camicia insanguinata e bucata. L’impronta di una mano. Piccola. Come quella di un bambino.
Per quanto tutto quello fosse strano, Carl non ci mise molto a rimettere insieme i pezzi. Chris era stati il destinatario di una pallottola, che l’aveva colpito nel petto. Una brutta ferita. A giudicare dal sangue che aveva perso, una ferita veramente brutta. Ma lui se ne camminava attorno con una piccola impronta d’argento sul petto e Carl conosceva una sola persona con la mano che potesse corrispondere a quella impronta.
Tale padre … tale figlia.
“Chris.” Carl tenne bassa la sua voce, perché il suono non attirasse nessuno in quella stanza.
“Carl!” disse Chris a voce troppo alta, super eccitato nel vedere un viso amico dopo tutto quello che aveva passato.
“Dov’è lei?” Carl indicò il petto di Chris mentre i due uomini camminavano insieme.
“L’angelo?” Gli occhi di Chris erano spalancati. Aveva appena vissuto qualcosa di … stupefacente.
“Ellie.” disse Carl semplicemente.
“Ellie.” Chris cercò di afferrare l’idea, ma la sua mente stava ancora annaspando. “E’ stata qui per un attimo.” disse con la mano sul petto. “E poi se ne è andata. Io non ho visto dove.”
Forse era ritornata in paradiso?
“Dobbiamo trovarla.” disse Carl con enfasi. “E poi uscire da qui prima che questo posto salti in aria.”

***

Max tolse la sua mano dal quarto congegno e guardò il timer. 5 e 26. 5 minuti e 26 secondi. Ma lui non poteva essere sicuro di averli trovati tutti. Quando aveva trovato il primo congegno aveva avuto un flash di Johnson seduto ad uno dei tavoli del laboratorio che assemblava 5 bombe e regolava i timer. Quel flash era stato seguito da un altro, ed un altro. Johnson aveva piazzato tutti i congegni e controllato il telecomando che si sarebbe attivato quando lui avrebbe premuto un pulsante.
Il problema era che lui aveva visto 5 bombe, ma solo la collocazione di 4, quelle che lui aveva trovato. C’era qualcosa di diverso nella quinta, ma lui non sapeva cosa. Forse Johnson non aveva avuto la possibilità di collocarla o di attivare il timer. Se fosse stato così loro erano salvi e con loro, tutte le persone sopra di loro, che non sospettavano nulla. Se non fosse stato così, se la bomba era ancora attiva, avevano solo cinque minuti per trovarla. Doveva dire agli altri di andarsene, mentre lui sarebbe rimasto lì per cercare sua figlia.
“Max …” disse Tully dietro alle sue spalle. era una espressione piena di una moltitudine di domande.
Max si girò e incontrò gli occhi di Tully. “Questa era la quarta che conoscevo. Dovrebbe essercene un’altra. Non ne sono sicuro. Ora devi andartene.”
“Max.” Tully si accigliò. “Che stai dicendo?”
“Tu hai moglie e quattro bambini.” tenne avvinto lo sguardo di Tully. “Non dovresti rimanere qui.”
“E cosa mi dici di te?” chiese Tully e, improvvisamente, tutto quello di cui era stato testimone perse di importanza. “Anche tu hai una moglie, e anche un bambino, e sono proprio qui fuori. Hanno bisogno di te.”
“Io devo trovare Ellie.” disse Max con l’angoscia negli occhi. “Non posso uscire senza averla trovata.”
“Allora resto anche io.” affermò Tully.
“No.” Max impallidì e scosse la testa. “Tully, ti prego. Non posso chiederti questo.”
“Non hai bisogno di chiederlo, perché mi sono già offerto. Max, tu e io siamo fratelli. Siamo legati assieme. Altrimenti, tipi come Chris ‘facci l’amore e lasciale’ si impadroniranno del mondo. E non sarebbe una cosa buona per le future generazioni.” Tully rise per alleviare la tensione. “Ora, vogliamo andare?”
“Hai ragione.” Max si concesse un sorriso. Tully fece segno a Max e, in silenziosa accettazione, si diresse verso sinistra e Max lo vide allontanarsi. In tutti gli anni in cui era cresciuto a Roswell, solitario ed appartato, non aveva mai immaginato che la sua vita sarebbe arrivata a quel punto. Umani, gente normale, che rischiava la propria vita per aiutarlo.
Se fosse sopravvissuto ai prossimi 5 minuti, magari avrebbe permesso a se stesso di rifletterci sopra, ma ora tutto quello che contava era portare Ellie fuori di lì viva. Chiuse gli occhi e cercò di ‘sentirla’ e fece correre la sua mente. Non aveva mai avuto quel genere di potere prima e non si sarebbe sorpreso se adesso non avesse funzionato. Ma sentiva qualcosa di vago che gli diceva di andare avanti e lui si sottomise volentieri a quell’ordine. La sua natura aliena si stava impegnando duramente ed era arrivata la dannata ora che lui ascoltasse cosa aveva da dire.

Capitolo 112

Max seguì il suo istinto alieno, mentre si addentrava nel laboratorio. La sua mente era tesa alla ricerca di Ellie, percependo qualcosa da qualche parte lì vicino, forse una presenza aliena, e si chiese se era lei. E se fosse stato così, anche lei riusciva a sentirlo? Nei loro sogni, avevano un legame così stretto, ma nella realtà non ne era sicuro. Stava sentendo quello che voleva sentire?
Passò da una stanza all’altra, toccando gli oggetti che incontrava, con la speranza di avere qualche flash, qualcosa che potesse aiutarlo. Le sue dita sfiorarono l’anta di un armadio e la vide nascondersi all’interno, con un libro stretto al petto e tremante di paura. Spalancò l’anta, quasi strappandola dai cardini, ma lei non era lì. Era stata solo una visione. Un flash. Un ricordo rimasto.
Toccò le pareti e il pavimento dell’armadio, cercando di percepire la sensazione di dove si fosse diretta uscendo da lì, poi si alzò in piedi, certo di essere sulle sue tracce. Corse nella stanza successiva e quando la sua mano sfiorò la cornice della porta, ebbe un altro flash. Ellie che correva, con la camicia da notte bianca che le svolazzava attorno, i lunghi capelli intorno al suo viso, i piedi nudi che non facevano nessun rumore.
“Ellie.” chiamò, incapace di rimanere in silenzio. Johnson era ancora lì da qualche parte e farsi sentire gli avrebbe tolto il suo vantaggio, avrebbe fornito all’uomo la sua posizione, ma lui n on aveva potuto farne a meno. “Ellie …” chiamò ancora, girando lo sguardo a destra e a sinistra mentre passava da una stanza all’altra, seguendo una traccia che lui solo poteva vedere.
Entrò in un’altra stanza e l’aria divenne improvvisamente irrespirabile. I suoi polmoni si rifiutarono di lavorare. Una macchia di sangue sulla parete portava ad una pozza sul pavimento. Troppo sangue perso per essere sopravvissuti. Con trepidazione traversò la stanza e toccò la traccia di sangue ormai secco. Un lamento di dolore gli uscì dalle labbra quando mormorò “Chris. Oh, Dio. Chris. Dio, no …”
Si accovacciò accanto alla pozza di sangue e le sue dita ne toccarono la fredda superficie. Tremò mentre un altro flash lo colpì, un flash meraviglioso, stupefacente, un flash che lo riempì di sgomento. orgoglio e amore paterno.
“Ellie …” sorrise, e si permise di respirare ancora.

