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SPECIALE

ANCHE IL FIGLIO CRESCE

Capitoli 19-24


Riassunto: Questa storia, in 27 capitoli, è la terza di cinque fanfiction collegate tra loro, e segue a "Figlio di suo padre". Nate e Alyssa si sono trasferiti a Boston per frequentare il college, ma tutti noi sappiamo che la vita non è mai semplice per un Roswelliano.
Abbiamo imparato a conoscere i personaggi, ora li vedremo di nuovo in azione. E non sempre come vorremmo che agissero.

Valutazione contenuto: non adatto ai bambini.

Disclaimer: I personaggi dello show appartengono a Katims e co. Alyssa e Nate sono miei. Nessuna trasgressione è stata intenzionale… ehm, e nessuna offesa ad Hemingway per il titolo.
(NdT: L'autrice si riferisce al libro T'he sun also rises', conosciutò in italia col titolo 'Il sole sorgerà ancora'. Io ho preferito usare una traduzione leggermente diversa, perchè 'Anche il figlio sorge' non avrebbe reso completamente l'idea.)


Capitoli 1-6
Capitoli 7-12
Capitoli 13-18

Capitolo 19

Nate non riusciva a dormire. Era così tardi quando Liz era emersa per raccontare loro quello che aveva saputo da Max, che l’intero gruppo decise di accamparsi in casa Evans. C’erano corpi dappertutto, a peggiorare l’insonnia di Nate. Ma soprattutto, Jeremy Ramirez era accampato sul pavimento accanto al divano dove si era sistemato Nate, russando più forte di quanto fosse umanamente possibile. Nate si era chiesto se quel ragazzo non avesse veramente bisogno di un intervento chirurgico al naso …
Lasciando andare un sospiro e sdraiatosi sulla schiena, facendo attenzione a non svegliare Alyssa che stava dall’altra parte del divano, Nate fissò il soffitto illuminato dal cuneo di luce proveniente dalla cucina, che Diane aveva lasciata accesa come luce notturna per gli ospiti inaspettati. Il fatto che Alyssa e suo cugino riuscissero a dormire così pacificamente nonostante tutto quello che era successo, meravigliò Nate. Ma forse loro erano già passati attraverso qualcosa di simile. Forse per Nate si trattava solo di un caso grave di ‘nervosismo della recluta’.
E come faceva a non essere nervoso? C’era gente, lì fuori, che voleva ucciderlo per qualcosa di cui un anno prima non immaginava nemmeno l'esistenza – la sua primogenitura reale. A Nate non interessava nulla di un trono su uno sperduto pianeta. Per tutta la sua vita era stato solo Nathan Spencer, un ragazzo di campagna, normale a dir poco. Dover affrontare il fatto di essere destinato a morire così giovane era paralizzante.
Questo e il fatto che Michael Guerin volesse ‘aiutarlo’ ad imparare ad usare i suoi poteri. E se Michael stese lavorando per il nemico? E se la sua offerta di aiuto fosse stata solo una scusa per portare Nate da qualche parte ed offrirlo come agnello sacrificale? Dopo tutto, Tess Harding era stata una bugiarda e una traditrice – e chi poteva escludere che quella fosse una caratteristica fuori controllo della prima generazione di ibridi? E se Michael avesse tenuto nascoste le sue carte negli ultimi trent’anni?
Nate si rimproverò in silenzio per aver potuto anche solo pensare quelle cose. Ma Michael non era stato quello che aveva avuto la massima fiducia in Nate, e allora perché Nate avrebbe dovuto aver fiducia in lui? Cosa rendeva Michael immediatamente degno di fiducia?
Sospirando ancora una volta, Nate allungò le ginocchia e guardò dalla parte opposta del grande divano, dove Alyssa stava dormendo silenziosamente, sdraiata su un fianco. In nessun modo una persona cattiva poteva aver partecipato alla sua creazione. Di conseguenza, Nate doveva credere che le intenzioni di Michael fossero sincere. Si lasciò ricadere pesantemente sul cuscino, disapprovando se stesso. Odiava così tanto l’incertezza.
Poco prima di andare a letto, Liz aveva lasciato la stanza di Max per fare uno spuntino, dopo che il lungo digiuno aveva avuto la meglio su di lei.
Nate era stato abbastanza fortunato da trovarsi in cucina, quando lei era arrivata ed era riuscito a parlare un po’ con lei, prima che ritornasse accanto a Max.
Da quello che aveva potuto capire, la difesa di Max contro la violenza fatta alla sua mente dai poteri di Nicholas era consistita nel rifugiarsi letteralmente in un posto speciale, un posto riempito da Liz Parker. Nate si ricordò delle visioni avute mentre aveva guarito Max – assoluto orrore, seguito dalle visioni della graziosa professoressa, un dolce ricordo di una villetta in riva al mare. Il rifugio di Max. Lì nessuno avrebbe potuto toccarlo. Potevano intromettersi nel suo cervello quanto volevano e lui sarebbe comunque rimasto intoccabile, una tartaruga nel suo guscio.
Per quello che aveva potuto spiegargli Liz, la parte più dura era stata persuadere pazientemente Max ad uscire dal suo rifugio felice, convincerlo che le persone che lo circondavano, non gli avrebbero fatto del male. Per settimane, l’esistenza di Max era dipesa solo da una cosa – la sua fede in Liz. Era stata una fatica monumentale, chiedergli di fidarsi ancora di qualcuno.
Nate si trovò a sorridere. Gli piaceva l’idea, il pensiero che quello che Max e Liz dividevano era così puro, così sincero che Max era stato capace di salvare se stesso rivestendosi di lei. Non c’era da meravigliarsi se Liz avesse affermato di non poter vivere senza di lui.
Ad un certo punto Nate doveva essersi addormentato, perché si risvegliò all’improvviso, sollevandosi su un gomito.
"Non voglio farti del male." stava dicendo, nel buio e appena udibile, la calda voce di Max.
Nate batté gli occhi, cercando di schiarirsi la vista. Quando ci riuscì, vide Max seduto al suo fianco sul bordo del divano, con Emily che singhiozzava piano tra le sue braccia.
Nate guardò la coppia incuriosito – Max si ricordava di Emily? Come aveva fatto Max ad uscire dalla sua stanza senza svegliare Liz? Perché era seduto lì, a guardare Nate mentre dormiva?
"La principessina era affamata." disse Max, facendola saltellare e battendole piano la mano sulla schiena per far cessare il singhiozzo.
Si, e Liz avrebbe dovuto allattarla. Nate sollevò un sopracciglio.
"Le ho dato del succo di frutta." spiegò Max, accigliandosi leggermente. "Ma non sono sicuro che alla sua pancia sia piaciuto."
Per tutta risposta Emily ebbe un altro singhiozzo.
Nate si schiarì la voce insonnolita. "Max, stai bene?"
Max annuì, dando un bacio sulla testa della piccola. Nate avrebbe voluto che ci fosse più luce, per vedere gli occhi di Max – uno sguardo negli occhi di Max e potevi scrivere un libro. Magari così Nate avrebbe capito se Max stava veramente bene o se fosse ancora semi-catatonico.
"Volevo ringraziarti." disse Max sottovoce. "Per avermi aiutato."
