Roswell.it - Fanfiction
SPECIALE

ANCHE IL FIGLIO CRESCE

Capitoli 25-27


Riassunto: Questa storia, in 27 capitoli, è la terza di cinque fanfiction collegate tra loro, e segue a "Figlio di suo padre". Nate e Alyssa si sono trasferiti a Boston per frequentare il college, ma tutti noi sappiamo che la vita non è mai semplice per un Roswelliano.
Abbiamo imparato a conoscere i personaggi, ora li vedremo di nuovo in azione. E non sempre come vorremmo che agissero.

Valutazione contenuto: non adatto ai bambini.

Disclaimer: I personaggi dello show appartengono a Katims e co. Alyssa e Nate sono miei. Nessuna trasgressione è stata intenzionale… ehm, e nessuna offesa ad Hemingway per il titolo.
(NdT: L'autrice si riferisce al libro T'he sun also rises', conosciutò in italia col titolo 'Il sole sorgerà ancora'. Io ho preferito usare una traduzione leggermente diversa, perchè 'Anche il figlio sorge' non avrebbe reso completamente l'idea.)


Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18
Capitoli 19-24

Capitolo 25

Nate avrebbe voluto urlare dal dolore. I suoi polmoni erano così costretti dalle costole che non poteva respirare correttamente. Aveva un agitato, debilitante crampo allo stomaco che gli torceva gli organi interni in un nodo mezzo umano – mezzo alieno. Lacrime minacciavano di uscirgli dagli occhi …
Ma non voleva che lo vedessero piangere. Non voleva che nessuno di loro lo vedesse piangere. Dopo tutto, come poteva fare?
Tra le sue braccia, sentiva Alyssa calda e viva e come una parte indissolubile del suo stesso essere. Lasciarla andare a combattere era molto più doloroso di qualsiasi tortura avesse mai sopportato.
In un momento maniacale, Nate immaginò un mondo senza di lei e si rese conto che – proprio mentre la teneva tra le braccia – era proprio quello che gli sarebbe mancato maggiormente. Non era il sesso – che doveva ammettere era qualcosa di incredibile – e non era la sua gioventù o la sua bellezza. Era il suo calore, il suo spirito amorevole, il modo in cui si fondeva con lui, che gli sarebbero mancati. Il pensiero che non fosse più possibile tenerla tra le braccia era assolutamente devastante.
Ma non voleva che lei lo sapesse. Non poteva. Non era possibile che si lasciasse andare al pianto di fronte a lei, proprio mentre stava per andare a combattere i cattivi, perché lui non aveva l’abilità per farlo. Così, quando lei si voltò, Nate le sorrise e vide che lei non stava tremando di paura – c’era tanta fiducia e determinazione nei suoi occhi scuri che lui ne rimase sorpreso.
"Farai bene a farti trovare qui, quando tornerò." gli disse scherzosamente. "Perché avrò bisogno di una lunga, lunga notte di sesso, dopo la vittoria."
Lui rise incantato e le prese la mano con la sua. "Non ho intenzione di andare da nessuna parte."
Ed era la verità. Michael e Isabel avevano trovato un'altra caverna nel bel mezzo del nulla – non grande come la camera dei bozzoli e senza vecchi gusci che pendevano dalle pareti – dove Nate, Liz e Maria si sarebbero potuti rifugiare finché il pericolo non fosse passato. Liz aveva portato con lei anche la piccola Emily, forse pensando che sarebbe stata più al sicuro lì che fuori, nel mondo reale in cui Khivar o Nicholas avrebbero potuto scoprire che Max aveva avuto un’altra erede.
Nate era contrariato.
Alyssa gli sfiorò il viso, la sua espressione che rispecchiava quella di lui. "Cosa c’è, tesoro?"
Nate guardò Maria, che stava salutando Michael, e Liz, che stava salutando Max.
"Mi sento una dannata femminuccia." ammise lui.
Questa volta, Alyssa scoppiò a ridere. "Cosa? Perché?"
Nate arrossì - "dannata femminuccia" non era esattamente un' espressione esaltante da usare in compagnia di una donna. Jonathan Spencer l’avrebbe preso a calci se l’avesse sentito.
"E’ solo che sono costretto a stare qui con le donne e i bambini … " disse risentito.
Alyssa sollevò un sopracciglio. "Sei sessista e arretrato." osservò, sebbene non ci fosse traccia di rimprovero nella sua voce.
Nate le rivolse uno sguardo di intesa, poi lasciò andare un sospiro. "Ascolta." cominciò. "Devi ritornare tutta intera, okay? C’è qualcosa che devo chiederti."
Lei inclinò la testa, incuriosita. "Si? Cosa?"
Lui scosse la testa. "Non adesso. Non qui. Quando sarai tornata."
Lei guardò per un attimo la parete, poi scrollò le spalle. "E se non tornassi?" chiese come per caso, come se non stesse parlando della sua morte. "Veramente vorresti farmi morire col dubbio su cosa volevi chiedermi?"
"Alyssa!" la rimproverò. "Non sei divertente."
"Non volevo esserlo."
Nate si accigliò, sapendo che lo stava manipolando per farsi rivelare il suo segreto.
"Un indizio?" lo stuzzicò lei.
Lui sospirò, guardando in basso verso le loro mani unite. Non era questo il modo che aveva progettato … "Okay, un indizio. Ha a che fare con vissero per sempre felici e contenti."
Quando lei non rispose, Nate sollevò lo sguardo e la trovò con la bocca aperta per la sorpresa.
"Stai forse dicendo … ?" cominciò a dire Alyssa, poi deglutì. "mi stai chiedendo …?"
Nate scosse la testa. "Non ancora, ma lo farò."
Lei rimase senza parole, forse per la prima volta da quando l’aveva incontrata.