***

Carl entrò in un’altra stanza, una stanza familiare e si chiese se non stesse girando in cerchio. Erta difficile da dire. Molte stanze sembravano uguali. Osservò attentamente l’area intorno a lui, cercando posti dove una bambina potesse nascondersi, mentre cercava di individuare Johnson. Il bastardo aveva già provato ad uccidere uno della sua Squadra. Carl non gli avrebbe permesso di fare del male a nessun’altro.
Da dietro, qualcosa tirò l’orlo della sua giacca e lui si girò col cuore in gola. Il suo dito era pronto a premere il grilletto per annientare il suo assalitore, poi i suoi occhi si abbassarono e rimase a bocca aperta.
“Il mio papà mi ha detto che se ti vedevo, potevo ttare con te. Posso ttare con te?” Lei lo aveva già visto nei sogni e lui non le metteva paura. Si chiamava Carl e gli piaceva baciare una signora che si chiamava Rachel. Papà le aveva detto che era simpatico e anche lei lo aveva pensato quel giorno che aveva parlato con lui nel parco, prima dei fuochi artificiali. Aveva gli occhi che sorridevano, non come quelli di papà Dottore che le mettevano paura.
Carl spinse indietro la pistola e si inginocchiò davanti alla bambina. Non c’erano dubbi nella sua mente su chi fosse. Avrebbe potuto riconoscerla in un viale affollato, tanto somigliava alla sua mamma. Poteva vedere anche Max in lei, nelle pagliuzze dorate che illuminavano i suoi occhi scuri, nella forma dritta del naso, nel piccolo neo che aveva sul labbro superiore.
“Ellie.” Carl le accarezzò i lunghi capelli scuri. “Si, puoi stare con me.” Le strinse attorno le braccia e si alzò in piedi, guardandosi attorno per cercare la via migliore per uscire. Le braccia di lei riavvolsero attorno al suo collo e le piccole labbra gli diedero un bacio sulla guancia.
“Grassie.” Ellie gli sorrise, poi si strinse al petto il libro. Carl conosceva il suo nome! Il suo vero nome!
“Di nulla.” lui ricambiò il sorriso e si girò verso la porta. Un proiettile sibilò dietro il suo orecchio, infilandosi nella parete dietro la sua testa e lui si buttò a terra. Ellie scatto via da lui e si mise a correre.
“Ellie …” chiamò, ma lei era già scomparsa attraverso la porta aperta. Si rialzò con prudenza, sbirciando da sopra il bancone, poi si buttò giù di corsa al rumore di un altro sparo. Il proiettile si infilò nell’armadio alle sue spalle e Carl si alzò svelto, sparando tre colpi in rapida sequenza. Sentì Johnson urlare di dolore, poi i suoi passi si allontanarono in fretta.
“Ellie.” chiamò Carl ad alta voce, poi si infilò nella stanza accanto, ma lei non era lì. Guardò a destra, poi a sinistra e la sua frustrazione sfociò in una imprecazione soffocata.
“Maledetto!”