Nate deglutì e fece un cenno con la testa. "In qualsiasi momento, Max. Sono contento di essere stato utile."
Max annuì il suo apprezzamento e carezzò i capelli di Emily. "Devi andare nella camera dei bozzoli." gli disse all’improvviso.
Nate rimase a bocca aperta.
"Ti ricordi dov’è?"
Nate annuì.
"Bene." Max appoggiò Emily sulla spalla e le diede dei colpetti decisi sulla schiena. "Mi dispiace, piccola." sospirò.
Nate aspettò qualche altra informazione, che non venne. Allora si schiarì di nuovo la gola. "Perché devo andare nella camera dei bozzoli?"
Max lo guardò, come se non ci fossero stati trenta secondi di silenzio nella loro conversazione. "Dietro i bozzoli, c’è una borsa di pelle con dentro alcuni manufatti."
"Manufatti?" Forse la ferita alla testa non era ancora guarita completamente …
"Prendi la borsa. Dentro vi troverai un pentagramma – è nero con degli inserti di vetro nella parte superiore. Devi attivarlo. Dopo che lo avrai attivato, loro arriveranno."
Nate vide Max girare Emily a pancia sotto e appoggiarsela sulle gambe, continuando a darle piccole pacche nel tentativo di venire a capo di quel fastidioso singhiozzo. Lei continuò a singhiozzare, il corpicino scosso ogni volta che lo faceva.
Nate inarcò un sopracciglio. Pentagramma. Manufatti. Misteriosi ‘loro’.
Max si stava comportando stranamente. Forse era il caso di togliergli la bambina …
"Chi sono ‘loro’?" chiese Nate, decidendo di dare ancora un po’ di fiducia a suo padre prima di chiamare il Telefono Azzurro.
"Persone." disse Max.
"Umani?"
Lui scosse la testa, sorridendo. "No. Persone come l’Agente Darmon."
Nate credette di vedere un’ombra di dolore passare sul viso di Max. "Amici."
"Perché dovrebbero venire?" chiese Nate.
"Per aiutarci a combattere." Max smise di prendersi cura di sua figlia e fissò Nate. "Tu potrai dire loro cosa fare."
A quel punto, non avendo più l’intenzione di andare avanti con le sciarade, Nate scoppiò a ridere. Era ora che Max tornasse a letto.
"Max, ma di cosa stai parlando? Qual’ è l’alieno che prenderebbe mai ordini da me?"
Max non sembrò colpito dall’incredulità di Nate. Sembrava piuttosto calmo in quel momento, mentre guardava in basso, lo sguardo fisso nel vuoto. "Ora tu sei un Re, Nate."
Nate non riuscì a chiudere la bocca. Come poteva essere vero se Max era seduto proprio di fronte a lui, sicuramente vivo e vegeto? Forse non troppo vegeto … ma vivo! Max era il Re, non Nate.
Max guardò suo figlio. "Loro seguiranno te. Solo tu puoi attivare quel pentagramma. E loro verranno." Sospirò. Un lungo, faticoso respiro. Poi prese la bambina tra le braccia. "Emily e io siamo stanchi." gli disse." Torniamo a letto."
Detto questo, Max si alzò e lasciò il soggiorno, camminando cautamente oltre i corpi addormentati sul pavimento. Camminava in silenzio e Nate non sentì nemmeno il rumore della porta della sua camera che si apriva e si chiudeva.
Con l'incredulità che ancora permeava le sue vene, Nate rimase a fissare il soffitto a bocca aperta. Tutto quello era quantomeno bizzarro. Era solo un sogno? Ci pensò, poi sentì che Jeremy stava ancora russando come una motosega lì da qualche parte e allora Nate doveva essere sveglio. Dopo giorni di mutismo quasi assoluto, Max si era alzato nel bel mezzo della notte per dirgli di andare nella camera dei bozzoli e fare studi archeologici? Poi gli aveva fatto una rivelazione scottante – gli amici dell'Agente Darmon sarebbero arrivati presto.
Nate fece una smorfia e scosse la testa, girandosi su un fianco. Si sentiva come un sempliciotto di campagna, sdraiato su uno scomodo divano in New Mexico, mentre si supponeva dovesse trovarsi in un comodo letto a Boston. Incuriosito, si sollevò la camicia e vide che il sigillo era ancora inattivo. Perché Max pensava che fosse lui il Re?
Perché Max era ancora mezzo rimbambito, ecco perché! Da quello che aveva detto Liz, la mente di Max era stata torturata finché non c'era rimasto più niente. E allora perché Nate doveva prendere per vero tutto quello che lui gli aveva detto?
Per il modo con cui lui si era preso cura di Emily.
Quella consapevolezza bloccò per un momento tutti i processi mentali di Nate.
Max era stato capace di alzarsi con la bambina, di darle del succo di frutta, calmarla e prendersi cura di lei come una persona con tutte le sue facoltà intatte. Max non aveva gridato per avere aiuto quando Emily aveva fatto sentire il suo disagio. No, sembrava che Max avesse capito chi fosse lei e di cosa avesse bisogno e fosse stato in grado di prendersi cura di lei.
Allora, se lui era abbastanza presente a se stesso per occuparsi di Emily, era anche in grado di capire la situazione di Nate?
Nate fece una smorfia di frustrazione e si prese la testa tra le mani. Le cose si sarebbero mai fatte più facili? Avrebbero mai avuto un senso? Sembrava che le difficoltà crescessero come una palla di neve che rotolava, man mano che il tempo passava, fino a trasformarsi in una valanga che distruggeva tutto quello che trovava sulla sua strada …
"Va tutto bene."
Nate sentì delle morbide mani posarsi sulle sue braccia e spingerle lontano dalla sua testa. Aprì gli occhi per vedere Alyssa scivolare sul divano accanto a lui, i capelli dorati che ricadevano dietro di lei. Lei lo strinse tra le braccia e lo baciò dolcemente.
"Lo hai sentito?" le chiese incerto.
"Zio Max?" chiese lei, poi sorrise quando lui annuì. "Ho sentito anche il singhiozzo della piccola."
"E' pazzo?"
Alyssa scoppiò a ridere. "Non credo proprio. Mi è sembrato perfettamente lucido."
"Ma come è possibile? E' stato Max il Muto per tanto tempo e all'improvviso è diventato Mister Chiacchierone?"
La risata di Alyssa crebbe ancora di più e lei si strofinò contro di Nate scherzosamente. "E' il potere risanatore dell'amore, Nate."
Lui sollevò un sopracciglio.
"Aveva bisogno di zia Liz per ritrovare il suo equilibrio, per guarire la sua anima." gli spiegò dolcemente. "Io non avevo dubbi che una volta che lei fosse arrivata, lui avrebbe cominciato a guarire. Tornerà ad essere se stesso in brevissimo tempo, aspetta e vedrai."
Nate era ancora accigliato. "Come fai a saperlo? E' già successo prima?"
Alyssa annuì in silenzio. "Si. Non in modo così grave, ma l'ho già visto abbastanza sconvolto prima d'ora. E Liz è sempre riuscita a guarirlo. Respirano la stessa aria, quei due."
Nate avvertì un groppo in gola. Cosa si provava ad amare e ad essere amati in quel modo?
Alyssa lo strinse a sé e seppellì il suo viso contro il collo di Nate. "Lascia che il tuo cuore si illumini." gli sussurrò all'orecchio. "Cerca di dormire, ora. Domani ti sembrerà tutto diverso. Ma ti posso assicurare una cosa."
"Cosa?"
"Io sarò sempre qui, Nate. E quando verrà il momento, saprò guarirti."