"Ascoltami bene." proseguì lui, carezzandole il dorso delle mani con i pollici. "Non esiste nessun’altra per me. E non ci sarà mai. Voglio renderlo ufficiale, ma non qui, non in questo posto con tutta questa gente. Voglio che sia speciale. Mi capisci?"
Lei annuì in silenzio.
"E allora, torna indietro per me, sana e salva." la pregò.
Lei annuì di nuovo. "Lo farò." poi lo abbracciò, mentre il suo soffice profumo arrivava alle narici di Nate, facendogli male all’anima. "Ti amo, Nate." gli sussurrò contro l’orecchio.
"Anche io ti amo. Alyssa." rispose lui, stringendola ancora una volta.
"A che ora parte l’autobus?" disse una voce dall’entrata della caverna.
Nate sobbalzò, separandosi da Alyssa. Sull’ingresso della caverna stava quel noioso Vicesceriffo Valenti, quello che aveva raccolto Nate dal ciglio della strada e che aveva continuato a metterlo in imbarazzo appena ne aveva avuto la possibilità. Isabel era palesemente più felice di Nate di rivedere Kyle e gli corse incontro ridendo e allargando le braccia verso di lui.
"Che ci fa qui?" chiese un imbronciato Nate ad Alyssa.
"E’ venuto ad aiutarci." rispose lei. "Lui è come zia Liz. Anche lui può far esplodere le cose."
Nate si abbatté, sentendosi completamente castrato. "Quel tipo riesce a far esplodere le cose?" gemette.
Alyssa rise e gli pizzicò le guance, ovviamente divertita dal suo imbarazzo.
Dopo un attimo Kyle fu davanti a loro, gli occhi azzurri che brillavano di malizia.
Salutò Nate con un "L’esca per i dingo!" poi si fermò ed alzò gli occhi al cielo, riflettendo. "Wow! Non pensavo che un giorno saresti diventato veramente un’esca per qualcuno. Forse sono diventato un profeta … "
Alyssa si avvicinò ed abbracciò Kyle. "Ehi, zio Kyle. Pronto a prendere a calci nel sedere qualche alieno?"
"Farai meglio a crederci, sorella." Circondò con le braccia le spalle di Alyssa e cominciò a tirarla via. Da dietro la spalla, si rivolse a Nate. "Non preoccuparti, è in buone mani." Poi gli fece l’occhiolino per indicare ‘ad-ogni-modo-terrò-un-occhio-sopra-il-tuo-pulcino’.
Nate lo stava ancora guardando storto, quando Max si fermò davanti a lui. "Verrà anche lui?"
Max guardò Kyle ed Alyssa, poi annuì. "Certo. Ci ha già aiutati prima d’ora. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile."
Quando tornò a posare lo sguardo su suo figlio, gli occhi di Max si addolcirono, come se potesse leggere tutto quello che stava passando nella testa di Nate. "Non sei meno uomo per questo." gli disse senza mezzi termini. "Nemmeno io posso farlo – ricordi?"
"Si, ma tu stai andando con loro."
"Io devo. Credimi, Nate, quello che devi fare tu è altrettanto importante di quello che dovrò fare io. "Lo sguardo di Max si posò sul petto del figlio. "Il sigillo è attivo?"
Nate si aprì la camicia e vide che la sua pelle era intatta.
Lo sguardo di Max esprimeva tutto il rimpianto e il dispiacere che un solo uomo poteva sentire. "Mi dispiace, Nate, ma devo far apparire il sigillo. Una volta attivo, si spera che Khivar e Nicholas siano capaci di concentrarsi sul bersaglio e di arrivare qui."
Nate annuì riluttante e vide Max posare una mano proprio sotto la sua clavicola. Dopo pochi secondi, sentì la gelida, bruciante sensazione e seppe che, quando Max aveva tolto la mano, sulla sua pelle erano comparsi i cinque segni.
Max fece un passo indietro, con l’espressione di un uomo che aveva appena attivato il timer su un esplosivo. Nate sentì il cuore sobbalzargli nel petto, nella sua mente la dura consapevolezza che tutto quello stava veramente accadendo.
Allungando il braccio, Max posò una mano sulla spalla di Nate. "Tu sei mio figlio." gli disse con dolcezza. "Non lascerò che ti prendano. Non lascerò che possano farti del male."
Nate gli offrì un debole sorriso. "Lo so."
Max sollevò un angolo della bocca in un sorriso identico, poi fece un respiro per raccogliere il coraggio e si girò verso il resto del gruppo. "Andiamo." ordinò, dando a Nate un’ultima occhiata di rassicurazione.
Nate deglutì e vide i guerrieri dirigersi verso l’entrata della caverna. Ancora stretta a Kyle, Alyssa lo guardò oltre la sua spalla e Nate sentì lo stomaco annodarsi più forte.
Questa potrebbe essere l’ultima volta che la vedo …
Forzando se stesso a farle un sorriso per infonderle fiducia, le indirizzò sottovoce le parole "Ti amo." Lei sorrise e scomparve dalla caverna.
Uno alla volta sparirono nel deserto – Michael, Isabel, Kyle, Jeremy e, per ultimo, Max. Nella caverna si sentì un assordante silenzio, anche se Maria, Liz ed Emily erano rimaste con Nate. Nelle sue vene scorreva l’ansia, come se il destino fosse in agguato; si chiese se era quello che provavano i passeggeri degli aerei che stavano precipitando. Il mondo stava per arrivare alla fine e non c’era nulla che lui potesse fare per fermarlo. Lui era semplicemente impotente.
"Sono andati." disse alla fine Liz, con la voce un po’ scossa.
Maria, dietro di lei, annuì.
"Sarei voluta andare con loro." disse Liz con rimpianto.
Anche io, pensò Nate. Ma non proprio.