***

Max si fermò all’improvviso, trasalendo per uno sparo, poi trattenne il respiro quando sentì i rapidi colpi in risposta. Tre colpi in rapida successione. Si precipitò verso la direzione da cui gli spari provenivano, sperando e pregando che nessuno fosse rimasto ferito, nessuno fosse morto a meno che non si trattasse di Johnson. Johnson meritava quella fine. O anche di peggio.
Corse verso il suono, attraversando una stanza e poi un’altra, spalancando le porte mentre correva, poi si immobilizzò di colpo, fissando la maniglia davanti a lui. Stava girando avanti e indietro, come se la persona dall’altra parte della porta avesse difficoltà ad aprirla … come se le sue mani … fossero … troppo piccole … per aprirla.
Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata, il suo petto si contrasse, la sua gola si strinse, e il tempo sembrò rallentare. La maniglia si fermò e per un attimo Max si chiese se se lo fosse immaginato, e fu allora che il metallo cominciò a brillare.
C’era solo un’altra persona lì che poteva far brillare il metallo.
Max allungò la mano ed afferrò la maniglia e l’unico suono che fu in gradi di sentire era il battito del suo cuore che gli echeggiava nelle orecchie. Il movimento a rallentatore proseguì mentre la sua mano girava e tirava la porta all’interno, verso di lui, pregando con tutto il suo cuore che lei …
La porta si aprì e davanti a lui comparve una visione di cui lui aveva solo sognato. Il suo visino guardava in su verso di lui, dominato dai grandi occhi scuri, gli occhi di sua madre. Anche le labbra piene erano quelle di Liz, ma pensò di vedere anche un po’ di se stesso nella forma del naso. Aveva solo una traccia di fossetta sul mento e anche quelle veniva da lui. I lunghi capelli neri le ricadevano ondulati intorno al viso e la guardò affascinato, spostare con la manina una ciocca che le sfiorava la guancia. Teneva un libro stretto contro il petto e i piedini scalzi spuntavano da sotto l’orlo della camicia da notte. Max era immobile, incapace di muoversi, e allora la bocca di Ellie si aprì e la sua voce, così dolce e familiare, gli parlò.
“Lo sapevo che venivi per me, papà.”
L’aria che aveva trattenuto uscì dai suoi polmoni e Max cadde in ginocchio di fronte a lei, tendendole le braccia che tremavano. Il libro che lei aveva stretto al cuore, le scivolò dalle mani e cadde per terra, ma a lei non importò. Ormai non ne aveva più bisogno. Il suo papà era venuto e l’aveva trovata e lei ora era Reale, ed era la sensazione più bella del mondo. Ellie si gettò tra le braccia del padre.
Max la strinse contro il petto, tenendole un braccio attorno al suo corpicino e l’altro dietro la sua nuca. “Ellie.” continuava a ripetere, ancora ed ancora, in una litania senza fine, dicendo a se stesso che era vero, che lei era vera e non soltanto un sogno. Poteva sentirne il respiro sulla gola, i capelli tra le dita, il piccolo corpo rannicchiato contro il suo. Nei loro sogni l’aveva abbracciata centinaia, migliaia di volte, ma non aveva provato quelle sensazioni prima.
Le braccia di Ellie si staccarono dal suo collo e lei si spinse all’indietro per guardarlo in faccia. La sua manina si posò sulla guancia del padre e gli disse “Ti voio bene, papà. Non piangere.”
Ellie non voleva vedere il suo papà piangere. Questo era il giorno più bello della sua vita e lei voleva vederlo sorridere. Il suo papà aveva un sorriso meraviglioso.
“Oh, Ellie.” Max cercò di ricacciare indietro le lacrime. “Tesoro, ti voglio un mucchio di bene. Io … io …” e poi la strinse ancora al suo petto. Non riusciva a fermare le lacrime, o i singhiozzi mentre piangeva contro la sua piccola spalla. “Ellie … Ellie … Oh, Ellie …”
Lei ricambiò l’abbraccio in maniera altrettanto forte, ma lei non avrebbe pianto. Era troppo felice per piangere. “Papà?” gli chiese la sua vocetta e Max si staccò da lei, prendendole il viso tra le mani forti e calde, riempiendole il viso di baci, ai papà piace dare i baci, e lei cominciò a giocherellare con il primo bottone della sua camicia.
Max guardò in giù, sentendo questo gesto fisicamente per la prima volta e quasi perse di nuovo il controllo. Lei lo aveva fatto tante volte nei sogni, giocare con i bottoni della sua camicia quando cominciava a parlare con lui o si sentiva nervosa, e la sensazione lo colpì profondamente. Questa volta era vera, lei era vera e lui non avrebbe dovuto mai più dovuto viverla solo nel sogno.
“Cosa c’è, amore?” La voce di Max tremava e la visione era offuscata, mentre le passava la mano tra i capelli. Nella realtà, non glielo aveva mai fatto prima, ma sapeva che a lei piaceva, sapeva che quel gesto la calmava. Cerano molte cose che non conosceva di lei, e molte cose che gli erano mancate, ma ce n’era una che sapeva senza ombra di dubbio. Lui la conosceva, conosceva la sua vera essenza. I sogni gli avevano fatto quel dono.
Le dita di Ellie si gingillavano col bottoncino bianco, poi il suo sguardo si alzò ad incontrare quello del padre. “Posso andare Fuori adesso. Mamma … mamma è Fuori?”
“Si, Ellie.” Max le sorrise e ai suoi occhi tornarono le lacrime. “Ti porterò fuori.” disse, lottando per non inciampare sulle parole. “Mamma ti sta aspettando lì.” All’improvviso niente aveva più importanza. Non gli anni che avevano perduto. Non il dolore che avevano sofferto. Non le cose terribili che un uomo aveva fatto loro. Max non sentiva più il bisogno di giustizia, di rappresaglia o di vendetta. Non gli importava nulla di Johnson, che andasse all’inferno.
Ora una sola cosa contava per lui. Portare fuori Ellie. Portarla da Liz.
“S’è anche Matthew?” chiese la bambina, mentre lui la prendeva in braccio e si alzava in piedi.
“Si, Ellie.” Max le fece un tentativo di sorriso, tenendola stretta contro di lui, sorreggendola col braccio sinistro ed accarezzandole la guancia morbida con la mano libera. “Anche Matthew ti sta aspettando.”
“E Mary?” Ellie lo guardò con i suoi occhi ossessionatamene belli. “Anche Mary?”
“Si, amore.” Max le baciò la fronte. “Anche Mary.”
Max sapeva che in tutta la sua piccola vita, Mary era stata un riferimento sicuro. Mary era lì la mattina quando si svegliava e la sera quando andava a dormire, era lì quando era felice o quando aveva bisogno di essere consolata. Mary le aveva dato tutte le cosa che lui non era stato in grado di darle e lui gliene sarebbe stato debitore per sempre. Il sorriso che illuminò il viso di Ellie ne fu la conferma.
“Ora? Possiamo andare subito?” Ellie lo guardò ansiosamente e lui non poté fare a meno di ridere. Mary aveva detto le cose a metà, quando si era limitata a dire che Ellie era ostinata. Era anche esigente. E insistente e tenace e determinata e lui ne amava ogni pezzetto.
“Si.” Max rise tra le lacrime e le toccò affettuosamente il naso. “Possiamo andare subito.”
“Tu non andrai da nessuna parte con Jenny.” disse Johnson da dietro le sue spalle e Max sentì il freddo acciaio della canna di una pistola premuto contro la nuca. La sua reazione istintiva sarebbe stata quella di correre via, ma non poteva rischiare che Ellie rimanesse ferita. Era troppo tardi per spiegare il suo scudo, non sarebbe mai stato in grado di girarsi abbastanza velocemente per farlo e se avesse tentato, Johnson gli avrebbe sparato un proiettile in testa.
“Il suo nome non è Jenny.” Max cercò di rimanere calmo. Ora sentiva che Ellie stava tremando, aggrappandosi a lui e seppellendo il viso contro la sua gola. Girò lentamente la testa per guardare il solo uomo al mondo che lui odiava sinceramente. “Si chiama Ellie, e non è tua figlia, ma la mia.”
“Non guardarmi!” urlò Johnson e Max smise di muoversi. “Non ti azzardare a guardarmi. So cosa riesci a fare con gli occhi. Non ti lascerò fare a me quello che hai fatto a Miller.”
“Io …”
“Zitto!” Johnson stava perdendo il controllo. Max Evans aveva rovinato tutto ancora una volta. “Mettila giù e mandala verso di me.”
“No.” Max scosse la testa. “Non l’avrai. Lei non è tua.”
“Tu mi hai portato via Jenny. E’ giusto che voglia riaverla indietro.”
“Non ho avuto nulla a che fare con la sparizione di tua figlia. E tu lo sai.” Max cercò di voltarsi lentamente così da fronteggiare Johnson. La prima cosa che notò fu il sangue che ricopriva la sua spalla sinistra. Una ferita d’arma da fuoco, ma non abbastanza grave da metterlo fuori combattimento. La seconda cosa fu come sembrasse piccolo rispetto a quella notte di tanto tempo fa, la notte in cui l’uomo di fronte a lui gli aveva portato via un pezzo del suo cuore ed era scomparso nel cielo.
“La tua gente. La tua razza. Me l’hanno portata via loro e io non la rivedrò mai più!” Gli occhi di Johnson si spostarono feroci da Max alla bambina che teneva in braccio.
“No.” Max scosse ancora la testa. “Non è questo quello che è successo. Quelli della ‘mia razza, non hanno fatto nulla.”
“Io li ho visti!” urlò Johnson. “Li ho visti con i miei occhi!”
“No. Ti sei raccontato questa bugia perché non puoi ammettere con te stesso quello che è veramente accaduto quella notte al Bosco Frazier. Che sei stato tu a causare la morte di tua figlia.”
“No. NO!” Johnson scosse violentemente la testa.”Tu sei un BUGIARDO!”
“Stavi lavorando per conto di una società farmaceutica.” Max continuò a tenere Ellie stretta tra le sue braccia. “Sperimentavi una nuova medicina per combattere l’asma. Tua figlia Jenny ne era affetta e le normali medicine di quel tempo non avevano effetto su di lei. Lei ebbe un grave attacco, mentre stavate facendo un campeggio nel bosco, e le medicine non fecero effetto, ma tu avevi dietro un campione del nuovo medicinale su cui stavi lavorando, una medicina favolosa che non solo fermava gli attacchi dell’asma, ma la curava.”
“No.” Johnson scosse la testa per negare tutto. “No.!”
“Ma era una medicina sperimentale.” tagliò corto Max. “e non era ancora stata testata sull’uomo, ma solo sugli animali da laboratorio. E la combinazione tra l’inalante che già le avevi somministrato e il nuovo prodotto, si è rivelato fatale. Jenny ha avuto una reazione violenta ed è morta quella notte, proprio sotto i tuoi occhi. Ma non sei riuscito ad affrontare quello che le avevi fatto, così l’hai sepolta nel bosco …”
“Silenzio!” gridò Johnson. “Non è andata così!”
“L’hai sepolta nel bosco e dato che eri a Roswell, la ‘capitale’ mondiale degli alieni, ti sei inventato una storia e hai finito col crederci anche tu. Dovevi crederci, perché non volevi guardare in faccia la realtà. Non sono stati gli alieni a uccidere tua figlia. Sei stato tu.”
“No. NO! Niente di quello che hai detto è vero! Ti sbagli!”
“Ho ricevuto una chiamata dallo sceriffo di Roswell. Un paio di settimane fa, dei campeggiatori hanno trovato delle ossa nel Bosco Frazier e le analisi di laboratorio hanno confermato che appartengono a Jenny Johnson, 7 anni, figlia di Robert Johnson, MD.”
Il resto della storia glielo aveva raccontato Isabel. Jim Valenti le aveva chiesto di usare i suoi poteri per accertarne l’identità e lei aveva avuto dei flash toccando le ossa. Le analisi avevano dato la conferma.
“Bugie!” gli urlò Johnson. Lui non poteva aver fatto del male a Jenny. “Sono tutte bugie …”
“Non muoverti!” gli intimò Carl, arrivandogli alle spalle con la pistola puntata alla testa di Johnson. “Smettila o sparo!” Il dito di Carl si tese sul grilletto, pronto a sparare. Dopo quello che aveva fatto a Max, quell’uomo non meritava nessuna pietà.
Carl incontrò lo sguardo di Max, che stava oltre Johnson, ma entrambi gli uomini sapevano che la sua minaccia era vana. Se ora Carl avesse sparato, Max ed Ellie sarebbero stati sulla traiettoria di tiro. Carl cercò di spostarsi lentamente accanto a Max, passo dopo passo, finché furono fianco a fianco. Max non aveva allentato la sua stretta intorno ad Ellie, e Carl sapeva che non l’avrebbe mai fatto. A questo punto, solo la morte avrebbe potuto far si che Max lasciasse andare sua figlia, e questo non sarebbe mai accaduto. Carl non l’avrebbe permesso.
“Sei in arresto.” Il dito di Carl non chiedeva altro che premere il grilletto,” Per il rapimento di Ellie Evans e il tentato omicidio dell’agente Palmer e per qualsiasi altra cosa deciderò di accusarti. Hai il diritto di rimanere in silenzio. Hai il diritto di resistere all’arresto, così potrò spararti immediatamente nel sedere. Hai il diritto di avere un avvocato, perché sono dei bastardi come te …”
“Carl.” lo ammonì Max.
“Se non puoi permetterti un avvocato,” Carl continuò la sua litania. “ne prenderemo uno dalla fogna per te.”
“Papà?” cercò di sussurrare Ellie, ma i bambini non sono capaci di parlare sottovoce. “Io devo andare con lui?”
“No, Ellie.” Max si concentrò su di lei. “Non devi andare con lui.” per la prima volta da quando quell’incubo era iniziato, Max non ebbe la sensazione che tutto il peso del mondo fosse sulle sue spalle. Carl era al suo fianco, sostenendolo con tutto se stesso. Tully e Chris erano appena entrati nella stanza, fermi dietro di lui, e per quanto gli sembrasse sorprendente, aveva già percepito la loro accettazione. Tutti e due sapevano che lui era qualcosa di più di un umano, ma sembrava che non gliene importasse.
“Mettila giù e dille di venire da me.” Le parole di Johnson erano una chiara indicazione che lui già sapeva che lei non sarebbe mai andata da lui di sua volontà. In qualche modo sapeva che Jenny non aveva mai avuto legami con lui, non era mai stata sua, ma non voleva accettarlo.
“Non te la lascerò mai.” Max scosse la testa. Poteva sentire Ellie contro la sua gola, il suo braccio intorno al collo, le gambe strette attorno alla sua vita, mentre era seduta nell’incavo del suo braccio. La sua mano le toccò la spalla, protettivamente, possessivamente. Non l’avrebbe mai lasciata andare, dopo averla finalmente ritrovata.
“Dammela!” Gli occhi di Johnson si spostarono da Max a qualcosa alle sue spalle, poi di nuovo a Max. “Se ci tieni alla sua vita, dammela!”
“No … ” Max vide il sudore imperlare la fronte di Johnson, vide la paura nei suoi occhi che guardavano oltre le sue spalle Non era solo la pistola che Carl gli puntava contro a ridurlo in quello stato. Max si guardò alle spalle, cercando qualcosa, non sapeva cosa. Ma quando lo vide, gli si gelò il sangue.
“Dammela!” urlò Johnson.
Il timer ora scandiva sonoramente i secondi, chiaramente visibili nella trasparenza del cristallo, contando alla rovescia. . :12, :11, :10, :09 . . .
Max lo fissò, nell’improvvisa comprensione del perché non l’avesse percepito prima. Johnson doveva averlo posizionato in un secondo momento rispetto agli altri quattro. Il timer era fuori sincronia, così era rimasto fuori dai flash. Carl, Chris e Tully seguirono la linea del suo sguardo e la velocità del loro respiro e le imprecazioni represse dicevano tutto.
Non c’era più tempo per reagire, né tempo per scappare. Non c’era più tempo.
Con i secondi che stavano arrivando allo zero e l’attenzione di Max rivolta alla parete dietro di lui, Johnson afferrò Ellie, approfittando della sua unica possibilità. Lei gridò, stringendosi al padre e Max mise avanti la sua mano in difesa, creando lo scudo per separarli. Ma era debole. Lo sforzo fatto il giorno prima alla scuola e la tensione che stava vivendo in quel momento lì, nel laboratorio, erano evidenti nel pallido colore del campo. Lo scudo avrebbe potuto tenere Johnson lontano da Ellie, ma non avrebbe potuto proteggerli dall’esplosione che sarebbe avvenuta alle loro spalle. Guardò Ellie chiedendosi se, dopo quello che avevano passato, doveva finire tutto così. Lui aveva avuto solo pochi momenti insieme a lei e Liz non avrebbe mai saputo, mai sentito la sensazione di tenere Ellie tra le braccia.
“Posso farlo!” gridò entusiasta Ellie a suo padre. “Guadda!” Lei tese avanti la sua mano, imitando quello che aveva fatto il padre, e una luce purpurea fluì dall’interno del suo palmo.
“Piegalo intorno a noi, tesoro.” Max unì il suo scudo a quello di lei, sentendo il potere grezzo che lei emanava fondersi col suo. “Piegalo intorno a noi! Svelta!”
Chris e Tully guardarono stupiti una parete verde e porpora formarsi attorno a loro, una bolla che li racchiuse lasciando fuori Johnson. Lui toccò il campo e la sua bocca si aprì in un grido, ma nessun suono penetrò all’interno. Max coprì gli occhi di Ellie e le premette il viso contro il suo petto, mentre il mondo esplodeva intorno a loro.