Capitolo 20

Il pentagramma era liscio e senza giunture, senza pulsanti di accensione o alcuna indicazione su come attivarlo. Aveva un aspetto banale – come un residuo di un film di fantascienza di pessima qualità. Nate arricciò le labbra e guardò Alyssa.
"Sarà questo?" chiese scettico.
Ai loro piedi c'era il resto del contenuto della borsa di pelle che Max gli aveva detto di trovare – una patata d'argento con una spirale disegnata da un lato, un libro formato da fogli di metallo e qualche pezzo di pietra che a Nate sembrò essere ambra grezza. Alyssa indicò gli oggetti.
"Visto che nessuno di questi sembra avere la forma di un pentagono … " precisò. Poi puntò il dito sull'oggetto nero che Nate teneva in mano " … e quello sì, a parer mio, dovrebbe essere quello."
Nate batté gli occhi un paio di volte. "Come faccio ad attivarlo? Come si può pensare di chiamare a raccolta qualcuno con quest'affare?" Se lo girò tra le mani, accigliandosi sempre di più.
"Non lo so." disse Alyssa, facendo eco al suo disappunto. "E' la prima volta che lo vedo."
"Non l'hai mai visto prima?"
Lei scosse la testa, mordendosi un labbro.
"Non avverti un senso di inquietudine?"
Lei scosse ancora le testa.
"Perché no?"
"E perché dovrei?"
"Forse perché, a ciel sereno, Max se ne esce con questo dispositivo che non abbiamo mai visto, ma che si suppone dobbiamo saper far funzionare? Se non l'avessi notato, Max si è preso una vacanza mentale, ultimamente – come facciamo a sapere che questa cosa non gli sia stata inculcata nella mente da quel Nicholas o da quel Kevin?"
Alyssa smise di ridere e cominciò a sghignazzare.
"Cosa c'è?" chiese innocentemente Nate.
"Si chiama Khivar, non Kevin."
"Oh." Nate arrossì, poi un'ondata di disperazione lo sommerse. Come poteva combattere un nemico di cui ignorava perfino il nome? Non aveva idea di chi fossero quegli esseri o del perché lo volessero morto.
"Ti dirò io perché non possono essere stati i cattivi a mettere qui questo 'coso'." disse Alyssa, toccandogli la mano e inviando un tremito per tutto il corpo di Nate. "Perché mio padre ci ha portato qui, sapendo quello che dovevamo fare. E se non fosse stata una cosa buona, lui non l'avrebbe mai fatto."
Si – ed era per questo che lui era rimasto fuori, invece di entrare nella camera dei bozzoli con loro? Nate non poteva certo dare voce ai suoi sospetti – lei, contrariamente a Nate, amava Michael e si fidava di lui.
"Okay, forse questa cosa è legittima." concesse lui. "Questo però, non mi dice comunque come attivarlo."
Alyssa gli diede un’occhiata di assoluta comprensione, poi gli gettò le braccia al collo. "Sai una cosa?" gli disse con voce morbida, quasi un sussurro appassionato. "Se mio padre non fosse lì fuori, mi metterei in ginocchio e mi sottometterei al mio Re, proprio adesso." E per puntualizzare le sue parole, sollevo un sopracciglio e guardò la parte anteriore dei jeans di Nate.
Per un attimo Nate fu tentato dall’offerta, il cuore che aveva cominciato ad impazzire nel suo petto, prima di tornare ad un ritmo regolare. Era un territorio inesplorato, qualcosa che Annie non avrebbe mai fatto, qualcosa che Nate non era mai stato nemmeno sul punto di ricevere. Rimase senza fiato, mentre un’ondata di calore gli traversò il corpo.
Ma passò velocemente, quando il resto delle parole di Alyssa penetrò nella sua mente. Michael Guerin era fuori e il pensiero della sua furia nel trovare la sua bambina che faceva ‘quello’ era abbastanza per raffreddare chiunque. E, inoltre, lei lo aveva chiamato suo Re. Nate non si sentiva affatto un re, ma aveva la consapevolezza di esserlo - doveva mettersi in contatto con quella gente, far loro sapere che avevano bisogno del loro aiuto.
Come se il solo pensiero avesse potuto evocarlo, il pentagramma cominciò a ronzare nella sua mano e lui si staccò velocemente da Alyssa. Entrambi guardarono attoniti una luce bianca dare la caccia a se stessa all’interno del dispositivo, lentamente all’inizio, poi sempre più veloce, fino a sembrare una luce fissa. Nate ne rimase ipnotizzato, affascinato dal fatto che sembrava essersi attivato solo con la sua volontà. Chiuse all’improvviso gli occhi, quando l’oggetto emanò un anello di luce blu, che passò attraverso lui e Alyssa senza danneggiarli. Sembrò quasi un’esplosione di energia statica, niente di più di una scarica causata da un paio di scarpe sbagliate in una giornata secca di gennaio. Nate guardò la sua ragazza e trattenne una risata; lei invece si aprì al sorriso.
"Va bene, Maestà." chiamò Michael, dall’entrata. "Basta giocare. Uscite da lì e diamoci da fare."
Nate guardò l’ingresso della caverna – quel raggio era passato anche attraverso Michael? Era così che aveva saputo che Nate l’aveva attivato?
Nate guardò il congegno e vide che la luce bianca aveva rallentato e si era spenta. Il ronzio era svanito e il pentagramma si era fatto silenzioso.
"Fantastico!" disse Nate, girando il pentagramma da una parte all’altra. Poi guardò in terra la patata argentata. "Mi chiedo cosa sia."
"Ora, vostra altezza!" arrivò l’ordine di Michael.
Nate sussultò leggermente, poi mise a terra il pentagramma e prese Alyssa per mano. Si diressero insieme verso l’entrata, dove Michael li stava aspettando, le braccia incrociate sul petto e le labbra increspate dall’impazienza.
"Lo hai sentito?" gli chiese Nate, ancora sgomento.
Michael annuì. "E’ andata meglio della prima volta."
"La prima volta?"
"Tanto tempo fa – mi ha fatto cadere col sedere per terra."
Nate si meravigliò. la sensazione che aveva provato non avrebbe spostato un moscerino. "Come ha fatto?"
"Qualcun’altro lo aveva attivato."
"Ma io pensavo che solo il Re …"
"E’ una lunga storia." Michael fece ondeggiare una mano. "Sei pronto per cominciare il tuo addestramento?"
Nate si accigliò – evidentemente Michael non si fidava abbastanza da raccontargli i segreti di famiglia. "Si, Obi-Wan." mormorò.
Per una volta, Michael decise di lasciar correre. "Alyssa, Zucchina, va’ a sederti da qualche altra parte."
Alyssa mise il broncio. "Ma io voglio aiutarti."
"Non questa volta." Visto che non si muoveva, Michael chinò la testa da una parte e la fissò serio. Alyssa si alzò lentamente ed andò a sedersi su una roccia.
Nate le fece un sorriso, cercando di non farla sentire esclusa … cosa che in realtà era.
"Ho procurato qualche bersaglio." disse Michael girandosi verso Nate e indicando dietro di lui. Sulle rocce era stata preparata una serie di lattine vuote di bibite e di birra. "Cominciamo col farle cadere, senza necessariamente farle esplodere o altro."
A dimostrazione, tese la mano destra, si concentrò un attimo, poi l’ultima lattina sulla sinistra cadde dietro la roccia; Nate la sentì rotolare via.
"Ora prova tu." disse Michael.
Nate si sentì ridicolo, mentre alzava la sua mano e la puntava contro la lattina successiva.
"Cosa devo fare?"
"Immagina solo di farla cadere dalla roccia."
Avrebbe dovuto essere abbastanza facile. Aveva immaginato che il pentagramma si mettesse in azione ed era accaduto, e allora quanto poteva essere difficile questo? Nella sua mente, vide la lattina seguire quella fatta cadere da Michael, scivolare nell’abisso, rotolare via nel vento. Senza dubbio lo immaginò, perché non accadde nulla.
Nate sospirò e guardò vergognosamente il suo istruttore. Aveva sperato di riuscire a farcela subito – Michael non aveva mostrato di avere una riserva di pazienza inesauribile.
"Mi dispiace." mormorò.
"Non preoccuparti." disse Michael, con grande sorpresa di Nate. "Ci vorrà un po’ di tempo. Rilassati e prova di nuovo."
Nate sollevò una mano, cercando di pensare alla lattina che volava via nel vento, ma pensando invece ad Alyssa in ginocchio davanti a lui. Guardò Michael con la coda dell'occhio, sperando che non avesse la capacità di leggergli nella mente. Scuotendo la testa, cercò di scacciare l'immagine; ma ormai era radicata stabilmente in lui, distraendolo. Lasciò andare il respiro e guardò Alyssa, che gli stava sorridendo innocentemente dalla sua postazione sulla roccia.
"Fai quattro passi." gli suggerì Michael. "Cerca di rilassarti e di allentare la tensione."
Nate camminò in cerchio, sciogliendo i muscoli e respirando profondamente. Cercò di far uscire dalla sua mente gli sconvenienti pensieri su Alyssa e si fermò accanto a Michael. Concentrandosi con tutte le sue forze, sollevò la mano in direzione delle lattine, pensando a una di esse che si disintegrava nel nulla …
Non successe nulla.
Nate abbassò la mano e si guardò demoralizzato la punta delle scarpe. Con la coda dell'occhio, vide Michael mettersi una mano sul fianco – aveva esaurito la sua dose di pazienza? Avrebbe colpito il suo nuovo Re per sfogare la sua frustrazione?
"Forse lo stiamo affrontando nel modo sbagliato." suggerì Michael, inducendo Nate ad alzare lo sguardo su di lui. "Proviamo in un altro modo. Facciamo finta che tu sia sotto attacco, che tu abbia bisogno di difenderti."
Si girò verso le lattine e una esplose in piccoli pezzi di alluminio, che ricaddero sulla sabbia del deserto. Michael gli fece un ampio sorriso. "Prova a immaginarlo. Cosa faresti?"
Okay. Forse, si disse Nate, aveva bisogno di pensare diversamente. Nella sua testa, immaginò un esercito di cattivi, che non veniva per lui, ma per Alyssa – Nate sapeva che l'istinto di proteggere lei era molto maggiore del suo istinto di auto-protezione. Si voltò verso i bersagli, sentì crescere l'energia nel palmo della sua mano, avvertì un attimo di esaltazione per avercela finalmente fatta, poi uno schiacciante senso di vuoto quando un definito velo verde apparve davanti a lui. Urlò, con una voce stridula decisamente quasi femminile, e cadde con il sedere per terra, mentre la nebbia verde si dissipava.
"Che diavolo era?" strillò Nate, guardando Alyssa, che lo fissava con i grandi occhi scuri completamente spalancati.
Anche Michael era rimasto a bocca aperta, guardando il figlio di Max, con gli occhi spalancati come quelli della figlia.
"Cosa è stato?" chiese ancora Nate, sull'orlo di una crisi isterica.
"Era … un campo di energia." rispose Michael, ovviamente perplesso.
Dopo essersi ricomposto, si strofinò le tempie e sospirò. "E' questo che vorresti fare davanti ad un pericolo, Nate?"
Nate stava ancora elaborando il fatto di aver creato uno scudo, lo stesso scudo di energia che Max gli aveva mostrato per provare che era un alieno – quello scudo che lo aveva spaventato a morte. Si guardò incredulo il palmo della mano.
"Vorresti solo trasformarti in un opossum?" chiese Michael, lasciando cadere le mani dalle sue tempie.
"E' un modo per difendersi, papà." intervenne Alyssa.
Michael la guardò perplesso. A quanto pareva, lei sembrava comprendere i mezzi di difesa passivi. Poi Michael tese una mano a Nate e lo aiutò a rimettersi in piedi.
"Vedi … " cominciò a dire, mentre Nate si stava togliendo la polvere di dosso. "Non voglio dire che usare lo scudo sia una brutta cosa. Sto solo dicendo che tu hai bisogno anche di avere mezzi di offesa, oltre che di difesa. Un giorno, lo scudo potrebbe non essere sufficiente per salvarti la vita.
E allora, proviamo ancora, vuoi? Cerca di non pensare ad attivare quella difesa."
Nate cercò di deglutire oltre il suo cuore che batteva impazzito, e guardò ancora una volta le lattine intatte. Nessuno scudo verde, disse a se stesso. Solo una intensa, brillante luce bianca.
Provò per altre 27 volte. E per 27 volte si ripresentò lo scudo. Svanita la speranza, Nate rimase seduto sulla sabbia, mentre Michael ed Alyssa, tenevano un piccolo conciliabolo tra mentori.
"Non riesco a capire." Nate afferrò quello che Michael stava sussurrando. "Tutti possono farlo. Perché lui non ci riesce?"
Nate abbassò la testa. Si sentiva un fallito. Il fatto che Michael non avesse infierito, rendeva le cose ancora peggiori. Perché non riusciva a farlo? Non che finora Nate non fosse stato in grado di fare cose inspiegabili – come far uscire Annie dalla trappola di Max, o guarire Max stesso, o attivare il pentagramma. Perché non riusciva a colpire un paio di lattine?
Nate guardò i bersagli. Era possibile che lui non avesse il potere di distruggere? Forse Michael si era sbagliato – forse non tutti gli ibridi avevano il potere di uccidere. A Nate non piaceva l'idea di essere costretto ad uccidere, odiava la violenza. Nemmeno da bambino era stato coinvolto in una lite a scuola. A differenza di tanti suoi compaesani, non riusciva a trovare divertente lanciare una freccia o sparare un proiettile ad una creatura bellissima come un cervo.
Mentre Alyssa e Michael continuavano la loro conversazione, Nate ripensò a tutta la violenza cui aveva assistito nell'ultimo anno. Torture per mano dell'FBI, la morte di Annie, la caccia agli ibridi dell'Agente O'Donnell e dei suoi uomini, qualcuno che aveva percosso Max, violentato la sua mente e l'aveva abbandonato a morire.
E tutto quello che era accaduto prima ancora che Nate arrivasse in città – la morte di Alex Whitman, le torture dell'FBI subite da Max, sua madre che si era sbarazzata di un hangar pieno di soldati e Dio solo sapeva cos'altro.
Nate strinse le mascelle dalla rabbia. Forse era per questo che lui non riusciva a distruggere le cose – forse quando è troppo è troppo.
Forse c'era un altro modo.

