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SPECIALE

CUORI PRIGIONIERI (Captive Hearts)

Capitoli 91-96


Riassunto: Questa storia, in 118 capitoli, comincia subito dopo gli eventi dell'episodio "Amore alieno" (1.16), e nulla di quello che è accaduto dopo l’episodio è rilevante ai fini della storia. Max non è un re. Tess non esiste, non ci sono Skins o duplicati o Granilith.
Torniamo indietro al tempo in cui Max non ha occhi che per Liz e il suo più grande desiderio, la sua più grande paura è che lei in qualche modo possa ricambiarlo.

Valutazione contenuto: non adatto ai bambini.

Disclaimer: Ogni riferimento a Roswell appartiene alla WB e alla UPN. Tutti gli attori protagonisti del racconto e citati appartengono a loro stessi.


Capitoli 1-6
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Capitoli 85-90

Capitolo 91

Max infilò la chiave nella serratura della porta d’ingresso ed entrò nel santuario della sua casa. Respirò gli odori familiari, sentì i rumori familiari, e cercò di lasciarsi alle spalle il trauma che aveva vissuto quel giorno. Con passi decisi, raggiunse la cucina e quando non vi trovò gli oggetti del suo desiderio, cominciò a cercarli.
“Liz?” camminò per il corridoio, diretto in camera da letto. Passò prima nella stanza di Matthew e si fermò per darci un’occhiata. La sedia a dondolo era vicino alla culla, con sopra un grosso orso bruno lasciato a guardia del sonno del piccolo. Max traversò la stanza e si chinò sopra di lui, guardandolo dormire tranquillo, chiedendosi per quale ragione al mondo qualcuno potesse fare del male ad un bambino innocente.
Bisognoso del contatto fisico, Max fece scivolare la sua grossa mano sotto Matthew e lo sollevò per stringerlo contro il suo petto. Il bambino si mosse e fece qualche lamento, poi si sistemò contro il caldo corpo del padre. Max lo teneva teneramente, reggendolo con una mano e sostenendogli con l’altra la testa, poi posò un bacio sui suoi capelli scuri.
Aveva assistito a tante cose in questi ultimi mesi, da quando aveva cominciato a lavorare con Carl. Qualcuna era stata nauseante, abusi e violenze sessuali, come per Heather Brooks. Qualcuna era stata appagante, come quando avevano ritrovato la piccola Cindy Morgan e l’avevano restituita alla famiglia sana e salva. Ma quello che aveva visto oggi lo aveva colpito duramente, forse perché aveva riacceso in lui i sensi di colpa.
Adam Pruett era stato abbandonato dalla madre, lasciato solo in uno squallido appartamento per giorni e giorni. Lei aveva fatto una scelta tra il suo nuovo boyfriend e suo figlio era stato quello scartato. Quel giorno alla Haystack Mountain, Max si era trovato di fronte alla stessa scelta, ed aveva scelto Liz, abbandonando Ellie a qualsiasi destino l’aspettasse.
Odiava se stesso per aver dovuto fare quella scelta, odiava se stesso per non essere arrivato in tempo per rendere la scelta inutile, e il senso di colpa non sarebbe mai più andato via. Quella notte aveva abbandonato Ellie perché Liz potesse vivere e mentre si odiava per quella scelta, sapeva che l’avrebbe fatta di nuovo.
Qualche volta, il senso di colpa gli rendeva quasi impossibile guardare in faccia Ellie, nei sogni. Sapeva che era per colpa sua se lei viveva quella misera vita, chiusa in un laboratorio di ricerca, con Johnson che la tormentava, esclusa dal mondo.
Aveva gli occhi colmi di lacrime al pensiero del genere di vita che viveva sua figlia e tutto perché lui non era arrivato in tempo.
“Max?”
Liz stava sulla soglia della camera di Matthew, guardando Max che stringeva suo figlio. Un altro giorno, in un altro momento, avrebbe trovato quella visione bella oltre ogni dire, ma ora poteva avvertire le tormentose emozioni di lui, e sapeva che stava soffrendo. Poteva sentirlo sprofondare in un inferno di auto-accusa e le faceva male il cuore. E la spaventava. Oggi era successo qualcosa, anche se non era sicura di cosa fosse, che l’aveva colpito profondamente.
Max batté rapidamente gli occhi per schiarirsi la vista, poi girò il suo sguardo su Liz. Sapeva che non avrebbe dovuto disturbare Matthew quando stava dormendo, ma lei non sembrava arrabbiata.
“Ciao.” cercò di dire disinvoltamente. “Mi è mancato il piccolo ragazzo, oggi. Mi siete mancati tutti e due.”
“E a noi sei mancato tu.” Liz camminò verso di lui, allargando le braccia per abbracciarlo. Cercando di distoglierlo da qualsiasi cosa lo stese turbando, gli disse “Matthew ha parlato di te tutto il giorno.”
“Cosa?” disse Max incredulo. “Parlato?”
“No.” Liz rise all’espressione della sua faccia. “Ma ha fatto le bolle e ha giocato con le dita dei piedi.”
“Wow,” Max si sentiva già meglio. Guardò il bambino addormentato e resse lo spensierato gioco di Liz. “Già fa le bolle. Sarà un genio.”
“Naturalmente.” disse orgogliosamente Liz. “E’ nostro figlio, no?”
Liz guidò Max fuori dalla camera, verso la cucina, sapendo che era più importante per Max avere un contatto con suo figlio, di quanto Matthew avesse bisogno di dormire tranquillo nella sua culla. Sapeva anche che qualunque cosa fosse successa quel giorno, qualunque cosa turbasse Max, lei doveva persuaderlo a tirarla fuori. Lui cercava sempre di difenderla dalle cose che preoccupavano lui, ma questo non faceva altro che peggiorare le cose, per lui. Lei era determinata a non lasciarlo soffrire da solo.
Max prese una sedia dalla tavola e si sedette con attenzione per non scuotere Matthew. Ancora una volta, si stupì della quantità di calore che il suo corpicino poteva emanare. Tenendolo contro il suo petto, poteva sentire il calore attraverso la tutina del piccolo dormiente, attraverso la sua camicia, irradiarsi sulla sua pelle.
“Hai l’aria di uno che ha voglia di questa.” Liz gli porse una Cherry Cola ghiacciata. Max la prese grato e ne bevve quasi un terzo in un solo sorso. Stava per prenderne un secondo, quando le parole di Liz lo fermarono con la mano a mezz’aria. Sedendo nella sedia accanto alla sua, lei gli chiese “Cosa è successo oggi? E non cercare di non dirmi niente.”
Max la guardò, giudicando dall’espressione di lei che, questa volta, non si sarebbe accontentata della solita risposta evasiva. Lei sapeva sempre quando qualcosa lo turbava, e stasera non gli avrebbe permesso di nasconderlo. La mano di Max stava per prendere il barattolo sul tavolo, poi automaticamente si portò sulla testina di Matthew. Liz si accorse che quello non era soltanto un gesto tenero e amorevole di un padre per il figlio. Era anche un gesto protettivo.
“Oggi ci siamo occupati di un nuovo caso.” disse Max reticente. “Il caso di Adam Pruett.”
“Oh.” Liz stette in silenzio per un momento. Aveva sentito la sua storia al notiziario. “E’ stato brutto?” chiese alla fine e tese la mano verso di lui, offrendogli amore e sostegno. Sapeva quanto questi casi lo coinvolgessero profondamente.
Max coprì la mano di Liz con la sua, sentendo il suo calore e il suo supporto, e la tensione cominciò lentamente ad allentarsi, suo corpo. Lei lo faceva sentire subito meglio.
“Fisicamente, Adam starà bene. Mentalmente … è piccolo. L’ho aiutato meglio che ho potuto. Penso che starà bene.”
“E tu?” chiese Liz, stringendogli forte la mano. “Anche tu starai bene?”
“Si.” Max cercò di scrollarsi di dosso la sua auto-accusa. “Io starò bene.” Nel profondo del suo cuore, sapeva di non aver avuto possibilità di scelta. Liz era viva. Ellie era viva. Finché c’è vita, c’è speranza. L’altra scelta avrebbe significato che solo una di loro sarebbe stata viva, e lui non poteva immaginare la sua vita senza Liz.
Matthew cominciò a stiracchiarsi e sulla faccia di Max comparve un sorriso, mentre la piccola bocca cominciava a succhiare la gola di suo padre. Con un luccichio che gli illuminava gli occhi, Max sbuffò ”Nostro figlio sarà pure un genio, ma ancora non ha imparato che non c’è latte nel mio pomo d’Adamo.”
“Dallo a me.” ridacchiò Liz, stendendo le mani per prendere Matthew. Si sbottonò la camicetta e Max riuscì a dare un’occhiata veloce al suo seno morbido, prima che Matthew si attaccasse a lei, affamato. Sentì un’ondata di desiderio salire dentro di lui e si alzò in piedi per preparare la cena, pensando al suo seno pieno di latte e chiedendosi che sapore avrebbe avuto con sopra dello sciroppo al cioccolato.
Aprendo il frigorifero, prese la confezione di pollo che Liz aveva messo a scongelare e la mise sul ripiano. Prese un coltello dal blocco sopra il piano da lavoro e vi passò sopra la mano per affilare la lama, poi, quando un pensiero improvviso gli saltò in mente, si girò verso Liz.
“Oggi io e Carl siamo stati nella strada di fronte al Coyote Canyon Park, sopra Beardsley Road. Ti ricordi quel posto?”
“Certo.” Liz lisciò la guancia di Matthew mentre lui succhiava contento. “Ci siamo stati qualche settimana fa, proprio prima che nascesse Matthew.”
“Giusto.” Max si ricordò di quando avevano dato da mangiare alle anatre ed la sua idea gli sembrò ancora più geniale. Posò il coltello sul ripiano e tornò verso Liz, sedendosi accanto a lei. “A tutti e due piace tanto quel posto, vero?”
“Mi è piaciuto stare lì, Max.” Liz sorrise al ricordo. “E’ un bellissimo parco.”
“Allora, visto che tutti e due sentiamo, non so … un legame con quel posto, stavo pensando che potrebbe essere un buon posto per portarci Ellie la prima volta, non credi? Potrebbe giocare con le altalene, nel box di sabbia, potremmo passeggiare per i vialetti, e ricordi le anatre? Potremmo dare da mangiare alle anatre! Lei ancora non le conosce.”
“Oh, Max!” esclamò Liz. “Penso che sia una grande idea!” Avevano amato subito quel posto, per come sembrava diverso il profumo dell’aria, ed era sicura che anche ad Ellie sarebbe piaciuto.
“Potrebbe essere il primo passo, per me.” aggiunse Max. “Ho familiarità con il parco, così non dovrebbe essere difficile per me ricrearlo. Potrei partire solo col parco, poi aggiungere le persone in sottofondo, e possiamo vedere come va. Non dovrebbe essere così difficile come il Luna Park e forse non così estenuante. Potrei cominciare e poi lavorarci sopra.” Le strinse la mano e la guardò speranzoso, chiedendole “Cosa ne pensi?”
“Quando vorresti provare?” rispose, sentendosi già impaziente.
“Stasera?” Lui era impaziente quanto lo era lei.
Liz gli strinse la mano eccitata e Max si alzò dalla tavola per tornare dal pollo che lo aspettava sul bancone, mentre nella mente, definiva i dettagli. Naturalmente, la passeggiata nel sogno avrebbe dovuto aspettare fino a che lui avesse avuto il suo latte al cioccolato.

***

La cucina era immacolata, il soggiorno buio e silenzioso. Timmy, l’orsacchiotto guardava in silenzio Matthew, che dormiva tranquillo nella sua culla. Perfino i rumori che provenivano dalla stanza accanto non l’avrebbero risvegliato dal suo sonno.
Max aveva imparato presto che i ritmi del sonno di Matthew, erano la chiave della sua vita sessuale. La scelta del momento opportuno era essenziale, quando c’era un bambino in casa, e Max aveva cominciato a capire come la cosa funzionava. La cena era finita, i piatti erano stati lavati, Matthew era a letto, e lo era anche Max.
Solo che Max non stava dormendo. E nemmeno Liz …

“Max …”
Lui poteva sentire l’aria uscire dai suoi polmoni, sentire il fiato caldo di lei sulla pelle della sua gola, ogni volta più veloce, per tenere il ritmo dei loro corpi. Si spingeva dentro di lei ripetutamente, sentendo le sue lisce pareti che lo circondavano, carezzandolo, ricoprendolo con la sua essenza, mentre lui carezzava la sua profondità. I suoi dolci lamenti crescevano in frequenza, in intensità e il suo ritmo la stava portando al massimo livello di desiderio.
“Max …” gemette lei, mentre i suoi fianchi incontravano quelli di lui. Le sue dita stringevano la schiena di lui, le sue unghie lasciavano tracce di fuoco sulla pelle scendendo dalle sue spalle fino al fondo schiena, che le sue mani ora stringevano a coppa, sentendo i muscoli di lui tendersi ogni volta che si spingeva nel suo corpo. Le mani di Liz lo attirarono verso di se mentre alzava i fianchi per incontrarlo, sentendo ogni spinta arrivare più a fondo, ancora e ancora, fino a riempirla completamente.
“Max …” perdeva forza sotto di lui mentre la sua gioia cresceva. “Dio … si …oh, si … Max …”
Max stava gemendo nella sua tempesta personale, godendosi la sensazione che stava traversando il suo corpo. Una parte di lui cercava sollievo nell’abbraccio amoroso di sua moglie, per dimenticare gli orrori che aveva visto durante il giorno e Liz l’ aveva capito. Non la stava usando come una via di fuga, ma si faceva attirare da lei, aggrappandosi alla bellezza del loro amore per far fronte alle cose che qualche volta doveva affrontare.
Un’altra parte di lui faceva semplicemente l’amore con Liz, perché la profondità del suo amore per lei non aveva limiti. Lo faceva diventare pazzo di desiderio, di bisogno, di sesso sfrenato, ma era un bel modo di diventare pazzo.
“Liz …” gemette contro la gola di lei e spinse più forte, continuando il ritmo, aggrondando in lei. Le succhiò la gola lasciandole un segno, rivendicandola come sua nel più semplice dei modi, unendosi a lei in un modo che non era solo fisico.
Sapeva che lei stava quasi per arrivare e spinse ancora più forte, come piaceva a lei, sentendo crescere i gemiti che le sfuggivano dalle labbra in tono e frequenza. Stava arrivando al culmine e la sentì inarcarsi sotto di lui, col corpo tremante, mentre si lasciava andare ad un lungo, sostenuto gemito di piacere. Le sue pareti si chiusero attorno a lui, stringendo l’asta che lui le guidava dentro. Gridò il suo nome e lasciò andare il suo seme dentro di lei.
L’intensità era quasi insopportabile mentre onda dopo onda, la sua essenza riempiva l’intimità di lei. Il corpo gli tremava per il protrarsi del piacere che gli toglieva il respiro. Arrivato all’apice, si spinse un’ultima volta dentro, prima di crollare su di lei, con ancora la sensazione delle sue pareti interne che pulsavano intorno a lui.
“Wow …” Max premette la faccia contro la gola di Liz, mentre cercava di riprendere fiato. “E’ stato … qualcosa ….”
Le gambe di lei lo stringevano ancora, trattenendolo contro di lei, non volendo lasciarlo andare, cosa che lui gradiva molto. Gli piaceva il posto dove stava. Lei stringeva i suoi muscoli intorno al suo membro ormai morbido, e stringendoli e rilassandoli lo accarezzava ritmicamente. Max si alzò sui gomiti, sorridendo alla vista dell’espressione estasiata di Liz.
“Non ne hai mai abbastanza di me.” la prese in giro.
“Mai …” sospirò Liz.
“E’ una buona cosa che io sia un alieno.” Max le mordicchiò un orecchio. “con veloce capacità di recupero.” Si spinse dentro di lei ancora una volta, per mostrarle cosa intendeva per veloce capacità di recupero. Se lei avesse voluto di più, lui sarebbe stato più che pronto ad accontentarla, se Matthew glielo avesse consentito.
“Ti ho detto ultimamente, quanto mi piacciono i tuoi poteri alieni?” Liz tracciò una scia di baci sulla sua gola, usando la lingua per assaggiare la sua pelle salata e scoprendo qualcos’altro. La lingua avvertì un sapore dolce e lei mormorò “Hummmm.”
“Cosa?” Max si mosse in lei lentamente, assaporando la sensazione del corpo morbido contro il suo, delle sue gambe allacciate intorno a lui, della sua lingua che lo assaggiava. Liz seguì i suoi movimenti lenti, muovendo i fianchi in accordo con quelli di lui, e le labbra che respiravano sulla sua pelle. “Cioccolata. Ho dimenticato un punto.” La sua lingua scese sulla gola cercandone ancora.
Max avvertì un’ondata di primitivo desiderio calare su di lui alla sensazione della lingua che lo esplorava, e i suoi movimenti si fecero più urgenti. La sua bocca andò in cerca di quella di lei, assaporando il residuo del cioccolato sulla sua lingua e si lamentò mentre la sua passione si riaccendeva di nuovo. I suoi movimenti divennero esigenti, le sue spinte più decise, la sua lenta sensuale seduzione era sparita per lasciare il posto ad un’altra potente esplosione.
I gemiti estasiati di lei gli riempirono le orecchie, ed improvvisamente alzò il viso per guardarla. Si mise in ginocchio di fronte a lei e attirò i suoi fianchi per penetrarla. Si spinse dentro di lei controllando i suoi movimenti e dominando la loro unione, tenendole sollevati senza sforzo i fianchi dal letto.
In quella posizione, Liz riusciva a vedere lo sguardo infuocato che c’era nei suoi occhi mentre lui guardava il suo corpo che si immergeva in quello di lei, il suo pene liscio e umido coperto dalla sua essenza che scompariva dentro di lei ad ogni spinta.
La mano di Liz si alzò a coprirsi il seno, per stimolarsi i capezzoli ed accrescere il suo piacere e provocare quello di Max, che rimase senza respiro. Lei fermò la sua corsa, mentre lui lasciava correre a briglia sciolta la sua passione. Il respiro gli divenne difficile, mentre la guardava accarezzarsi il seno, lo stomaco, il triangolo di peli scuri fino a raggiungere con le dita le sue labbra umide, stimolando se stessa mentre lui la guardava e sentiva il desiderio sfuggirgli dal controllo.
Il suo membro era dentro di lei, grande e rigido. Distendeva le sue strette pareti attorno a lui, martellando i suoi punti sensibili fino a farla esplodere di sensazioni, fino a portarla alle altezze di una perfetta gioia sessuale. Lui la raggiunse, arrivando al punto culminante insieme a lei, il suo seme che prorompeva dal suo corpo in impulso dopo impulso di intenso piacere, riempiendola della sua essenza, amandola con una volontà così forte, da essere sicuro che si sarebbero fusi in una cosa sola.
Con il corpo esausto, Max la riappoggiò sul letto e si lasciò andare sopra di lei, seppellendo il naso nell’incavo della sua gola, aspirando l’odore del loro sesso, del loro amore, della loro massima unione. Un odore che non lo stancava mai.
Il cuore gli scoppiava nel petto e lottava per riprendere il respiro, poi lui cominciò a ridere e le sussurrò all’orecchio “Liz, uno di questi giorni, sarai la mia morte. Mi ucciderai di piacere.”
Le braccia di Liz lo circondarono, sentendo il sudore sulla sua schiena e il suo petto ansimare per lo sforzo, e passandogli le mani tra i capelli, sospirò soddisfatta “Oh, ma che modo meraviglioso di andarsene.”