Capitolo 113

“Santo Cielo!” sbottò Chris mentre una parete di fuoco passava sopra di loro. Max guardò fuori per vedere Johnson, inghiottito dalle fiamme, che agitava freneticamente le braccia in aria, vedendo la sua pelle fondersi con le ossa, la bocca aperta in un grido silenzioso. Cadde in ginocchio, mentre una tempesta di fuoco imperversava attorno a lui e poi bruciò senza fiamma, con la pelle carbonizzata e il fuoco che lambiva quello che rimaneva dei suoi abiti.
Oltre la scintillante bolla verde e porpora, la stanza bruciava e il metallo degli armadi e dei banchi era distorto e semi fuso. L’esplosione era stata forte, ma non abbastanza da danneggiare il palazzo o da distruggere il resto del laboratorio. Per quanto riguardava i quattro uomini e la bambina al sicuro all’interno della bolla, non avevano sentito niente.
“Che cos’è quetto?” disse Ellie con l’eccitata innocenza dei bambini. Non aveva mai visto nulla di simile.
Max la protesse dalla vista di quello che era rimasto di Johnson e tirò un sospiro di sollievo. Erano sopravvissuti. Erano sopravvissuti tutti. Il suo sguardo incontrò quello di Chris, poi quello di Tully, e alla fine si posò su Carl, che stava proprio dietro di lui, vedendo lo sgomento e lo stupore che stavano provando, senza un briciolo di paura o di diffidenza per quello che lui era, che Ellie era.
Max ritrasse lentamente il suo scudo e guardò in faccia la sua bellissima bambina. “Fallo rientrare lentamente, tesoro.” Le insegnò, proprio come aveva fatto nel sogno. “Con attenzione, così non ti sbatterà addosso.”
“Io ricordo.” Gli sorrise dal basso.
Il campo purpureo cominciò a rientrare nella sua mano tesa e Carl protestò “Non lo potrò mai raccontare a nessuno, vero? Voglio dire, non ho idea di che diavo …” poi guardò Ellie e ripulì il suo linguaggio. “Qualcuno mi potrebbe dire esattamente cosa è accaduto qui stasera?”
“Si.” Max lo guardò con un mezzo sorriso, poi si girò verso Ellie. “Ma prima devo portare qualcuno fuori.”
“Fuori?” chiese Ellie, con gli occhi spalancati.
“Si.” Max le fece un grande sorriso. Ellie cominciò a battere le mani eccitata e Max fece fatica a prenderla, per quanto si dimenava.
“ è il gelato Fuori?” chiese Ellie, continuando a saltare tra le braccia del padre.
“Si.” Max annuì e si diresse verso l’uscita del laboratorio, con Carl, Chris e Tully dietro di lui.
“E la ruota paronamica? E le ganite? E le anatre? E i fochi d’artifisio? E le altalene e gli ssivoli …”
“Si.” Max scoppiò a ridere, mentre si lasciavano le rovine carbonizzate del laboratorio dietro di loro. Ora i loro vestiti e i loro capelli puzzavano di fumo e di fuliggine, ma non gliene importava. Si sentiva troppo bene per curarsene. Ascoltare la sua voce lo riempiva di gioia e chiuse dietro di lui la porta su tutte le sofferenze del passato. Era finita. Finalmente era finita.
“ … e panini col formaggio grillato e sassa tabacco e …”
Traversarono la stanza delle cavie ed Ellie all’improvviso si fece silenziosa. Max si fermò e la guardò, chiedendosi cosa l’avesse fatta cambiare da chiacchierina a silenziosa. “Cosa? Cosa c’è?” le chiese e la vide guardare le gabbie.
“Posso portare Mr. Wiggles? Ttarà solo qui sensa me.” I suoi occhi lo guardarono e Max vide la sua malinconia. Lei si stava lasciando dietro tutto, l’unica vita che avesse mai conosciuto. Mr. Wiggles era una parte di quella vita. Una grande parte.
“Si.” Max le premette le labbra sulla fronte. “Anche Mr. Wiggles può venire con noi.” Si diressero verso le gabbie e Max lo riconobbe subito. L’aveva già visto nei sogni. “Carl …” si girò per chiedere il suo aiuto.
“Subito!” Carl aveva capito e prese la gabbia per la maniglia che aveva in cima.
“Andiamo Fuori, Mr. Wiggles!” gridò Ellie, saltando ancora eccitata.