Capitolo 21

La casa degli Evans era tranquilla ma, ciò nonostante, sembrava percorsa da un ronzare di energia nervosa.
Nate sedeva demoralizzato sul divano, ascoltando i vari sussurri intorno a lui. Presumeva che Michael avesse messo al corrente la prima generazione sul suo fallimento nel produrre cariche di energia. Destino. Come sempre.
In corridoio, Isabel e Michael stavano parlando in toni sbrigativi, di qualcosa. Nate odiava il costante, fastidioso rumore creato dalle loro voci – lo faceva sentire a disagio.
Si sarebbe sentito molto meglio se uno di loro si fosse messo a gridare "Oh, mio Dio. Moriremo tutti!". Sarebbe riuscito a fronteggiare il panico. Contro l'ansia era impotente.
Subito dopo essere tornati a casa, Alyssa e Maria avevano preso la macchina noleggiata per andare a casa di Maria a procurarsi vestiti puliti e a fare una doccia. A Nate non sorrideva l'idea che andassero da sole, ma Alyssa lo aveva rassicurato con un bacio che lei era una forte piccola ibrida – e che poteva proteggere se stessa, se ne avesse avuto bisogno.
Dall'altra parte del soggiorno, Liz era seduta in terra e giocava tranquilla con la sua bambina, facendo facce buffe che le facevano emettere risolini adorabili. Nate sorrise a quella vista, poi sentì una morsa acuta nel petto. Odiava il fatto che la sua sorellina fosse venuta al mondo in quel caos.
Che destino si preparava per la piccola Emily Evans? Sarebbe sempre stata differente dagli altri bambini, avrebbe dovuto portare dentro di sé un segreto che nessuno avrebbe dovuto conoscere. Nate aveva solo avuto dei cenni da Alyssa, di come fosse stato crescere in quel modo. Lui era stato abbastanza fortunato da avere un'infanzia trascorsa nella beata incoscienza. Per Emily sarebbe stato differente.
Chi avrebbe frequentato? Nate si accigliò. Chi avrebbero frequentato i suoi bambini? Alla fine, sarebbero stati costretti ad uscire fuori dalla loro piccola cerchia. Pensò ad Isabel che si era innamorata di un outsider e era stata costretta a mentirgli per tutto il tempo – mentire per omissione, ma mentire comunque. Come doveva essere stato per lei, vivere ogni istante con la paura che l'uomo che amava avesse potuto scoprire che lei era un'imbrogliona, una traditrice, con la paura che per quello lui avrebbe potuto smettere di amarla? Nate sapeva quanto Isabel e Jesse si amassero l'uno con l'altra. In apparenza, Jesse era riuscito a vedere oltre la parte soprannaturale di Isabel, e questo era stato sufficiente a trascorrere con lei una vita felice.
Ma forse Jesse era un'eccezione. Non era possibile che tutti gli altri, lì fuori, fossero così comprensivi.
Nella sua mente, Nate udì parole di scherno. 'Scherzo di natura!' o 'Mutante!' e il cuore gli fece male per la sua sorellina e per i suoi figli ancora non concepiti.
Oltre alla minaccia di estinzione della loro razza e di romantiche disillusioni, c'era anche la possibilità sempre presente di essere torturati o uccisi. Nate ne era stato testimone in prima persona, avendo avuto un posto in prima fila nelle torture. Questo era l'ombrello sotto cui avrebbero dovuto vivere i giovani di domani – segreti e paura?
Nate sospirò più forte di quanto avesse voluto e attirò lo sguardo di Liz.
"Tutto bene?" gli chiese, sollevando Emily dal pavimento e girandola sul suo grembo, in modo che lui potesse vederla.
Lo sguardo di Nate si posò sulla piccola e non poté fare a meno di sorriderle. Emily batté gli occhi un paio di volte, poi ridacchiò felice e scalciò contro le gambe incrociate di Liz. "Sto bene." disse Nate dolcemente.
"E' naturale, lo sai?" rispose Liz, evitando i pugnetti di Emily che si agitavano.
"Cosa è naturale?"
"Che tu non riesca a … uh, lo sai."
Mentre Liz, a disagio, distoglieva lo sguardo, come se gli avesse appena detto che fosse naturale il fatto che lui non riuscisse ad avere un'erezione, Nate pensò il contrario. No, non era naturale.
"C'è gente che mi sta cercando per uccidermi, Liz." le disse con voce piatta.
Lei tornò a guardarlo. "Lo so. Ma tu non sei solo. Questo lo sai, vero?"
Lui annuì in silenzio, poi vide Liz abbassare lo sguardo ancora una volta. Lei stava solo cercando di aiutarlo, ma aveva peggiorato le cose. Nate provò compassione per lei.
"Ho bisogno di bere qualcosa." le disse, alzandosi. "Vuoi che porti qualcosa anche a te?"
Lei scosse la testa, apparendo sollevata che la loro breve conversazione fosse finita. "Grazie comunque."
In cucina, Nate trovò Max seduto al tavolo da solo, che guardava un sandwich mangiato solo a metà. Il suo sguardo era lontano e stava così immobile che Nate si chiese se si fosse addormentato con gli occhi aperti. Ma quando lui aprì il frigo, Max si girò verso di lui e gli sorrise – quel sorriso aperto ed affascinante che Nate non vedeva più da molto tempo.
"Ciao, Nate." gli disse Max, allontanando il sandwich.
"Hey, Max." rispose Nate, prendendo una limonata. Tese la bottiglia verso Max e sollevò un sopracciglio in richiesta. Max annuì e Nate prese allora due bicchieri dalla credenza. "Come ti senti?"
"Meglio." rispose Max, sebbene la sua voce suonasse ancora un po' stanca.
Nate si mise a sedere di fronte a lui e versò la limonata, lasciando andare un profondo respiro.
"Hai fatto quello che ti ho detto?" gli chiese Max.
Nate annuì. "Quando arriveranno?"
"Presto."
"Devo andare ad aspettarli da qualche parte?" Forse doveva tornare alla camera dei bozzoli, dove aveva attivato il pentagramma.
"No." Max prese il resto del panino e Nate vide cosa conteneva – burro di arachidi e marmellata.
"Come farò a trovarli?"
Max sollevò lo sguardo e sorrise. "Ti troveranno loro."
"Come?"
"Sapranno dove sei. Non preoccuparti – ti troveranno."
Nate guardò suo padre in silenzio, chiedendosi quanto fosse stabile la mente di Max. In quel momento sembrava più normale di quanto lo fosse stato recentemente, ma era certamente ancora un po' distante, come se le sue sinapsi funzionassero con mezzo secondo di ritardo. "Max?"
"Hmm?"
"Cosa dovrò fare quando saranno qui?" Lo stomaco di Nate cominciava a torcersi – era una domanda che lo aveva terrorizzato – ma ora aveva ancora più paura della risposta.
"Dovrai dire loro cosa fare." disse Max semplicemente.
Nate strinse le mascelle. "Vuoi dire che dovrò dire loro di uccidere Nicholas e Kev – Khivar?"
Max si strinse nelle spalle. "E' questo che vuoi che facciano?"
Nate fissò il piano della tavola, confuso dalle sue emozioni. In realtà, non avrebbe voluto uccidere nessuno. Lui voleva solo vivere. Ma se lui voleva garantirsi il diritto alla vita – perché Nick e Kevin non avrebbero dovuto fare altrettanto?"
"Come puoi convivere con questo?" chiese a bassa voce. Nella sua mente, si rivolse la stessa domanda – come farai a convivere con te stesso?
Max spiluccò il panino. "Vuoi dire se dovessi prendere una decisione drastica?"
Nate annuì. Voleva dire proprio quello – o quasi. Lui intendeva riferirsi specificatamente all'assassinio e non era una decisione drastica?
Max si appoggiò alla spalliera della sedia, la sua espressione pensierosa per un lungo momento. "Devi fare quello che è necessario fare, Nate. Tutto quello che devi fare è dare il giudizio migliore. Dopo aver soppesato tutti i fatti e dopo che avrai cercato nel tuo cuore la decisione migliore, devi fare quello che reputi giusto. Questo ti darà la possibilità di dormire ancora, la notte."
Nate lo guardò perplesso. "Ma uccidere qualcuno, come può essere la decisione giusta? Cosa mi dà più diritto di vivere rispetto a loro?"
Max lo guardò per un momento, poi il suo pensiero sembrò andare alla deriva, mentre guardava fuori dalla finestra, in fondo alla tavola. Fuori si stava facendo buio – la conclusione del giorno del fallimento di Nate.
"Avevo un capo, quando lavoravo al Centro UFO." cominciò finalmente a dire Max, con lo sguardo ancora fisso su qualcosa fuori, o forse fisso nel vuoto. "Brody Davis. Sbucò fuori un giorno, all'improvviso, acquistò il museo dal vecchio proprietario e cominciò a riempirlo di sofisticate attrezzature. Proprio in quei giorni, il guardiano di Tess - il mutaforma - fu ucciso." Staccò gli occhi dalla finestra e sospirò, guardando suo figlio. "C'erano molti cose che indicavano Brody come l'assassino. Sapevamo che i nostri nemici ci avevano trovato, che erano alla nostra porta."
Nate deglutì. Loro l'avevano ucciso.
Max tornò a guardare lontano, teso in un profondo respiro.
"Michael e Isabel avrebbero voluto ucciderlo. Senza fare domande, lasciando che parlasse l'evidenza."
"E tu cosa hai fatto?" gli occhi azzurri di Nate erano spalancati.
"Siamo andati al Centro UFO, dopo l'orario di chiusura, per ucciderlo." Lo sguardo di Max era fermo, ma Nate vi scorse la scintilla di qualcosa – vergogna e rimpianto. "Come una squadra di killer alieni."
Il corpo di Nate fu percorso ad un'ondata di sacro orrore. "Lo avete fatto?"
Gli occhi di Max si posarono sul ripiano del tavolo. Dopo pochi secondi, scosse lentamente la testa. "No."
Nate lasciò andare il respiro, che non si era nemmeno accorto di trattenere.
"Non ho potuto." continuò Max. "E non ho potuto nemmeno permettere che lo facessero loro. Mentre stavamo andando da Brody, mi sono tornate in mente tutte le cose brutali accadute in quell'ultimo anno – Liz che veniva colpita, la morte di Pierce, le torture alle quali mi aveva sottoposto l'FBI … " La sua voce venne meno e Nate vide un duro, gelido sguardo nei suoi occhi in genere così luminosi. Forse non era quello l'argomento migliore di cui parlare subito dopo che Max era stato di nuovo torturato.
"Era un nemico?" chiese Nate, cercando di sviare la mente di Max da quei ricordi crudeli.
"No." rispose lui, scuotendo ancora la testa. "Era un rapito."
Nate sollevò un sopracciglio.
Max sorrise e sollevò una mano. "E' una storia lunga, meglio conservarla per qualche momento di noia."
"Dov'è adesso?"
"E' morto." rispose Max, mentre il suo atteggiamento scivolava di nuovo nella malinconia. "Cause naturali – un tumore alle ossa. Era un brav'uomo. Sarebbe stata una brutta scelta quella di ucciderlo."
Nate giocherellò col bicchiere, asciugando la condensa che si era formata all'esterno, poi guardò cautamente suo padre. "Max, io non voglio … um, io non voglio uccidere nessuno."
Max lo guardò un po' sorpreso. "La maggior parte della gente non lo vuole, Nate."
"Pensi … pensi che dovrei uccidere Nicholas e Khivar?"
Max rimase in silenzio. Nate poteva solo immaginare quello che gli stava passando per la testa – dopo venti anni di battaglie contro quei nemici, la sua risposta avrebbe dovuto essere si. Max e gli altri sarebbero stati liberi da quella minaccia una volta per tutte. Ora c'era questa possibilità che bussava alla porta di Nate. Un regalo dagli dei – con un grosso fiocco rosso sopra.
"Quali sono le tue alternative?" chiese alla fine Max.
Nate si trovò a lottare alla ricerca di una risposta da dargli, ma si rese conto di non averne nessuna. "Non lo so."
Si accigliò – odiava trovarsi in imbarazzo. "Non c'è un'altra strada? Dobbiamo sempre avere a che fare con morte e distruzione?"
Max lo studiò in silenzio, poi guardò ancora fuori dalla finestra. Stancamente, appoggiò la guancia sul suo pugno, lo sguardo lontano, forse nel suo rifugio felice. Se c'era qualcuno che in quel momento voleva la pace, quello era Max.
"Non c'è una possibilità di pace?" chiese Nate, implorante.
"Sono degli assassini, Nate." gli disse Max, misurando le parole. "Loro non vogliono la pace. Loro vogliono te. Vogliono la tua morte."
Una raccapricciante sensazione di morte strisciò sulla pelle di Nate, facendogli rizzare i capelli sulla nuca.
Max guardava ancora fuori dalla finestra quando aggiunse "Non si fermeranno fino a che tu non sarai morto. Sono come cani rabbiosi." Lasciò cadere la mano e guardò negli occhi suo figlio. "E allora no, non c'è possibilità di pace."
La disperazione colpì come una palla di cannone lo stomaco di Nate. Avrebbe dovuto dare l'ordine di ucciderli – due esseri che lui non aveva nemmeno mai visto. Naturalmente, aveva visto quello che avevano fatto a Max e sapeva che tutto quello che lui gli aveva detto era vero.
"Allora li uccideremo." disse Nate, forzando le parole ad uscire dalla bocca. "E dopo? Chi sarà il prossimo? Quando finirà tutto questo?"
Nate vide un lampo di scuse negli occhi di Max. Ne avevano parlato tante volte – non era questo quello che lui avrebbe voluto per suo figlio. Si supponeva che Nate dovesse rimanere a New York, per vendere esche e per andare al college, e non seduto ad un tavolo a Roswell a pianificare un assassinio.
"Mai?" chiese Nate retoricamente, in tono sconfitto.
Max si morse il labbro inferiore, poi guardò ancora la finestra. Nate credette di aver visto una lacrima all'angolo del suo occhio – sicuramente il risultato della fragilità del suo stato mentale.
"Mi dispiace." gli disse Max sottovoce. "Mi dispiace veramente."
Nate sentì un'ondata di empatia per lui. "Lo so, Max. Ma non c'è nulla che possiamo fare per migliorare le cose?"
Max scosse lentamente la testa, poi il suo sguardo si posò su qualcosa all'esterno. "Nate, hai un visitatore."

