Roswell.it - Fanfiction
SPECIALE

ANCHE IL FIGLIO CRESCE

Capitoli 13-18


Riassunto: Questa storia, in 27 capitoli, è la terza di cinque fanfiction collegate tra loro, e segue a "Figlio di suo padre". Nate e Alyssa si sono trasferiti a Boston per frequentare il college, ma tutti noi sappiamo che la vita non è mai semplice per un Roswelliano.
Abbiamo imparato a conoscere i personaggi, ora li vedremo di nuovo in azione. E non sempre come vorremmo che agissero.

Valutazione contenuto: non adatto ai bambini.

Disclaimer: I personaggi dello show appartengono a Katims e co. Alyssa e Nate sono miei. Nessuna trasgressione è stata intenzionale… ehm, e nessuna offesa ad Hemingway per il titolo.
(NdT: L'autrice si riferisce al libro T'he sun also rises', conosciutò in italia col titolo 'Il sole sorgerà ancora'. Io ho preferito usare una traduzione leggermente diversa, perchè 'Anche il figlio sorge' non avrebbe reso completamente l'idea.)


Capitoli 1-6
Capitoli 7-12

Capitolo 13

Max era vivo.
Ma questo non voleva dire necessariamente che Max stesse bene.
Nate era in piedi, poggiato alla soglia della porta della stanza di Michael e guardava suo padre, seduto sul letto con la schiena contro la spalliera e gli occhi fissi sui suoi piedi. Max non aveva nemmeno sollevato lo sguardo, quando Nate aveva aperto la porta. La sua pelle era intatta e aveva un colorito sano, ma lui aveva ancora un aspetto emaciato e lo sguardo vuoto. Di solito era una persona cortese e il fatto che non avesse nemmeno ringraziato Nate per avergli salvato la vita, aveva mandato un segnale di preoccupazione nel suo cervello. Appena ne era stato in grado, si era trascinato fuori dal letto ed aveva percorso faticosamente la strada fino alla stanza a fianco.
Era passata quasi una intera giornata da quando lui aveva guarito Max e stava recuperando un po' della sua energia, anche grazie alle tenere coccole di Alyssa e ad un lungo sonno ristoratore. Ora si sentiva bene, come se avesse appena vinto una battaglia contro l'influenza, anche se non in modo soddisfacente. Aveva, comunque, la sensazione di stare infinitamente meglio di suo padre.
Dall'altra parte della stanza, Isabel era poggiata contro l'armadio, un non necessario sguardo di scuse nei suoi occhi. "Come ti senti?" chiese a Nate.
Lui guardò dalla sua parte e le fece un piccolo cenno con la testa per rassicurarla che stava andando bene, poi in silenzio, fece un cenno verso Max.
Lei scosse tristemente la testa, poi disse "Max? Hai visto che è venuto Nate?"
Max sollevò la testa e guardò sua sorella senza manifestare nessuna reazione, poi spostò lentamente lo sguardo su suo figlio. Sorrise, ma era un sorriso vuoto e Nate pensò che fosse più un istintivo gesto di educazione, che un segno di riconoscimento.
"Ti ricordi di Nate?" continuò Isabel. "Vero?"
Max la guardò ancora, poi tornò a guardare i suoi calzini.
Nate deglutì, con un'espressione accorata sul suo viso. Aveva sbagliato qualcosa? Max era rimasto in qualche modo danneggiato perché lui non lo aveva guarito correttamente? E, peggio ancora, Nate non aveva la minima idea di come avesse fatto a guarirlo - era solo successo.
Isabel guardò il nipote e scosse la testa mestamente.
"Sto andando al supermercato dall’altra parte della strada a prendere una soda." disse Nate, sollevando un sopracciglio, per lanciarle un segnale. "Vuoi venire con me?"
Isabel annuì, poi diede un colpo sulla parete. "Jeremy Ramirez." chiamò ad alta voce. "Vieni qui."
Dopo pochi secondi, Jeremy apparve sulla porta come un cucciolo obbediente. "Che ho fatto?" Si prese la cinta e si tirò su i pantaloni, un gesto che lo fece sembrare un bambino di otto anni.