***

Fuori, Liz era appoggiata a Rachel, bisognosa del suo conforto. Pochi minuti prima, avevano udito il rumore attutito di un’esplosione. La sua mano le copriva la bocca, per trattenere un singhiozzo, decisa a non farsi prendere dalle sue paure, non importa quanto forti fossero. Max aveva detto che non sarebbe uscito da solo, e lei gli aveva creduto. Lei gli credeva sempre.
Arrivò la prima autopompa dei Vigili del fuoco, insieme ad un’auto della Polizia e l’aria si riempì di lampeggianti rossi e blu. Una parte della sua mente realizzò che qualcuno degli abitanti del palazzo doveva averli chiamati sentendo l’esplosione o vedendo i vetri rotti dallo spostamento d’aria. Però non vedeva nessun fumo. Ma non era sicura che avrebbe potuto vederlo, da due piani sottoterra. Avrebbe potuto salire a quest’altezza?
C’era rimasto qualcosa, lì sotto di quello che amava? Quella notte li aveva persi entrambi? No, si rifiutava di pensarlo. Credeva in lui. Max le aveva fatto una promessa e lui manteneva sempre le sue promesse.
Un’autopompa le si fermò davanti e lei l’aggirò, salendo ancora sul marciapiedi per fissare l’ingresso dell’edificio ed aspettare. Un vigile del fuoco cercò di scortarla fuori dalla scena di azione, poi si trovò davanti Daniel, con indosso anche lui un’uniforme da pompiere, che prese il controllo del posto. La notizia era volata, tra la loro stretta comunità dopo che Liz aveva chiamato Rachel, e la necessità di limitare i danni era salita ad alta priorità. Erano abituati a reagire velocemente, per coprire eventuali esposizioni.
“Stiamo andando dentro.” le disse Daniel, mentre con la mano le stringeva delicatamente l’avambraccio. “Li porteremo …”
Ma lei non lo stava più ascoltando. I suoi occhi non si erano mai staccati dall’ingresso dello stabile, e ora vedevano del movimento. Era buio, e le luci turbinavano come mulinelli, ma lei riusciva ancora a vedere abbastanza. Una figura apparve nell’ingresso, seguita da un’altra e da altre due. Uomini. Quattro uomini.
Quattro uomini. Carl. Chris e Tully. E Max. Era Max che stava davanti agli altri tre. Lo aveva riconosciuto dal contorno della sagoma, dal modo in cui il suo corpo indistinto si muoveva, un piede davanti l’altro, con gli altri che lo seguivano. Si fermò in cima alla scala poi cominciò a scendere lentamente, uno scalini dopo l’altro, con cautela, con angosciosa lentezza.
Perché camminava così lentamente? Era così buio, che lei non riusciva a dirlo. Era ferito? L’esplosione lo aveva ferito? O stava camminando lentamente per ritardare, per sfuggire qualche tremenda verità? Per posporre il momento in cui avrebbe dovuto dirle … che lei …
La sua forma si fece più vicina, camminando rigidamente come se portasse un grosso fardello, poi le luci lampeggianti gli illuminarono il viso. I suoi occhi erano lucidi di lacrime, le sue guance striate di fuliggine, poi vide il piccolo fagotto che portava in braccio. Il corpicino era stretto contro il suo, le braccia e le gambe dondolavano mentre lui la portava nell’incavo del braccio destro e dalla gola di Liz uscì un rantolo.
Era …? Era …?
“Liz …” il suo nome uscì soffocato tra lacrime che gli scendevano dagli occhi, poi il corpicino che portava si girò per guardarsi intorno, con un sorriso che avrebbe potuto illuminare il cielo della notte.
“Mamma!” gridò Ellie eccitata.
“Ellie.” Sussurrò Liz, con le mani sopra la bocca.
Oh Signore. Oh caro, dolce Signore. Era Ellie. Era veramente Ellie. Il suo corpo cominciò ad agitarsi, a tremare e le lacrime le bagnarono gli occhi. Max percorse a passo svelto la distanza che li divideva, correndo per portare Ellie dove era il suo posto, dalla madre che non aveva mai avuto la possibilità di abbracciarla.
Ellie chiamò sua madre, più eccitata di quanto lo fosse mai stata prima di allora. Papà l’aveva trovata, proprio come le aveva promesso. Papà l’aveva portata in quel posto meraviglioso chiamato Fuori. Lì c’era un profumo differente, una vista differente e un sacco di cose che lei non aveva mai visto prima. Si sentiva un po’ spaventata, ma guardando i volti di mamma e di papà non aveva più paura. Era troppo felice per avere paura.
“Mamma!” tese le braccia e Liz si mise a correre, fermandosi proprio davanti a lei, con la paura di toccarla, con la paura di svegliarsi e di accorgersi che non era stato altro che un sogno.
“Ellie.” Sussurrò, alzando le mani per posarle sulle guance sorridenti di sua figlia, per poi guardare Max, sentire il suo respiro affannoso, vedere le lacrime che gli rigavano il viso, sentire le proprie lacrime.
Si chiusero uno nelle braccia dell’altra e caddero in ginocchio, con le gambe non più in grado di sorreggerli. Per la prima volta, sentì la solida, calda carne di sua figlia, , le toccò la faccia, le guance, il mento, le braccia. Le baciò le dita e le mani, le guance, le labbra e gli occhi. Le sue braccia circondarono Ellie, stringendola contro il suo petto in un abbraccio materno, mentre le braccia di Max circondavano entrambe.
Max e Liz erano in ginocchio, con Ellie tra di loro e il suono dei loro singhiozzi riempì l’aria della notte.

***

“Com’è la situazione?” chiese Carl, quando Daniel lo raggiunse.
“Abbiamo un ingegnere che sta controllando l’edificio, ma da un primo controllo sembra che l’edificio non abbia subito danni strutturali. L’esplosione è stata limitata ad una piccola area e non ha danneggiato le strutture portanti. In questo momento c’è una squadra che le sta controllando.”
“E per quanto riguarda …” chiese ancora Carl e Daniel capì a cosa si riferisse. Ormai Carl era uno di loro.
“Riusciremo a contenerlo. Non c’è nessuna connessione con gli alieni. Il rapporto indicherà che c’è stata una fuga di gas naturale e che le esalazioni hanno invaso i piani interrati. E’ bastata una scintilla e BOOM! Un morto. Nessuno, tranne noi, saprà mai cosa è realmente successo qui.”
“Grazie a Dio è finita.” disse Rachel appoggiandosi a Carl, mentre guardava Max e Liz. Stavano vicini alla loro macchina e Max ancora non aveva lasciato andare Ellie, mentre Liz era accanto a loro, con Matthew tra le braccia. Si appoggiavano l’uno all’altra, in contatto costante, Max con il braccio intorno a Liz, Liz con la mano nella mano di Ellie. La giovane famiglia non si era divisa, fin da quando Max era emerso dall’edificio, ma questo non li sorprendeva. Carl fece un passo nella loro direzione, ma fu fermato dalla mano di Rachel che lo prese per un braccio. “Cosa gli dirai?”
Carl coprì la mano di lei con la sua e sorrise. “Gli dirò di portare a casa la sua famiglia.”

***

Tully lottò contro uno sbadiglio, mentre infilava le chiavi nella porta d’ingresso. Quando entrò, la casa era buia e chiuse la porta senza fare rumore per non svegliare nessuno. Come sempre, fece il suoi giro controllando porte e finestre, poi traversò il corridoio diretto verso le camere da letto.
Controllò per prima Missy, che solo una settimana prima aveva compiuto 13 anni e già faceva gli occhi dolci a quel goffo Bryan Simpson. Per qualche minuto rimase a guardare il bel viso sereno, poi si ritirò in silenzio. La camera successiva era quella dei ragazzi, Tom Jr. sul letto in alto e Shane in quello in basso. Spostò una ciocca di capelli dalla fronte di Tom , poi si chinò per rimboccare le coperte a Shane. La terza camera era quella della piccola Tina. Era stata promossa recentemente dalla culla al lettino e Tully le si sedette a fianco, togliendole delicatamente il pollice dalla bocca. Aveva solo un paio di mesi meno di Ellie e lui si chiese se ora sarebbero diventate amiche. Con un sorriso, le passò una mano sui soffici capelli scuri e si alzò.
Entrato nella sua camera, si tolse i pantaloni e li posò sopra una sedia. sapeva di aver bisogno di una doccia, ma era tardi ed era stanco, e la doccia poteva aspettare fino a domattina. Spostò le coperte dal letto e si infilò tra le lenzuola, ringraziando Dio di avere il genere di vita che aveva. Una moglie che amava, quattro bambini stupendi, e la sua più grande seccatura era quello stupido tubo per innaffiare che doveva spostare a mano.
“Va tutto bene?” chiese Amanda insonnolita, voltandosi verso di lui.
“Si.” Tully sorrise ed abbracciò sua moglie. Aveva un sacco di domande e quasi nessuna risposta, ma c’era una cosa che sapeva di sicuro.
“Tutto alla grande.”

***

“Grazie.” disse Chris alla cameriera che gli aveva servito il caffè
“Ci vuole della panna?” gli chiese. Sul tavolo c’era lo zucchero.
“No, va bene così.” rispose lui, e guardò verso Tracy. “Tu?”
“Si, grazie. Due.”
La cameriera tornò portando una ciotola piena di piccole confezioni di panna e Chris vide Tracy aprirne una, poi un’altra, e versarle nel caffè
Per un minuto stettero in silenzio, Tracy che girava il caffè, Chris che fissava il suo, poi lui alzò la tazza e ne bevve un sorso. “Grazie per … lo sai … per stare qui con me.”
“Naturale.” sorrise lei e si strinse nelle spalle. “Tanto domani non devo andare al lavoro.” guardò l’orologio “O per meglio dire oggi.” Era mezzanotte passata. Tracy stette in silenzio per un minuto, poi chiese “Allora, cosa è successo lì dentro?”
Chris si guardò la camicia e fece un lungo sospiro. Non c’erano tracce di sangue, né fori di proiettili. Max aveva fatto … qualcosa … e improvvisamente non c’era più niente. Ma l’impronta argentata era ancora sul suo petto. L’impronta di un angelo che si chiamava Ellie.
“Non ne puoi parlare, vero?” suppose Tracy dal suo silenzio. “Indagini in corso?”
“Qualcosa del genere.” rispose Chris. La vide fare un cenno con la testa, poi la sua mano si mosse a coprire quella di lei. “Inoltre, voglio parlare solo di te.”
“Di me?” disse Tracy sorpresa.
“Si.” Chris arrossì leggermente. Non era capace di … parlare. “Voglio conoscerti. Cosa ti piace e cosa non ti piace. Cosa vuoi fare appena finito di studiare.”
“Bene,” lei era ancora sorpresa. Quando lo aveva incontrato, non pensava che fosse il tipo ‘voglio conoscerti’. “Da dove vuoi che comincio?”
“Dall’inizio.” Chris puntò i gomiti sul tavolo e poggiò il mento sulle mani.. “Raccontami tutto …”