Capitolo 92

Max entrò nella stanza da letto, fresco di doccia, con solo un asciugamano avvolto attorno alla vita. Si sentiva soddisfatto e rilassato, con il corpo che ancora risentiva dell’intimità che aveva diviso con Liz, e già il solo starle vicino lo aveva aiutato a superare il dolore di poco prima.
Sorrise quando incontrò gli occhi di lei, Max strofinandosi una salvietta sui capelli bagnati, Liz infilandosi la vestaglia di seta, e la breve visione del suo corpo agile, bastò per risvegliare la reazione di lui. Se c’era una cosa che aveva imparato nell’ultima settimana era questa: quando il bambino dorme, devi approfittarne.
“Sei sicura di non volere il secondo round?” le chiese Max provocante, mentre lei girava per la stanza. Le andò dietro, abbracciandola alla vita ed attirandola contro il suo corpo. La sua mano spostò il collo della vestaglia e posò le labbra sulla sua gola, assaggiando la dolcezza della sua pelle.
Lei chinò da un lato la testa, per facilitarlo e guardare l’orologio sul comodino. La mano di Max si infilò nella vestaglia, accarezzandole il seno mentre l’altra scendeva più in basso.
“Max!” Liz si allontanò dallo sporgente rigonfiamento sotto l’asciugamano. “Sei sovraccarico, stasera?”
“Mi sto solo rifacendo del tempo perduto.” mormorò contro la sua gola. “Inoltre,” le diede un pizzico “tu mi ecciti.” E le fece venire la pelle d’oca aggiungendo “Lo hai sempre fatto.”
“Max.” sospirò lei, riportandolo con i piedi per terra. “E’ ora di prepararci per Ellie. Vuoi ancora provare stasera, vero?”
“Si. Certamente.” Lui si raddrizzò e lanciò un’occhiata all’orologio. Era quasi l’ora in cui di solito cercavano di mettersi in contatto con Ellie, e anche se non c’erano garanzie che ci sarebbero riusciti quella sera, lui doveva comunque tentare. Diede un’ultima stretta al suo seno e, appena prima di allontanarsi, le sussurrò “Ricordati dove eravamo rimasti …”
Mentre lui si allontanava, Liz allungò la mano ed afferrò l’asciugamano, togliendoglielo di dosso. Max si voltò, sorpreso, stando di fronte a lei in tutta la sua gloria mascolina e Liz non riuscì più a staccare gli occhi da quel fisico scultoreo. Max appoggiò le mani sui fianchi e chinò la testa da una parte, e il sorriso malizioso che gli comparve sul viso corrispondeva ad una domanda silenziosa “Vedi qualcosa che ti piace?”
Liz andò verso di lui con lo stesso sorriso negli occhi, stringendo la sua mano intorno al suo membro impressionante, e gli diede una gentile stretta, sussurrandogli “Credimi, me lo ricorderò.”
“Liz …” borbottò lui e cercò di afferrarla, ma lei svicolò, diretta, questa volta, in camera di Matthew, agitando i fianchi provocante e cercando di trattenere una risata.
“Sei una provocazione ambulante, Liz!” le gridò dietro Max. “Non te l’ho ancora detto oggi? Una provocazione!” Lui sogghignò, vedendola scuotere la testa e scomparire in corridoio, poi abbassò gli occhi e rivolto alla sua anatomia maschile, promise “Ci rifaremo più tardi.”

***

Max era seduto sul letto, con la schiena appoggiata alla testata, le gambe incrociate davanti a lui, gli occhi chiusi, le mani rivolte in alto e rilasciate sulle cosce nude. Liz lo guardò dalla soglia della stanza, pensando che sembrava la Statua del David nella posizione del loto e molto più dotato. Peccato che ora la sua dotazione non fosse visibile. Lui si era infilato i boxer e una maglietta, che le impedivano di ammirarlo.
Si diresse verso di lui, portando Matthew in braccio e, quando raggiunse il letto, gli occhi di Max si aprirono. Lui stese le gambe per farle spazio e lei vi si sistemò, appoggiandosi comodamente contro il petto di lui. Lui la strinse tra le braccia, posandole una mano sull’addome coperto dalla vestaglia e seppellendo il naso tra i suoi capelli, dietro l’orecchio. Ci volle un attimo perché lei avvertisse una pressione familiare sul fondo della schiena.
“Max?” lei offrì la sua gola alle labbra che la cercavano. “Sei sovraeccitato stasera o cosa?”
“Devono essere i tuoi feromoni.” Max continuò ad aspirare il suo profumo, poi spostò la mano dal suo stomaco e la fece scivolare tra lei e il corpicino fasciato di Matthew, sino a coprirle il seno. “Sai così di buono.”
“Conservalo per dopo.” lo rimproverò Liz, ma non riuscì a resistere e gli diede un bacio sulle labbra. Lei era da rimproverare esattamente come lui.
“Okay, farò il bravo.” Max si raddrizzò, soddisfatto dal bacio, almeno per ora. Tirò via la mano dal suo seno ed abbracciò insieme lei e Matthew. Le sue labbra si posarono sulla nuca di Liz, poi si spostò per posarvi sopra la sua guancia, mentre appoggiava la mano contro la sua tempia. Lei posò dolcemente la sua mano sulla guancia di Matthew, toccando con la punta delle dita la sua tempia, mentre chiudeva gli occhi e cercava di svuotare la sua mente perché Max potesse guidarli tutti insieme …