"Niente." disse Isabel raddrizzandosi. "Perché non fai compagnia a zio Max, mentre io e Nate andiamo al supermercato? Michael e Alyssa sono andati a cercare un’agenzia di viaggi e qualcuno deve stare con lui finché non siamo tornati."
"Certo!" disse Jeremy, precipitandosi nella stanza e sedendosi accanto allo zio silenzioso. Max girò la testa e guardò il ragazzo, senza nessuna espressione. "Cosa ne dici se ci vediamo qualche film porno alla PayTV, eh, zio Max?"
"Jeremy!" lo minacciò Isabel, ma il suo tono era divertito.
Jeremy guardò in terra, fissando i suoi piedi, proprio come stava facendo Max. Nate si chiese se ci fosse qualcosa in quel letto che costringesse la gente a fare così …
"Vuoi niente?" chiese Isabel. "Qualcosa da bere?"
"Gatorade." chiese Jeremy. "Grazie."
"Max?"
Max guardò sua sorella, ma non rispose.
Isabel sospirò e si diresse verso la porta, facendo segno a Nate di seguirla. "Ti porterò io qualcosa." disse rivolta a Max.
Una volta fuori, Nate lasciò andare il respiro che non si era nemmeno reso conto di trattenere. "Santo … " cominciò a dire.
Isabel annuì la sua comprensione, poi avvolse le sue braccia attorno a lui e gli diede un abbraccio rassicurante. "Mi dispiace di non essere venuta a vedere come stavi." gli disse, appoggiando la testa sulla sua spalla. "ma non potevo lasciarlo."
Nate si sciolse dall’abbraccio, il dolore sul suo viso. "Non fa nulla. Che cosa ho fatto di sbagliato?"
Isabel lo guardò perplessa. "Niente, credo." Gli sorrise e gli accarezzò la guancia. "Grazie, Nate. Non sai quanto sia importante Max per me."
Sembrava che stesse per piangere, così si tenne occupata cercando qualche moneta in tasca. "Vuoi veramente andare al supermercato o era solamente una scusa per parlare con me?"
"Tutte e due le cose." le disse Nate sorridendo. "Solo, possiamo camminare un po’ più piano?"
Lei annuì e rallentò il passo.
"Lui è sempre stato così da quando … um, da quando si è svegliato?" chiese Nate.
Isabel annuì. "Pressappoco."
"E’ normale?"
Lei lo guardò e si strinse nelle spalle. "Che cosa è normale per noi?"
Un punto per Isabel. Nate non era ‘normale’. Nessuno di loro era ‘normale’.
Mentre camminavano, Isabel appoggiò la mano sul braccio di Nate all’altezza del gomito, in un gesto di conforto. "Non sappiamo quello che Max ha passato per ridursi nello stato in cui l’abbiamo trovato." gli disse con delicatezza. "Non sappiamo perché è così."
Qualcosa passò nella mente di Nate, un ricordo che non era suo, fredde dita che gli rubavano lentamente la sua vera vita.
"Cosa c’è?" chiese Isabel.
Lui scosse la testa. "Niente." Prese un profondo respiro e rilasciò l’aria lentamente. "Sto ancora cercando di comprendere quello che è successo. E’ qualcosa di … "
"Incredibile?" suggerì lei.
Lui fece una risata ed annuì. "Si."
"Allora puoi immaginare la mia sorpresa." ridacchiò lei, poi lo fece fermare. "Sta arrivando un camion."
Senza accorgersene, erano arrivati sulla strada e Nate si era quasi fermato davanti ad un camion. In apparenza aveva i sensi ancora un po’ appannati e il suo corpo stava ancora recuperando l’energia spesa per guarire Max. Rivolse ad Isabel uno sguardo sorpreso.
"Cerchiamo di tenere sano il guaritore." gli disse scherzando, anche se c’era un filo di nervosismo nella sua voce. Sembrava un po' scossa.
"Zia Isabel?" le chiese Nate quando il camion fu passato. "Ti senti bene?"
Lei fece del suo meglio per sfoderare il sorriso da cover-girl, ma non fu convincente. "Certo. Sto bene."
Nate chinò da un lato la testa e sollevò un sopracciglio.
"Okay. " ammise lei, spingendolo dall’altra parte della strada con se. "Non sto proprio bene. Vedi, non è la prima volta che ho visto Max quasi morire."