***

“Mi sono girato e l’ho vista, e quasi morivo.” Carl fissava il soffitto con le mani sotto la testa. “Cioè, lei sapeva chi ero! Max mi ha raccontato tutto dei sogni, ma solo in quel momento ne ho realizzato la potenza.”
“Lo so.” Disse dolcemente Rachel mentre, rannicchiata contro il suo fianco, gli accarezzava il petto.
“Capisci, lui le ha fatto conoscere questo suo mondo, mostrandole di chi poteva fidarsi, così che al momento opportuno, lei non ha avuto paura di me. E quello che ha fatto a Chris. Mio Dio … Chris poteva essere …”
“Ma non lo è.” Rachel gli toccò le labbra con la punta delle dita.
“Gli ha lasciato una piccola impronta della mano sul petto.” Carl si lasciò andare a una risatina. “Avresti dovuto vedere la sua faccia. Il Chris che è uscito da quel palazzo questa sera, non è lo stesso che vi era entrato.”
“Pensi che … lui … potrebbe dire … qualcosa? Dovremmo essere preoccupati?”
“No.” Carl le coprì la mano con la sua. “Non devi preoccuparti di lui. E nemmeno di Tully.”
“Bene.” Rachel si sentì sollevata.
“Hey.” Carl si sollevò e lei si distese sulla schiena.
“Cosa?” gli sorrise lei.
Lui si chinò su Rachel, con gli occhi fissi sul suo viso, e disse “Ti amo, Rachel Mackenzie.”
“E io amo te, Carl Raphael Santiago Montoya.” Rachel gli prese il viso tra le mani.
Gli occhi di Carl brillarono al modo in cui lei disse il suo nome per intero e si chinò a baciarla, pensando che il nome di lei era troppo corto. Doveva fare qualcosa a tal proposito.

***

Mary sedeva accanto al letto, tenendo la mano di Martha e ascoltando il suono del suo respiro. Chinò la testa in avanti, appoggiandola sul bordo del letto e sentendosi stanca, tanto stanca. Poi un rumore dietro di lei attirò la sua attenzione.
“Non dovrebbe andare a casa, Mary?” le chiese Marcus preoccupato, stando sulla soglia della porta con la giacca in mano. Aveva appena terminato il suo turno di lavoro e stava uscendo. Avrebbe potuto darle un passaggio. “dovrebbe andare a riposare.”
“Grazie, ma preferisco rimanere qui.” Mary gli sorrise. “Voglio stare qui, con Martha. Marcus annuì comprendendola e lei voltò lo sguardo verso la sorella, mentre il sorriso spariva, sostituito dalle lacrime. Non poteva lasciare Martha, non quando aveva bisogno di lei.
Inoltre, Mary non aveva più una casa. Non aveva un posto dove andare.

***

La notte fece spazio al giorno e la luce del sole brillò nella stanza, riscaldando il tappeto mentre scivolava lentamente sul pavimento. Cacciò in un angolo l’oscurità ed illuminò Liz che stava nel letto, con il corpo curvato intorno al suo bambino pacificamente addormentato. Il viso le brillava di una serenità che le nasceva da dentro, una gioia che le era mancata da anni, ma che ora cresceva dentro di lei, spingendo via la sofferenza del passato.
Non c’era più spazio nel suo cuore per il dolore. Un sorriso incurvò le labbra di Matthew, perso nel sogno di un bambino che giocava con la sorella maggiore. La sua manina stringeva quella di Ellie, come aveva fatto per tutta la notte, con i loro visetti uno contro l’altro e le fronti che quasi si toccavano.
Ellie dormiva soddisfatta, col il rassicurante peso del braccio della madre, che passava prima sopra Matthew e poi si posava sul suo piccolo petto, dandole una sensazione di appartenenza, che non aveva mai provato prima.
Il movimento regolare del petto di suo padre la cullava in un sonno felice e lei stava beatamente rannicchiata con la testa sotto il suo mento. Il suo calore, la sua forza, il suo amore erano tutto quello che lei aveva sognato nella lungo tempo passato in attesa che lui la trovasse.
La luce dell’alba illuminava la piccola famiglia nel letto, Liz con il braccio attorno ai suoi figli, Max che copriva quello di lei, racchiudendo la sua famiglia. Era la prima volta in tre anni che Max Evans aveva dormito serenamente per tutta la notte.
Il suo viso brillava di una pace interiore che gli era mancata per troppi anni e il sorriso che toccava le sue labbra rivelava un uomo che aveva finalmente trovato tutto quello che aveva perso, riconquistato quello che gli era stato tolto, raggiunto la vetta dei suoi sogni e delle sue speranze.
Max Evans stringeva nel suo abbraccio tutto quello che aveva mai voluto, tutto quello di cui poteva avere bisogno e per la prima volta nella sua vita, era un uomo veramente felice.

Capitolo 114

Max affiorò lentamente dal sonno profondo, deliziato dal sogno meraviglioso che aveva fatto. Un sogno dove Ellie era con lui e l’incubo era finito e … perché qualcosa gli stava sollevando le palpebre? Qualcosa di piccolo. Piccole dita. Gli tiravano il viso.
“Papà? Sei sveglio?”
I suoi occhi si aprirono e trattenne il respiro, trasalendo nel vedere una faccia sospesa sopra di lui, occhi scuri che guardavano nei suoi, lunghi capelli scuri sparsi sul suo viso. Un nasino a un millimetro di distanza dal suo. Una manina che gli premeva sul petto. Ellie! La sua Ellie! Allora non era un sogno. Lei era veramente li! Lei era vera! Lei …
“Papà, devo andare sul vasetto.”
Cosa? Cosa stava dicendo? Doveva andare sul … vasetto? Non c’erano stati vasetti nei sogni. Nessuno ha bisogno del vasetto nei sogni. E ora cosa doveva fare? Lui non sapeva come portare una bambina a …”
“Vvelto, papà.” Ellie si dimenava sul letto.
“Uh, Liz?” Max guardò la moglie addormentata. “Liz?”
“Shhh, papà.” Ellie si mise un dito davanti alle labbra. “Mamma tta ancora dormendo.”
“Ma … mamma … potrebbe …”
“Io ci devo andare subito!” si lamentò Ellie.
“Okay, okay.” Max si sollevò sul letto e Ellie gli prese la mano e lo tirò per farlo alzare. Cominciava a pensare che il suo papà fosse veramente lento al mattino. Ellie si affrettò verso il bagno, tirandosi dietro un esitante Max che trascinava i piedi dietro di lei, voltandosi a guardare Liz e pregando che si svegliasse.
Ellie si fermò di fronte al water in aspettativa, mentre Max la guardava senza avere la più pallida idea di cosa fare.