Capitolo 22

Era alta, snella, i capelli scuri e gli occhi di un azzurro penetrante. Portava un completo di lino - giacca e pantaloni scuri, molto poco femminile. Mentre Nate se ne stava silenzioso nell’atrio di casa Evans, non poté fare a meno di guardarla. Era bella a dir poco … ma non in un modo interamente umano. C’era qualcosa di innaturale nei suoi occhi, nel modo in cui sembrava guardare direttamente nella sua mente. Ovviamente, Nate non era spaventato da lei, piuttosto era sgomentato.
La cosa più incredibile era stata che, vedendolo, si era portata una mano al petto e si era chinata leggermente. "Mio signore." gli aveva detto sobriamente.
Era stato quel ‘mio signore’ che aveva lasciato Nate a corto di parole.
"Nate." disse Max alle sue spalle, un riso soffocato nella sua voce. "Questa è Aubrey."
Aubrey sollevò la testa e sembrò sorpresa di vedere Max sulla soglia della porta. Almeno, fece un’espressione che Nate interpretò come sorpresa – la sua espressione facciale era un po’ smorzata rispetto a quella normale del genere umano.
"Signore." disse, accennando un sorriso in direzione di Max.
Nate guardò oltre la sua spalla, per vedere Max che abbassava la testa in direzione di Aubrey, in un confidente cenno di saluto.
"Aubrey era la moglie dell’Agente Darmon." spiegò Max a Nate, con un accenno di dolore nel suo sguardo. Poi si girò verso la loro ospite, con un’espressione triste. "Mi dispiace così tanto, Aubrey. Era un brav’uomo."
Se Aubrey era sconvolta, non lo diede a vedere. Quelle creature si rattristavano quando perdevano il loro compagno di vita? Tutto sommato, erano poi così differenti?
"E’ morto facendo quello per cui era nato." dichiarò Aubrey. "Proteggere il suo re."
Max sorrise, ma era un sorriso dolceamaro. "Mi ha salvato la vita." Il suo tono era distante, pieno di ricordi sgraditi. Mise una mano sulla spalla di Nate. "Lui ha contattato Nate e gli ha detto dove trovarmi. Nate mi ha guarito – so che ti stai chiedendo come mai sono qui. Se l’Agente Darmon non avesse fatto quello che ha fatto, io sarei morto, Aubrey. Gli devo la vita."
Queste parole sembravano aver fatto effetto su di lei, ma Nate non riuscì a capire quale fosse esattamente. Quella razza aveva dei cambi di espressione molto lievi.
"Una volta ha aiutato a salvare anche me." aggiunse Nate, come dono di gratitudine.
Lo sguardo di Aubrey si spostò su di lui e Nate dovette combattere il bisogno di guardare altrove.
"E’ vero." disse Max, stringendogli la spalla. "Lo ha fatto. Saremo sempre in debito con la tua casa. Grazie."
Aubrey chinò ancora una volta la testa, accettando la loro riconoscenza. Poi, come se niente fosse accaduto, sollevò la testa ed entrò in pieno modo di fare militare.
"Stabilirò il perimetro." annunciò, rivolgendosi direttamente a Nate. "Quando arriveranno gli altri, saremo pronti a seguire qualsiasi ordine tu ci darai."
Lui cercò di non strozzarsi, mentre il suo stomaco ricominciava a contorcersi. Ordini? Stabilire il perimetro? Questa persona stava aspettando direttive da lui, ma lui non ne aveva nessuna. Sicuramente l’avrebbe capito. "Va bene." si limitò a dire, in modo poco convincente. Va bene? Dentro di sé, si sentì rimpicciolire. Era davvero un idiota.
"Grazie, Aubrey." aggiunse Max, il riso soffocato ancora una volta presente nella sua voce.
"Sarò qui fuori, se avrete bisogno di me." disse loro, inchinandosi prima di uscire.
Nate la vide girare sui tacchi e camminare a passo veloce intorno alla casa, guardando sul tetto, prima di scomparire nell’ombra. Fece una smorfia. "Um, Max? La gente non la noterà, mentre fa la guardia alla casa?"
Max scoppiò a ridere e chiuse la porta, bloccando la vista a Nate. "No. Aubrey è brava quanto lo era l’Agente Darmon. Lei, ora, è la tua personale guardia del corpo. Ecco perché è stata la prima ad arrivare."
Nate si infilò le mani nelle tasche, sentendosi a disagio, mentre guardava Max tornare in cucina, al suo panino di burro e marmellata. Se Aubrey era stata capace di trovarlo così facilmente, chi poteva dire se quel maledetto Khivar e il suo scagnozzo non sarebbero stati capaci di fare altrettanto?
Alyssa comparve improvvisamente al suo fianco, facendo scivolare il suo braccio sotto quello di lui, un raggio di sole nella tetraggine di Nate. "Chi era, tesoro?" gli chiese.
"Il mio angelo custode." rispose lui distrattamente, mentre guardava Max scomparire in cucina.
"Davvero?" La voce di Alyssa salì in modo stridulo nel finale, sorpresa. Aprì la porta e sbirciò fuori. Poi si girò e chiamò "Zio Max!"
Max fece capolino dalla porta della cucina.
"Posso incontrarla?" C’era eccitazione nella voce di Alyssa, cosa che confuse Nate.
Max annuì e scomparve ancora una volta.
Alyssa strinse felice il braccio di Nate. "Non ne ho mai incontrato uno."
Sorpreso, Nate sollevò le sopracciglia. "Uno di chi?"
"Dei protettori. Papà me ne ha sempre parlato e zio Max ne ha sempre avuto uno, ma io non ne ho mai incontrato uno!" Fece una risata da ragazzina, poi infilò la porta e scomparve nella notte.
Nate finse di non vedere la sua euforia. Lui non si sentiva così eccitato dall’arrivo di Aubrey, ma forse Alyssa era più motivata di lui. Dopo tutto, per lei, era solo un altro giorno della sua vita – per Nate, era tutto ancora molto confuso.
In cucina, trovò Max che stava gettando quello che rimaneva del suo panino nella spazzatura. Ancora una volta gli sembrò stanco, più vecchio dei suoi anni – Nate immaginò che Max sarebbe tornato subito a letto.
"Posso farti una domanda?" gli chiese incerto Nate, cercando di infilare più che poté le mani nelle tasche.
Max si lavò le mani, le asciugò in una salvietta ed annuì.
"Se Aubrey è riuscita trovarmi … " trovava difficile dire quelle parole. "Voglio dire … non possono fare altrettanto Khivar e Nicholas?"
Max non cercò di addolcirgli la pillola. Annuì semplicemente, con espressione seria.
Nate deglutì, mentre il terrore si impadroniva del suo corpo. "E non dovremmo essere preoccupati di questo fatto?"
"Aubrey è qui." disse Max rassicurante."Nessuno passerà se c’è lei."
Ma qualcuno era passato sopra l’Agente Darmon. E nel peggiore dei modi. Nate guardò con circospezione suo padre.
Max sembrò avergli letto nella mente. Sospirando, si appoggiò contro il bancone e guardò stancamente suo figlio. "E’ stata una trappola." spiegò. "Khivar e Nicholas sono stati lontani per vent’anni. Noi abbiamo abbassato la guardia." fece un profondo respiro e scosse la testa – per vergogna o rabbia, Nate non poté dirlo. "Non succederà ancora."
Nate voleva credergli. Voleva assolutamente credere che quella casa fosse sicura, con quella insolita, bellissima aliena che perlustrava l’esterno. Ma, a dire il vero, non si era mai sentito più nudo, più esposto, in tutta la sua vita.
Nel suo primo gesto di affetto da quando Nate lo aveva guarito, Max si avvicinò e diede a Nate un forte abbraccio.
Per un momento, Nate fu commosso dal quel gesto, confuso da quella improvvisa manifestazione di sentimento. Ma quando Max si tirò indietro, Nate vide che i suoi occhi erano lucidi di lacrime e si ricordò che Max stava appena ricominciando a mettere piede nel loro mondo.
"Andrà tutto bene." gli disse Max, cercando di sorridere, mentre dava a Nate uno scherzoso pugno sul mento. "Tu sei un Evans – andrà tutto più che bene."
Nate gli ricambiò il sorriso, non sapendo cosa dire.
Il sorriso di Max svanì e il suo comportamento tornò serio. "Lei non lascerà che accada nulla di male a nessuno di noi. Credimi. Ora devo tornare a letto. Non è che mi senta poi così bene."
Nate annuì in silenzio e Max fece la sua uscita. Vide che Liz gli stava venendo incontro a metà strada, con Emily poggiata su un fianco; Max le mise un braccio intorno ed il trio si ritirò in camera, una traumatizzata, scioccata famigliola. La visione era nello stesso tempo bellissima e straziante.
Sentendosi improvvisamente claustrofobico, Nate aprì le porte scorrevoli, uscì nel patio e posò lo sguardo sul cespugli, chiedendosi se il suo protettore e la sua ragazza fossero nascoste lì dietro. Era così intento a guardare il boschetto, che non si accorse che Isabel era seduta in piena vista sul dondolo.
"Chiudi la porta." gli disse sottovoce. "Mamma sente pure se una pulce entra in casa."
Nate sobbalzò leggermente al suono della sua voce, poi chiuse la vetrata.
Isabel posò la mano sul posto vuoto sul dondolo, accanto a lei. "Siediti qui accanto a me."
Nate si sedette, sentendosi un po' nervoso nel trovarsi all'aperto.
"Rilassati." gli disse Isabel, lasciando andare un sospiro di stanchezza e cominciando a muovere il dondolo con le sue lunghe gambe. Poi guardò il cielo, mentre si dondolavano avanti e indietro in silenzio. "Quando ero piccola," disse alla fine, con lo sguardo ancora fisso sulle stelle, "ero solita sognare di avere una casa lassù. Piena di gente come me."
Nate la guardò in silenzio, pensando a come doveva essere difficile per una bambina crescere senza conoscere nulla della sua origine.
"Poi un giorno ho scoperto di avere veramente una casa lassù." Le sue labbra si piegarono in una espressione corrucciata. "E che non era una casa dove sarei voluta tornare. E che non era detto che le persone come me mi sarebbero piaciute." Isabel posò lo sguardo su suo nipote. "Non l'abbiamo mai voluto, sai? Max non ha mai voluto essere re. Io non ho mai voluto essere una principessa."
"Che cosa avresti voluto essere?" chiese Nate quietamente.
Il viso di lei era una maschera di assoluta ironia. "Umana."
Nate le diede un'occhiata di simpatia.
"Più di qualsiasi altra cosa, credo che tutti noi ci siamo resi conto che volevamo solo stare qui, per condurre una vita umana. Io ho sposato un umano. Max e Michael hanno delle mogli umane. Perché ci dovrebbe interessare quello che succede lassù?"
"Non potremmo abdicare al trono?" chiese Nate stringendosi nelle spalle. "Non potremmo scegliere qualcun altro, con la promessa che non torneremo mai e che non governeremo mai il loro mondo?" Lui, di sicuro, non avrebbe voluto farlo
Isabel scoppiò a ridere. "Oh, Nate. Come sei innocente rispetto a tutta questa storia!"
A Nate piaceva sua zia Isabel. Pensava che fosse amabile, premurosa e bellissima. Ma odiava il fatto che lo avesse chiamato 'innocente'. All'improvviso si sentì un imbecille. Una specie di re idiota.
Isabel si sporse in avanti e gli posò una mano sulla spalla. "Non prendertela così - non intendevo insultarti. Volevo solo dire che se fossi a conoscenza della metà delle cose che sappiamo noi, la tua scelta non sarebbe così difficile."
Nate la guardò incuriosito. "Quale scelta?"
"Quella di ucciderli." gli disse senza mezzi termini, come se gli stesse dicendo che doveva andare al supermercato a comprare del formaggio.
Nate scosse la testa.
"So quello che stai pensando." aggiunse lei."Anche io volevo la pace e tutto il resto, quando avevo la tua età. Poi ho guardato in faccia la più pura malvagità e ho saputo che la pace non esisterà mai. Non per me. Non per Max. Non per nessuno di noi."
Affascinato, Nate la pressò. "Cosa è successo?"
"Ho incontrato uno Skin. Un nemico. Nicholas e Khivar sono Skin. E lo era anche la senatrice Whitaker." Lei guardò ancora il cielo, persa nei suoi pensieri. "Lei rapì tua madre. O almeno credo che lo abbia fatto – è stato sempre difficile stabilire cosa fosse vero e cosa una illusione creata da Tess." Sollevò una mano, nel gesto di respingere il pensiero. "Non importa. Quello che importa è che la Whitaker prese Tess per arrivare a me."
Lui la ascoltò in silenzio – era raro che qualcuno gli parlasse così a lungo di sua madre.
"Così, io ho trovato Tess e la Whitaker ha trovato me. E in quella occasione ho scoperto che fuori da questo pianeta, c'erano esseri che non erano interessati alla pace o ad ottenere un trono per mezzo di un trattato." Guardò in terra, una scura maschera di emozione nei suoi occhi. "Allora ho fatto quello che dovevo fare."
La sua prima uccisione. Nate seguì lo sguardo di lei verso terra; poteva quasi vedere l'ombra della perdita della sua innocenza.
"Non devi farlo tu stesso." disse Isabel, sollevando lo sguardo su di lui. "Devi solo dare ordine al tuo seguito perché ci aiuti."
Così, lui avrebbe potuto emettere una condanna a morte, come un giudice, e lavarsene le mani … era una magra consolazione. Fece un cenno con la testa, solo per farle capire che la stava ascoltando.
Dopo un lungo silenzio tra di loro, Isabel gli chiese curiosa "Come è andato il tuo allenamento di oggi con Michael."
Nate sbuffò. "Orribilmente. Non sono riuscito a far esplodere niente." Era umiliante da ammettere.
Fu ancora più imbarazzante quando lei scoppiò a ridere.
Lui la guardò indignato.
"Non è una cosa divertente." brontolò.
"So che non lo è." disse Isabel, continuando a ridere e appoggiandogli una mano sul ginocchio per confortarlo. "E' solo che assomigli sempre di più a Max."
Nate la guardò perplesso e lei si strinse nelle spalle.
"Nemmeno lui riesce a far esplodere le cose."