Non gli piaceva essere lasciato indietro mentre suo padre, la sua innamorata e altri membri della famiglia stavano per fronteggiare il nemico, un nemico che stava cercando solo lui. Ma questo non significava che lui volesse uccidere. Quello che voleva più di ogni altra cosa, era una risoluzione pacifica di quella situazione.
"Non c’è un altro modo?" chiese, le parole che gli uscirono direttamente dal subconscio e andarono dritte alla bocca.
"No." disse chiaro e tondo Maria.
Nate si girò a guardarla, lentamente – lei teneva in braccio Emily, cosa che faceva sembrare le sue parole sanguinarie ancora più surreali.
"Quale altro modo ci potrebbe essere?" chiese Liz frustrata, staccando alla fine lo sguardo dall’entrata della caverna, come se si fosse arresa al pensiero che Max non sarebbe tornato immediatamente indietro.
Nate si strinse nelle spalle. Non aveva nessuna risposta da darle.
Liz e Maria si scambiarono uno sguardo, poi Liz si spostò davanti a lui.
"Tu non capisci." disse, senza tono di accusa.
"Non capisco cosa?" chiese lui.
"Chi sono loro. Cosa sono loro." Liz fissò il pavimento, poi ancora gli occhi di Nate. "Voglio farti vedere qualcosa."
Lui la guardò sospettoso. "Cosa?"
Liz sollevò le mani poi, esitando gli disse. "Devo toccarti."
Lui batté gli occhi. "Okay." le rispose incerto.
Liz guardò Maria ancora una volta, poi posò la punta delle dita sulle tempie di Nate. Lui la strava ancora guardando incuriosito quando la prima ondata di immagini sfrecciò nel suo cervello.
Era un miscuglio di immagini – momenti di tanto tempo prima, quando Max e Liz erano ancora ragazzi. Era come guardare un filmino fatto in famiglia proiettato velocemente e lui non riuscì ad afferrare completamente quello che stava vedendo.
Ma il film si bloccò all’improvviso ed una immagine riempì la mente di Nate.
Erano state preparate quattro colonne, che andavano dal pavimento al soffitto, e ad ogni colonna era attaccata una persona. Non legata, ma attaccata – come se le mani fossero state inglobate nel materiale di cui erano composte le colonne. Nate si rese conto di avere davanti una versione giovanile di Max, Michael, Isabel e … una piccola ragazza bionda. Sua madre? Scacciò la domanda dalla testa e cercò di concentrarsi su quello che stava accadendo intorno a lui.
Stava guardando attraverso gli occhi di Max. C’era un piccolo ragazzo pre-adolescente che stava interrogando il gruppo in un modo orrendo, con commenti duri e sgradevoli. Nate non riuscì a comprendere come tutto il gruppo fosse finito in quella situazione, come un ragazzino fosse stato in grado di ridurli in quello stato ma, quando la prima ondata di dolore passò nella mente di Max, si rese conto del perché. Nate stava provando tutto quello che Max aveva provato – dita che frugavano nel suo cervello come se fosse un armadietto, senza considerare nulla come sacro o oltre il limite del consentito, per cercare quello che gli interessava, a qualsiasi costo. Nate si fece piccolo, facendo una smorfia alla vile creatura che scavava sempre più a fondo, fino a che si fermò all’improvviso –
Un altro posto, questa volta in un tempo più vicino.
Nate era ancora nella mente di Max, e questa volta il dolore era ancora più spietato. Vide piccoli frammenti di vita con Liz – il cottage in riva al mare, Liz in mutandine che ballava nel soggiorno, risate che echeggiavano. Il rifugio felice di Max. Ma quel posto si dissolse in fretta e non ci fu nient’altro che orrore puro.
Voci che risuonavano avanti e indietro, minacciando di uccidere tutti quelli che gli erano cari. Tutti gli abitanti del pianeta. Nate vide astronavi nel cielo e improvvisamente comprese perché Max era rimasto terrorizzato quando si erano diretti all’aeroporto – non era degli aerei che aveva avuto paura, era di un attacco dal cielo.
Quelle stesse raccapriccianti dita, entrarono lentamente nel suo cervello, contaminando tutti i suoi ricordi, depredandolo di tutte le sue esperienze. Il dolore fisico che aveva sopportato era stato niente rispetto a quello che aveva dovuto subire la sua mente. E Nate comprese appieno che, mentre Max si era rifugiato nel suo posto felice con Liz come misura di auto-conservazione, qualche parte subconscia del suo essere era rimasta a sperimentare tutte quelle cose orrende.
E queste erano le vere memorie delle torture che Max aveva ricevuto dalle mani di Nicholas e Khivar.
Spingendo via le mani di Liz dalle sue tempie e interrompendo la connessione, Nate corse alla parte opposta della caverna e si gettò sul pavimento. La testa gli pulsava, il cuore gli batteva velocemente nel petto. Non credeva che sarebbe mai più riuscito a cancellare quelle immagini dalla sua mente – si proiettavano continuamente nella sua testa come un macabro ritornello.
"Mi dispiace, Nate." disse piano Liz, da dietro le sue spalle. "Ma dovevi sapere."
Mentre Nate lottava per riuscire a respirare, una nuova conoscenza del nemico prendeva possesso della sua mente. Conoscenza del nemico che non lo confortava comunque. Come sarebbero riusciti a sconfiggere un nemico così spietato e privo di scrupoli?
Nate non riusciva a sfuggire alla sensazione che tutti loro stavano andando incontro alla morte.