Liz si ritrovò a volare nel vuoto oscuro, né qui né lì, ma da qualche parte nel mezzo. Sentì una forza, una spinta che le veniva da dentro, poi la sua adorata voce, morbida e lontana che penetrava il buio.
“Liz … vieni da me Liz … ti sto aspettando…”
“Max?”
“Sono qui, Liz …qui … sto aspettando te …”
Il buio cominciò a scolorirsi, cambiando da nero a grigio, poi si sentì tirare e si ritrovò nel loro paradiso d’erba. La luce del sole l’avvolgeva, scaldandole la pelle, facendole socchiudere gli occhi. Il cielo azzurro era l’araldo di una splendida giornata e una brezza leggera le passava tra i capelli e scivolava tra il tessuto sottile del suo vestito. Guardò verso il fagottino nelle sue braccia, vedendo la faccia sorridente del suo piccolo, poi avvertì un paio di braccia forti che la circondavano da dietro, trascinandola verso la sicurezza del suo energico petto.
“Hey, bella.” le sussurrò Max, sfiorandole la guancia con le labbra e sorridendole da orecchio ad orecchio, quando lei alzò gli occhi su di lui.
“E tu non sei bello?” Liz lo squadrò da capo a piedi, approvando la scelta della camicia bianca, aperta sul collo e con le maniche arrotolate sui gomiti. I pantaloni scuri gli fasciavano i fianchi e mettevano in rilievo le sue cosce muscolose, facendolo sembrare appena uscito dalle pagine di una rivista di moda.
“Ci provo.” Max si sciolse dall’abbraccio, per mostrare il suo look. “Non potevo certo portare Ellie a passeggio nel parco, indossando solo la biancheria intima.”
“Penso che hai ragione.” rise Liz, rientrando nel cerchio delle braccia di lui. Si alzò sulle punte dei piedi ed alzò la testa, per arrivare a dargli un bacio, mentre Matthew, felice, faceva le bolle tra di loro.
“Papà, ma stai sempe a baciae la mamma!”
Max si staccò da Liz e sorrisero insieme alla loro bambina, che stava ad un passo da loro con le mani sui fianchi. Lui la tirò su, la prese tra le braccia e le fece una pernacchia sul collo. Il suono delle sue risatine gli riempì il cuore di felicità e gli occhi gli ridevano quando strofinò il naso contro quello della bambina dicendo “Io bacio sempre le mie ragazze!”
“Papà, tu tei buffo.” proclamò Ellie. Mise le manine ai lati della faccia del padre e gli diede un bacio svelto. Max sorrise, godendosi la sensazione del suo piccolo corpo tra le sue braccia, i suoi occhi scuri che brillavano nei suoi, le sue risate leggere che gli squillavano nelle orecchie. “Mamma.” Ellie si voltò per guardare Liz. “Papà è buffo!”
“Si.” concordò Liz ridendo. “Senza dubbio.”
Ellie tornò a guardare il padre, agitandosi eccitata e domandando “Dove andiamo? Andiamo alle giotte adesso? May mi ha pallato della uota panoamica!”
“Mary ti ha parlato della Ruota Panoramica?” Max rise. Tra tutte le incertezze della vita di Ellie, c’era una sola cosa di cui Max era sicuro. Chiunque fosse Mary, amava molto sua figlia ed Ellie la ricambiava. Qualche volta, questa consapevolezza era tutto quello a cui poteva aggrapparsi.
“Si!” Ellie non riusciva a contenere la sua eccitazione. “May me ne ha pallato! E lo zuccheo filato e le ganite! Posso avee una ganita?”
“Vuoi dire una granita?” ridacchiò Liz. Non poté farne a meno, vedere Ellie così contenta era contagioso.
“E’ quello che ho detto io!” Ellie guardò ancora sua madre. “Ganita!”
“Certo che puoi avere una ‘ganita’.” Max le scompigliò i capelli. “Ma oggi andremo al parco.”
“Cos’è?” Ellie arricciò il naso. Lei non sapeva cosa fosse un parco.
“Te lo farò vedere.” Max le accarezzò con un dito la guancia morbida. “Chiudi gli occhi e io e la mamma ti porteremo lì.”
Ellie chiuse forte gli occhi e si strinse al padre, con il braccio sinistro intorno al suo collo e la mano destra chiusa sul colletto della sua camicia. Max guardò Liz con appena un tocco di apprensione sul viso, sperando di riuscire a farcela. Voleva che Ellie vedesse il mondo, per sapesse cosa c’era oltre le pareti in cui era confinata e questa era l’unico modo che lui conoscesse.
Liz si avvicinò a lui, passandogli il braccio intorno alla schiena, dandogli tutto il suo aiuto. Lui l’attirò a se, passandole un braccio attorno alle spalle, attingendo forza dalla sua fiducia. Il fatto che avesse creduto in lui per tutti questi anni, l’aveva aiutato molto più di quanto lei avesse mai saputo e la fiducia che riponeva in lui lo aveva aiutato a placare le sue incertezze. Se Liz pensava che lui poteva farlo, allora perdiana, lui ci sarebbe riuscito. Dopo tutto, Liz aveva sempre ragione.
“Posso apie gli occhi adesso?” chiese Ellie.
“Non ancora.” Max cercò di concentrarsi.
“Oa?” disse Ellie pochi secondi dopo.
“No, aspetta ancora un minuto …”
“ E oa?” lei cominciava ad agitarsi.”
“Ferma …” lei stava interrompendo la sua concentrazione.
“Ma non iecco a vedee nulla con gli occhi cusi!” lo rimproverò Ellie.
“Non aprirli ancora.” Max cercò di non ridere della sua impazienza. fece un profondo respiro, chiuse forte gli occhi, cercando di visualizzare il parco nella sua mente e …
“Oa?” Ellie si muoveva tra le sue braccia, desiderosa di vivere l’avventura.
“Ora!” acconsentì Max con un grande sorriso che gli si allargava sulla faccia. I suoi occhi videro il prato verde e le aiuole e le altalene dove aveva giocato la piccola Cindy Morgan, prima di inseguire il gattino nel bosco. Aveva funzionato! Ora erano lì, nel Coyote Canyon Park. Guardò per prima cosa Liz, e vedendo la salda fiducia sul suo viso, sentì aumentare la propria sicurezza. Si girò poi verso Ellie e lo sguardo eccitato lo fece quasi scoppiare di gioia.
Guardava tutte quelle cose nuove ad occhi spalancati. C’era l’erba intorno a loro. Erba verde. Corta erba verde, non alta ed ondeggiante al vento. E c’erano le altalene! C’era anche la sabbia, come sulla spiaggia! Anche la spiaggia era lì? E quelle cose alte? E cosa c’era lì in fondo?
Ellie voltava la testa da una parte all’altra, guardando tutto. Si immergeva come una spugna, assorbendo, analizzando e immagazzinando tutto. Ansiosa di vedere e di conoscere. Agitandosi tra le braccia di Max, indicò “Dimmi quello! E quello! E cos’è quello!”
Max si voltò verso Liz, sorridendo oltre la tempesta di domande. Poteva sentire fisicamente l’eccitazione di Ellie e la sentiva trapelare anche da Liz. I suoi occhi brillavano alla vista dei gesti di Ellie.
“Papà, cos’è quello?” insistette Ellie. Gli afferrò il viso e lo girò, per farlo smettere di guardare la mamma e vedere quello che lei gli stava indicando. “Guadda! lì! Cos’è quella osa?”
“Quella cosa?” Max rise e si avvicinò al recinto dei giochi.
“Si. Cos’è quetto? Che fa?”
“E’ un dondolo.” spiegò Max. “Qualcuno si siede da una parte e qualcuno dall’altra …” Si girò verso Liz e una silenziosa comunicazione passò tra loro. Liz annuì d’intesa e si sedette dalla parte appoggiata sul terreno. Max passò la gamba sopra la parte rimasta sollevata in aria e sistemò Ellie seduta davanti a lui. “Reggiti alla maniglia, Ellie.” le raccomandò, poi guardò Liz. “Reggiti forte.”
Liz tenne Matthew assicurato con un braccio, prese stretta la maniglia con la mano destra e dopo aver poggiato bene i piedi interra si diede una spinta. Il loro peso era sbilanciato, ma bastava per mostrare ad Ellie come funzionava il dondolo.
“Oooooooo …” gridò Ellie, mentre il dondolo andava in su e in giù, e Max le mise un braccio attorno alla vita, per essere sicuro che non cadesse. Stettero lì per un minuto, poi l’attenzione di Ellie fu attratta da qualcosa alla sua destra. “Cosa fa quetto, papà?”
Max fermò il dondolo e seguì il ditino puntato .
“Quello gira, gira in tondo e ti fa girare la testa.”
“Io posso fae quetto!” Max la mise in terra e la vide camminare sull’erba con le braccia allargate. Il suo vestitino rosa cominciò a gonfiarsi, mentre lei girava su se stessa e quando si fermò, barcollò stordita come un marinaio ubriaco. Cercò di mettere a fuoco il padre e disse “Vitto?” poi perse l’equilibrio e finì in terra.
“Certo che lo puoi fare!” Max la sollevò e la fece sedere sulla piattaforma di legno. “Reggiti forte.” Afferrò la barra di ferro e la spinse finché la ruota cominciò a girare sempre più forte. Allora saltò su e si lasciò cadere sulla schiena, guardando il cielo azzurro che girava. Sentì Ellie stendersi accanto a lui e la sua piccola mano stringere la sua.
“Come si chiama quetto, papà?”
“Non lo so.” Max scrollò le spalle. Si mise a sedere e cercò di guardare Liz, ma la sua immagine passava troppo veloce. “E’ una … cosa … che gira …”
Ellie si mise seduta come lui, con le sopracciglia aggrottate. Una cosa che gira?
“Liz, mi serve aiuto!” gridò Max. “Come si chiama questa cosa?” Anche Liz aveva una visione confusa, mentre la piatta forma girava veloce.
“Non lo so. “ rispose Liz. “Una giostra?”
“No.” Max scosse la testa. “Le giostre non hanno i cavalli, le macchine ed altre cose?”
“Cavalli?” si intromise Ellie. Lei amava i cavalli. “Voio andae sulla giotta.”
La velocità diminuì e Max prese Ellie, dicendole. “Ci potrai andare quando andremo al Luna Park.” Si alzò in piedi e saltò in terra e cominciò a sbandare verso destra, barcollando come aveva fatto Ellie pochi minuti prima. “Whoa!” rise mentre il mondo gli girava intorno.
“Fammi vedee quello!” insistette Ellie, puntando l’alto oggetto accanto alle altalene.
Max riguadagnò l’equilibrio, lanciando a Liz uno sguardo felice, che scuoteva la testa ridendo, e si diresse verso il box di sabbia. Strinse forte Ellie contro di se e disse “Tieniti forte. Passami le braccia attorno al collo così saliamo sulla scaletta. Poi faremo una scivolata!”
Max poggiò la mano sulla ringhiera e salì veloce i gradini. Arrivato in cima, allungò le gambe davanti a se e si sedette sulla rampa di metallo. Si sistemò Ellie in grembo e si spinse, ridendo forte alle urla di Ellie.
“Fa il solletoto!” strillò Ellie eccitata. Quando toccarono terra Max saltò in piedi ed Ellie gridò “Antoa! Antoa!”
Max diede un’altra guardata a Liz, con gli occhi ridenti, dandole la conferma di come fosse contagiosa l’eccitazione di Ellie. Corsero di nuovo alla scaletta e salirono ancora ed ancora Ellie gridò mentre scivolavano verso terra.
“Antoa! Antoa!” ma le sue manine spinsero il petto del padre e cominciò ad agitarsi tra le sua braccia “Fammi cendere! Oa lo faccio da sola!”
Max la guardò stupito e restò senza fiato “Vuoi andarci da sola?”
Ellie annuì e disse, insistente “Me lo so fae!”
Max fece un profondo sospiro e guardò la cima della scaletta. Lui poteva a malapena toccare la piattaforma dello scivolo e sua figlia voleva salire lassù da sola? Lanciò a Liz uno sguardo preoccupato e vide che nemmeno lei era tanto tranquilla.
Ellie lo spinse ancora e lui, riluttante , la fece scendere. Lei corse alla scaletta ed afferrò la ringhiera, come aveva visto are al padre e cominciò a salire. Era senza paura, nella sua determinazione, e Max si spostò preoccupato dietro di lei, pronta a prenderla se fosse caduta. Tratteneva il fiato ad ogni gradino che lei saliva, sicuro che il piede le sarebbe scivolato, lei sarebbe caduta e si sarebbe fatta male. Non poteva sopportare che si facesse male. Anche se sapeva che era solo un sogno, non poteva immaginare la sua reazione.
Lei arrivò in cima e Max salì un paio di gradini, per essere in grado di raggiungerla.
Quando arrivò in cima, Ellie si sporse in avanti e Max all’improvviso si trovo una paio di mutandine praticamente sulla faccia. Poi, con cautela, cercò di mettere i piedi in avanti e Max fu sicuro che il suo cuore avesse smesso di battere. “Stai attenta, piccola.” le disse preoccupato. “Tieniti forte!” Era agitato e preoccupato, e cercò di formare un campo di forza intorno a lei, perché la proteggesse dalle cadute.
Finalmente Ellie riuscì a posizionare le gambe ed allora un orribile pensiero colpì Max: come avrebbe fatto a stare contemporaneamente sulla scala per impedirle di cadere e alla fine dello scivolo per raccoglierla? Quando lei stava per lasciarsi andare, lui non fu abbastanza svelto da scendere dalla scala e raggiungere la fine dello scivolo. Guardò ancora verso Liz, pur sapendo che non poteva aiutarlo. Aveva le mani occupate da Matthew. Cosa doveva fare un padre?
Ellie era in cima allo scivolo e si dondolava in avanti e Max sentì il cuore arrivargli in gola. Comunque Ellie sembrava immobile lassù e lui ebbe un breve momento di tregua. Liz fece un passo avanti e disse velocemente. “Fammi un seggiolino per poter mettere Matthew. Di quelli che si portano davanti, come un marsupio. Così avrò le mani libere per prenderla.”
Max fece un sospiro di sollievo che almeno uno di loro fosse abbastanza intelligente da trovare una soluzione e, chiusi gli occhi lo visualizzò nella sua mente. Quando li riaprì, fu sollevato nel vedere che Liz aveva già sistemato Matthew, infilandolo nel marsupio e facendo uscire le manine dai buchi. Matthew accettò il cambiamento senza lamentarsi e Liz si mise in posizione alla fine dello scivolo.
“Papà!” si accigliò Ellie. “Non funzona.”
“Max,” Liz guardò in su verso di loro. “Le sue gambe sono appiccicate al metallo dello scivolo. Cambia il suo vestito in maglietta e pantaloni. Così scivolerà.”
“Che genere di pantaloni?” Max si grattò la testa. Come faceva a saperlo? Lui non aveva mai vestito Ellie prima. Lei arrivava nel sogno già vestita.
“Papà! Fallo funzonare!”
L’insistenza aumentava.
L’improvvisa immagine di Cindy Morgan, che indossava un paio di pantaloncini rosa di velluto a coste ed una maglietta bianca con i gattini si presentò alla sua mente e prima che se ne rendesse conto, i vestiti si materializzarono su Ellie. Lei avvertì il cambiamento e le sue mani tirarono la maglietta, per riuscire a vedere i graziosi gattini che aveva sul davanti.
“Ellie! Piccola! Stai attenta!” urlò Max quando la vide lasciare la presa dai bordi dello scivolo.
“Papà, l’hai fatto tu quetto?” si girò per guardarlo e Max fu certo che lo stava spingendo nella tomba. Salì rapidamente la scaletta e l’afferrò per la vita, facendo un sospiro di sollievo. Lei lo baciò sulla guancia e indicò i gattini sulla maglietta, dicendo “Gazie!” Le piacevano i gattini.
“Di nulla.” Max la baciò sulla fronte, poi guardò Liz ed alzò gli occhi al cielo. Come poteva un uomo sopravvivere alla paternità? Fece un sospiro e chiese alla piccola “Sei pronta?”
“Si!” Ellie annuì entusiasta. Si dondolò ancora una volta in avanti e spalancò gli occhi quando cominciò a scivolare. Max le diede una piccola spinta e lei urlò deliziata, finendo dritta nelle braccia tese di Liz. Max sospirò di sollievo quando la vide arrivare sana e salva, e ricominciò a stare in tensione quando lei tornò di corsa nella sua direzione gridando. “ANTORA, PAPA’!”
Max sospirò e scese dalla scaletta, sorridendole come se avesse fatto una bella cosa. Lei poteva anche averlo anche fatto morire di paura, ma almeno sembrava che avesse finalmente imparato a pronunciare la ‘R’.”

***

Max e Liz si dondolavano pigramente sulle altalene, con le braccia tese uno verso l’altra e con le dita intrecciate, mentre Ellie giocava lì accanto, sulla sabbia. Tutto sembrava procedere bene e Max sapeva che era l’ora di fare il passo successivo.
“Come inizio, penso di introdurre solo un paio di persone, per vedere come reagisce.” disse Max sereno, mentre sorreggeva Matthew nel marsupio. Avevano deciso che lui avrebbe portato il bambino e si sarebbe concentrato per allargare il sogno, mentre Liz sarebbe stata accanto ad Ellie, nel caso si fosse spaventata o fosse diventata ansiosa.
“Hai deciso chi vuoi far entrare per primo?” chiese Liz.
Max annuì, “Ho deciso di portare Annie e Amber. Amber ha la stessa età di Ellie e i bambini sono sempre attratti dagli altri bambini. se va tutto bene, aggiungeremo qualcun altro.”
“Mi sembra una buona idea.” Liz gli strinse la mano per incoraggiarlo. “Se impronto?”
Max annuì e Liz gli lasciò andare la mano. Si alzò dall’altalena e si lasciò cadere nella sabbia accanto ad Ellie, mentre Max chiudeva gli occhi cercando di concentrarsi. Gli ci volle un attimo per creare le loro immagini, Annie seduta su una panchina alla fine del box di sabbia e Amber, vicina a lei, che correva a quattro zampe sulla sabbia. Max concentrò le sue energie su Amber, volendo che sembrasse più realistica possibile.
“Cosa stai facendo?” Liz vide Ellie che faceva un ponticello di sabbia. Poteva vedere Amber con la coda dell’occhio e stava aspettando che Ellie si accorgesse di lei.
“Nente.” disse lei e puntò un dito sul ponticello. “Vedi cosa posso fare?" Il suo dito brillò e la sabbia prese la forma di un gatto con la coda alzata.
“Ellie, è bellissimo!” sorrise Liz.
“E quetto,” Ellie puntò il dito su un altro mucchietto di sabbia “Quetto è Mr. Wiggles.”
“Mr. Wiggles?” Liz alzò un sopracciglio. Ellie stava rivelando qualche pezzettino della sua vita? Era un animaletto? “Chi è “Mr. Wiggles?”
“E’ …” Ellie guardò sua madre e si fermò all’improvviso. Liz la vide lanciare uno sguardo oltre la sua spalla e poi vide un piccolo corpo trotterellare nella sua direzione. Ellie si avvicinò a sua madre e sussurrò “Cos’ è quetto?”
“Questa è Amber.” le sussurrò indietro Liz. “Credo che voglia giocare. Vuoi giocare con lei?”
“Lei chi è?” Ellie sbirciò intorno a Liz.
“Un’amica.” spiegò Liz. “Guarda lì.” e le indicò la panchina. “Quella è la sua mamma, Annie. Anche lei è un’amica.” Liz agitò la mano per salutare e Annie ed Amber le ricambiarono entusiaste il saluto.
“Oh.” Ellie si avvicinò a Liz ancora di più. L’ombra di Amber le raggiunse e Ellie alzò lo sguardo per vedere una bambina con un casco di riccioli biondi e gli occhi azzurri.
“Ciao!” esclamò Amber. Era più piccola di Ellie, non aveva ancora due anni e Liz sperò che Ellie non si sentisse intimidita da lei.
“Ciao, Amber.” disse Liz, poi guardò sua figlia. Fino a qui tutto bene. Lanciò un’occhiata di incoraggiamento a Max, poi riportò l’attenzione sulle due bambine. “Sei venuta a giocare al parco, oggi?”
“Si.” annuì Amber, poi si mise in ginocchio di fronte ad Ellie. “Vuoi giocare con me?”
Ellie guardò Liz, poi di nuovo Amber e disse esitante “Okay.”
Liz fece un sorriso a Max e sospirò di sollievo. Amber non l’aveva spaventata. Era un buon segno.
“Vuoi vedere le anatre?” chiese Amber.
Anatre? Ellie guardò ancora una volta sua madre, e quando Liz annuì incoraggiandola, Ellie fece altrettanto.
“Vuoi dare da mangiare?” chiese Amber, col tono di voce eccitato dalla prospettiva.
“Okay.” rispose ancora Ellie, più veloce della prima volta. Lei non sapeva cosa fosse un’anatra o cosa mangiasse, ma l’avrebbe scoperto presto. Amber si alzò in piedi ed Ellie fece altrettanto, con Liz che le seguì e si diressero verso il vialetto pavimentato che portava allo stagno. Liz le seguiva ad un passo, camminando lentamente per dare a Max il tempo di raggiungerla. Il suo cuore saltò un battito, aspettando la sua reazione, quando vide Amber allungare la mano e prendere quella di Ellie. Questo era il momento in cui con Isabel le cose si erano messe male, quando lei aveva cercato di toccare Ellie e l’aveva spaventata facendola scomparire.
Ellie guardò la piccola mano che toccava la sua e si guardò alle spalle. Sua madre e suo padre erano proprio dietro di lei e sorridevano e, lei non ne era ancora sicura, ma cominciava a pensare che era bello avere qualcuno piccolo con cui giocare.
“Io ho un fratello grande.” le disse Amber. “E’ laggiù.”
Ellie guardò nella direzione che lei stava indicando e vide un ragazzino che stava sopra qualcosa e che spingeva un piede per andare più veloce. Lo vide salire su una rampa, volare in aria, poi girarsi e tornare a terra.
“Si chiama Joey ed ha sempre uno skate board con lui.”
“Ante io ho un fratello.” sorrise Ellie. “Sta in braccio a papà, lì dentro.” E puntò il dito verso il marsupio che Max aveva sul petto. “Dorme tutto il tempo. Lui è piccolo.”
“Mio padre è lì.” E Amber indicò la panchina dove Annie era seduta. Ora con lei c’era Josh, e si stavano baciando.
“Le mamme e i papà si baciano sempre!” ridacchiò Ellie.
Liz strinse la mano di Max e gli sorrise. Stava andando tutto alla grande. Max le sorrise in risposta, ma lei percepì qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che la lasciò preoccupata.
“Stai bene?” gli sussurrò.
“Si.” rispose. Ma si rese conto che questa risposta non l’avrebbe soddisfatta, così le disse la verità. “Ci vuole un sacco di energia per far sì che tutte queste cose accadano insieme.”
Liz si guardò intorno e vide che oltre a Josh, Annie e Joey, lui aveva aggiunto altre persone. Michael e Maria stavano facendo un picnic sull’erba. Isabel e Alex stavano camminando tra le aiuole. Carl e Rachel stavano su una panchina davanti a lori, che tiravano le noccioline agli scoiattoli.
“Ma come ti senti?” Liz non riuscì a non far trasparire la preoccupazione dalle sue parole. Stava andando tutto bene, ma lei non voleva che Max si indebolisse o si sentisse male. Non sapevano che conseguenze avrebbe potuto avere su di lui.
“Sto bene.” le fece un veloce sorriso. “Abbiamo fatto bene a cominciare in piccolo, iai, devo solo abituarmi.” Non voleva che si preoccupasse per lui, ma la verità era che stava abusando delle sue forze. Era stato facile finché si era trattato solo di lui, Max, Ellie e Matthew. Loro tutti erano reali e lui non aveva bisogno di guidarne le azioni, ma quando aveva aggiunto gli altri, aveva cominciato ad accusare la stanchezza di avere così tanta gente che doveva fare cose differenti, tutte azioni controllate da lui. Era intenzionato a reggere più che poteva. Aveva capito di avere aperto una breccia con Ellie che permetteva ad Amber di starle così vicina. e non voleva fermarsi proprio ora.
“Se non ce la fai, Max, sarà meglio fermarsi.” insistette Liz. “C’è sempre domani, o il giorno dopo.”
“Va tutto bene, Liz.” Max cercò di rassicurarla. “Voglio andare più avanti possibile.”
Sentirono uno squittio di gioia e Liz si voltò per vedere Ellie circondata da uno stormo di anatre, vicino alla riva dello stagno. Diede uno sguardo d’intesa a Max, che le sorrise. Stanchezza o non stanchezza, lui voleva che Ellie si divertisse, imparasse cosa era il mondo. Sentire Ellie che rideva gli faceva bene all’anima.
“Ci serve un po’ di pane.” osservò Liz. Aveva appena finito di dirlo, che una pagnotta si materializzò tra le sue mani e lei andò ad unirsi alle ragazze. Qualcuna delle anatre era molto grossa ed Ellie si avvicinò alle gambe della madre, finché non prese confidenza. Non ci volle molto perché venissero a prendere il pane dalle sue mani.
Max, rincuorato dai tanti progressi che sentiva di aver fatto con lei, si spinse un po’ troppo oltre. Cindy Morgan apparve poco oltre il cerchio delle anatre, seguita dalla mamma e chiese “Posso dare anch’io da mangiare alle anatre?”
Ellie alzala testa al suono della nuova voce e vide una bambina poco più grande di lei, con i capelli biondi legati in una coda di cavallo e occhi azzurri che la fissavano. Ellie fece un passo verso la madre, fino a che non si accorse che la nuova bambina indossava i suoi stessi vestiti. Guardò verso i gattini rosa della sua maglietta e poi i gattini sulla maglietta della bambina e disse “Portiamo la ttessa cosa! Ti piacciono i gattini?”
Cindy si fece largo tra le anatre e si fermò ad un passo da Ellie. “I gattini sono i miei preferiti. Ho un nuovo gattino, ora. Si chiama Smokey.”
“Io ho Mr. Wiggles.” disse Ellie orgogliosa.” Ma lui non è un gattino.” Ellie allungò a Cindy un pezzo di pane e tutte e tre le bambine dettero insieme il pane alle anatre affamate.
Liz tornò verso Max e fece scivolare la mano in quella di lui. Era eccitata che Ellie avesse ancora una volta menzionato Mr. Wiggles, offrendo volontariamente una informazione della sua vita reale, che in passato aveva tenuto accuratamente nascosta.
“Hai sentito, Max?” disse sottovoce.
Max annuì e replicò “E’ un buon segno. Non è il tipo di informazione che ci aiuterà a ritrovarla, ma è comunque un segno che lei si sta aprendo.”
Ellie finì l’ultimo pezzo di pane e andò verso il padre per chiederne dell’altro, quando all’improvviso si fermò. Dietro di lui, in lontananza, seduta su una panchina del parco c’era una persona a lei molto familiare, una presenza che la allarmò molto. Cosa ci faceva lì Mary? Mary conosceva questo parco? Ellie corse verso di lei, eccitata che fosse lì, ma l’emozione della sorpresa la fece scivolare fuori dal sogno.
“Ellie!” chiamò Liz, intenzionata a correrle dietro, ma poi l’aria vibrò e lei semplicemente scomparve.
“Ellie!” gridò mentre lei scompariva, poi si fermò delusa.
Max vide la malinconia di Liz, ma l’improvvisa sparizione di Ellie dal sogno non lo stupì. Qualche volta succedeva. Un minuto era lì, un minuto dopo era scomparsa. La cosa che l’aveva sorpreso era stato il comportamento di Ellie prima di sparire. Verso cosa stava correndo?
“Mi chiedo cosa sia di tutto questo.” disse Max a voce alta e i suoi occhi corsero per il parco. Amber e Cindy erano ora immobili, nel gesto di dare il pane alle anatre. La mamma di Cindy era poco lontano, con un sorriso inciso nello sguardo vigile. Girandosi, vide una figura anziana seduta su una panchina, la signora con la quale aveva parlato il giorno che aveva ritrovato la piccola Cindy. Dall’altra parte della panchina c’era una mamma con due bambini, anche loro presenti quel giorno. Guardando a sinistra, vide Carl seduto come una statua su un’altra panchina, dopo aver appena tirato una nocciola agli scoiattoli. Dietro di lui c’erano Isabel e Alex, Michael e Maria, nulla che a sua mente notasse insolito.
“Probabilmente è stato quello.” Liz puntò un dito verso una palla di pelo nell’erba. Guardando verso Max, disse “Presumo che sia Smokey?”
Max vide il familiare gattino grigio seminascosto dall’erba e sorrise “Si, è Smokey, il gattino adottato dai Morgan dopo l’incidente di Cindy.”
Anche se stava sorridendo, Liz vide la stanchezza sul viso di Max, e si rese conto che era tempo che il sogno finisse. Prendendogli le mani tra le sue, si tese in avanti e lo baciò, poi disse “Andiamo a casa, ora.”