Capitolo 23

Nate e Isabel stettero in piedi fino a tardi, finché sull'intero vicinato non scese il silenzio. Parlarono di vecchie storie accadute su un pianeta lontano, di quando Isabel era stata Vilandra, di come lei avesse avuto una relazione col crudele Khivar, di come lui avesse distrutto tutta la sua famiglia. Fu Isabel a parlare per la maggior parte del tempo, Nate si limitò ad ascoltare mentre lei collocava i pezzi del rompicapo sulla lavagna, raccontando la falsità del loro nemico.
Nate sapeva una cosa di sicuro – Isabel Evans non era quella persona, non era la Vilandra dell'altra vita. Lui non l'aveva conosciuta, ma sapeva che nulla di quello che Isabel aveva detto la descriveva in qualche modo. La rinascita le aveva fornito una nuova personalità e ora lei era tutto fuorché la traditrice della sua famiglia. Quando Nate espresse ad alta voce la sua opinione, lei gli sorrise dolcemente e gli poggiò una mano sul braccio. Sembrava che Isabel avesse passato anni a riflettere su cosa fosse, se il tradimento scorresse ancora nelle sue vene, per arrivare alla conclusione che lei era effettivamente una persona nuova.
Erano ormai le tre del mattino, quando Nate guidò verso la piccola casa di Maria, nella zona più popolare di Roswell. Seduta sul sedile del passeggero accanto a lui, Aubrey stava immobile, ma lui sapeva che il suo sguardo spaziava in continuo movimento e i suoi sensi innaturali erano in continua allerta alla ricerca di ogni segno di pericolo.
Per Nate era quasi raccapricciante averla accanto ogni cosa facesse, ma sembrava che lui non avesse altra scelta – come lui era salito in macchina, lei era semplicemente scivolata sul sedile del passeggero senza dire una parola. Nate aveva aspettato una spiegazione che non era mai arrivata. E lui sapeva il perché – la missione di Aubrey era una. Proteggere il re. Era quello che lei aveva definito il suo dovere e Nate era sicuro che lei non vedeva la ragione di spiegargli perché lo seguisse ad ogni passo.
Entrato nel viale, Nate fermò l'auto e spense le luci. Poi si girò verso il suo protettore.
"Vuoi venire dentro?" le chiese.
Lei scosse la testa e per un attimo incontrò lo sguardo di lui, prima di tornare a scrutare i cespugli fuori dall'auto.
"Dove dormirai?" le chiese ancora Nate.
Aubrey inclinò la testa e lo guardò confusa. "Io non ho bisogno di dormire."
Le sopracciglia di Nate si incurvarono. Cosa avrebbe ottenuto stancandosi fino allo stremo? Chi avrebbe voluto i servizi di una guardia del corpo esausta?
"Mai." specificò lei.
Le sopracciglia di Nate si alzarono ancora di più. "Davvero?"
Lei fece un breve cenno con la testa. "Starò fuori. Perlustrerò il perimetro. Riposa tranquillo – sei al sicuro." Detto questo, scese dall'auto e scomparve ancora nell'ombra.
Nate la seguì con lo sguardo, grattandosi la testa. Non era sicuro che gli piacesse avere intorno quella creatura ossessionata dal perimetro – lui non poteva fare nulla senza che lei lo sapesse. Era una sensazione raccapricciante.
Una volta entrato, Nate si diresse in silenzio nella camera da letto di Alyssa, lo scricchiolio del pavimento della vecchia casa che si risvegliava al suo passaggio. Si morse il labbro inferiore, sperando di non svegliare nessuno – soprattutto Michael. Sebbene ,avrebbe voluto chiedergli perché gli avesse mentito sulla sua capacità di far esplodere le cose …
Pensieri di bugie sparirono in fretta, quando Nate aprì la porta della camera di Alyssa. Lei stava dormendo, sdraiata su un fianco e rivolta verso di lui. Nate sorrise e si chiuse la porta alle spalle. Si tolse le scarpe, sollevò le lenzuola e vi scivolò sotto. Toccò col ginocchio quello di lei, allora stese le gambe. Nella penombra creata dalla luce della luna che penetrava dalla finestra, vide lo scintillio della collanina che le aveva regalato per il compleanno e che portava attorno al collo. Lei non se l'era più tolta, proprio come aveva promesso. Allungando le dita, toccò la gemma sorridendo dolcemente.
La malinconia si impossessò di lui, mentre guardava Alyssa dormire tranquilla al suo fianco. In quel momento c'erano così tante incertezze, tanta agitazione – non sapeva nemmeno se sarebbe vissuto tanto a lungo da chiederle di sposarlo. Ma, in mezzo a tutta quella angoscia, Nate poteva trovare rifugio in una cosa – Alyssa. Un anno prima la conosceva a malapena e ora si sentiva così strettamente legato a lei da poter dire che lei aveva la chiave del suo respiro. Quando lui era ansioso o preoccupato, tutto quello che doveva fare era pensare a lei, alla sua vera essenza e si sentiva subito rilassare. Per dirla in breve, senza di lei nella sua vita Nate si sarebbe perso.
Alyssa fece un lungo respiro e mormorò qualcosa nel sonno.
Nate sorrise e le poggiò una mano sulla spalla. Lei aprì gli occhi un paio di volte, poi lo ricambiò con un sorriso pieno di sonno.
"Ciao." le sussurrò Nate.
"Mmm." disse lei, richiudendo gli occhi.
"Mi sei mancata."
Lei annuì la sua risposta.
Nate la vide mettere lentamente a fuoco il sorriso, poi il suo respirò riprese un ritmo regolare. Nate ci rimase male. Avrebbe voluto che restasse sveglia, per parlare con lei delle sue paure e dei suoi dubbi.
"Ho fatto un sogno." gli disse lei sottovoce, e Nate si sorprese del fatto che fosse ancora sveglia.
"Si'" le chiese. "E cosa hai sognato?"
Lei socchiuse appena gli occhi. "Noi."
Studiando la sua espressione, Nate non fu certo che fosse stato un bel sogno. Dopo tutto, molti dei sogni di Alyssa si erano rivelati profetici – e se avesse visto qualcosa di brutto che li riguardava? "Cosa di noi?"
"Eravamo insieme." lei sospirò. "Solo tu ed io."
Nate aspettò il seguito che non arrivò. "Un brutto sogno?"
Alyssa, ancora insonnolita, scoppiò a ridere. "No. Un bel sogno." Allungando una mano sotto le lenzuola, gli prese una mano tra le sue. "Stavamo facendo l'amore … vicino ad un laghetto." La sua voce si affievolì e questa volta Nate non ebbe alcun dubbio che lei si fosse riaddormentata.
"Alyssa." le disse vicino all'orecchio.
La respirazione di lei si fece irregolare e gli sospirò la risposta.
"Voglio vederti."
Alyssa aprì gli occhi ancora una volta, ma Nate non riuscì a vedere la sua espressione.
"Non dobbiamo fare niente." la rassicurò lui. "Voglio dire, so che siamo in casa dei tuoi genitori. Ma tu sei la cosa più bella che mi sia capitata nella vita e voglio solo restare a guardarti."
Lei gli sorrise dolcemente, poi fece un respiro più profondo e si mise a sedere; Nate le poggiò una mano dietro la schiena per aiutarla. Poi, alla luce della luna, la vide sfilarsi la maglietta dalla testa e tirare l'indumento ai piedi del letto. Poi si voltò verso di lui, con la forma illuminata dalla luce azzurra che arrivava dalla finestra e Nate restò senza respiro. Lei si fermò per un attimo, poi si guardò la parte inferiore del corpo e, senza dire nulla, cominciò a sfilarsi la biancheria intima.
Nate la prese per i polsi.
"No." le sussurrò. "Basta così." I suoi occhi percorsero il corpo illuminato dalla luna e Nate avvertì le lacrime che minacciavano di uscire. "Sei così bella."
Alyssa sorrise timidamente, mentre si poggiava una mano sul petto per coprirsi, in un gesto di pudore per lei inusuale. Nate scosse la testa e le prese la mano. La baciò sul dorso, poi le carezzò la spalla nuda. La pelle di lei era così morbida sotto la sua mano, così liscia. Tracciò un sentiero dalla scapola, giù per la spina dorsale, fino alla vita sottile. Lei lo guardò in silenzio. Arrivato alla vita, girò intorno al suo ventre piatto e fece scivolare la mano sullo sterno, fermandosi tra i seni prima di deviare da una parte, toccandole leggermente un seno con le dita.
"Ti amo così tanto." le sussurrò incontrando il suo sguardo.
Credette di vedere delle lacrime negli occhi di lei. Alyssa coprì la mano di Nate con le sue, poi si chinò per baciarlo a lungo e intensamente sulle labbra. Il bacio finì comunque troppo presto quando lei si tirò indietro e si piegò lentamente sul corpo di lui. Lui appoggiò il suo mento sul petto e la seguì con lo sguardo, curioso, ma rimase quasi senza fiato quando la vide aprire la zip dei suoi pantaloni. Immediatamente la prese per le spalle e lei lo guardò.
"Non qui." le disse, girando gli occhi verso la porta.
Ma Alyssa sorrise e si strisciò contro di lui, facendolo arrossire. Incapace di fermarsi, Nate la prese tra le braccia, poggiandole le mani sul sedere tornito.
"Tu vuoi vedermi." gli disse prendendolo in giro. "Ed io voglio assaggiarti."
E con questo, mentre Nate cadeva in un silenzio sbalordito, riprese il suo assalto. Nella mente di lui passarono un milione di pensieri stupidi, tra i quali quello che avrebbe voluto farsi una doccia prima di andare lì. Ma tutti i pensieri sparirono quando la sentì liberarlo dei jeans, il cuore che cominciò a battergli forte il petto. Era un territorio nuovo, inesplorato – e lui ne era affascinato e terrorizzato allo stesso tempo.
"Santo Cielo." sussurrò con voce roca mentre lei lo baciava dove nessuna l’aveva mai baciato prima.
"Nate." lo chiamò piano Alyssa.
Lui sollevò la testa e la guardò. Lei girò la testa da una parte all’altra – dalla vecchia camera da letto di sua madre non arrivava nessun rumore. Nate annuì per indicarle che aveva capito, poi ricadde sul cuscino afferrando le lenzuola con i pugni stretti. Per un lungo momento fissò il soffitto, cercando di concentrarsi su tutto tranne che su quello che gli stava facendo la sua ragazza. Ma la cosa era impossibile e lui chiuse gli occhi e strinse ancora di più i pugni per combattere l’impulso di gridare il suo nome.
Più tardi Nate si trovò a sperare di vivere abbastanza a lungo da poterle fare la sua proposta. Almeno avrebbe voluto abbastanza tempo per avere la possibilità di fare ancora quello che avevano appena fatto – almeno qualche altra volta.