Mentre entravano nel negozio, Nate si ricordò che Max gli aveva spiegato che una volta, era ‘morto’ e aveva dovuto recuperare il sigillo da Michael. Lui non aveva approfondito e Nate non aveva insistito per saperne di più, ma ora avrebbe voluto farlo. Dopo tutto, a quel punto, Nate non era sicuro dello stato in cui fosse il sigillo. Era sembrato che al sito degli scavi il sigillo stesse per ricomparire, designandolo come successore. Ma ora Max era vivo, il che significava che doveva essere lui il re. Niente di tutto quello aveva un senso.
Isabel prese qualche bibita e qualcosa da sgranocchiare, pagando tutto anche quello che aveva preso Nate, rifiutandosi di prendere denaro da lui. Una volta fuori, continuarono la loro conversazione.
"Non ti ringrazierò mai abbastanza per averlo salvato, Nate." I suoi occhi erano pieni di emozione, la sua gratitudine sincera.
"Max significa il mondo per me, e vederlo in quello stato … " Le sue parole furono trascinate dalla corrente di emozioni, così pure il suo sguardo.
Nate le mise un braccio attorno alla spalla per confortarla. "Ti capisco." le disse. "Sono felice di essere stato utile."
Lei gli sorrise raggiante, poi traversarono la strada e tornarono al motel.
Nate fece un largo sorriso, quando vide che la SUV era nell’area di parcheggio, perché voleva dire che Alyssa era tornata, ma si accigliò leggermente quando vide Michael dirigersi verso di lui.
Nate non aveva l’energia per contrastare il suo modo di fare. Sempre sfrontata nel suo amore per Nate, Alyssa girò di corsa attorno all’auto e si gettò tra le sue braccia, quasi gettandolo a terra per l’entusiasmo.
"Ti sei alzato!" gridò, tirandosi indietro e prendendogli il viso tra le mani.
Dietro di lui, Nate sentì Isabel ridacchiare.
"Si." convenne lui, ridendo alla sua ragazza.
"Questo vuol dire che sei guarito, ora?" chiese Alyssa, gettandoglisi ancora addosso.
"Lo sarò presto, credo." rise lui. Qualcosa gli diceva che lei aveva in mente … piccole cose oscene.
"Alyssa, che ne pensi di lasciare che io e Nate parliamo da soli per qualche minuto?" disse Michael, gettando come sempre un ombra sopra qualcuno che era felice.
Il sorriso di Alyssa scomparve quando guardò gli occhi di Nate, ma quando si girò, fece cenno di si al padre e seguì Isabel all’interno del motel. Nate si accigliò ancora e guardò Michael senza molta pazienza.
Michael increspò le labbra e fece un gesto verso la SUV. "Andiamo a prendere qualcosa da mangiare."
Nate non voleva andare in macchina con lui. Non voleva mangiare, specialmente se questo avesse significato sedere da qualche parte con Michael. Comunque, mentre saliva sul sedile del passeggero, pensò che Michael intendesse dire prendere il pranzo per tutti e per lui fu un piccolo conforto.
Mentre uscivano dal parcheggio, Nate si schiacciò contro la portiera – voleva che ci fosse la massima distanza possibile tra di loro.
"Allora, come hai fatto a farlo?" chiese Michael, controllando lo specchietto retrovisore.
Nate lo guardò, confuso. "Fatto cosa?"
"Guarire Max. Come ci sei riuscito?"
Nate batté gli occhi. Lo stava veramente interrogando su quell’argomento? Michael non era grato del fatto che il suo amico fosse ancora vivo? Nate ne avrebbe mai fatta una giusta ai suoi occhi? Incapace di trattenersi, Nate fece una smorfia disgustata.
"E questa per che cos’è?" chiese Michael, sbirciandolo, senza perdere di vista il volante.
"Perché mi odi così tanto?" domandò Nate, con lo sguardo deciso.
Fu la volta di Michael ad essere sorpreso. "Io non ti odio."
Le sopracciglia di Nate si inarcarono bruscamente. "No? Diciamo allora, che io detesto vedere come tu tratti le persone che odi." Roteò gli occhi e portò la sua attenzione fuori del finestrino, col sangue che cominciava a scaldarsi. Maledetta situazione. Maledetto lui.