Capitolo 26

Nate era seduto con la schiena appoggiata alla parete della caverna, le ginocchia piegate contro il petto, la testa tra le braccia. Dentro di sé, ribolliva.
Il senso del tempo che passava era cessato. Potevano essere passati dieci minuti da quando Liz gli aveva mostrato gli orrori sopportati da Max – potevano essere passate dieci ore. Era stato così ingenuo a parlare di soluzioni pacifiche. Ora sapeva che non ci sarebbe stata pace, non fino a che esseri come Nicholas e Khivar erano liberi e protetti dall’anonimato.
Ma non era questo il pensiero più preoccupante. Gli altri avevano detto a Nate che Nicholas e Khivar avevano lasciato il pianeta vent’anni prima ed erano ritornati da poco. Ma era da allora che Max aveva svolto il suo compito di ambasciatore di pace. Questo voleva dire che c’erano altri alieni, altre specie sul pianeta che costituivano una minaccia.
Quanti erano? Da dove sarebbe arrivato il pericolo? Queste creature vivevano sulla terra come comuni esseri umani, come facevano gli ibridi? Durante la sua vita, Nate era stato vicino a qualche alieno senza saperlo? Qualcuno degli abitanti di Chautauqua era un alieno? Qualcuno a scuola? Qualcuno che lui aveva considerato suo amico?
Le domande erano troppe e facevano dolere la testa di Nate. Sollevò la testa, ma tenne chiusi gli occhi, passandosi le mani tra i capelli e cercando di calmare il subbuglio che aveva dentro di sé. La gola gli bruciava ancora, dopo che poco prima aveva rigettato la sua colazione e aveva acidità di stomaco. In fondo alla sua anima, Nate sapeva che non sarebbe mai più stato bene.
Si chiese dove fossero gli altri, se avessero già trovato le loro prede. Cercò di stendere la sua mente, per sentire Alyssa nel modo in cui Liz sentiva Max, ma non ci riuscì. O lui non era capace a farlo, o Alyssa non poteva essere contattata. Non gli piacque questa ultima riflessione. Non sopportava di starsene seduto nella caverna aspettando gli avvenimenti, mentre tutti gli altri erano fuori a combattere senza di lui.
"Nate?"
Nate abbassò le mani ed aprì lentamente gli occhi. Seduta accanto a lui c’era Liz, che gli era scivolata accanto senza che lui se ne fosse reso minimamente conto. Gli occhi di lei erano pieni di rimorso e la sua espressione era incerta, esitante.
"Sei arrabbiato con me?" gli chiese con cautela.
Senza esitare, Nate scosse la testa. No, non ce l’aveva con lei.
Lei doveva averlo considerato il modo migliore per fargli capire quello che era successo a Max, ma nello stesso tempo, era preoccupata che lui non avrebbe voluto venirne a conoscenza in un modo così duro. Nate ebbe l’impressione che Liz di solito affrontasse le cose con un amore tenace.
Liz apparve sollevata e fece un lungo respiro, come se avesse trattenuto l’aria troppo a lungo. Dall’altro lato della caverna Maria era distesa su un sacco a pelo con Emily addormentata sopra di lei.
"Non è la prima volta che affrontiamo qualcosa del genere." gli spiegò dolcemente Liz, lo sguardo posato sulla sua amica e sulla sua bambina.
Nate la ascoltò in silenzio. Non aveva molta voglia di parlare e, in ogni caso, non avrebbe saputo cosa dire.
Liz si strinse nelle spalle. "Naturalmente, è la prima volta che incontriamo Nicholas e Khivar dopo molto tempo, ma c’è sempre stata qualche altra minaccia da affrontare, sai?"
No, non lo poteva sapere. Era questo il problema. Ritornò col pensiero alla prima notte che lui e Max erano entrati nella camera dei bozzoli, a quando Max si era portato dietro ogni tipo di rifornimenti che potevano essere utili, a come la catena di comunicazione fosse già stata messa in funzione. A quel tempo, gli era sembrata una cosa strana e si era chiesto se per loro fosse un avvenimento normale. Ora sapeva che lo era.
"Max è forte." continuò Liz, guardando ancora lontano.
Nate sollevò un sopracciglio. Quanto era stato forte Max un mese prima, quando era stato rapito dalle stesse creature alle quali ora stava dando la caccia?
"Troveranno un modo per uscire da questa situazione." disse Liz e Nate si rese conto che non stava parlando così per fare coraggio a lui, ma per fare coraggio a se stessa.
Liz si accigliò leggermente, mentre posava lo sguardo sulla figlia. "Lui deve … "
Nate fissò il pavimento. Lui voleva bene a Liz. Le voleva veramente bene. Ma in quel momento nella sua mente c’era un guazzabuglio e non aveva la forza di stare ad ascoltarla.
"Ho bisogno di un po’ d’aria." disse vagamente, alzandosi in piedi e uscendo dalla caverna.
Il sole stava tramontando. Erano stati nella caverna molto più tempo di quello che aveva immaginato, il buio lo aveva privato del senso del tempo che scorreva. Guardò il cielo purpureo e lo trovò quasi troppo bello, come se lo stesse prendendo in giro per la sua situazione difficile.
"Aubrey." chiamò piano.
In un secondo, la sua guardia del corpo fu al suo fianco, senza i Ray Bans che ad un certo punto doveva essersi tolta.
"Signore." gli disse rigida. "Devo consigliarti, per la tua sicurezza, di stare dentro al riparo."
Nate non riusciva a fare a meno di trovare il suo atteggiamento di fedeltà al dovere, alquanto divertente. "Tornerò in un minuto." la rassicurò. "Voglio prendere solo un po’ d’aria fresca."
Aubrey chinò la testa da un lato, come se stesse ascoltando qualcosa, poi fece un veloce cenno con la testa. "Molto bene, signore."
Si girò su una caviglia, in modo da essere spalla a spalla con lui, mentre i suoi occhi alieni continuavano a sorvegliare il terreno intorno a loro.
"Hai sentito qualcosa?" gli chiese speranzoso Nate.
"Sentito, signore?"
"A proposito di – tu sai cosa. Sai come, um … come sta andando la missione?"
Lei scosse la testa una volta, velocemente. "No, signore."
Stettero immobili per un attimo, Nate guardando il sole che scendeva dietro l’orizzonte, Aubrey esaminano ogni cactus, ogni rotolo di erba secca che volava nel vento. Alla fine lui si morse le labbra e si voltò verso di lei.
"Tutto questo porterà alla pace?" le chiese, sperando in qualche modo che la morte di Nicholas e Khivar fosse l’antitodo di cui il mondo aveva bisogno.
Aubrey inclinò la testa ancora una volta, con l’espressione più confusa che Nate le avesse mai visto. "Cos’è la pace?"
Nate si sentì precipitare nella disperazione. C’erano esseri alieni, sul suo pianeta, che non conoscevano il significato del termine ‘pace’. Come avrebbero mai fatto ad ottenere la pace se non ne afferravano nemmeno il concetto?
"Non importa." le disse, quando si rese conto che Aubrey stava aspettando una risposta da lui. "Domanda stupida, credo."
Rimasero ancora in silenzio, poi Nate si rese conto che lei era stata tutto il giorno fuori, sotto il sole del deserto, per proteggere il suo sedere.
"Aubrey, hai bisogno di mangiare qualcosa, di bere qualcosa." le offrì.
Lei scosse ancora una volta la testa."Ho bisogno di mangiare e di bere una volta a intervalli di qualche giorno."
Nate batté gli occhi. Non aveva bisogno di dormire. Mangiava si e no tre volte a settimana. Si chiese quali altre strane caratteristiche avesse.