***

Il mattino trovò Nate da solo nella vecchia stanza di Alyssa, il sole che risplendeva sul mobile laccato accanto alla finestra. Si strofinò gli occhi e guardò l’orologio – non erano ancora le otto. Il suo corpo sentiva l’effetto del sonno troppo breve – gli faceva male tutto.
Sapendo che non c’era tempo per rilassarsi, non mentre i suoi ‘seguaci’ stavano per arrivare a Roswell e i perfidi Skin si stavano preparando ad attaccare, Nate si alzò dal letto e seguì il suono di voci pacate che venivano dalla cucina. Al tavolo, Michael stava davanti ad una tazza di cereali, i capelli che gli arrivavano alle spalle legati in una coda di cavallo – l’equivalente alieno di un samurai del Sol Levante? Maria era ai fornelli e mescolava qualcosa in un tegame. Subito dopo che Nate fu entrato, Michael si fermò col cucchiaio a mezza strada e strinse gli occhi.
"Hai passato la notte nel letto di mia figlia?" gli domandò duramente.
Nate si strinse nelle spalle e prese una sedia, non più intimidito da quell’uomo. "Mi hai mentito sul fatto che tutti sono in grado di far esplodere gli oggetti?"
Michael batté gli occhi, ma per il testo rimase immobile.
"Un punto per Nate." disse Maria dai fornelli.
Nate sollevò un sopracciglio e increspò le labbra, in una perfetta imitazione di Michael.
Dall’altra parte del tavolo, Michael posò il cucchiaio con i cereali nella tazza. "Non ti ho mentito." gli disse deciso.
Nate si limitò a fissarlo.
"Come facevo a sapere che tu non avevi quel potere?"
"Perché mio padre non ha quel potere." rispose calmo Nate. "Tu hai detto che tutti hanno l’abilità di far esplodere gli oggetti. Non è vero?"
Michael si strinse nelle spalle. Era ovvio che non aveva nessuna intenzione di dar ragione a quel ragazzino. Maria posò il piatto in tavola davanti ad una sedia vuota e ritornò ai fornelli senza dire una parola. Nate aspettò pazientemente la risposta di Michael.
Alla fine, Michael si appoggiò alla spalliera della sedia e fece un sospiro. "Non volevo dirti in anticipo che Max non era in grado di farlo. Ho pensato che forse tu avevi quel potere e non volevo che pensassi di non averlo solo perché Max non ce l’ha. Okay?"
Nate lo trafisse con lo sguardo per un lungo momento, poi disse "Non mentirmi più."
Michael inclinò la testa da una parte. "D’accordo. Non dormire più nel letto di mia figlia."
Nate fece una smorfia. "Non posso promettertelo."
Dal corridoio, Nate udì aprirsi la porta del bagno – stava ancora guardando Michael, quando Alyssa scivolò nella sedia davanti al piatto di uova e patate fritte che Maria aveva preparato. Aveva i capelli umidi e profumava come una mattinata di primavera. Prima che cominciasse a mangiare, si sporse da un lato e baciò Nate sulla guancia.
"Buon giorno, dolcezza." gli disse felice. Poi si sporse dall’altra parte e baciò Michael. "Buon giorno, papà."
Michael e Nate continuarono il loro braccio di ferro per tutta la colazione. Maria tornò al tavolo con un altro piatto e dette uno schiaffo sulla nuca di Michael con la mano libera. Lui sussultò e si girò a guardarla, mentre posava il piatto davanti a Nate.
"Falla finita." disse lei semplicemente, poi sorrise a Nate come una casalinga degli anni ’50. "Spero che le uova ti piacciano."
Nate non riuscì a trattenere un sorriso di vittoria. Prese la forchetta e cominciò a mangiare le uova, ma notò che Maria aveva dato a Michael un’occhiataccia, prima che lui chinasse la testa sul piatto.
"Voi due dovete smetterla." disse Alyssa in tono casuale, mentre prendeva la brocca col succo di arancia. Aveva un tono così dolce nella sua voce che sia suo padre che il suo innamorato rimasero sbalorditi. "Dico sul serio." Guardò per primo Nate. "Lui è mio padre. Si comporta come un idiota con te, solo perché pensa che sia un diritto che gli viene direttamente da Dio." Michael aveva un aspetto offeso, quando lei si girò per rivolgersi a lui. "Lui è l’amore della mia vita. Farà quello che vuole con me, anche se la cosa ti manda su tutte le furie." Scrollò le spalle e infilò la forchetta nelle uova. "Così decidetevi ad accettare la situazione e andiamo avanti, okay?"
Nate guardò dall’altra parte della tavola Michael, che stava fissando sbalordito sua figlia. Alyssa guardò suo padre, poi infilò il cucchiaio nella tazza di cereali di Michael.
"Mangia, così potremo andare ad affrontare i cattivi." gli ordinò prima di rivolgere la sua attenzione su Nate. "Anche tu. Mangia!"
Nate esitò un attimo, poi guardò di nuovo Michael, che lo fissò a sua volta fermamente, ma senza intimidazione. Cominciarono a mangiare la loro colazione nello stesso momento.
Nate non era d’accordo su quello che era appena successo, ma era quasi certo che Alyssa avesse appena messo fine alla guerra Spencer – Guerin che era iniziata l’anno precedente.
Poteva solo sperare che il suo potere di far finire i conflitti in modo così pacifico funzionasse anche con Khivar e Nicholas.