***

Liz si voltò e si stiracchiò, mentre la nebbia del sonno si dissipava lentamente, e quando sentì delle voci provenire dal bagno, gli eventi della sera precedente le tornarono alla mente. Si mise seduta e i suoi occhi si posarono sul letto per vedere Matthew che stava ancora dormendo accanto a lei, e le lenzuola spiegazzate dalla parte di Max. Max e Ellie. Dov’era Ellie? Dove erano Max ed Ellie?
Le arrivarono nuovamente delle voci e spostò di lato le coperte e, senza fare rumore, arrivò fino al bagno. Quando li vide, riuscì a stento a trattenere una risata, Ellie seduta sul water con la camicia da notte sollevata intorno alla vita e le mutandine scese attorno alle caviglie, e Max accoccolato di fronte a lei, in maglietta e boxer, con un’espressione di evidente disagio.
“Ho fatto, adesso.” annunciò Ellie. Indicò il rotolo della carta igienica che Max teneva in mano e aggiunse “Dammi quella.” Max gliela porse, poi si grattò la fronte, sulle sopracciglia, come faceva sempre quando era imbarazzato o insicuro di se stesso, e la guardò da dietro la mano.
“Assicurati che si pulisca bene.” disse Liz dalla soglia della porta e Max sollevò la testa, guardandola con un misto di sollievo e di imbarazzo. Cominciò ad alzarsi, ma Ellie non aveva ancora finito con lui.
“Fammi ccendere, per piasere.” e sollevò le braccia verso di lui.
Max infilò le mani sotto le braccia di Ellie e l’appoggiò in terra. Sollevò lo sguardo giusto in tempo per vedere Liz allontanarsi dal bagno con un ghigno sulla faccia, e la chiamò “Liz …” ma nemmeno i suoi supplichevoli occhi da cucciolo, la convinsero a tornare indietro. Max si girò per vedere Ellie che lottava per tirarsi su le mutandine e si inginocchiò di nuovo di fronte a lei. Le sue manine si poggiarono sulle spalle del padre, mentre le rimetteva a posto le mutandine, poi Max si lasciò andare ad un sospiro. Aveva ancora così tanto da imparare!
Stava per tirare la maniglia e far scorrere l’acqua, quando Ellie gli spostò la mano dicendo “Lo fasso io!”
Max la guardò tirare in giù la maniglia con determinazione e poi strofinarsi insieme le mani. Poi raggiunse il lavandino, guardò in terra e si mise le mani sui fianchi, dicendo “Dov’è?”
“Dov’è cosa?” Max inarcò le sopracciglia.
“Il mio ggabello. Devo lavare le mani! Mary dice che devo sempre lavarmi le mani.”
“Mary ha ragione.” Max la sollevò per farla arrivare al lavandino.
“Dov’è Mary?” chiese Ellie mentre, strofinate le mani col sapone, le risciacquava. Guardò verso Max in aspettativa e lui provò una fitta di colpevolezza. Questa era la prima mattina nella sua breve vita che non era con Mary. per lei era tutto nuovo, tutto differente, e lei aveva bisogno di qualcosa di familiare.
“Io … io non … Chiamerò Carl e gli chiederò di scoprire dov’è.” disse ad Ellie che si stava asciugando le mani, poi la riportò verso il letto.
“Grassie, papà.” gli diede un bacio sulla guancia e scappò dal suo abbraccio. Si arrampicò sul letto e si rannicchiò accanto a Liz, che stava allattando Matthew. “Bonzorno, mamma! Bonzorno Matthew!”
“Buongiorno Ellie.” sorrise Liz felice, mentre Matthew agitava le manine. Max sedette sul letto accanto a loro, con la mano poggiata sul fianco di sua moglie e Liz vide la sua faccia preoccupata. Gli prese le guance tra le mani, dicendogli “Rilassati, amore. Non ti devi preoccupare più di nulla.”
“Liz, dobbiamo parlare.” Max guardò verso di lei, al di sopra di Ellie, e continuò “Lei … ha bisogno … di qualcosa.”
Quando la notte precedente erano venuti via da Beardsley Road, Ellie aveva lasciato l’unica casa che avesse mai conosciuto, con indosso solo la camicia da notte. Max l’aveva avvolta in una coperta per tenerla al caldo, ma ora non aveva un cambio di vestiti, magliette, scarpe o calzini. Niente.
Liz seguì il suo sguardo e fece un cenno di comprensione con la testa. Gli carezzò dolcemente il braccio e poi prese la sua mano. “Perché non vai a farti la doccia, mentre io e Ellie prepariamo la colazione?” Rivolse gli occhi sorridenti verso la figlia, dicendole “Mary mi ha detto che ti piace aiutarla a cucinare. Vorresti aiutare me, oggi?”
“Possiamo fare le frittelle?” disse Ellie allegramente.
“Certo!” rispose Liz, poi rise a voce alta quando lei scese dal letto e corse in cucina.
“Ellie!” Max le corse dietro. “Ellie aspetta! La mamma non è ancora pronta. Ellie aspetta!” Liz sentì spuntarle le lacrime agli occhi, sopraffatta dalla gioia di vedere Max ed Ellie insieme. Aveva atteso questa visione da tanto tempo e questa realtà era tutto quello che aveva sognato. Ci sarebbe voluto un po’ a Max per imparare a vivere con una bambina di due anni, ma lei era ragionevolmente certa che sarebbe sopravvissuto.

***

Max si sciacquò gli ultimi residui di schiuma dai capelli poi scosse la testa, facendo schizzare l’acqua in tutte le direzioni. Una volta finito, chiuse il rubinetto e l’acqua smise di scorrere. Si passò le mani sulla faccia per togliere l’eccesso di acqua ed aprì la posta della doccia ed uscì sul tappetino del bagno.
Mentre si asciugava, era assorto nei suoi pensieri, rivolti a tutto quello di cui Ellie aveva bisogno. Vestiti, per cominciare, e scarpe e spazzolino da denti e giocattoli per il bagno, un seggiolino per la macchina e una piscina nel giardino sul retro e un letto. Decisamente aveva bisogno di un letto. E la stanza? Avrebbero dovuto traslocare? Trovare una casa più grande? Potevano affrontare la spesa di una casa più grande?
Ma aveva anche bisogno di qualcuna delle cose con cui era cresciuta. La bambola col cui dormiva la notte. L’album da disegno di cui aveva parlato Mary. Libri, perché sapeva che amava sentire le storie della buonanotte. Aveva una coperta favorita? E un cuscino? Oh! Non doveva dimenticare Mr. Wiggles. Il porcellino d’India aveva bisogno di cibo e di altre cose da mettere nella gabbia.
Max si stava passando l’asciugamano sulla schiena, chiedendosi dove avrebbero potuto sistemare Mr. Wiggles, quando una manina diede un colpetto sul retro della sua gamba e quasi gli venne un colpo. Si guardò attorno con gli occhi fuori dalle orbite e si strinse intorno alla vita l’asciugamano per coprirsi, visto che era nudo.
“Ellie!” grido quasi.
“Mamma dice che la colazione è casi pronta.” Lei lo guardò dal basso con gli occhi grandi e innocenti.
“O…kay.” La sua voce era stridula. Era una cosa alla quale doveva abituarsi. “Di a mamma che arriverò tra un minuto.”
“Okay, papà.” Lui la seguì, facendo capolino dalla porta per essere sicuro che fosse uscita dalla stanza, poi si affrettò a chiudere la porta. Aggiunse una serratura alla sua lista mentale delle cose da comprare e si vestì in fretta, chiedendosi se facessero bene.

***

Max non riusciva a staccare lo sguardo da Ellie che, seduta accanto a lui, mangiava le sue frittelle. Aveva lo sciroppo da un orecchio all’altro e dalle mani fino ai gomiti, ma lui non aveva mai visto una cosa più bella. Aveva aspettato per anni questo momento, quando la sua famiglia avrebbe diviso qualcosa di semplice, come sedersi insieme a tavola per fare colazione.
“Papà, non ti piassono le frittelle?” Ellie guardò prima il suo piatto ancora pieno, poi lui.
“Si.” Max prese la forchetta, sperando di riuscire a inghiottire, superando il groppo che aveva in gola. “Certo che mi piacciono.”
“Mamma fa le frittelle motto buone.” Ellie si girò per sorridere a Liz. “Popio come Mary.”
Nemmeno Liz aveva mangiato molto. Il chiacchierio di Ellie aveva riempito quella casa come nient’altro avrebbe potuto fare e le emozioni che sentiva erano forti. “Grazie, Ellie.” Liz cercò di non piangere. “Sono contenta che ti piacciono.”
“Si. Posso avere antoa?” e tese il suo piatto. Il suo mento arrivava a malapena al ripiano del tavolo, anche con l’aiuto degli elenchi telefonici di Phoenix e Max aggiunse un altro articolo alla sua lista mentale. Un elevatore per la sedia.
“Certo.” Liz prese un’altra frittella e la mise nel suo piatto. Matthew, seduto sul seggiolino, si guardava intorno con curiosità e mandava suoni soddisfatti. Liz spalmò il burro sopra la frittella, aggiungendoci lo sciroppo d’acero, coprì col Tabasco e tagliò il tutto a pezzetti.
“Grassie.” Ellie ne prese un pezzo con la forchetta, e quando le ricadde nel piatto, lo raccolse con le dita e lo rimise sulla forchetta, prima di infilarlo in bocca.
“Di nulla.” Liz ricacciò indietro una nuova ondata di lacrime e carezzò i lunghi capelli di Ellie.
“Dov’è Mary?” chiese Ellie, prendendo un altro pezzo di frittella.
Tra Max e Liz passò uno sguardo preoccupato al sentire di nuovo il nome di Mary. Tutti e due sapevano che Ellie stava vivendo una esperienza traumatica, passando dall’unica casa che avesse mai conosciuto, ad un’altra. Era naturale che si attaccasse alle cose che le erano familiari. Mary era stata la persona più importante della sua vita, quella che si prendeva cura di lei, che la nutriva, la donna che aveva cresciuto questa bella e amorevole creatura.
“Ti manca Mary?” le chiese Max dolcemente e la vite annuire con gravità. Gli occhi di Max si sollevarono per incontrare quelli della moglie e divisero la stessa silenziosa riflessione “Dobbiamo scoprire dov’è Mary.”