"Dovrei tornare dentro." le disse, senza sentirsi meglio rispetto a quando era uscito.
"Io rimarrò qui fuori."
"Stabilendo un perimetro." disse Nate esitante, sperando almeno di divertire se stesso.
"Il perimetro è già stato stabilito, signore."
Nate si disperò. Era come cercare di fare una battuta a una pietra. "Naturalmente."
Quando Nate rientrò nella caverna, trovò Liz e Maria che stavano parlando fittamente ed Emily che si era svegliata e si stava dimenando. Il terrore riempì ogni cellula del suo corpo.
"Cosa c’è?" chiese, con lo stomaco sempre più annodato e il cuore che gli ballava nel petto.
Maria si morse un labbro e Liz si voltò verso di lui.
"E’ successo qualcosa." gli disse.
"Cosa?" ripeté lui, con gli occhi spalancati.
Liz scosse la testa, facendo svolazzare i suoi capelli scuri. "Non lo so. L’ho solo … sentito." Si posò una mano sul petto come per poterlo sentire ancora. A Nate sembrò che avesse un po’ di nausea.
"Cosa hai sentito?" le chiese.
"Un sobbalzo, una scintilla." disse perplessa. "Certamente qualcosa di insolito. Forse qualcuno ha usato una grande quantità di potere. Qualche volta, quando Max fa qualcosa in casa con i suoi poteri, io posso avvertire le sue vibrazioni. Ma questa volta … questa volta è stata usata una quantità di potere esorbitante."
Nate deglutì con difficoltà, mentre il suo sguardo si posava su Maria. Lei non stava piangendo o preoccupandosi, ma capì dal suo sguardo che era pronta ad esplodere con un rimprovero ad ogni momento.
"Cosa pensi voglia dire?"
Liz scosse ancora la testa. "Non lo so. Credo che li abbiano trovati … "
Le parole le morirono in gola. Ovviamente lei non voleva pensare ai possibili scenari. Nate la capì – non voleva essere pessimista, ma sarebbe stato terribile essere oltremodo ottimisti.
Così rimasero in attesa. Loro quattro, una troppo piccola per rendersi conto della tensione degli altri. Nate cercò di giocare con la bambina, ma non ne aveva il cuore.
E dato che alla sua nascita lei era connessa con lui, Nate capì che lei si era resa conto che c’era qualcosa che non andava in lui. Spesso lo guardava con quei suoi grandi occhi scuri, poi il suo labbro inferiore cominciava a tremare e lei piagnucolava un po’ – non quel pianto infantile di bisogno, ma piuttosto il lamento di dolore di una mamma gatta che aveva perso uno dei suoi gattini. Quasi spezzò in due il cuore di Nate.
Il passare del tempo divenne di nuovo incerto, incurante del fatto che la tensione nella caverna era aumentata dieci volte.
Nate si disperò al pensiero della vita relativamente semplice che aveva condotto fino a qualche settimana prima. Allora poteva affrontare le complicazioni aliene, ma adesso che sapeva esattamente cosa dovevano fronteggiare, aveva capito che nulla sarebbe più stato semplice come prima.
La mente di Nate tornò al motel di Artesia, quando lui ed Alyssa avevano consumalo il loro amore per la prima volta. Era stato un momento così bello, pieno di nuove scoperte, come quale fosse la natura del vero amore. Non riuscì a trattenere il sorriso che gli fiorì sul viso al ricordo della loro prima volta insieme, la partecipazione ardente di Alyssa in qualcosa che non aveva mai fatto prima. Il sorriso scomparve quando ripensò alla ricomparsa del sigillo e alla criptica reazione che lei aveva avuto.
"Sta cominciando." gli aveva detto con timore reverenziale.
Quando aveva insistito per avere una spiegazione, le aveva semplicemente aggiunto che lui era 'il solo'. Non erano state tanto le sue parole, quanto la gioiosa, orgogliosa espressione del suo viso, che stava quasi per piangere di felicità, che lo aveva reso perplesso.
Ora, seduto in una caverna mentre aspettava che si decidesse il destino del mondo, si stava rendendo conto che ancora non aveva capito di cosa parlasse Alyssa.
Cosa stava cominciando? Era a questo che lei si era riferita? Una battaglia per la loro sopravvivenza?
E cosa significava per lui essere 'il solo'? Il solo cosa? Il solo che li avrebbe condotti al macello?
Il suo sogno ricorrente gli balenava nella mente, quella visione piena della speranza che un giorno la sua gente avrebbe potuto camminare per le strade libera e senza il timore di minacce per la propria esistenza. In pace. Nate sbuffò. Non c'era pace per loro. Non ci sarebbe mai stata.
La stanchezza cominciò a pesare, ma tutto il gruppo cercò di combatterla, non avendo il coraggio di addormentarsi. Gli occhi di Nate bruciavano e gli doleva tutto il corpo. Emily diventò pesante tra le sue braccia, fin quando Liz venne a prenderla per allattarla.
Passò altro tempo, lentamente, trascinandosi come una strada di dieci chilometri verso il patibolo.
Ad un certo punto, Nate ebbe la sensazione che la totale mancanza di segnali non fosse una buona cosa. Se la battaglia era finita e gli ibridi avevano vinto, allora la squadra sarebbe già dovuta essere di ritorno. Il loro ritardo poteva significare una sola cosa e lui non voleva pensarci.
Proprio mentre Nate si rese conto di star perdendo la battaglia contro la stanchezza, un'ombra passò davanti all'ingresso della caverna e lui si sentì sveglio all'improvviso. Potevano essere gli ibridi che tornavano, ma poteva anche essere il nemico che veniva ad ucciderlo.
Il solito terrore si impadronì del suo addome, facendo nodi sempre più stretti.
Dall'altro lato della caverna, Liz trattenne il respiro e poi gridò – di gioia o di paura, Nate non poté dirlo. Non ebbe modo di analizzarlo, perché una figura apparve dall'entrata, un dinoccolato, esausto adolescente di nome Jeremy Ramirez.
"Oh, Dio." ansimò Maria e corse verso di lui. Aiutò Jeremy a sedersi e gli offrì una bottiglia d'acqua.
Nate fissò in un silenzio sbigottito il cugino, che era coperto di polvere e che sembrava essere appena stato testimone dell'Olocausto. Stava per rivolgergli qualche parola di conforto, quando prima Isabel e poi Kyle entrarono nella caverna. Liz scoppiò in lacrime, portandosi la mano alla bocca.
"Tutto bene." disse Isabel a fatica. "Lui sta bene, Liz."
Subito dopo entrò Michael e Maria lo fece quasi cadere, quando si lanciò tra le sue braccia. Dietro di lui entrò Alyssa.
Senza parlare, corse verso Nate, le braccia aperte in un abbraccio. Nate fu sommerso da una sensazione di sollievo, mentre lei si gettava contro di lui; Alyssa scoppiò a piangere – una reazione al trauma, probabilmente. Nate chiuse gli occhi e la tenne stretta, sentendo tutta la paura che lasciava il suo corpo in una grande, spossante ondata.
Quando alla fine riaprì gli occhi, vide che anche Max si era unito a loro e stava tenendo tra le braccia una Liz piangente, mentre anche i suoi occhi erano umidi di lacrime.
"Va tutto bene, piccola." Nate sentì Max rassicurare sua moglie. "E' finita."
Mentre Nate stringeva Alyssa, sentì dentro di sé una sensazione amara.
Nonostante quello che aveva appena detto Max, lui sapeva che non sarebbe mai finita.