Dopo un lungo silenzio, Michael accostò la macchina e la fermò nell’area di una stazione di servizio abbandonata. Nate strinse le mascelle e guardò l’uomo con disprezzo. Michael si girò sul sedile per essere di fronte a lui, l’espressione più aperta che Nate gli avesse mai visto.
"Io non ti odio." ripeté lui. "Nemmeno un po’."
"E allora perché mi stai sempre col fiato sul collo?" scoppiò Nate.
Michael si morse il labbro inferiore e mosse casualmente una mano in aria. "Sto solo aspettando di conoscerti."
"Punzecchiandomi in continuazione?"
Per una volta sembrò che Michael stesse tenendo sotto controllo il suo temperamento e che Nate stesse finalmente perdendo il suo. Michael fece un lungo respiro, prima di parlare. "Vedi, Nate, stavo aspettando."
"Cosa?"
Michael guardò fuori dal finestrino dell’auto, lo sguardo che sembrava viaggiare lontano, forse al di là del tempo. "Alyssa ha il dono di Isabel di passeggiare nei sogni. Lei ha anche la mia capacità di far esplodere gli oggetti, di aprire le serrature, di cambiare la struttura molecolare delle cose. Altrettanto può fare Jeremy. Tutti loro hanno delle capacità peculiari, ma sembra che i nostri poteri specifici siano passati alla generazione successiva."
Nate era confuso. Bell’affare – ora Nate aveva la capacità di guarigione di Max. Qual’era il problema?
Michael incontrò il suo sguardo, faccia a faccia. "E ora so che anche il figlio di Max ha dei poteri."
Nate si strinse nelle spalle. "E allora?"
"Allora, noi abbiamo trasmesso tutte le nostre abilità specifiche – guarire, passeggiare nei sogni, far esplodere le cose." Michael si toccò la mascella. "Tutte i nostri poteri, tranne uno."
Nate cercò di pensare ad una spiegazione, ma non la trovò. "Non capisco."
"Tu hai ereditato il potere di tuo padre, Nate. Ma come faccio a sapere che non hai ereditato anche quello di tua madre?"

Capitolo 14

Rimanere soli fu più facile di quello che Nate avesse immaginato. Una mancetta a Jeremy e un favore da Isabel; Nate ebbe l’impressione che anche Isabel avesse fatto la sua parte, agendo di nascosto, quando lei e Jesse avevano cominciato a vedersi. Nate non era sicuro del perché, ma sembrava che Isabel non avesse nessuna difficoltà a tenere segreta la vicinanza di Alyssa e Nate – lei li aveva lasciati vivere insieme nella mansarda e ora aveva lasciato volentieri che Alyssa scambiasse il suo posto con Jeremy per la notte, così da lasciarli stare insieme. E forse, pensava che fosse conveniente far dormire Jeremy con una donna per la quale non poteva provare un interesse sentimentale.
Avevano prenotato un volo per il giorno successivo, intorno alle 9. Sarebbero tornati a Denver e poi da lì a Boston. C’era stato un incontro di famiglia in camera di Isabel, mentre Max era in camera di Michael, sorvegliato ancora una volta da Jeremy. Tutti loro erano d’accordo che, mentre aver riavuto Max, almeno fisicamente, era una cosa buona, non potevano ignorare le circostanze che lo avevano portato vicino alla morte nel sito dei mammouth. Per adesso, volevano riportarlo a casa, dargli il tempo di assestarsi, poi Michael sarebbe tornato indietro per investigare. A quel punto, non sapevano nemmeno quanti dei vecchi contatti di Max fossero ancora vivi – l’Agente Darmon era stato quello che aveva resistito per maggior tempo, e se era morto lui …
Così, ora il gruppo stava aspettando l’arrivo del mattino per un ritorno dolceamaro alla costa orientale. Nate aveva parlato con Liz, che come immaginabile, era in un caos di emozioni – euforia nel sapere che Max era vivo, ma dolore di sapere che era così chiuso al mondo esterno.
Per quanto Nate aveva arguito, Liz aveva ‘sentito’ Max scivolare via, il dolore che filtrava nell’anima di lei, mentre lui veniva attirato sempre più vicino dalla morte. Subito dopo, si era sentita pervadere da un’ondata di vita e, in quell’istante, aveva saputo che era successo qualcosa di grande che le aveva riportato indietro Max. Quando seppe che era stato Nate, non riuscì a smettere di piangere la sua gratitudine, facendo piangere anche lui. La sua reazione era stata un balsamo sulle ferite prodotte da quella di Michael.