L’aria intorno a loro ondeggiò e si scurì e Liz si ritrovò all’improvviso nella loro camera da letto, ancora con Matthew tra le braccia. Si sentiva soddisfatta dal fatto che il sogno fosse andato così bene, che Ellie avesse fatto tanti progressi, e so girò per guardare Max, eccitata e incoraggiata, quando improvvisamente lo sentì crollare contro di lei.
“Max?” lo chiamò, sentendo qualcosa di anormale, e avendone la conferma quando lo guardò in faccia. I suoi occhi fissavano il vuoto, il suo colorito pallido e i suoi lineamenti rilasciati. Si appoggiava su di lei a peso morto, come se fosse stato incapace di stare seduto dritto con le sue forze, poi scivolò sul letto, disteso su un fianco. Max cercò di risollevarsi, poi cadde all’indietro, senza più avere la forza per muoversi.
“Max?” gridò Liz, cola la paura che le cresceva dentro. Cosa non andava in lui? Posò Matthew da un lato del letto e di chinò sopra il marito, scuotendolo per le spalle e tentando di svegliarlo. “Max, parlami!”
“Liz …” riuscì a malapena a pronunciare il suo nome. Era vagamente conscio della mano di lei che si posava sulla sua spalla e gli carezzava la faccia, poi tutto cominciò a scomparire.
“Per favore, Max …” Liz fu colta dal panico. “Dimmi cosa ti senti! Max!” Lei non l’aveva mai visto in questo stato prima di allora.
“Stanco …” le parole furono a malapena udibili, mormorate con il viso contro le lenzuola. “Tanto stanco …” poi perse conoscenza.

Capitolo 93

Liz era ai piedi del letto e guardava Rachel che stava visitando Max. Giaceva insensibile nel letto fina da quando era svenuto, o aveva perso coscienza, o qualsiasi cosa gli fosse accaduto. Aveva chiamato Rachel appena si era resa conto che no riusciva a svegliarlo e lei si era precipitata, con Carl al seguito. Lui aveva aiutato Rachel a cambiare la posizione di Max perché lei potesse visitarlo e solo dal modo di comportarsi delle due donne, gli sguardi preoccupati, il silenzio nella stanza, Carl aveva capito che tutto questo non era normale.
Togliendosi lo stetoscopio dalle orecchie, Rachel chiese a Liz “Raccontami cosa è successo.”
“Stavamo passeggiando nel sogno con Ellie.” cominciò Liz. “E’ stato il suo primo tentativo di allargare il sogno e aveva deciso di collocarlo al Coyote Canyon Park, perché ci siamo stati da poco ed il ricordo era ancora fresco nella sua mente. Stava andando tutto bene, ma lui ha continuato ad aggiungere persone e io mi sono accorta che cominciava ad essere stanco. Non ha voluto smettere perché ha pensato che stavamo facendo tanti progressi con Ellie.”
Liz si sentiva un groppo in gola, il pianto che stava per sopraffarla, il senso di colpa perché aveva lasciato che Max si spingesse troppo oltre. Se lui ne avesse subito un danno serio, lei non se lo sarebbe mai perdonato.
Avvertendo la sua sofferenza, Carl si portò alle sue spalle e l’abbracciò in un gesto di conforto. Poteva vedere come fosse preoccupata, lei si appoggiò contro di lui. Sapeva come Liz fosse forte e vederla sul punto di smarrirsi era solo la misura di come fosse spaventata.
“E poi?” la incitò Rachel per saperne di più. Stava puntando una luce negli occhi di Max, per saggiarne la risposta.
“Ha detto che voleva continuare.” disse Max con le mani appoggiate sulla gola. “Ha aggiunto altra gente al sogno. Voi due,” guardò da Rachel a Carl, “e sua sorella Isabel. E Alex, Michael e Maria. E ha aggiunto altra gente che ricordava di aver visto al parco prima. Stava cercando di riempire il sogno perché Ellie potesse abituarsi ad avere gente attorno.”
“E poi?” chiese Carl. La sua mente investigativa stava cercando di mettere insieme i pezzi. Era successo qualcosa nel sogno che aveva causato in Max questa reazione? Il suo collasso era legato a qualcosa relativo al sogno o era stato causato soltanto dallo sforzo? “C’era qualcosa di strano nel sogno? O nel modo come è finito?”
“Veramente, tutto era insolito.” Liz guardò verso di lui. “Il posto del sogno era una novità. Avere nel sogno altra gente era una novità. Voglio dire, era questa l’intenzione. Portare Ellie in un posto che non avesse mai visto prima e farle incontrare altra gente che non avesse mai visto prima. Stava andando tutto bene. Meglio di come avessimo sperato.”
“Cosa mi dici del modo in cui è finito?” la pressò lui.
“Ellie ha lasciato il sogno all’improvviso, ma non è la prima volta. Non è insolito per lei svanire all’improvviso. Le prime volte è stato sconcertante, ma ormai ci siamo abituati.”
“Cosa ha provocato la sua sparizione?” insistette Carl, cercando di chiarirsi il quadro.
“Sembrava che stesse seguendo un gattino.” Liz cercava di rivedere la scena nella sua mente. “Il gattino di Cindy Morgan. E poi è scomparsa dal sogno all’improvviso.”
“Capisco.” annuì Carl. Aveva un senso. Non c’era nulla di strano in un bambino che inseguiva un gattino. Bastava chiederlo a Cindy Morgan.
Rachel lasciò andare la palpebra di Max e rimise a posto la luce. Si alzò dal letto, sistemando le lenzuola intorno a Max, e raggiunse Liz ai piedi del letto. Le strinse la spalla e disse piano “Max starà bene. E’ soltanto esausto. Credo che passeggiare nel sogno abbia consumato tutte le sue energie e ora ha bisogno di riposo per recuperarle. Il cuore è forte, i polmoni sono liberi, i riflessi buoni. Non c’è segno di sofferenza o danni cerebrali. Prima di svenire ha detto che era stanco, vero?”
“Si.” Liz era ancora enormemente preoccupata, ma la prognosi di Rachel era stata un sollievo. “Ha detto di essere ‘stanco, tanto stanco’ poi ha perso conoscenza.”
“Non mi sorprenderei se dormisse tutto domani.” disse Rachel per rassicurarla. “Ha bisogno di riposo, ma quando si sveglierà, starà bene. Tutto quello che posso dire è che ha bisogno di imparare a dosare le sue energie. So che volete disperatamente riportare Ellie a casa, ma quella bambina avrà bisogno di un padre tutto intero il giorno che accadrà. Sfinirsi in questo modo non le sarà di nessun aiuto. C’è bisogno che tu glielo faccia capire.”
“Oh, credimi,” disse Liz determinata. “Mi sentirà, appena sarà sveglio.”

***

“Mary?” disse Ellie guardandola rompere le uova nella tazza.
“Si, cara?” rispose Mary, allungandosi per prendere un altro uovo. Guardò Jenny, pensando di aver sentito una nota triste nella voce della piccola. C’era qualcosa che non andava?
Ellie era seduta su uno sgabello della cucina e guardava Mary che preparava la colazione. Il suo papà le aveva detto e ridetto di essere prudente e di non lasciare che nessuno capisse che lei era speciale o di mostrare le cose speciali che lei sapeva are.
Il sogno della scorsa notte era ancora fresco nella sua mente e Mary ne aveva fatto parte. Mary conosceva il suo papà? Il suo vero papà? Mary avrebbe potuto portarla al parco, in modo che il suo vero papà avrebbe potuto trovarla?
“Um …” esitò.
“Cosa c’è Jenny?” chiese Mary, dando alla bambina la sua piena attenzione.
Ellie la guardò, sapendo nel suo cuore che Mary non era come il papà Dottore. “Puoi portarmi al parco?”
“Oh, tesoro,” Mary la guardò con tristezza. Avrebbe voluto portare Jenny a fare una passeggiata nel parco con tutto il cuore, ma sapeva che era impossibile. Povera bambina! “Non possiamo, Jenny. Mi dispiace. Forse un giorno, ma non adesso.”
“Oh.” Jenny abbassò gli occhi sul piano di lavoro.
Mary guardò la bambina, chiedendosi se fosse stato il Dottore a parlarle del parco dall’altra parte della strada. Lei non le parlava di proposito di tutto quello che c’era fuori, proprio per non opprimerla ulteriormente. Lei aveva letto qualcosa sul Morbo di Gunther ultimamente, fermandosi alla biblioteca di domenica pomeriggio, dopo essere andata a trovare Martha, sforzandosi di conoscere meglio la malattia.
A tal proposito, voleva parlare col Dottore circa la possibilità di far uscire Jenny di notte, così che potesse sapere come era il mondo al di fuori. Capiva che Jenny era ancora piccola, ma forse potevano fare qualcosa in futuro, quando fosse stata un po’ più grande. Sapeva che se non ci fossero state le visite alla sorella, lei stessa sarebbe impazzita tra quelle quattro mura. Quando Jenny sarebbe stata più grande, l’isolamento le avrebbe fatto lo stesso effetto.
“Jenny, un giorno, il tuo papà troverà il modo di farti stare meglio.”
Il rumore di passi che si avvicinavano fece ritirare Ellie in se stessa, perché non voleva che il papà Dottore sentisse quello di cui stavano parlando. Papà Dottore non era buono come Mary.
“Mary?” chiamò Johnson, seguendo il buon odore della colazione che proveniva dalla cucina. Lei era certamente un’ottima cuoca. Sarebbe stato difficile rimpiazzarla, quando lui e Jenny se ne fossero andati. “Che profumo meraviglioso.” Si sentiva l’acquolina in bocca, mentre si avvicinava alla cucina e l’aroma si intensificava. “Ahhh,” sorrise. “Cialde! Le mie preferite!”
“Buon giorno, Dottore.” sorrise Mary. “La colazione è quasi pronta.”
Lui guardò l’orologio e disse “Credo di avere giusto il tempo di assaggiarne una, poi devo scappare.”
“Ha un appuntamento?” chiese Mary.
“Si.” Johnson annuì. “Al college. Ho ancora due studenti da intervistare prima di decidere chi assumere come assistente di ricerca.”
“Davvero?” Mary mise le uova sbattute nella tegame, per cuocerle. Sarebbe stato strano avere qualcun altro intorno, dopo che per tanto tempo c’erano stati solo loro tre.
Devo are quel viaggio in California il più presto possibile.” le ricordò Johnson. “Voglio avere qualcuno sul posto, prima di partire.” Non avrebbe voluto dirglielo, ma se nel suo viaggio a San Francisco fosse andato tutto bene, lui e Jenny sarebbero partiti molto presto. Non vedeva l’ora di cominciare la loro nuova vita.
Mary finì di preparare la colazione col sorriso sulla faccia, proprio come faceva da due anni e mezzo, felicemente ignara del destino che l’aspettava.