Capitolo 24

Nate non poteva vederli, ma poteva sentirli. Tutti intorno a lui. Almeno un centinaio.
Stava fuori della camera dei bozzoli, il vento di ottobre che gli tirava la frangia sugli occhi, un promemoria del fatto che si era scordato di andare dal barbiere da quando era partito da Boston. Spalancò gli occhi nel guardare l’orizzonte alla ricerca di quei corpi che sapeva essere vicini, ma che ovviamente erano nascosti.
"Dove sono?" chiese sottovoce ad Aubrey, che stava rigida al suo fianco.
"Stanno aspettando i tuoi ordini." affermò semplicemente. Si era messa un paio di Ray Bans contro la viva luce del sole del deserto e Nate si chiese se avesse ceduto ad un capriccio della moda. Dopo tutto, il completo che indossava non era stato acquistato ai grandi magazzini.
"Si, ma dove sono?" chiese ancora. "Voglio dire, non riesco a vederli."
"Non sei pronto per vederli."
Nate sollevò le sopracciglia, mentre si girava a guardarla. "E allora come pensi che possa dare loro degli ordini?"
L’espressione di Aubrey era inespressiva, priva di emozioni. "Attraverso me."
Nate non vide la cosa di buon occhio. Fino a ieri non conosceva nemmeno quella persona. E adesso lei si aspettava che lui avesse tanta fiducia in lei da servirsene per trasmettere i suoi ordini ad una moltitudine di esseri che lui non poteva nemmeno vedere?
Sotto di loro, Max e Liz stavano scendendo dalla SUV di Philip, spostando l’attenzione di Nate dalla sua strana guardia del corpo. Appena Max scese dal veicolo, prese la mano di Liz nella sua e velocemente si inerpicarono su per il sentiero che portava alla camera dei bozzoli – era evidente che ormai era quasi come nuovo.
"Hey." Max gli rivolse un largo sorriso nel salutare lui e Aubrey.
"Buon giorno." rispose Nate, improvvisamente a disagio per l’improvviso tono autoritario di Aubrey. "Ciao, Liz."
Lei gli sorrise e si spostò dagli occhi i capelli mossi dal vento. "Ciao, Nate. Sono tutti qui?"
"Sono dentro." disse Nate, indicando con la testa l’entrata della caverna. Guardò Max. "Devi aver guidato piano, vecchio mio. Isabel è qui già da un quarto d’ora."
Max ridacchiò. "E’ Isabel che guida come una pazza. Possiamo entrare?"
Nate annuì e si girò per seguire suo padre dentro la camera. Fatti pochi passi, si girò per rivolgersi ad Aubrey. "Vieni con noi?"
Lei scosse la testa. "No. Starò qui fuori e …"
"Controllerai il perimetro." finì Nate al suo posto, le labbra tese in un sorriso ironico.
Aubrey lo guardò senza espressione, poi si allontanò per sorvegliare i dintorni. Il sorriso di Nate si dissolse e seguì Max con grande disappunto – a quanto pareva i protettori del mondo erano privi di senso dell’umore.
"Max." chiamò Nate, fermando suo padre prima che arrivasse all’entrata. "Tu riesci a sentirli?"
Max apparve stupito. "Tu li senti, Nate?"
Nate annuì.
Max scambiò un sorriso con Liz, poi diede a suo figlio una pacca sulla spalla. "Si, Nate. Posso sentirli."
"Perché non posso vederli?"
Max si strinse nelle spalle. "Loro non vogliono essere visti. Ma sono lì fuori, fidati di me."
Parlando di fiducia … Nate si sentì imbarazzato e cominciò a mordersi un labbro. "Max, a proposito di Aubrey … "
"Cosa c’è?"
"Mi ha detto che trasmetterà lei i miei ordini alle truppe."
Max annuì. "Va bene."
"Posso … um, voglio dire … posso fidarmi di lei?"
Max lo studiò per un momento, poi sorrise allegramente. "Si, puoi fidarti di lei. Ad ogni modo, lei può sentirti."
L’espressione di Nate sembrava quella di un cervo paralizzato dalla luce dei fari di una macchina e guardò sorpreso verso Aubrey, che rimaneva stoicamente immobile. "Può sentirmi?"
"Si. Ha un udito migliore del mio." Max gli diede una pacca su un braccio. "Non preoccuparti – ti perdonerà l’insulto. Entriamo, ora."
Mentre un senso di colpa gli stringeva lo stomaco, Nate seguì Liz e Max nella camera dei bozzoli. Aubrey si era sentita insultata? Lei provava le stesse emozioni che provava lui? Aveva veramente urtato i suoi sentimenti? Lo avrebbe ‘perdonato’ facendo rivoltare le truppe contro di lui? Nate sapeva di avere ancora tante cose da imparare – e così poco tempo per farlo.
Dentro la camera, il resto del gruppo si era seduto in cerchio – ricordando a Nate il cerchio magico degli Indiani. Prima che qualcun altro si azzardasse a farlo, prese posto accanto ad Alyssa, sedendosi in terra accanto a lei e prendendole una mano nella sua. Max e Liz si sedettero tra Michael e Isabel e Nate notò come Liz sembrasse sollevata di riavere Max nel pieno delle sue capacità.
"Allora … " cominciò a dire Max.
"Allora?" ripeté Michael.
Nate si chiese se fosse un rituale alieno, se tutti loro dovessero dire ‘allora’ prima che la riunione potesse cominciare – come nelle riunioni degli Alcolisti Anonimi dove tutti dovevano dire "Salve, il mio nome è Chiunque e sono un’alcolista."
Maria fece affondare questa teoria.
"Allora, Khivar e Nicholas sono tornati." disse chiaro e tondo. "E adesso?"
"Uccideremo quei bastardi." replicò Michael senza mezzi termini e senza esitazione.
Ci fu uno scambio di sguardi inquieti – Nate ebbe la sensazione che molti di quelli che erano nella stanza fossero d’accordo con Michael, anche se non sembravano ansiosi come lo era lui.
"Ci riusciremo?" chiese Isabel.
Michael guardò dritto verso Nate. "Ci puoi scommettere."
Alyssa aumentò la stretta sulla mano di Nate e lui poté quasi sentire la paura che lei stava provando.
"E’ una decisione dura." disse Isabel sottovoce.
"No, è pratica." affermò Michael. "Lo troveranno, come lo hanno trovato quegli alieni lì fuori. Probabilmente già sanno dov’è. Mandiamo Junior fuori di qui, Khivar e Nicholas verranno per fare uno spuntino e noi ci sbarazzeremo di loro una volta per tutte."
Nate non era proprio d’accordo, e inoltre non era sicuro che gli piacesse essere definito ‘spuntino’.
"Non perderanno tempo." disse Max pacato, rivolgendosi a Michael. "Se arriveranno a Nate lo uccideranno all’istante, senza fare domande."
"Come fai a dirlo?" replicò Maria. "Ti hanno ucciso così velocemente?" Un lampo di dolore corse sul viso di Max e Maria si pentì delle sue parole. "Mi dispiace, Max. Non penso mai prima di parlare." E abbassò vergognosa lo sguardo sul pavimento.
"Non fa nulla." disse Max, liberandola da una situazione imbarazzante. "Hai detto una cosa giusta. Ma loro non conoscono Nate. Tutti e due conoscono me." Deglutì visibilmente. "Volevano vedermi soffrire per quello che è successo in passato. Dubito che abbiano un simile rancore nei confronti di Nate." Guardò dispiaciuto suo figlio prima di rivolgersi ancora al gruppo. "Allora, tornando al punto – se lo prenderanno, lo uccideranno."
"Non lasceremo che lo prendano." disse semplicemente Isabel. "Lasceremo qui Aubrey e qualche soldato per proteggerlo."
"Non qui." disse Max scuotendo la testa. "Questo è l’unico posto di cui nessuno conosce l’esistenza. Non voglio rivelare il nostro unico rifugio sicuro. Dobbiamo trovare un altro posto."
Isabel accennò di sì col capo. "Va bene. Andremo in ricognizione per trovare un posto facile da difendere, dove nessuno possa arrivare non visto. Lasceremo lì Nate, Aubrey e qualche soldato."
"E poi aspetteremo che arrivino." aggiunse Michael, con negli occhi un fuoco di vendetta di cui Nate sperò di non essere mai il bersaglio.
Nella camera scese un lungo silenzio, mentre ognuno di loro si aspettava che gli altri avessero qualcosa da obiettare.
Nate notò che Jeremy non aveva aperto bocca durante l’intera conversazione e sperò dentro di sé che il ragazzo sarebbe stato lasciato indietro con lui – non era giusto che qualcuno così giovane dovesse combattere. Naturalmente il suo sguardo si posò su Alyssa, che lo stava fissando, con negli occhi un misto di coraggio e di paura. Aveva già visto troppe brutte cose, la sua piccola ragazza. Nate si addolorò di non averla potuta proteggere da quello di cui era già stata testimone.
"E se i loro poteri fossero cresciuti?" domandò Liz, rompendo il silenzio nella caverna. "Voglio dire, e se fossero dieci volte più forti dell’ultima volta che li abbiamo visti?"
"Anche noi siamo più forti." fece notare Michael. "E lì fuori abbiamo un’intera legione di sostenitori."
Stavano facendo sul serio. Il nodo nello stomaco di Nate si strinse ancora di più, il cuore cominciò a battere più svelto. La guerra stava bussando alla porta – un conflitto incentrato direttamente su di lui – e lui non aveva idea di come reagire.
"Io voglio combattere." disse, prima ancora di rendersi conto di averlo detto.
Tutti gli occhi dei presenti si posarono su di lui, taluni spalancati, taluni stretti (questi appartenevano a Michael Guerin).
"Nate." gli disse Max con delicatezza. "E’ troppo presto. Non hai sviluppato abbastanza poteri per difenderti."
"Posso fare quella specie di scudo." protestò. Non era sicuro del perché stesse insistendo, perché in realtà non voleva combattere. Forse era solo il fatto che tutti avrebbero partecipato ad una battaglia per lui, che non poteva affrontarla.
"Davvero?" sbuffò Michael. "Fallo?"
Nate lo guardò sorpreso. "Cosa?"
"Dai, lo scudo. – Fallo!"
Nate guardò il resto del gruppo e ricevette un cenno d’incoraggiamento da Liz. Respirando a fondo, sollevò la mano col palmo aperto e si concentrò sulla creazione dello scudo davanti a lui e … non successe niente.
Deluso, abbassò la mano e chinò lo sguardo a terra solo per non vedere lo sguardo soddisfatto negli occhi di Michael.
Alyssa gli circondò la vita e gli diede un abbraccio di conforto.
"Allora Nate farà da esca." continuò Max come se l’insuccesso del figlio non fosse accaduto. "E quando dovremmo cominciare?"
"Più presto possibile." disse Isabel.
Nate si accigliò. Si sentiva un agnello sacrificale che stava per essere legato al palo.
"Chi ci sarà?" chiese Max.
"Io." disse Michael.
"Io." aggiunse Isabel.
Poi un deciso giro di ‘Io’ da Jeremy, Liz e Alyssa.
Maria alzò una mano. "Ci sarei se avessi qualche potere. Credo che me ne starò indietro."
Max le sorrise con comprensione, poi si girò verso Liz. "Anche tu."
Liz rimase a bocca aperta. "Nemmeno per sogno, Max!"
Lui annuì in silenzio.
"No! Non dopo quello che ti hanno fatto! Non dopo che loro … "
"Pensa ad Emily." le rispose lui dolcemente.
Le parole di Liz le morirono in gola e Nate vide una girandola di emozioni nei suoi occhi – rabbia, determinazione, paura e comprensione. Max le prese la mano e la baciò sul dorso.
"Emily ha bisogno di uno di noi." le disse. "Io devo farlo, Liz."
Il labbro inferiore di Liz cominciò a tremare e lei fissò addolorata il pavimento della caverna. Nate avvertì un groppo in gola alla necessità che lei dovesse restare indietro. Sapeva esattamente cosa stava provando Liz – dopo tutto, anche il suo amore stava andando fuori a combattere, mentre lui sarebbe rimasto nelle retrovie. Sentirsi impotenti non era una cosa piacevole.
Max fece scivolare un braccio sulle spalle della moglie, mentre riprendeva a parlare al gruppo. "Isabel, tu e Michael cercate un posto dove sistemare Nate. Nate, avrò bisogno del tuo aiuto per dare ordini ad Aubrey – lei prende ordini solo da te."
Nate avvertì un’altra ondata di panico – non aveva nessun ordine da darle. Max rise.
"Non ti preoccupare." gli disse. "Ti dirò cosa dirle."
Fece l’occhiolino al figlio, poi si alzò in piedi.
"Va bene – andiamo!"

Continua...

Scritta da Karen (MidwestMax)
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice
dall'originale in inglese, a cura di Sirio


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