Capitolo 27

L'inverno si stese su Boston come una scura, pesante coltre di depressione.
Incapace di recuperare l'assenza di diverse settimane dalle lezioni, Nate lasciò il Boston College, cosa che cercò di nascondere agli Spencer. Odiava mentire loro, ma non gli sembrò nemmeno plausibile dire che era mancato alle lezioni perché aveva dovuto salvare suo padre da un nemico alieno.
Alyssa, invece, cercò immediatamente di rimettersi al passo e tornò ai suoi studi come se non fosse mancata nemmeno un giorno. Non che non soffrisse anche lei delle conseguenze di quello che era successo nel deserto del New Mexico.
Jeremy Ramirez era probabilmente quello che aveva sofferto più di tutti. Nate pensava di vedere le scintille della vita abbandonare il ragazzo ad ogni giorno che passava. Ma la cosa peggiore era che Jeremy si rifiutava di parlarne. Mentre tutti gli altri avevano sommerso Nate, Liz e Maria con i racconti di quello che era successo, Jeremy si era tenuto la sua esperienza chiusa dentro – e Nate pensava che non fosse una cosa buona. Naturalmente, aveva cercato di trovarsi una ragazza o due per placare le sue ansie, ma tutti sapevano che aveva bisogno di aprirsi e di parlare di quello che era successo.
Maria e Michael tornarono a Roswell, o meglio ad Artesia dove Maria poteva nascondersi, dopo il successo del suo ultimo album. Nate aveva il sospetto che si sarebbero risposati e, per il bene di Alyssa, sperava che lo facessero presto. Sembrava che la separazione dei suoi genitori fosse un capitolo aperto nella sua vita, che finché non fossero tornati insieme, niente al mondo sarebbe andato per il verso giusto. Nate non la pensava in questo modo – gli piaceva Maria e tollerava appena Michael, ma non pensava che il mondo sarebbe finito se loro non fossero tornati assieme. Ma, di contro, non erano mica i suoi genitori.
Nate tornò dai suoi genitori per il Ringraziamento e per Natale, due spiacevoli vacanze che avrebbe preferito dimenticare. Avrebbe voluto che Alyssa fosse andata con lui, per farle incontrare i suoi futuri suoceri, ma lei aveva avuto bisogno di tornare nel New Mexico.
La lotta con Nicholas e Khivar, e la consapevolezza della crudeltà con cui avevano avuto a che fare, aveva cambiato Nate in maniera drastica e non c'era modo per lui di nasconderlo ad Emma e a Jonathan. Mentre aveva programmato di passare quattro giorni a New York per il Ringraziamento, vi era rimasto solo un giorno e mezzo, il massimo del tempo in cui sarebbe riuscito a sostenere la facciata. Andò un po' meglio a Natale, ma gli bastò lo sguardo negli occhi di Emma, per capire che loro sapevano che c'era qualcosa di terribilmente sbagliato nel loro ragazzo.
Max diventò ogni giorno più forte, fino a tornare ad essere l'uomo che era prima che la sua mente fosse violata. Liz si prese un altro anno sabbatico per stare con lui e con Emily, per chiudersi fuori dal mondo e cercare di guarire le loro profonde ferite. Nate pensava spesso a loro e sorrideva chiedendosi se fossero andati in quella casetta sul mare dove Max si era rifugiato per scappare al dolore della sua tortura. Gli faceva piacere pensare che fossero insieme e felici. Se qualcuno si meritava un lungo periodo risanatore, quelli erano Max e Liz.
Naturalmente, Max era venuto a trovare suo figlio. Avevano trascorso ore solo a passeggiare nella neve e a parlare di quello che era successo quel giorno nel deserto.
Sapere che l'arroganza di Khivar era stata tanto grande da portare con sé solo pochi rinforzi, sapendo che Max era 'morto' e che vedersela solo con suo figlio era una pura formalità, aveva messo Nate a tappeto.
Richiamò la sensazione di sapere che era circondato da un centinaio di alleati, che non poteva vedere, e poté immaginare che Nicholas e Khivar fossero stati sorpresi con le difese abbassate. La battaglia era stata veloce, ma non facile. Era stata sufficiente un'occhiata al cugino per capirlo.
Dopo che il gruppo fu tornato alla vita di tutti i giorni, avevano ripreso la strategia di nascondersi stando in piena vista.
Dopo essere tornato da una settimana nella mansarda sopra il garage di Isabel, Nate cominciò a pensare che quel modo di sopravvivere alla fine non li avrebbe salvati. Non credeva che sarebbero riusciti a nascondersi per sempre – ma forse non avrebbero dovuto nascondersi affatto.
Era una notte fredda e silenziosa, quella in cui Nate si trovò seduto in una sedia ultra imbottita, guardando al chiaro di luna gli alberi dietro la casa di Isabel. Quella sera aveva imperversato una tempesta gelata e gli alberi brillavano davanti al freddo pallore della luna.
Da qualche parte lì fuori, Nate sapeva che Aubrey stava facendo la guardia. Anche se la vedeva raramente, Nate sapeva che era lì. Essendo un mutaforma, avrebbe potuto essere dovunque e chiunque.
Qualche volta Nate si trovava a fissare i clienti del caffè, per chiedersi quale potesse essere. Prima che smettesse di andare al College, si trovava sempre a scrutare gli studenti, alla ricerca di qualcuno che il giorno prima non c'era, solo per vedere se riusciva a riconoscerla. Di solito, cercava qualcuno che non sembrasse avere senso dell'umore. Era brava in quello che faceva – ancora non era mai riuscito a scoprirla.