***

Johnson era seduto nella Sala convegni della Facoltà di Scienze dell’Università. Davanti a lui erano disposte sei cartelle contenenti i dati scolastici ed altre informazioni di rilievo dei candidati che stava intervistando. Quattro li aveva già incontrati il giorno prima.
Brain Foster. Minh Nguyen. Mario Sanchez. Victoria Austin. Gli ultimi due li avrebbe incontrati tra poco.
Tracy Coleman, la prima che avrebbe incontrato quella mattina, seguita da Takashi Sasaki.
Erano i migliori studenti della loro branca di studio. Virologia. Immunologia. Nanotecnologia. Microbiologia. per un fuggevole momento si chiese chi fosse la studentessa che Rawlings gli aveva raccomandato così caldamente, quella che aveva rifiutato l’offerta per motivi familiari. Se era ancora più qualificata degli studenti che stava intervistando, doveva essere quasi un genio. In effetti la sua scelta sarebbe stata difficile.
Comunque c’era una cosa in Tracy Coleman che avrebbe fatto pendere la scelta in suo favore. Dopo che Rawlings gli aveva inviato per fax le informazioni richieste, Johnson aveva fatto qualche ricerca per conto suo. Ci sono un sacco di cose che puoi sapere di una persona se tu sai cosa cercare e dove cercare. Tracy era orfana. E non aveva altri parenti conosciuti.
Se le cose non fossero andate per il verso giusto e lei fosse semplicemente sparita, chi se ne sarebbe accorto? per un uomo nella sua posizione, questa informazione era importante. Imperativa. Trovare la soluzione alle sue ricerche, portare a termine il suo impegno era importante, ma non importante come coprire le sue tracce. Quando sarebbe partito da Phoenix, voleva lasciarsi alle spalle tutto il suo passato.
Non voleva affrontare la sua nuova vita con la necessità di guardarsi perennemente alle spalle come faceva ora. chiedendosi se il suo castello di carte sarebbe caduto. No. Se San Francisco fosse andato in porto, non voleva nulla che lo legasse al passato, e questo includeva tutti quelli che lo conoscevano da vicino.
I pensieri di Johnson si interruppero quando la porta si aprì e il Professor Rawlings entrò, accompagnando una giovane donna. Con la mano poggiata sulla spalla di lei, la spinse avanti e fece le presentazioni.
“Dr. Sinclair, questa è Tracy Coleman. Tracy, il Dottor Robert Sinclair.
“Piacere di conoscerla, Dotttor Sinclair,” Tracy stese la sua mano per salutare.
“Il piacere è mio.” sorrise Johnson e le strinse la mano. Lei aveva certamente l’aspetto dello scienziato. Abiti semplici, scarpe semplici, capelli color topo tirati all’indietro, occhiali sul naso. “La prego, si sieda.”
“Bene, vi lascio soli.” Rawlings si diresse verso la porta. “Mi lasci solo aggiungere,” aggiunse, con la mano sulla maniglia della porta. “Tracy è una delle due migliori studenti della sua classe. Lei e la sua partner di laboratorio faranno grandi cose in futuro.”
Tracy si sentì arrossire al complimento che le aveva fatto il Professore. Riponeva grandi speranze il quel lavoro e l’esperienza pratica che ne sarebbe derivata. Era contenta che la sua partner di laboratorio non fosse disponibile per l’estate e non avesse accettato. Liz sarebbe stata scelta ad occhi chiusi.

***

Ellie era seduta al tavolo della cucina con una matita in mano e il blocco da disegno aperto davanti a lei. Le piacevano i giorni come questo, quando erano da sole lei e Mary, e il Dottore non c’era. Stette un momento a pensare, cercando di decidere cosa disegnare, poi un sorriso le addolcì la faccia e puntò la matita sul foglio.
Mary si infilò un paio di guanti di gomma e passò accanto alla tavola per andare verso il lavandino. Guardando oltre la spalla della bambina, le chiese “Cosa vuoi disegnare, oggi?”
“Un’anatra.” sorrise Ellie.
“Un’anitra, huh?” sorrise Mary. Aveva dato un’occhiata ad un libro di animali nella biblioteca locale, uno che pensava sarebbe piaciuto a Jenny. Forse l’avrebbe preso per lei, quando sarebbe uscita domenica prossima. Le piaceva portarle cose che avrebbero potuto aiutare Jenny ad ampliare il suo piccolo mondo.
Ellie guardò Mary che puliva il lavandino, sentendola canticchiare sottovoce. Ora che erano sole, finalmente poteva chiedere a Mary, quello che non aveva potuto chiederle prima.
Posando la sua matita. Ellie chiese “Mary, tu conosci il mio papà?”
Mary lasciò a metà quello che stava facendo, chiedendosi di cosa stesse parlando Jenny. Non aveva capito lei o Jenny aveva espresso male la sua domanda? Girandosi a guardare la bambina, Mary rispose “Ho conosciuto tuo padre quando tu eri molto piccola. Aveva bisogno di qualcuno che si fosse presa cura di te, così sono venuta a vivere qui.” Loro non l’avevano mai tenuto nascosto a Jenny. La bambina sapeva che lei e Mary non erano parenti.
“Voglio dire …” Ellie fissò Mary. “Il mio papà vero.”
“Il tuo …?” Mary fissò a sua volta la bambina chiedendosi di cosa stesse parlando. Papà vero?
“Il mio vero papà.” insistette Ellie. “Nel mio sogno, ho visto te con il mio vero papà.”
Ellie vide che Mary spalancava gli occhi e allora sfogliò il suo album per mostrarglielo. Lei trovò il disegno, chiaramente infantile, di Max e glielo indicò. “Lui. Papà.”
“Oh.” Mary lasciò andare il respiro che aveva trattenuto. Jenny aveva una tale immaginazione. La rattristava il pensiero che lei si riferisse alla famiglia che si era creata, come se fosse quella vera. La povera piccola desiderava una vita normale, una vita che purtroppo non avrebbe mai potuto avere.
“C’eri anche tu, nel mio sogno.” le disse Ellie. “Ti ho vitto mentre davo da mangiare alle anatre.”
“Tesoro,” Mary si tolse i guanti e si sedette accanto a lei. “Era solo un sogno. Non era vero, cara. Tutti sogniamo di notte, ma al mattino ci svegliamo. Questa è la realtà, qui, con il tuo papà e me. Questa, “ e le indicò l’album. “è solo una fantasia.”
“Ma …” cominciò a dire Ellie, ma Mary la interruppe.
“Perché non metti via l’album, cara, e mi aiuti a preparare il pranzo? Hai fame?”
Ellie guardò per un attimo Mary, poi chiuse la copertina dell’album. Mary rimise i colori nella scatola e gliela porse, poi la guardò riportare le cose nella sua stanza. Si sentiva in qualche modo infastidita che Jenny si pensasse alla sua famiglia immaginaria come a quella vera, ma probabilmente era solo una fase che stava traversando, dovuta all’isolamento in cui viveva.
nella sua stanza, Ellie posò l’album e i colori sulla scrivania, ripensando a quello che le aveva detto Mary. Lei sapeva che mamma e papà erano veri, ed erano lì fuori da qualche parte. sapeva che il suo papà stava cercando di riportarla a casa.
Non era solo un sogno … o sì?

Capitolo 94

Liz sedeva sul bordo del letto e guardava Max mentre dormiva. Negli ultimi minuti era diventato più irrequieto e Liz pensò che finalmente stava dando segni di ripresa. Si stirò e si girò sull’atro lato, poi le sue palpebre cominciarono a battere. Si aprirono lentamente, con aria assonnata, poi sbadigliò e si stirò ancora. Quando la vide seduta sul letto, sorrise e, strofinandosi gli occhi col dorso della mano, le disse “Hey, tu. Che ore sono?”
“Le sette e cinque.” rispose Liz, dopo aver guardato il piccolo orologio sul comodino.
“Le sette e cinque?” Max spalancò gli occhi e cercò di mettere a fuoco l’orologio. “Perché non mi hai svegliato? Farò tardi al lavoro!” Si mise svelto a sedere e fu preso da un capogiro.
“Max.” Liz lo prese per le spalle. “Non sono le sette di mattina. Sono le sette di sera. Hai dormito tutto il giorno.”
“Cosa?” alzò la testa per guardarla. Come poteva essere?
“Come ti senti?” gli chiese e sollevò la mano per accarezzargli la guancia.
“Bene … credo … cosa ?” L’ultima cosa che ricordava era il sogno e Ellie che dava da mangiare alle anatre, poi … più … niente. Si passò la mano tra i capelli, increspando la fronte e chiese “Cosa è successo?”
“Ti senti bene?” chiese Liz preoccupata. “Normale?”
“Mi sento un po’ intontito.” ammise Max. “Una sensazione strana, non lo so, come se avessi bevuto.” Lui si era ubriacato solo una volta nella sua vita, ma era stato sufficiente per giurare che non avrebbe mai più bevuto. Il suo metabolismo alieno non sopportava l’alcol.
“Ed è tutto?” chiese Liz.
“Si.” Max tentò, senza successo, di trattenere un altro sbadiglio.
“In questo caso …” Liz si alzò in piedi e si piantò le mani sui fianchi. Si chinò su di lui, con gli occhi fiammeggianti e gli urlò “NON FARLO MAI PIU’!”
“Cosa?” Max la guardò senza capire. Cielo se era arrabbiata! I suoi occhi andavano a fuoco! Che diavolo aveva combinato la notte scorsa? Aveva per caso bevuto qualche cosa? Era per questo che Liz era così adirata? Era per questo che si sentiva così? Ed era per questo che non si ricordava niente? Come poteva essere successo? Loro non tenevano bevande alcoliche in casa.
“Giuro su Dio, Max, se tu mai …” Liz era di nuovo pronta ad urlare.
“Liz! Cosa ho fatto?” chiese mesto, come un ragazzino che si era messo nei guai.
“Tu lo sai quanto mi hai fatto preoccupare?” Liz stava per scoppiare. Lei lo sovrastava come un fuoco infernale e lui si fece piccolo nel letto. Qualsiasi cosa avesse fatto, l’aveva combinata grossa.
“Liz …”
“Tu lo sai quanto hai fatto preoccupare tutti?”
“Liz …”
“Lo sapevi che ti stavi spingendo troppo oltre, ma lo hai fatto lo stesso!”
“Liz …” Max fissava il dito che lei gli puntava contro il viso ma lei non gli lasciava dire una parola.
“Ho dovuto chiamare Rachel!”
“Rachel?”
“Ho pensato che stavi MORENDO! Non spaventarmi MAI PIU’ in questo modo!”
“Mi disp …”
“Sono stata sveglia tutta la notte per controllare che respirassi ancora!”
“Cosa è suc …”
“Se non fosse stato per Rachel e Carl, non so cosa avrei fatto!”
“Carl?” squittì Max. Carl era stato lì? La scorsa notte? Gesù, aveva saltato un intero giorno di lavoro. Come avrebbe fatto a spiegarlo a Carl? Aveva messo a rischio il suo lavoro?
“Promettimi che non farai mai più niente di simile a te stesso!” gridò Liz.
“Liz …”
“PROMETTIMELO!”
“Te lo prometto!” riuscì a dire Max e le prese la mano. “Ma Liz …”
Le sue parole si interruppero ancora, quando lei gli si gettò tra le braccia e seppellì il viso contro il suo petto. Max la sentiva tremare e sospettò che fosse sia a causa della rabbia che della paura. Cosa diavolo aveva fatto la notte scorsa?
“Liz.” la prese per le spalle e l’allontanò quel tanto che bastava per guardarla in faccia. “Ti prometto tutto quello che vuoi, ma se vuoi che lo mantenga sarà meglio che tu mi dica cosa ho fatto, tanto per essere sicuro, che non possa rifarlo ancora.”
“Non te lo ricordi?” chiese Liz, con la voce che le tremava.
“L’ultima cosa che ricordo era Ellie che, nel sogno, dava da mangiare alle anatre.” Guardandola in faccia poteva vedere le lacrime che le riempivano gli occhi, pronte a scendere. Si sentì malissimo, sapendo che era lui la causa di quelle lacrime.
“Max, è stato il sogno.” il labbro inferiore le tremava. “Tu ti sei spinto troppo oltre, e il tuo corpo ha ceduto. Hai consumato così tante energie che quando il sogno è finito, tu sei svenuto. Hai perso conoscenza. Non sono riuscita a svegliarti. Dopo un’ora, non sapevo più cosa fare, così ho chiamato Rachel. Lei e Carl si sono precipitati ed è stato solo dopo che lei ti ha visitato che ho saputo che non stavi … che non stavi …” La voce le si fermò in gola. “che non stavi … morendo …”
“Liz, amore, mi dispiace” Max la strinse ancora.
“Mi sono così spaventata, quando non sono riuscita a svegliarti.” Il mento le tremava contro il petto di lui. “Non sapevo cosa non andasse, o se ti saresti mai svegliato.”
“Liz, calmati …” Max cercò di tranquillizzarla.
“Ho avuto paura di … perderti.” Le parole le morirono in gola.
“Liz, no. Sto bene. Va tutto bene.”
“Ero così spaventata …” singhiozzò Liz, bagnandogli la maglietta di lacrime.
“Zitta.” Max le passò le mani tra i capelli.
“Non potrei sopportarlo ancora, Max.” gridò Liz. “Promettimi che non lo farai mai più!”
“Liz, è l’unico modo che abbiamo per cercare di trovare Ellie …”
“Allora troveremo un altro modo!” Liz si staccò da lui. “Un modo che non metta in pericolo la tua salute! Io non voglio scambiare te con lei!”
“Va bene, va bene.” Max cercò di calmarla. “Hai ragione. Liz. Mi sono spinto troppo oltre, ma non sapevo cosa mi poteva succedere. La prossima volta starò più attento. La prossima volta, quando mi sentirò stanco, lascerò che il sogno finisca.”
“Me lo prometti?” Liz si asciugò un’altra lacrima che le stava scorrendo sulla guancia.
“Lo prometto.” Max la attirò ancora contro il suo petto, baciandola sulla testa, sia per confortare lei, che per calmare se stesso.
Non poteva rinunciare all’unico modo che conoscevano per raggiungere Ellie, ma sapeva anche che spingere troppo poteva essere pericoloso. Cosa sarebbe successo se loro avessero trovato quell’unico indizio che stavano aspettando, e lui fosse stato troppo stanco per seguirlo? Aveva bisogno di imparare a dosare le sue forze, per poter portare a termine il loro scopo, espandere il mondo di Ellie, ma in modo tale da non svuotare la sua riserva di energia al punto da non poter più agire.