Alyssa prese il viso di Nate tra le sue mani e lui sollevò gli occhi per guardarla. Era mezzanotte passata quando si misero seduti sul letto del motel, una di fronte all’altro, mentre il sonno li sfuggiva entrambi.
"Non essere triste." gli disse dolcemente, usando i pollici per carezzargli il viso.
Nate le prese le mani e se le allontanò dal volto, tenendole strette tra le sue. "E se lui avesse ragione? Se un giorno dovessi avere quel potere?"
Lei si strinse nelle spalle esili. "E se fosse così?"
Lui rimase sgomento.
"Importa a qualcuno?" continuò lei con dolcezza.
"Alyssa, non è una bella cosa da avere." spiegò lui lentamente, sorpreso che lei non ci fosse arrivata da sola. "Guarda quante cose brutte ha fatto mia madre con quel potere."
"Tutti i poteri possono essere malefici, Nate." disse lei. "Dipende da come li usi. Non hai mai pensato che entrare nella mente delle persone che stanno dormendo potrebbe non essere una bella cosa?"
Lui fissò la trapunta verde e marrone, una coperta di quelle che si poteva trovare solo in un motel. Riusciva a capire come poteva essere facile abusare del potere di passeggiare nei sogni, certo. Potevi piantare nella testa delle persone ogni genere di suggestione, manipolare il loro subconscio per far loro fare quello che volevi. Si, poteva essere una cosa malvagia.
"Pensi che essere capaci di irrompere dove vuoi sia una bella cosa?" continuò subito Alyssa.
Nate scosse la testa.
"Tutti i poteri possono essere cattivi." concluse lei. "Dipende da come li usi. E allora a chi può importare se hai la capacità di manipolare la mente?" Sciolse le dita da quelle di lui, poi gli posò la mano sul petto. "Tu hai un cuore buono, Nate – io l’ho visto."
Lui le sorrise dolcemente.
Alyssa scosse la testa, i capelli biondi che ondeggiarono a quel movimento. "Non riesco ad immaginarti a fare quello che ha fatto tua madre, Nate. Tu sei un uomo buono."
Nate si sentì un groppo in gola a quel semplice complimento – così tanto in così poche parole.
"Mio padre è iperprotettivo." continuò lei, posandogli una mano sulla gamba. "Lei li ingannò – ingannò tutti loro. Lui non l’ha mai perdonata. Lui non ha mai perdonato se stesso per averlo permesso."
Un accenno di comprensione toccò la mente di Nate – Michael non lo odiava. Michael aveva paura di lui.
"Io non posso cambiare quello che lui sente." disse Alyssa. "Ma nemmeno lui può cambiare quello che sento io. Io ti amo, Nate. Ti amerò sempre. Indipendentemente da quelli che sono i sentimenti di mio padre nei tuoi confronti."
Nate sorrise apertamente, sapendo che era stato difficile per Alyssa contrastare il volere di suo padre in quel modo. Lei aveva fatto dei grandi passi avanti e non si sarebbe lasciata intimidire dalle minacce. Alyssa era una persona così forte, la più forte che Nate avesse mai incontrato.
Incapace di fermarsi, si sporse in avanti, le prese i polsi con le mani e li alzò sopra la sua testa. Gli piaceva come quel movimento le tendeva i seni, la forma che prendeva il suo corpo. Partendo dalla vita, le passò i palmi delle mani lungo i fianchi, poi lungo lo stomaco piatto, per arrivare al seno dai contorni affascinanti.
Alyssa lo lasciò fare, mezzo divertita, mezzo eccitata.
"Fermo." gli disse, abbassando le braccia e guardando il disappunto sul suo viso. "Non è meglio così?" Si sfilò la maglietta dalla testa lasciandola cadere dietro di lei e rimase con le braccia appoggiate sulla testa.
Nate sorrise, curvandole le mani intorno alle spalle per slacciarle il reggiseno. In un attimo il seni furono liberi davanti a lui; prima li toccò con la punta delle dita, poi con le labbra, strappandole un leggero gemito.