Sapendo di aver bisogno di dormire, Nate fece un profondo sospiro e si alzò lentamente.
Erano seduti su un precipizio, tutti loro. Il mondo stava cambiando rapidamente, troppo rapidamente. Da un momento all'altro, per loro, poteva cambiare tutto.
Alyssa gli comparve davanti, i lunghi capelli scompigliati dal sonno. Nate le sorrise per un riflesso – ormai non aveva bisogno di pensare a quanto fosse felice di vederla, la sua reazione era automatica. Indossava due pigiami di flanella – l'inverno non era cosa per lei: aveva sempre freddo, qualche volta cominciava a tremare all'improvviso.
Nate spalancò le sue braccia e lei vi si precipitò dentro, contorcendosi fino a che la sua testa si sistemò sotto il mento di lui, contro il suo petto. Automaticamente, Nate si lasciò andare contro schienale della sedia e prese un plaid che la signora Evans aveva dato loro come regalo per l'inaugurazione della nuova casa; Nate aprì la coperta e la stese sopra di lei, continuando a tenere Alyssa tra le braccia. Sotto le sue mani, lei era sottile, più sottile di quanto lo fosse stata qualche mese prima – il conflitto con Khivar aveva richiesto anche a lei il pedaggio.
"Il cuore di un re." mormorò Alyssa contro il suo petto, con un sorriso nella voce, mentre ripeteva le parole che aveva pronunciato la prima notte che avevano trascorso insieme.
Il cuore di un ex-re, per essere esatti.
Una volta che Max fu tornato se stesso, era andato da Nate e gli aveva spiegato che se lui non si sentiva pronto per essere re, non avrebbe dovuto esserlo per forza, che Max avrebbe ripreso il sigillo, se era veramente questo che Nate voleva.
Nel suo solito modo, Max non aveva forzato il figlio a prendere una decisione immediata, ma aveva piantato il seme e aveva lasciato che Nate ci riflettesse.
Dopo aver valutato tutta la sua insicurezza e la sua relativa stupidità, quando si trattava di cose aliene, pochi giorni dopo la sua offerta Nate tornò da Max e gli lasciò riprendere volentieri il sigillo.
Quando Max sarebbe stato troppo vecchio per sopportare le responsabilità di leader, sarebbe venuto il momento per Nate di salire al trono, ma fino ad allora Max Evans era di gran lunga più preparato di Nate a guidare la loro gente.
"Dovresti essere a letto." disse Nate tra i capelli di Alyssa.
"Anche tu." replicò lei, accoccolandosi ancora di più tra le sue braccia.
"Domani sarà un giorno importante." le disse, mordendosi il labbro inferiore. "Cambierà tutto … "
Ci fu un breve pausa, poi lei fece un cenno con la testa. "Lo so."
Non era stato facile convincere gli altri a seguire il piano di Nate. C’erano voluti mesi, infatti, con ossi duri come Isabel e Michael. Anche adesso, Nate non era sicuro che lo avessero accettato interamente, ma fin dal principio erano stati d’accordo che si doveva fare qualcosa per risolvere la situazione in cui erano.
E se c’era una cosa che Nate aveva imparato nell’ultimo anno, era che se la squadra dei bozzoli decideva qualcosa, tutti sarebbero andati fino in fondo, indipendentemente dalle riserve personali. Avevano sempre agito come un gruppo compatto.
Sotto la coperta, Alyssa stava facendo scorrere la punta delle dita sopra i pettorali di Nate, che stavano sempre più aumentando. Da quando erano tornati sulla costa orientale, lui aveva ripreso i suoi allenamenti, spesso in compagnia di Max. Il suo corpo stava finalmente mostrando i risultati dei suoi sforzi – Nate Spencer non era più l’allampanato ragazzo pelle e ossa che aveva lasciato il Lago Chautauqua quindici mesi prima.
"Mi piace come è cresciuto il tuo seno." disse Alyssa divertita.
Nate guardò in giù, verso la testa di lei, uno sconcertato sorriso sulla sua faccia, poi allungò una mano per toccare il seno di lei. "Si, anche a me il tuo."
Lei fece un risolino e sollevò la testa per guardarlo, finché la realtà si fece largo dentro di lei e il sorriso si dissolse lentamente.
"Hai paura?" le chiese Nate.
Lei scosse la testa, la sua espressione diventata improvvisamente seria.
Lui sospirò. "Come sai che stiamo facendo la cosa giusta?"
Alyssa sollevò una spalla. "Perché so da tanto tempo che tu sei il solo che avrebbe potuto cambiare le cose, Nate. Mi fido di te, completamente."
Lui deglutì, non avendo in se stesso la medesima fiducia che aveva lei.
Con gli occhi scuri pieni di emozione, Alyssa tracciò la linea del suo viso con la punta delle dita. "Io non so cosa ci porterà il domani, Nate. Non so se questa sarà la nostra ultima notte insieme. Ma so questo – se questa è la nostra ultima notte, allora la voglio trascorrere facendo l’amore con te." Si sollevò e gli diede un bacio appassionato sulle labbra. "Fai l’amore con me, Nate." gli sussurrò.
Con una mossa veloce, Nate si alzò, portandola in braccio, mentre la coperta che cadeva in terra. Poi si lasciarono cadere sul letto, pensando soltanto a cosa rappresentavano uno per l’altra, dimenticando tutto quello che stava per succedere.