***
Mary infilò la camicia da notte sulla testa di Jenny, poi le tirò fuori i capelli umidi, La piccola aveva appena fatto il bagno e si era lavata i denti, ed ora era arrivato il momento della storia della buonanotte. Passando la spazzola tra i folti capelli della bambina, Mary le chiese “Cosa vuoi che ti legga stasera, cara?”
“L’oniglio di velluto.” Ellie corse via da Mary e prese il libro dalla piccola libreria vicino alla scrivania.
“Il Coniglio di velluto? Sei sicura, tesoro?” chiese Mary. “Te l’ho letto anche ieri. Non vuoi che ti legga qualcos’altro?”
“No.” Ellie saltò sul letto ed infilò i piedi sotto la coperta. “Mi piace quetto.” Sistemò il cuscino e si stese, con la bambola sotto al braccio.
Mary sorrise, pensando alla testardaggine che la bambina dimostrava di tanto in tanto. Si sedette sul letto, accanto a lei, ed aprì la copertina del libro. la sua voce era dolce e tranquillizzante, quando cominciò a leggere. “C’era una volta un Coniglio di velluto, e all’inizio era veramente bellissimo …”
Mary leggeva il libro, sentendo il corpicino di Jenny accoccolato accanto a lei, sotto le calde coperte del letto. Amava questi momenti, quando le parole che leggeva ad alta voce, potevano portare Jenny in posti dove non era mai stata. Potevano perdersi entrambe nel mondo della fantasia, dove il sole non avrebbe danneggiato la sua pelle delicata e la bambina non sarebbe stata sola.
“Devo pensare che tu sia vero? disse il Coniglio.” Mary continuò a leggere le parole familiari. “Poi si pentì di averlo detto, pensando che il Cavallo di pelle era sensibile. ma il Cavallo di pelle sorrideva. ‘lo zio del ragazzo mi ha fatto diventare Reale’ disse, ‘E’ successo tanti anni fa, ma una volta che sei Reale, non puoi più tornare irreale, sei reale per sempre.’ Il Coniglio sospirò. Ci sarebbe voluto molto tempo perché quella magia chiamata Reale accadesse a lui. desiderava ardentemente diventare Reale, sapere cosa si provava …”gli occhi di Mary erano rivolti a Jenny, mentre la bambina si copriva la bocca per nascondere uno sbadiglio e chiuse la copertina del libro. “Per stasera basta, tesoro.” Si alzò dal letto e si chinò su Jenny, dandole con affetto un bacio sulla fronte, come faceva tutte le sere. “Sogni d’oro, Jenny.”
“Mary?” Ellie alzò le braccia per stringere il collo di Mary e darle un bacio sulla guancia.
“Si, cara?” Mary le sorrise.
Ellie la guardò in faccia, piena d’amore, e le disse in un sussurro “Quello non è il mio nome.”
Mary guardò stupita la bambina che amava più di ogni altra cosa al mondo. Non era il suo nome? Cosa cercava di dirle, affermando che Jenny non era il suo nome? Il letto scricchiolò quando lei tornò a sedersi, e prese la mano di Jenny nella sua. Con voce tranquilla le chiese “Cosa vuoi dire, cara?”
“Il mio nome.” Ellie continuava a sussurrare. Si sporse per guardarsi intorno ed essere sicura che il papà Dottore non fosse sulla soglia della porta, poi tornò ad avvicinarsi a Mary. “Un giorno, quando sarò reale, il mio nome sarà Ellie. E vivrò con mamma e papà e il mio fratellino Matthew. Ora è piccolo. E avremo un cagnoino di nome King e una grande casa nel sole.”
“Jenny …” Mary rimase senza parole.
“Un giorno, il mio papà mi troverà e poi io sarò reale.”
Mary guardò la faccia angelica della bambina e i suoi occhi cominciarono a riempirsi di lacrime. le prese il faccino tra le mani, non sapendo cosa dirle o come risponderle. Aveva sempre pensato che Jenny sopportasse bene la sua vita limitata ma, ovviamente, così non era. Si era creata una finta famiglia di carta, papà Max, mamma Tesoro e i loro bambini, Ellie e Matthew. Ma ora Jenny stava confondendo il suo vero mondo con la fantasia, pretendendo di inserire se stessa nella vita di una bambina che viveva solo sulla carta.
Forse era stata la storia del Coniglio di velluto, che voleva diventare reale, a portare Jenny in quella direzione. Era solo una fase, come un amico immaginario, che sarebbe passata crescendo? O era il sintomo di un disordine psicologico dovuto al suo isolamento?
“non dirlo al papà Dottore.” Ellie si mise il dito davanti alle labbra. “E’ un segreto. Il nottro segreto.”
I passi di Johnson risuonarono nel corridoio nella loro direzione e Mary credette di vedere lo sguardo di Jenny rabbuiarsi. Il sorriso radioso che era stato sulla sua faccia fino a pochi attimi prima, era scomparso, rimpiazzato da uno sguardo rassegnato.
Johnson entrò nella stanza, sorridendo alla bambina. “Pronta per andare a letto?” le chiese, traversando la stanza per dare ad Ellie il bacio della buona notte.
Mary rimase in piedi, quieta e pensierosa, a guardare l’uomo e la bambina che interagivano. Aveva sempre visto Jenny riservata, nei confronti di suo padre, e raramente l’aveva sentita chiamarlo papà. Infatti, ora che ci pensava, Jenny aveva sempre accompagnato la parola ‘papà’ con ‘Dottore’, come per distinguerlo da qualcun altro. Qualcuno come … il suo vero …padre?
No. Era una cosa pazzesca. Mary cacciò via il pensiero. Aveva bisogno di parlarne col Dottore. Se Jenny soffriva di qualche disordine psicologico, lui doveva essere messo al corrente, per poter intervenire.
Johnson baciò Ellie sulla guancia e le arruffò i capelli, alzandosi dal letto. “Dormi bene, amore! Sogno d’oro!”
“notte.” Ellie si sistemò sul cuscino, avvicinandosi la bambola.
Con un sorriso, Johnson uscì dalla stanza e Mary tornò accanto al letto, sedendosi accanto alla sua preziosa bambina. Si chinò su di lei per baciarla, quando un paio di piccole braccia le avvolsero il collo, accompagnate dalla dolcezza di piccole labbra che le baciavano la guancia.
“Ti voio bene, Mary.” Ellie le diede il bacio della buonanotte.
“Anche io ti voglio bene, tesoro.” Mary le passò la mano sulla guancia. “Dormi, ora.”
“Cordati,” disse Ellie in modo cospirativo. “Non dirlo a lui. E’ il nottro segreto.”
Mary carezzò la faccia della bimba e la baciò leggermente sulla fronte. Si alzò in piedi, traversò la stanza, poi si girò a guardare Ellie dalla sogli. Aveva già chiuso gli occhi, la sua faccia era tranquilla e rilassata, e il cuore di Mary si addolorava per lei. Spense la luce e chiuse, in silenzio, la porta.

***

Mary era proprio fuori dalla porta dello studio del Dottore, cercando di capire se fosse il caso di parlargli ora o di aspettare fino a domani. Sentì che era al telefono, la sua voce profonda gli giungeva come un mormorio, lasciando comprendere solo qualche parola.
“ … Sinclair … si … viaggio … settimana …Pacifica …”
Aspettò un minuto, cercando di non origliare e quando lo sentì terminare la chiamata, allungò la mano per bussare alla porta. Lui era lì, a pochi metri da lei, mentre lei combatteva con se stessa. C’era qualcosa di serio in Jenny? Era una cosa passeggera? Qualcosa che le sarebbe passata crescendo?
Mary si rimproverò per la sua indecisione. Dopo tutto, lui era il dottore! Era l’unico che avrebbe potuto valutare se Jenny avesse bisogno di aiuto. Chi era lei per tenergli nascosta quell’informazione? Spettava a lui prendere le decisioni circa sua figlia. Mary bussò decisa alla porta ed entrò nel suo studio.
“Mary.” lui la fece accomodare. Lei non andava spesso nel suo studio, di solito lo faceva solo per parlare di Jenny, o di qualcosa che riguardava la casa. Lui aveva lasciato tutto nelle sue mani esperte.
Mary guardò l’uomo che ormai conosceva da più di due anni, e all’improvviso un pensiero la colpì. Jenny era una bambina molto affettuosa, generosa con i baci e gli abbracci, come le aveva dimostrato anche pochi minuti prima. Ma in tutto questo tempo, in tutti quei mesi in cui il modo di parlare di Jenny era migliorato e il suo vocabolario si era accresciuto, Mary non le aveva mai sentito dire a suo padre che gli voleva bene. Nemmeno una volta.
Non una singola, unica volta.
Tuttavia la bambina lo aveva detto a lei, quella sera.
Parole sincere che le facevano capire cosa avesse intenzione di dirle. Perché Jenny negava quelle parole, quei sentimenti al suo proprio padre? C’era qualcosa di sbagliato.
“Cosa c’è, Mary?” chiese Johnson quando Mary rimase in silenzio.
Lei stava cercando di pensare. E disse la sola cosa che le venne in mente. “Ha trovato l’assistente per le ricerche, oggi?”
“Si.” Johnson si appoggiò sulla spalliera della sedia. “Si chiama Tracy. Tracy Coleman. Ma non si preoccupi di lei. Ha avuto precise disposizioni di non uscire dal laboratorio. Non dovrà occuparsi di lei.”
“Quando comincerà?” chiese Mary.
“Domani.” rispose Johnson. “Domani le mostrerò il laboratorio e comincerà a lavorare giovedì.”
“La incontrerò?” chiese Mary curiosa.
Johnson rifletté per un momento, poi annuì lentamente. Voleva tenere Tracy separata da Mary e da Jenny, ma non ci sarebbe stato alcun male se Mary l’avesse incontrata, almeno per una volta. “Naturalmente.” sorrise Johnson. “Forse mentre Jenny farà il suo pisolino, lei potrà venire in laboratorio e io gliela presenterò.”
Mary annuì e stava per andarsene, quando decise di parlare dell’argomento al quale aveva pensato quella mattina. “Dottore, ho letto qualcosa a proposito del Morbo di Gunther.” Per un attimo ebbe l’impressione che lo sguardo di lui di fosse indurito e la sua mascella irrigidita, e le parole le morirono sulla lingua.
“Si?” la incitò Johnson. Mary aveva fatto delle ricerche sul Morbo di Gunther? Questo non ci voleva. Non ci voleva affatto.
“Ebbene …” Per la prima volta Mary si sentì a disagio con lui. “Ho letto che da qualche parte del paese si sono formati dei gruppi di supporto, parenti di bambini malati. Dato che questi poveri bambini non possono uscire durante il giorno, loro si incontrano la notte, dopo che il sole è tramontato. Portano i bambini nei posti dove non possono andare di giorno. Al parco, al lago o …”
“Grazie, Mary.” tagliò corto Johnson. “Ci darò un’occhiata.”
“Si … Si, naturalmente.” annuì Mary, sentendosi come se fosse stata appena criticata. “Ora andrò a letto.”
“Buonanotte, Mary.” la congedò Johnson.
“Buonanotte, Dottore.” Mary uscì dallo studio e tornò nella sua stanza. Chiuse la porta e vi si appoggiò contro, combattendo una sensazione di disagio. Aveva sempre trovato il Dottore un uomo piacevole, ma ora le era sembrato così freddo. Forse era stata solo un’impressione dettata dalla preoccupazione per Jenny. Liberandosene, decise che doveva essere stato così. Il Dottore era una brava persona.
Traversò la piccola stanza, diretta verso il suo letto, con le braccia avvolte intorno a se, cercando di combattere un brivido improvviso.

Capitolo 95

Ellie era distesa nel letto, con i capelli scuri sparsi sopra il cuscino e la bambola stretta contro di sé. Il suo sonno era tranquillo ed il suo viso sembrava calmo e rilassato. Sotto le palpebre, gli occhi andavano avanti e indietro mentre vagava nel suo sogno …

Il posto era tranquillo quella sera, ed il suono dei rami degli alberi che scricchiolavano nella brezza era il solo rumore che rompeva il silenzio. L’erba alta ondeggiava sotto di lei e le sue manine ne accarezzavano la punta, sentendone la morbidezza. Si sentiva sola, senza mamma e papà.
Poteva sentire il gorgoglio del ruscello, ma si teneva lontana dall’acqua. Papà le aveva detto di non avvicinarsi all’acqua quando era sola. Lei cercava sempre di fare quello che papà le diceva, perché lui sapeva tutto.
Un rumore improvviso la spaventò, e girò la testa in direzione dei cespugli sotto gli alberi. C’era qualcosa tra i cespugli. Qualcosa di spaventato. Forse era un gattino. Forse no. Lei si tuffò nell’erba e sbirciò da sopra le punte, cercando di vedere cosa fosse.
Si augurava che mamma e papà venissero presto e si unissero a lei, ma quella sera non riusciva a sentirli e questo la fece pensare a quello che Mary le aveva detto quel giorno. Che questo non era reale. Che mamma e papà non erano reali. Che vivere con Mary ed il Dottore era tutto quello che c’era.
Si sedette nell’erba cercando di non piangere.

***

Max cercò di concentrarsi, ma la sua mente era ancora annebbiata. Era seduto nel letto, con la schiena appoggiata alla spalliera e Liz raccolta comodamente tra le gambe. Lei aveva Matthew tra le braccia, come la scorsa notte e le altre notti prima di quella, ma Max non riusciva a stabilire la connessione. Non poteva condurli tutti insieme nel luogo dove desiderava disperatamente andare.
“Max.” Liz gli prese la mano e la tolse dalla propria tempia. Gli sfiorò con le labbra il palmo, poi si appoggiò contro di lui, guardando in su verso la sua faccia stanca. “Tu ti stai ancora spingendo oltre i tuoi limiti.”
“Ma …” cercò di ribattere, ma sapeva che lei aveva ragione. Non aveva ancora recuperato le sue forze e la mancanza di energia gli impediva la connessione tra loro e la terra dei sogni. Ellie era lì, adesso? Aspettando che lui li riunisse? Contando su di lui? Aveva fallito …
“Max, basta!” Liz tornò a guardare verso di lui.
“Basta cosa?” Max non riusciva a guardarla negli occhi. Sapeva esattamente cosa intendeva dire.
“Basta biasimare te stesso” Liz fissò lo sguardo su di lui. Sapeva che non avrebbero dovuto provare quella sera. Era troppo presto. “Max, ti conosco. So quello che stai pensando.”
“Io non …” cominciò a negare, ma lei lo azzittì.
“Tu ti stai dando la colpa per non essere riuscito a raggiungerla, stanotte. Tu stai pensando che è solo colpa tua se Ellie è sola, perché tu non hai la forza di spingerti verso di lei.”
“Liz …” lui girò la testa dall’altra parte.
“Non è vero?” gli prese il mento e lo fece voltare di nuovo. Lui cercò di opporre resistenza, ma lei non glielo consentì. Gli tenne fermo il mento e gli chiese, quasi sussurrando “Non è vero?”
Max annuì lentamente e alla fine, lasciò che i suoi occhi incontrassero quelli di lei. Liz vi lesse la profondità del suo dispiacere e gli fece chinare la testa, per poggiarsela sulla spalla. Il braccio di lui le scivolò intorno e la tenne più stretta possibile, senza schiacciare il corpicino del figlio, che era tra di loro. Chiuse gli occhi e lasciò che la sua testa riposasse contro il calore di lei, desiderando di avere la sua forza.
“Domani ci proveremo ancora.” lei gli disse piano all’orecchio. “E il giorno dopo, e il giorno dopo ancora, finché i tuoi poteri non saranno tornati e riusciremo ancora a contattarla.”
“E se Ellie ci sta aspettando? E se lei …”
“Max, se non andiamo stasera, Ellie porterà il suo sogno altrove.” gli disse Liz rassicurante. “Lei starà bene.”
“Ne sei sicura?” Qualche volta la fiducia di Liz, era l’unica cosa che gli rimaneva alla quale attaccarsi.
“Sicurissima.” sorrise, credendoci senza ombra di dubbio.