***

“Sei pronta?” disse Max infilando la testa nel bagno. Portava in braccio Matthew e Liz stava finendo di asciugare Ellie dopo averle fatto il bagno. Lo sciroppo della colazione aveva richiesto di più di uno strofinaccio da cucina per fare un buon lavoro.
“Quasi.” Liz asciugò il viso di Ellie e lei scivolò via dall’asciugamano per correre nuda per casa. Max la guardò spalancando occhi e bocca e la realtà fece presa su di lui. Non aveva mai visto scene così nei suoi sogni!
“Ellie?” rientrò nella stanza e lei era lì, seduta sul letto, toccando qualcosa steso sul copriletto, accanto a lei. “Cos’è quetto?”
“Questo?” Liz si avvicinò al letto e prese la cosa, mentre Max la guardava con curiosità. “Questo è un vestito. Il vestito di Ellie.”
Liz si sedette accanto ad Ellie e Max le chiese “E da dove è arrivato?”
“L’ho comprato io.” Liz lo raccolse per poterlo infilare sulla testa della bambina.
“E quando?” chiese Max dolcemente. Aveva sentito una nota di dolore nella voce di Liz.
Ellie infilò le braccia nelle maniche corte e Liz glielo fece scivolare indosso, dopo aver liberato i lunghi capelli della figlia dal collo. “Da quando …” cominciò Liz, poi alzò gli occhi per guardare Max. “Ogni sei mesi ho comprato un nuovo vestito. Un vestito per il ritorno a casa, perché avesse qualcosa … comprato da me …da indossare. Ma i bambini crescono così velocemente, così … ogni sei mesi … ne ho comprato uno nuovo e regalavo quello vecchio al rifugio per donne di Desert Valley Road.” Aveva gli occhi pieni di lacrime e il mento le tremava, mentre cercava di sorridergli. “Credo che non avrò più bisogno di farlo.”
Liz scoppiò a piangere e Max traversò la stanza per inginocchiarsi davanti a lei. Non aveva mai saputo quello che lei aveva fatto, quel rituale che si ripeteva ogni sei mesi mentre aspettava che Ellie tornasse a casa, comprando un vestito per tenere viva la speranza. Le sue braccia si avvolsero attorno a lei in un abbracciò che li unì tutti, lui e Liz, Ellie e Matthew, finalmente insieme.

***

“Siamo pronti, adesso?” Max era seduto davanti al computer, con Liz, che aveva in braccio Matthew, alla sua sinistra e Ellie a destra.
“Penso di si.” Liz fece un profondo respiro e sospirò.
Ellie indossava il suo vestito nuovo, di un verde delicato disseminato di fiorellini selvatici ricamati sopra. A Liz ricordava il loro prato, quando lo aveva visto tre mesi prima e lei aveva comprato il vestito proprio allora. E da allora il vestito aveva aspettati Ellie. Max aveva trasformato per lei, una sciarpa in un paio di mutandine e due monetine erano ora margherite tra i capelli di Ellie.
Max girò la telecamera per la videoconferenza e ciccò sul ma uose per aprire la connessione. Aspettò nervosamente in eccitata anticipazione, mentre l’immagine si caricava e poi si ritrovò a guardare le facce curiose dei suoi genitori e dei Parker. Questa era la seconda volta che l’usavano, da quando l’avevano comprata per permettere ai loro genitori di vedere Matthew in qualcosa di meglio delle fotografie.
“Max.” Il viso di Diane gli sorrise dallo schermo. Si erano un po’ preoccupati quando avevano ricevuto, quella mattina, la sua enigmatica email in cui chiedeva loro di trovarsi tutti insieme a mezzogiorno per una chiamata in videoconferenza, specialmente per il fatto che era venerdì e che Max avrebbe dovuto essere al lavoro. Speravano che non fosse accaduto qualcosa di brutto, ma il suo sorriso alleviò le loro preoccupazioni.
“Ciao, mamma.” La salutò.”Papà, Jeff, Nancy, è bello rivedervi.”
Dagli altoparlanti si alzò un coro di ‘Ciao, Max.’. Liz si chinò verso la telecamera muovendo la manina di Matthew e dicendo “Salve a tutti.”
A Roswell, i Parker e gli Evans guardarono lo schermo, sempre più incuriositi ad ogni minuto che passava. Tutto quello aveva a che fare con quanto era successo a Max un paio di giorni prima? Loro erano stati così orgogliosi di quello che aveva fatto per quei bambini nella scuola, ma il pericolo che aveva corso era per loro ancora causa di preoccupazione profonda. Forse avevano preso qualche decisione importane per la loro vita. Forse i loro ragazzi sarebbero tornati a casa, a Roswell.
Max fece un respiro profondo e i genitori lo sentirono tirar fuori l’aria lentamente. La sua espressione sembrava tesa dallo schermo e a tutti loro il suo sorriso sembrava un po’ forzato.
“Mamma, papà.” Cominciò a dire Max, usando termini che comprendessero entrambe le coppie di genitori. “Abbiamo qualcosa da dirvi e non volevamo farlo al telefono.”
“Tesoro?” Diane si premette una mano sul petto. Era successo qualcosa. Max, di solito, non si comportava così.
“Ieri notte è successo qualcosa. “ Max sorrise nella telecamera. “Qualcosa di importante.”
I genitori lo videro guardare qualcosa alla sua destra, parzialmente al di fuori dello schermo. Potevano sentirlo mormorare, ma non capivano cosa stesse dicendo. Poi si voltò di nuovo, annuendo e cercando di trattenere un sorriso.
“Mamma, papà.” disse ancora rivolgendo lo sguardo verso di loro. “C’è qui qualcuno che vorrei farvi conoscere.” Max guardò Liz, poi di nuovo la camera e Diane credette di vedere lacrime agli occhi del figlio. Guardò velocemente Nancy che stava accanto a lei, sentendo la mano dell’altra donna tremare contro la sua spalla. Anche lei si stava agitando. Le immagini si fecero confuse, quando qualcuno si mosse davanti alla camera, poi quattro paia di occhi si spalancarono per la sorpresa alla vista sullo schermo.
“A tutti voi.” Max mise a sedere la figlia sulle sue ginocchia e rivolse alla camera un sorriso raggiante. “Ho il piacere di presentarvi Ellie.”
“Ciao nonna! Ciao nonno!” Ellie mosse la manina dallo schermo.
Un silenzio attonito riempì la casa degli Evans a Roswell. Era arrivato il giorno che avevano sognato, per cui avevano pregato e temuto che non arrivasse mai. Il silenzio si trasformò in caos e tutti gridarono contemporaneamente nella linea.
“Quando, figliolo, quando?” riuscì finalmente a chiedere Philip, mentre si asciugava le lacrime che gli scorrevano sulle guance.
“Ieri notte.” Max tirò su col naso e baciò la testa di Ellie. “Non volevamo solo dirvelo, volevamo anche farvela vedere.”
“Oh, Liz.” Nancy si avvicinò allo schermo. “E’ bella! Così bella! Oh, Dio!”
“E’ vero?” Liz sorrise tra le lacrime che le scendevano sul viso.
“Raccontateci i dettagli.” Jeff aveva un braccio attorno alle spalle della moglie. “Come è successo? Dov’era? Quando …”
“E’ una storia lunga e troppo complicata per raccontarla ora.” rispose Max. “Vi racconteremo tutto, ma stiamo ancora cercando di riprenderci.”
“Veniamo lì.” Le parole corsero fuori dalla bocca di Diane. “Veniamo subito.”
“Mamma, aspetta.” Max scosse la testa. Guardò Liz preoccupato, non volendo ferire i sentimenti di nessuno, poi tornò allo schermo. “Abbiamo bisogno di un po’ di tempo … solo noi. Spero che comprendiate. Ellie ha bisogno …”
Guardò la figlia seduta sulle ginocchia, che doveva adattarsi a tutti quei cambiamenti della sua vita. Non voleva sommergerla, o soffocarla, o bombardarla con troppe cose tutte insieme. Aveva vissuto isolata, protetta dal mondo reale per tutta la sua vita. Stava prendendo tutto molto bene, ma lui avvertiva la tensione dentro di lei. Non sarebbe stato facile per lei, né per nessuno di loro. Il loro mondo era cambiato in una notte.
Nancy e Diane si scambiarono un’occhiata, poi Diane disse “Vi capiamo. Avvertiteci quando le cose si saranno sistemate e verremo subito, con la banda al seguito.”
Max si lasciò andare ad un sospiro di sollievo e passò un braccio intorno a Liz. Per i loro genitori, a Roswell, era una visione che avevano aspettato di vedere per mesi, per anni. I loro ragazzi e i loro nipotini insieme, finalmente una famiglia al completo.
Era un giorno perfetto.

Continua...

Scritta da Debbi aka Breathless
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice dall'originale in inglese
a cura di Sirio, con la collaborazione di Coccy85


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