***

Lo sguardo di Michael Guerin era tempestoso, mentre faceva fermare il furgone davanti casa di Isabel. Nate e Max lo aspettavano sulla soglia della porta, spostando il peso da un piede all’altro. Michael aprì lo sportello del furgone e fece loro segno di sbrigarsi.
"Andiamo." li esortò. "Mancano venti minuti all’inizio della trasmissione."
Nate e Max salirono in fretta, una scura figura che saliva dopo di loro.
"Buona sera, Aubrey." disse Michael nello specchietto retrovisore.
"Signore." fu la sua sola risposta.
Stavano per chiudere la porta scorrevole del furgone, quando Jesse Ramirez vi entrò di corsa e chiuse la portiera dietro di sé. Michael, Max e Nate lo guardarono sorpresi mentre l'avvocato si sistemava nel sedile dietro a Nate.
"Che diavolo hai intenzione di fare?" chiese Michael, le sue sopracciglia talmente unite da sembrare uno solo.
"Di venire con voi." disse Jesse semplicemente.
Nate vide l’abito firmato dell’uomo e si meravigliò ancora di più. Il resto di loro era vestito sportivamente e lui sembrava fuori posto tra di loro.
"Nemmeno per sogno." disse Michael, usando i suoi poteri per riaprire la portiera. "Fuori. Ci farai arrivare in ritardo."
"Avrete bisogno di me." disse calmo Jesse, poi batté un dito sull’orologio. "Tic-tac, Michael."
Michael stava per protestare, ma Max sollevò una mano per farlo tacere. "Di cosa stai parlando, Jesse?"
"Ogni americano ha diritto ad un avvocato difensore." ghignò. "Eccomi."
Ci fu un momento di silenzio, mentre tutti riflettevano. Dopo pochi secondi, Jesse chiuse di nuovo la portiera.
"Andiamo." disse, indicando la strada.
Michael guardò con apprensione Max, che si lasciò convincere ed annuì. Michael si morse le labbra, poi mise in moto e si diresse verso la città.
Max si girò sul suo sedile e toccò Jesse sulla spalla. "Grazie, Jesse. Non devi sentirti obbligato a farlo."
"Si, invece." rispose Jesse, poi i suoi occhi scuri si addolcirono. "Cosa posso farci? Amo mia moglie."
Il resto della corsa fu teso, mentre si dirigevano alla loro destinazione.
Nate guardava ossessivamente l’orologio – arrivare troppo presto, avrebbe rovinato l’elemento sorpresa; arrivare troppo tardi, avrebbe rovinato una possibilità e probabilmente sarebbero finiti tutti in prigione.
Come se qualcuno lo avesse colpito allo stomaco, si rese conto di aver completamente dimenticato di includere gli Spencer nel suo piano. Con le dita che tremavano, prese il cellulare dalla tasca e compose in fretta il numero. Fu Emma a rispondere.
"Mamma, sono Nate." le disse, cercando di avere un tono normale, ma sapendo che non ci sarebbe riuscito.
"Nate, cosa c’è che non va, tesoro?"
Nella sua mente riusciva a vedere il turbamento nei suoi occhi e sentì una fitta al cuore. "Mamma, ascoltami, okay? Ho bisogno che sintonizzi la TV sul canale della NBC."
"Cosa? Nate, stai bene?"
"Si, sto bene. Per favore, guarda la NBC."
"Perché, tesoro?"
"Fallo, mamma. Per favore." Nate chiuse gli occhi, desiderando che lei potesse comprenderlo. "Mi dispiace, mamma. Avrei dovuto spiegarvi tutto questo già da tempo. Non ho mai voluto farvi soffrire e non lo voglio ora. Per favore, sappiate che vi voglio molto bene e che vi sarò per sempre grato di tutto quello che avete fatto per me."
"Nathan … mi stai facendo paura."
"Lo so, mamma." Lacrime minacciarono di uscirgli dagli occhi. "Mi dispiace. Ti prego, guarda l’NBC. Di’ a papà che gli voglio bene."
"Ci siamo." li avvertì Michael dal sedile anteriore.
"Ora devo andare." disse Nate, interrompendo le proteste della madre. "Ti voglio bene, mamma." Con quello chiuse la chiamata e spense il cellulare, in modo che lei non potesse richiamarlo.
Michael fermò il furgone davanti alla stazione televisiva, poi lasciò andare un sospiro di ansia. "Sarà meglio che tu abbia ragione, a proposito di tutto questo, Junior."
Nate annuì, scambiando un’ultima occhiata con Max e Jesse, poi il gruppo uscì dall’automezzo. Aubrey si era mutata in un uomo mentre erano ancora nel van.
"Lasciali passare." disse all’uomo alla porta. "Hanno un permesso." Fece balenare un cartellino e l’uomo si fece da parte.
Nate, Michael, Max e Jesse non cambiarono mai l’andatura. Traversarono l’atrio e poi un lungo corridoio, seguendo le luci che sembravano sempre più forti mano a mano che si avvicinavano. Presto furono nello studio televisivo e il cuore di Nate cominciò a battere come un tamburo nel suo petto. Ora non potevano più tornare indietro. Pensieri di Alyssa, dei suoi genitori, della piccola Emily, gli passarono per la mente. Si rese a malapena conto che Max e Michael stavano temporaneamente neutralizzando i cameraman. Camminò direttamente verso la presentatrice, che li guardò spaventata ed indignata nello stesso tempo.
"Chi diavolo siete?" gli chiese.
"Non le ruberò molto tempo." le disse con voce calma. "Ma devo cominciare io la trasmissione di stasera."
"Si, bene." sbuffò lei, poi il suo sguardo si posò sui suoi cameraman che erano distesi sotto le telecamere, invece di trovarvisi dietro, e il suo sorriso scomparve immediatamente.
"Gli uomini che sono ora dietro le telecamere sono con me." disse Nate, senza spostare lo sguardo da quello di lei. "Ora le suggerisco di lasciarmi il posto. Subito!"
Lei deglutì visibilmente, poi afferrò nervosamente le sue cose e si alzò di corsa dalla scrivania. Scomparve in fondo al corridoio e Nate seppe che era andata a telefonare alla polizia. Il che era un bene – esattamente quello che volevano.
Cercando di calmare i nervi, Nate afferrò il microfono della presentatrice e se lo fissò al colletto. Sistematosi sulla sedia, si accorse che le luci dello studio erano molto forti ed emanavano grande calore: riusciva a vedere a malapena le forme di Max e di Michael dall’altra parte delle telecamere.
"Ce la farai." gli disse Max rassicurante. "Hai circa dieci secondi."
"Sarà meglio per te se andrà tutto bene." brontolò Michael.
Nate vide che Max stava facendo un visibile conto alla rovescia dei secondi che mancavano, poi si raddrizzò sulla sedia. La luce sopra la camera di Max si accese e Nate seppe di essere in onda. Per un lungo momento, non riuscì a pensare a cosa dire, poi mise da parte tutte le riserve e tutti i dubbi.
"Buona sera." disse calmo. "Voglio cominciare col dire che non sono qui per fare del male a qualcuno. Sto solo cercando di ottenere protezione per me e per la mia gente."
Deglutì nervosamente, gli occhi azzurri decisamente rivolti verso la telecamera. Poi chiamò a raccolta la sua determinazione in dieci brevi parole, cambiando la sua identità e il destino del suo popolo nello stesso momento.
"Il mio nome è Nate Evans. E sono un alieno."

FINE

Scritta da Karen (MidwestMax)
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice
dall'originale in inglese, a cura di Sirio


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