***

Ellie sentì un rumore dietro di lei e si girò nell’erba, guardando verso il ruscello. C’era qualcosa lì? Il rumore si ripetette e lei rimase ad occhi spalancati quando un’anatra si arrampicò sulla sponda ed agitò le ali. Ancheggiò in avanti, con il becco arancione che pizzicava il terreno.
“Come ha fatto ad arrivare qui?” si chiese Ellie ad alta voce. Qui non c’erano mai state anatre. Peccato che non avesse del pane. Un’altra anatra si avvicinò alla prima, e poi un’altra ed un’altra, fino a che una mezza dozzina di anatre camminavano ondeggiando sul terreno, cercando qualcosa da mangiare. Ellie ne vide una muovere la testa e scuotere le sue piume e quando lasciò andare un forte ‘qua qua’ non riuscì trattenere una risata.
“Qua!” la imitò “Qua! Qua!” e fece una risata maliziosa, nascondendola dietro alla mano.
L’anatra alzò la testa e si diresse verso di lei. le altre la seguirono subito ed improvvisamente se le trovò tutte attorno, alcune anche più grandi di lei. I becchi le pizzicavano il vestito, cercando il cibo, ed Ellie decise che era meglio andarsene prima che mangiassero lei.
Corse via nell’erba alta, con le anatre che la seguivano, ed uscì dal sogno.
Si trovò in un posto nuovo, e si fermò all’improvviso per guardarsi attorno. Non aveva mai visto un posto come quello prima, con così tanti colori. Il suo prato aveva dei fiori, ma non come questi. C’erano fiori dappertutto, fiori grandi, fiori piccoli, di tutti i colori dell’arcobaleno. C’erano rose bianche, come quelle che il suo papà le aveva detto che piacevano tanto alla mamma, e rose gialle e rosa e rosse e arancione.
C’erano anche altri fiori, di cui non conosceva il nome perché non li aveva mai visti prima di allora. Dov’era questo posto?
Una dolce canto le giunse alle orecchie, una melodia che le sembrava familiare, e si incamminò verso la direzione da cui proveniva. Immaginava chi stesse cantando. Camminò lentamente, tranquilla, caso mai si fosse sbagliata, e quando raggiunse uno spazio libero, la figura le apparve.
I suoi capelli corti erano coperti da uno strano cappello che sembrava fatto di paglia. La sua camicia a fiori era protetta da un grembiule con le tasche sul davanti. Aveva i pantaloni larghi, quasi gonfi, perché questo era il tipo che indossava sempre. Quando portava i pantaloni. Aveva qualcosa in mano e la usava per tagliare i fiori che stavano appassendo.
“Mary?” Ellie sbucò fuori dai cespugli. “Sei tu, Mary?”
Mary si girò sorpresa, ed un leggero sorriso le illuminò il viso. “Jenny! Cosa stai facendo qui?” Guardò preoccupata il cielo, poi di nuovo la bambina. “Non dovresti essere qui, cara.”
“Qui dove siamo?” chiese Ellie. “Che cos’è quetto potto?”
“E’ il mio giardino.” rispose Mary. “Il mio posto speciale. Quando ero giovane, aveva un giardino come questo. ti piace?”
“E’ carino, qui.” Ellie fece un cenno col capo.
“Mi piacciono specialmente le rose.” Mary ne prese delicatamente una tra le mani. “Mi piacciono molto quelle rosse, così vibranti di colore.”
“Alla mia mamma piacciono le bianche.” le disse Ellie. “Papa gliene porta sempre una a casa.”
Mary le sorrise con indulgenza. Non c’era bisogno di rimproverarla. Qui, nel mondo dei sogni, tutto era possibile. “Sembra che il tuo papà ami molto la tua mamma.”
“Si.” disse Ellie, e fece una risatina dietro la mano. “Lui la bacia sempre.”
“Davvero?” ridacchiò Mary. Jenny era così adorabile quando rideva.
“Vuoi vedere il mio posto speciale?” chiese Ellie.
“Naturalmente.” rispose Mary e Ellie la prese per la mano. Camminarono verso la direzione da cui era arrivata, tenendo gli occhi aperti in caso ci fossero le anatre. Non voleva che mangiassero anche Mary.
“Dove stiamo andando, tesoro?” chiese Mary.
“Da quetta parte.” Ellie le tirò la mano. “Devo ritrovarla antora.” Si fermò per un attimo e chiuse gli occhi, cercando il posto con la mente. Non aveva ancora tre anni, ma aveva ereditato la mente della madre e i doni di suo padre, e imparava subito. I suoi occhi si riaprirono e, sorridendo a Mary, le disse “Da quetta parte.”
Si fecero strada nel boschetto e Ellie sentì che Mary respirava forte, quando giunsero al limite del prato. L’erba alta era baciata dal sole. Il gorgoglio del ruscello lontano era tranquillizzante e riempì Mary di un senso di pace.
“Jenny.” sospirò “Com’è bello qui.”
“Quando sono qui,” le disse guardandola piena d’amore. “il mio nome è Ellie.”
“Ellie.” Mary sorrise alla bambina. “Che bel nome.”

***
Ellie era nel suo letto e solo i suoi occhi si muovevano, sotto le palpebre. Il corpicino era rilassato e il suo piccolo petto saliva e scendeva ritmicamente. All’angolo della bocca apparve un sorriso e mormorò nel sonno “Anatre.”
In un’altra stanza, Mary era nel bel mezzo di un sogno, un sogno come non ne aveva mai avuti. C’era quasi qualcosa di … reale in quel sogno, e la mattina dopo si sarebbe chiesta se il libro che aveva letto a Jenny aveva lasciato degli effetti, che si era portata nel sogno. Il Coniglio di velluto voleva diventare reale. Jenny aveva detto di voler diventare reale. Quel sogno sembrava essere reale. Ma per adesso, quella notte, Mary era chiusa dentro quel sogno e, con un sorriso, pronunciò un nome con rispetto ed amore.
“Ellie …”

***

Max era nel letto ed ascoltava il silenzio della casa, incapace di riprendere sonno. Era così da anni, ormai, incapace di dormire di notte, pensando a tutte le cose che gli erano accadute nella sua vita, a lui e a quelli che amava. Rivedeva come in un film nella sua mente, gli eventi chiave che lo avevano trasformato nell’uomo che era diventato.
Il primo evento era stato il catalizzatore di tutto quello che era seguito. Un colpo di pistola che era risuonato in un ristorante affollato aveva dato il via a tutto, e lui era stato incapace di fermare quello che era seguito. Come avrebbe potuto non salvarla? Lei era tutto il suo mondo, in quel momento.
Il secondo avvenimento chiave era stata la sua decisione di fare una gita quel giorno di primavera. Se solo avesse saputo, non si sarebbe mosso, o avrebbe lasciato il globo a Michael. Ma lo aveva preso, nell’errata convinzione che fosse al sicuro con lui. E per questo. Per la sua scelta sbagliata, Liz aveva vissuto l’inferno. Erano stati trasportati dalla bellezza del Mirror Lake in un posto che era stato l’inferno in terra e Liz aveva sopportato le più orrende cose immaginabili.
Il terzo evento era stata la sua fuga da quell’inferno … senza di lei. Ce l’aveva ancora chiaramente impresso nella mente. Ciascun momento che era stato nella stanza di salto, guardando impotente Liz attraverso il vetro, dalla parte opposta, sapendo che dopo pochi attimi lui sarebbe stato libero, mentre lei sarebbe rimasta intrappolata in quell’inferno. Ancora adesso, a quel ricordo, gli occhi gli si riempivano di lacrime.
Il quarto momento chiave della sua vita era stata la notte in cui aveva dovuto fare la scelta che l’aveva segnato per il resto della sua vita. Nel suo cuore sapeva di aver fatto la scelta giusta, ma questo non gli rendeva più facile il fatto di conviverci. Aveva fatto irruzione nella stanza per vedere Liz che giaceva sul tavolo operatorio, con la vita che le scorreva via col sangue, e poi un rumore aveva attratto la sua attenzione dall’altra parte della stanza. Era stato benedetto dalla prima visione di sua figlia, nata da qualche minuto, che si agitava piena di vitalità, mentre sua madre stava morendo solo pochi metri più in là.
Come poteva un uomo sopravvivere alla scelta tra sua moglie e sua figlia?
L’unica cosa bella era stata vedere che sua figlia era viva e che c’era la speranza che un giorno loro avrebbero potuto ritrovarla e riportarla a casa. Aggrapparsi a questa idea era l’unica cosa che lo faceva sopravvivere con se stesso.
Ora sentiva il lieve respiro di Liz che dormiva accanto a lui. Era accoccolata contro di lui, quella notte, con la testa sul suo petto e le gambe intrecciate con le sue. In tutti quegli anni, lei non lo aveva mai biasimato una sola volta per gli orrori che aveva dovuto sopportare. Non gli aveva mostrato altro che il suo incrollabile amore. Come avrebbe fatto lui, Max Evans, a essere degno di quell’amore, non sarebbe mai riuscito a saperlo, ma tutte le notti ringraziava il Cielo per quell’amore.
Delicatamente, con infinita attenzione e amore, Max spostò la testa di Liz dal suo petto e l’appoggiò sul cuscino. Liberò i piedi da quelli di lei e lentamente, per non disturbarla, si alzò dal letto. Si fece strada in silenzio sul pavimento, in direzione della camera di Matthew.
Una luce notturna nel corridoio gli agevolò la strada ed un'altra, accanto alla soglia della stanza del bambino, illuminava abbastanza da poter vedere l’angelico visetto di suo figlio, che dormiva. Max si sporse sopra di lui, chiedendosi se era così che Ellie appariva da piccola. Anche lei aveva dormito con le mani chiuse a pugno accanto alle orecchie? Aveva emesso piccoli rumori di soddisfazione mentre beveva dal biberon, o quei rumori erano riservati a chi prendeva il latte dal seno della mamma, cosa che ad Ellie era stata negata?
Le sue necessità erano state soddisfatte prontamente. Le avevano cambiato i pannolini quando erano bagnati, o sporchi o era stata costretta a stare con i propri rifiuti, alla mercè dell’uomo che l’aveva portata via da lui. L’aveva tirata su quando aveva pianto o l’aveva lasciata nel letto a piangere finché non si fosse addormentata?
Sapeva che lui avrebbe dato tutto pur di riaverla? Solo per avere la possibilità di tenerla tra le braccia?
Max prese il gigantesco orso dalla sedia a dondolo e lo poggiò sul pavimento. Quella sera, voleva stare a guardare, silente sentinella accanto alla forma addormentata di suo figlio, vegliando su di lui e proteggendolo da ogni pericolo. Nessuno avrebbe mai più fatto del male a Liz, o avrebbe portato via Matthew da lui. Nessuno.
Matthew si mosse nel sonno, stiracchiando le piccole braccia prima di rimetterle giù. Avvicinandosi alla culla, Max fece scivolare la sua mano sotto il corpicino del bambino e se lo strinse al petto. Teneva una mano sotto il sederino e la testa con l’altra, godendo del modo in cui il suo ragazzo si era rannicchiato contro il suo petto, poi si girò e si sedette lentamente sulla sedia a dondolo.
La casa era silenziosa, tranne per il lento scricchiolio della sedia che Max faceva andare avanti e indietro. Sulla parete alle spalle della culla, c’erano due disegni che, ora che il bambino si era riaddormentato, guardò fissamente. Uno rappresentava una bambina i cui magnifici occhi dominavano il viso. Il secondo era il ritratto del suo fratellino con sul viso un’espressione piena di stupore. Entrambi i disegni erano stati fatti a memoria, catturati dalla sua mente quando i suoi bambini avevano solo pochi minuti di vita.
Un giorno, promise Max in silenzio mentre si dondolava lentamente sulla sedia, non sarebbe stata solo la sua immagine a riempire la casa. Un giorno, anche le sue risate l’avrebbero riempita, perché Ellie sarebbe tornata a casa. Lui non sapeva come, o quando, ma sapeva che non si sarebbe mai arreso finché non l’avesse riportata a casa da Liz … o sarebbe morto nel tentativo di riuscirci.
Sarebbe stato l’avvenimento più importante della sua vita.

Capitolo 96

Mary canticchiava, mentre si muoveva nella cucina per preparare la colazione del mattino. Si era svegliata presto, sentendosi rinfrancata da una notte di sogni piacevoli e nemmeno le sue articolazioni artritiche potevano fermarla, quel giorno. Il suo passo era vivace mentre si muoveva avanti e indietro tra il frigo e la cucina, preparando il banchetto mattutino.
Ellie faceva del suo meglio per aiutarla, portando il cartone del succo di frutta, quasi più grande di lei, sulla tavola.
“Hai bisogno di aiuto, Jenny?” Mary cercò di non ridere di lei.
“Faccio io!” disse Ellie a denti stretti. Teneva stretto il succo e quando raggiunse la tavola, grugnì e si lamentò nel tentativo di sollevarlo. Era alta a malapena per arrivare a vedere il piano del tavolo, figuriamoci a sollevare un grosso peso per appoggiarcelo sopra, ma Mary vide la sua determinazione. Poteva vedere la mente della bambina lavorare alla ricerca di una soluzione, rifiutandosi caparbiamente di arrendersi al fatto che il peso del contenitore era troppo grande per essere sollevato al di sopra della sua testa. Mary ammirò la sua perseveranza, mentre la vide posare il cartone sulla sedia, salirci sopra e da lì prenderlo e poggiarlo sul tavolo. Poi si girò verso di lei, dicendo “Guarda!”
“Te la sei cavata molto bene!” la elogiò Mary.
“Ora prendo il pane.” Ellie scese dalla sedia e si asciugò le mani sul vestito. Era un abitino a fiori, tutto colorato, e guardando verso il suo petto, Ellie puntò il dito su una rosa rossa e disse “A te piace quetto.”
“Cosa, tesoro?” Mary sollevò la testa, stupita.
“Quetto.” ripeté Ellie indicando il fiore sul vestito. “A te piassono le rose rosse.”
“Jenny,” Mary si fermò con la spatola in mano. “Come fai a sapere che mi piacciono le rose rosse?”
“Me hai detto tu.” rispose Ellie, posando sul tavolo il piatto con i toasts. Poi salì sulla sedia, portando due cucchiai e li sistemò accanto al suo piatto.
“Quando?” Mary fissò la bambina. Non si ricordava di averglielo mai detto, tranne nel sogno che aveva fatto la scorsa notte. Poteva ancora ricordarne i dettagli e questo l’aveva sorpresa molto. Di solito non ricordava affatto i sogni che faceva o al massimo solo qualche incerto dettaglio. Non come il sogno della notte scorsa, che aveva lasciato vividi dettagli nella sua mente.
Ellie sollevò gli occhi dal piatto e guardò Mary. Voleva che lei la chiamasse ancora Ellie, come aveva fatto nel sogno di ieri, invece di usare il nome che le aveva dato il papà Dottore. Ancora non aveva capito come mai era finita nel sogno di Mary, o come aveva fatto entrare Mary nel suo sogno. Aveva camminato mano nella mano con Mary tra l’erba alta del prato e le aveva mostrato il ruscello con i pesci e il paguro eremita che in teoria non avrebbe dovuto vivere lì, ma c’era. Le anatre erano uscite dai loro nidi e, con grande sorpresa di Ellie, si erano limitate a galleggiare sull’acqua e non avevano cercato di mangiarla nemmeno una volta.
Aveva mostrato a Mary la diga di sassi che avevano costruito per formare una polla e vedere le creature che galleggiavano, nuotavano o strisciavano sul fondo. Si erano sedute sulla sponda del ruscello ed avevano aspettato, ma mamma e papà non erano venuti. Papà non era venuto perché sapeva che lì c’era Mary?
Papà aveva detto che i loro sogni erano un segreto e che nessun altro doveva sapere che loro erano capaci di passeggiare nei sogni. Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Ora papà l’avrebbe abbandonata e non sarebbe mai più venuto, perché lei aveva mostrato il loro posto speciale a Mary?
“Ti ricordi quando te l’ho detto?” chiese ancora Mary.
Ellie fissò l’anziana donna, sentendo nel suo cuore che il suo papà le avrebbe voluto bene, proprio come gliene voleva lei, se solo l’avesse incontrata. Ne era sicura. Se lei le avesse detto il suo segreto, forse Mary avrebbe potuto aiutarla e allora il suo papà sarebbe riuscito a trovarla e a farla diventare reale.
“Me hai detto tu …” cominciò a dire, poi chiuse la bocca, sentendo nel corridoio avvicinarsi dei passi. Papà Dottore stava arrivando.
“Jenny!” Mary spronò la bambina perché finisse la frase che aveva cominciato. Poi, anche lei, sentì i passi del Dottore e vide la luce spegnersi negli occhi della bambina al rumore che si avvicinava alla cucina. Lui era quasi lì, e Mary si chinò in avanti, quasi implorandola. “Quando, Jenny? Quando?”
Ellie abbassò gli occhi e guardò i toasts nel suo piatto. Con una voce così bassa che Mary riuscì a sentirla a malapena, disse “Non ricordo.”
Johnson entrò in cucina con un sorriso in faccia e lo stomaco che brontolava, ignaro di quello che aveva appena interrotto. Ellie si richiuse in se stessa per proteggere il suo segreto. Mary ritornò alle omelettes che stava cocendo, ma il suo appetito era sparito. C’era qualcosa di strano, lì. Qualcosa di molto strano. Solo che non sapeva cosa fosse.