"Le pareti sono sottili." gli ricordò lei, respirando più velocemente. "E il letto scricchiola – oh!"
Nate le sorrise, con il suo capezzolo stretto tra i denti. Aveva avuto la sensazione che l’attrazione che lei aveva per i capezzoli di Nate, fosse in realtà un’attrazione per i propri. Mettendole un braccio intorno alla vita, l’attirò contro di sé e la baciò appassionatamente, il corpo impazzito per il bisogno di lei.
"Non ti preoccupare." le disse tra un bacio e l’altro. "Non lo saprà nessuno." Separatosi da lei, spostò il lenzuolo dal letto e lo stese sul pavimento, facendolo seguire da entrambi i cuscini. Poi le prese la mano e la aiutò a sdraiarsi, coprendo il corpo di lei con il suo. "Cerca solo di non gridare questa volta, d’accordo?"
Lei fece un risolino e si coprì il viso imbarazzata.
Nate aveva avuto tutte le intenzioni di soddisfare il desiderio di entrambi in una volta, ma quando cominciò a toglierle i jeans, realizzò che c’erano ancora molte cose che dovevano fare, molte cose che lui non aveva provato perché Annie le trovava disgustose. Quella sera aveva un travolgente senso di avventura, il bisogno di fare per Alyssa qualcosa di altruistico, di fare qualcosa che non aveva mai fatto.
Con un’espressione seria le sfilò i pantaloni, poi, prendendola per le ginocchia, le fece allargare le gambe. Lei era così bella e fiduciosa, sdraiata completamente nuda davanti a lui. Portandosi in avanti, le carezzò la guancia liscia, poi le sfiorò la labbra con il pollice, poi si chinò per baciarla dove non l’aveva mai baciata prima.
Alyssa rimase senza fiato. "Oh, Dio! Che stai facendo, Nate?"
Andando alla cieca, ecco cosa stava facendo. Questa era una cosa nuova per tutti e due. Per un attimo, si ricordò di aver chiesto ad Annie se volesse provarlo e lei aveva usato parole come sporco, osceno e disgustoso. In tutta la loro relazione, Alyssa non aveva trovato nulla di sporco, osceno o disgustoso – cosa della quale Nate sarebbe stato eternamente grato. Quando lui trovò una posizione ed un ritmo, Alyssa lo ricompensò con sospiri e gemiti. Nate le prese la mano nella sua e se la sentì stringere forte.
Alla fine lui liberò la sua mano e la fece scivolare sul corpo di lei, sullo stomaco fremente, lungo le sue costole. Sentì il suo cuore batterle veloce nel petto, non il solito battito dei loro incontri precedenti, ma forti colpi che le facevano vibrare il corpo – quei baci stavano producendo sensazioni totalmente differenti dentro di lei.
Nella sua mente Nate sorrise a se stesso, orgoglioso di poter fare una cosa così bella per lei. La sua mano serpeggiò sulla curva del seno, prendendole un capezzolo tra il pollice e l’indice. Quando lo strinse, il corpo di Alyssa tremò, rompendogli quasi il naso. Il suo orgasmo fu accompagnato da squittii soffocati e Nate alzò la testa per vedere che lei stava mordendo il cuscino per coprire i suoi gemiti.
Quando restò senza fiato, il corpo di Alyssa si rilassò. Nate si sdraiò sopra di lei e le appoggiò la testa sul petto, ascoltando il suo respiro ansante e il veloce battito del suo cuore: era musica per le sue orecchie. Il corpo di Alyssa era coperto da un velo di sudore, i muscoli del suo addome ancora tremavano leggermente.
"Stai bene?" le chiese dopo un po’, stuzzicandole un seno con il naso.
Alyssa annuì, prese un profondo respiro e lasciò uscire l’aria lentamente. "Santo Cielo, Nate." sospirò. "Credo di aver perso conoscenza per un momento."
Lui sollevò la testa incuriosito e lei gli fece un cenno di conferma.
"Sono venuta e per un momento tutto è diventato nero." Lei rise incredula. "Dove hai imparato a farlo?"
Nate arrossì, puntando un dito verso il basso. "Laggiù."
"Era la prima volta che lo facevi?" gli chiese, con gli occhi spalancati. "Se questo significa che puoi ancora migliorare … " Lei fissò il soffitto, apparentemente persa nei pensieri. Poi abbassò veloce lo sguardo su di lui. "Ti è piaciuto?"