***

Max prese ancora un sorso di caffè, poi sciacquò la tazza e la mise sul lavandino. Controllò il taschino della camicia, per essere sicuro di avere il taccuino e la penna e prese la giacca dalla spalliera della sedia. Era ora di andare a lavoro e di cercare di recuperare l’assenza del giorno prima.
“Stai uscendo?” gli chiese Liz dalla soglia della porta.
La testa di Max si sollevò alla sua apparizione, impreparato a vederla lì. Pensava che lei stesse ancora dormendo. “Si.” disse, vedendola avvicinarsi. “Ho pensato di arrivare un po’ prima, per cercare di recuperare in parte l’assenza di ieri.”
Lei si fermò proprio davanti a lui, notando le ombre scure sotto i suoi occhi. “Sembri stanco.”
“Sto bene.” tentò di rassicurarla Max. Era riuscito a dormire un paio d’ore dopo che Matthew aveva fatto la poppata delle 2.
La mano di Liz gli accarezzò la guancia, mentre gli diceva “Forse dovresti rimanere a casa anche oggi. Per riposarti. Per riacquistare al pieno le tue forze.”
“No.” Max coprì la mano di lei con la sua. “Sto bene, veramente. Ieri ho dormito tutto il giorno, ricordi?” Le baciò il palmo della mano e il telefono squillò. Dandole una di quelle occhiate che le toglievano il respiro, le disse “Vado io.”
Liz lo vide rispondere e non le ci volle molto per capire chi fosse.
“Si, sto bene. Stavo giusto uscendo … Ora? Stamattina?” Si girò verso Liz e formò con la bocca il nome ‘Carl’, indicando il telefono. Lei l’aveva già immaginato. “Vuoi che venga prima alla Stazione o preferisci che ti aspetti qui? … Certo … Si … Okay … Ci incontriamo lì? … Oh … No, no, non posso farlo … Devo essere solo, qualche volta, no? … Okay … Okay …Appartamento 514, va bene … Okay, ci vediamo più tardi … va bene … Okay, ciao.”
“Era Carl.” disse Max riattaccando il telefono.
“Hai un incarico per stamattina?” chiese lei.
“Si.” traversò la cucina e la prese tra le braccia. Le spostò dal viso i capelli ancora scarmigliati dal sonno, e disse “Devo tornare al Park Vista sopra Beardsley Road, dall’altra parte del parco, per interrogare ancora i vicini, nel caso di Adam Pruett. C’è ancora qualcosa che Carl vuole che io chieda.”
Liz gli passò le braccia attorno alla vita e lo guardò in faccia, senza riuscire a nascondere la sua preoccupazione. “Promettimi che se ti sentirai stanco, tornerai a casa.”
“Lo prometto.” Max la baciò dolcemente sulle labbra. Se la strinse contro, la testa di lei posata sotto il suo mento, e chiuse gli occhi. Cosa avrebbe fatto senza di lei?

***

Tracy Coleman spense il motore del suo vecchio macinino e rimase seduta per un momento dietro al volante, facendo un respiro profondo per calmarsi. Con la somma che avrebbe guadagnato questa estate lavorando per il Dottor Sinclair, forse avrebbe potuto finalmente farsi aggiustare la macchina. Dio sapeva che sarebbe morta se non l’avesse fatta riparare al più presto. Guardò la sua immagine riflessa allo specchio, sistemandosi una ciocca sfuggita allo chignon, poi scese dall’auto.
Guardando l’orologio, si accorse che era qualche minuto in anticipo e fu contenta di aver fatto le cose con calma, quella mattina. Non sarebbe stato bello arrivare in ritardo proprio il primo giorno. Controllò l’indirizzo che si era scritta su un foglio di carta e poi guardò l’edificio più vicino. Trovava un po’ strano che il Dottor Sinclair avesse un laboratorio al centro di un Residence, ma chi era lei per fare domande. Era comunque un lavoro!
Girò a sinistra, in cerca dell’indirizzo e ritrovò davanti ad un invitante caffè. Aveva ancora del tempo, il profumo sembrava chiamarla e lei non seppe resistere. Spinse la porta ed entrò, fissando il menù sulla parete. Avrebbe preso un latte? Un espresso? Decisioni, decisioni. Era in fila dietro ad un ragazzo con le spalle larghe ed un gran bel sedere e questo le fece ricordare che ultimamente era stata sola. Si chiese se davanti fosse stato interessante come di dietro. Lui mise una mano nella tasca posteriore per prendere il portafoglio e a Tracy piacque anche la sua mano. Era una mano dannatamente sexy. Lui rimise a posto il portafoglio e si girò con una tazza di caffè in una mano e una ciambella nell’altra, e finalmente lei riuscì a guardarlo in faccia. Oh, mamma mia, se era bello! Guarda quegli occhi! Guarda quel mento! Quel naso! Ma … aspetta … le sembrava di conoscerlo.
Max pagò la ciambella ed il caffè e si girò per uscire. Il suo appuntamento con il signor Decker era tra un quarto d’ora, giusto il tempo perché lo zucchero gli entrasse in circolazione e la caffeina lo svegliasse. Quasi si scontrò con la ragazza che stava dietro di lui e le disse “Chiedo scusa.” guardandola a malapena. Si diresse verso la porta, per andare a sedersi al piccolo tavolo libero che aveva visto fuori.
“Max?” disse Tracy alla figura che arretrava. “Tu sei Max?”
Lui si girò per vedere chi lo chiamasse. La ragazza che era in fila dietro di lui lo stava guardando, e gli ci volle un attimo per ricordare chi fosse. “Tracy?”
“Si!” lei gli sorrise. Il cameriere dietro al bancone li interruppe e lei ordinò in fretta un bicchiere di latte, per girarsi di nuovo a parlare con Max. “Come sta Liz? E il bambino?”
“Bene!” Max era radioso. “Benissimo!” Aveva incontrato Tracy qualche volta e l’aveva trovata simpatica. A Liz piaceva averla come collega di laboratorio. Diceva che lavoravano bene insieme.
“Quanto tempo ha, ora?” chiese Tracy, pagando il suo latte ed avvicinandosi a Max.
“Sabato avrà tre settimane.” Max non poteva fare a meno di sorridere. “Ho una fotografia. Vuoi vederla?”
“Certo!” disse Tracy entusiasta.
Max si guardò intorno in cerca di un posto per sedersi e vide un tavolo vuoto vicino alla porta. Dette un veloce morso alla sua ciambella mentre prendeva il suo portafoglio. ne tirò fuori una foto che porse a Tracy, dicendo “Questo è Matthew quando aveva circa dodici ore.”
“Ohhhhh.” tubò Tracy. “E’ così carino!” Lei poteva dire con certezza che il piccolo somigliava molto al padre.
Max non la smetteva più di sorridere. Anche lui pensava che Matthew fosse davvero carino e adorabile.”E questo è lui ad una settimana e credo che qui abbia due settimane. Si.” e le tese le foto formato portafoglio. “Qui ce n’è un'altra a due settimane. E questa è la mia preferita. Siamo tutti e tre insieme.” Max le diede una foto di lui, Liz e Matthew, fatta proprio la scorsa settimana. Pensava che in quella foto Liz fosse molto bella, con Matthew in braccio. Lui era dietro a Liz, con un grande sorriso sul viso.
“Oh, che bella famiglia.” sorrise Tracy. “Ora vi serve una femminuccia e sarete una famiglia perfetta!”
Max cercò di non reagire alla frase, e si limitò ad annuire, dicendo “Si.” Tracy non sapeva di Ellie. Erano in pochi a saperlo.
“sei così fortunato.” sospirò Tracy, restituendogli le fotografie. Aveva cominciato a chiedersi se sarebbe mai riuscita a trovare il Signor Persona Giusta.
“Devi venire a vederlo, un giorno di questi.” suggerì Max, riponendo le foto. “E a Liz farà piacere vederti. Credo che stia diventando claustrofobica, chiusa in casa tutto il tempo. Dovresti chiamarla.”
“Lo farò.” disse Tracy eccitata. “E le parlerò anche del mio nuovo lavoro.”
“Nuovo lavoro?” Max inarcò le sopracciglia.
“Si.” e guardò l’orologio. “Oh! Sarà meglio che vada! Mi devo presentare oggi e non voglio arrivare in ritardo.”
“Dove lavori?” chiese Max curioso.
“Proprio in quel blocco di edifici.” rispose lei. “Faccio un internato di ricerca per il Dottor Sinclair. Sono stata fortunata che Liz si sia presa l’estate libera, perché altrimenti il lavoro sarebbe stato suo. Ora devo correre. Salutami Liz!”
“Lo farò.” Max le fece un cenno di saluto mentre lei si dirigeva verso l’uscita. Era una ragazza simpatica. Magari avrebbe potuto presentarla a Chris. Era da un po’ che il ragazzo andava in bianco.

***

“Fatto tutto.” dichiarò Ellie alzandosi dalla tavola. Prese il piatto del suo pranzo e gettò il bordo dei toast nella spazzatura, poi si alzò sulla punta dei piedi per posare il piatto sul lavandino.
“Vieni a lavarti.” Mary sorrise alla vista del suo visino sporco di burro di arachidi e marmellata. A fatica, la prese in braccio e la fece sedere sul ripiano pensando che non sarebbe passato molto tempo prima di non riuscire più a farcela. Toccò la punta del naso di Jenny e le disse “Stai diventando grande.”
“Io sono una ragazza, adesso"!” Ellie alzò le braccia entusiasta.
“Certo che lo sei!” Mary le pulì il viso, mentre Ellie cominciava a sbadigliare. “Sei pronta per il riposino, tesoro?”
“Me non sono ttanca!” Ellie sbadigliò ancora.
“Non lo sei, vero?” la prese in giro Mary.
“No!” e si strofinò gli occhi. “Le ragazze grandi non fanno riposino!” Mary la rimise sul pavimento poi le prese la mano per portarla in camera.
“Io so contare adesso!” annunciò Ellie, mentre correva saltellando su una gamba per il corridoio.
“Davvero?” l’assecondò Mary.
“Si! Uno, tue, cimpe, sette, tre …”
Mary non riuscì a trattenere una risata.

***

Mary socchiuse la porta della camera da letto di Jenny e si diresse verso l’entrata principale. Jenny credeva di non essere stanca, ma si era addormentata appena la testa aveva toccato il cuscino. Arrivata alla porta, digitò la combinazione di sicurezza e, sentito il click, l’aprì e uscì sul pianerottolo. Ormai era abituata alle procedure di sicurezza che il Dottore pretendeva.
Si fece strada nel corridoio sterile e raggiunse un altro pannello di sicurezza, dove si fermò ad inserire il codice che permetteva l’accesso al laboratorio. Lei non vi entrava molto spesso, e non sarebbe stata lì se non fosse stato per la nuova assistente del Dottore. Voleva conoscerla.
Quando la luce diventò verde, Mary entrò con cautela nel laboratorio, girando lo sguardo alla ricerca del Dottore.
“Dottore?” chiamò, non vedendolo. “Dottore?” Non le era permesso entrare a causa degli esperimenti che lui stava conducendo. Una contaminazione poteva rovinare settimane, persino anni, di prezioso lavoro. “Dottore?”
“Mary?” la sua testa sbucò da una delle porte in fondo alla stanza. Lei sapeva che il laboratorio era ampio, prendendo un intero piano dell’edificio, ma lei non era mai andata oltre quella stanza.
“Jenny sta facendo il suo riposino.” spiegò Mary. “Ho pensato di approfittarne per …”
“Oh, si.” disse Johnson ricordandosi del motivo per cui lei era lì. “Tracy?” infilò di nuovo la testa nella porta. “C’è qualcuno che vorrei presentarle.”
Una ragazza, Mary pensò che avesse circa vent’anni, uscì sorridendo dalla porta. “Mary, questa è Tracy. Probabilmente sarà qui per la maggior parte dell’estate. Tracy, questa è Mary, la mia governante.”
“Felice di conoscerla, Mary.” Tracy sorrise e si avvicinò con la mano tesa.
“Piacere mio.” rispose Mary, stringendola.
“Oggi Tracy sta solo prendendo confidenza col laboratorio.” spiegò Johnson. “Comincerà a lavorare domani. Le ho dato la tessera per l’ascensore e per l’accesso al laboratorio.” Se tutto fosse andato secondo i suoi piani, Johnson pensò tra sé, questa sarebbe stata l’unica occasione in cui Mary e Tracy si sarebbero incontrate.
“Bene. Vi lascio lavorare.” Mary fece un passo indietro. “Volevo solo fare un saluto.”
“Sono contenta di averla conosciuta.” disse Tracy educatamente.
dentro di se, si sentiva leggermente a disagio. Questo era il suo primo lavoro attinente al suo campo di studio e, mentre era preparata per un alto livello di tecnologia, l’eccessivo livello di sicurezza la lasciava un po’ sconcertata. Aveva dovuto usare il citofono interno al palazzo per chiamare il Dottor Sinclair nel laboratorio, perché l’ascensore non poteva scendere senza la tessera di accesso. E, a meno che non ne fossi a conoscenza, non avresti mai potuto immaginare che nel sottosuolo c’era un laboratorio di ricerche biologiche.
La sua giornata finì e quella sera, mentre preparava gli abiti per il giorno successivo, fece bene attenzione a non dimenticare la tessera di accesso. Non vedeva l’ora di cominciare a lavorare. Scivolando nel letto, ripensò al suo breve incontro al bar, quella mattina. Accidenti, che bel ragazzo era Max Evans! Magari poteva chiedere a Liz se aveva un fratello. Tracy si addormentò pensando a Liz, e a quanto fosse fortunata con un maritò così bello ed un figlio così delizioso, e con la sua perfetta piccola vita.

***

Max stava disteso sul letto, con le mani sotto la testa, fissando il soffitto della camera. Sentì Liz che stava mettendo Matthew nella sua culla, poi ne avvertì il passo leggero per il corridoio, mentre si avvicinava alla camera. Il letto si abbassò quando lei si infilò sotto le coperte, poi il suo corpo caldo fu contro quello di Max. Appoggiò la guancia contro il petto di lui, ascoltando il battito del suo cuore e lui fece scivolare un braccio sotto di lei per stringerla a se.
“Forse domani.” disse piano Liz, tentando di lenire il suo dolore.
“Forse.” La voce di Max era piena di pena. Per la seconda notte di seguito non avrebbe potuto connettersi con Ellie. Ma, soprattutto, non sarebbe stato in grado di portare Liz nel mondo dei sogni. Il suo potere non si era ancora rigenerato e lui si sentiva alla deriva, isolato, separato dalla persona con cui voleva essere. Disconnesso.
“E se l’avessi persa, Liz?” Al solo pensiero Max sentì un dolore immenso. Con la luce debole, riusciva a vederla poco, ma non gli importava. Il suo viso innocente era davanti ai suoi occhi.
“Max …” disse dolcemente Liz. sapeva che lui stava pensando ad Ellie.
“E se avessi perso la capacità di raggiungerla?” Il senso di colpa lo opprimeva. Spingendosi troppo oltre aveva perso l’unico modo in cui Liz poteva vedere sua figlia? Sapeva che Ellie era in grado di raggiungere lui nei sogni, ma se lui non fosse più stato in grado di connetterla con Liz, in modo che anche lei fosse in grado di unirsi a loro?
Liz sollevò la testa dal suo petto e si spostò nella sua parte del letto. Max avvertì immediatamente la perdita del suo calore, poi le braccia di lei lo attirarono a sé, mentre diceva “Vieni qui.” Lui si accoccolò contro di lei, posando la testa sul soffice cuscino del suo seno, e chiuse gli occhi respirando il suo profumo. Lei aveva sempre la capacità di consolarlo.
“Non l’hai persa, Max.” Liz gli passò le dita tra i capelli. “Hai solo bisogno di ricaricare le tue batterie, questo è tutto.”
“Spero che sia così …” La mano di Max si posò sul torace di lei, avvertendo la pelle delicata sotto il sottile tessuto della camicia da notte.
“Ne sono sicura.” disse lei tranquilla.
Lui non riuscì trattenere un piccolo sorriso. Lei era sempre così sicura. Il ritmo regolare del suo cuore era un sollievo per la sua mente tormentata, il soffice tocco delle dita di lei contro la sua pelle riusciva a placare il suo senso di colpa, il delicato salire e scendere del suo seno lo cullava in un modo che riusciva solo a lei. I suoi occhi divennero pesanti mentre si immergeva in un sonno profondo e ristoratore. Un sonno senza sogni, un sonno risanatore, sicuro tra le braccia di lei.
“Dormi bene, amore mio.” sussurrò Liz quando il suo respiro si fece regolare. “Dormi bene.”

Continua...

Scritta da Debbi aka Breathless
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice dall'originale in inglese
a cura di Sirio, con la collaborazione di Coccy85


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