Lui annuì sorridendo.
"Si, anche a me." fu d’accordo lei. "Possiamo rifarlo, qualche volta?"
Lui annuì ancora e vide il viso di Alyssa illuminarsi. Soddisfatto, con i pensieri di poteri cattivi scacciati per il momento nell’ombra, Nate riappoggiò la sua testa sul seno di lei, tenendola stretta contro di sé. Indipendentemente dal futuro che li aspettava, lui era certo di una cosa – lei lo amava e sarebbe stata al suo fianco a tutti i costi.

***

La mattina seguente, Jeremy ed Alyssa cercarono di scambiarsi il posto senza farsi notare. Il gruppo fece i bagagli – quelli di Max vistosamente mancanti – e li raccolsero nella stanza di Michael. Isabel si avvicinò alla sedia dove era seduto Max e si inginocchiò davanti a lui.
"Sei pronto ad andare a casa, fratellino?" gli chiese con dolcezza, spostandogli la frangia dagli occhi appannati.
Lui annuì, ma Nate non fu sicuro se per aver veramente capito la domanda o per un riflesso.
Isabel sorrise, una versione annacquata del suo solito sorriso da cover-girl, e prese Max per mano. "Allora vieni fuori con me." gli suggerì, facendolo alzare in piedi.
Nate la guardò meravigliato, mentre lei conduceva fuori il fratello senza problemi. Sembrava che a qualche livello essenziale, Max si fidasse di sua sorella. Restava ancora da vedere se avesse compreso, ma almeno lei era riuscita a farlo salire in macchina.
Alyssa mise il suo braccio attorno alla vita di Nate e lo strinse. "Starà bene quando sarà tornato a casa." le disse rassicurante, ma Nate pensò che era una frase detta a suo beneficio e non perché lei ne fosse realmente sicura.
Entrarono tutti nella SUV – Isabel, Max e Nate dietro, Michael Alyssa e Jeremy stipati davanti. Nate vide Isabel prendere la testa del fratello ed appoggiarla contro la sua spalla, il suo braccio che lo circondava confortante. Il cuore gli sobbalzò nel vederla così tenera con Max, nel vedere Max così sperso. Quello non era l’uomo che lui aveva incontrato un anno prima, non era il forte, apparentemente impavido condottiero del suo popolo. Max era stato ridotto ad essere l’ombra di se stesso, muta e stanca di combattere.
"Voglio che tu torni a scuola, appena arriveremo a casa." stava dicendo Michael ad Alyssa, mentre si dirigevano all’aeroporto, ma con voce priva di rimprovero. "Non voglio che tu rimanga troppo indietro."
"Non succederà." lo rassicurò lei. "Non abbiamo fatto poi così tanto. Credo di aver saltato un compito di storia, ma sarò in grado di recuperarlo." Si girò sul sedile per guardare Nate. "Non lo credi anche tu, tesoro?"
Nate si fece piccolo, aspettando che Michael lo uccidesse perché la sua ragazza si era rivolta a lui in modo così affettuoso. Oltre tutto ora Michael sapeva che loro non dividevano solo l’appartamento – dividevano anche le lezioni.
"Credo di si." disse sottovoce, catturando uno sfuggevole sguardo di Michael dal retrovisore per poi fissarsi le scarpe.
"Io vorrei andare a Deadwood." disse Jeremy speranzoso, guardando il panorama del Sud Dakota che fuggiva dal finestrino. "Vorrei giocare alle slot machines."
Isabel rise. "Tesoro, devi avere più di sedici anni per giocare d’azzardo."
Jeremy si girò sul sedile, con lo sguardo deluso. "No!"
Lei annuì e lo vide sgonfiarsi in un piccolo mucchietto latino. Isabel sorrise e fece una smorfia a Nate. Lui stava quasi per chiedere a Jeremy notizie su Deadwood con l’intenzione di distoglierlo dalla sua delusione, quando all’improvviso Max gridò.
Tutti gli occhi nella macchina si posarono sui suoi occhi terrorizzati. Stava guardando fuori dal finestrino, al cielo, quando il suo respirò era diventato ansante ed affannoso.
"Max?" disse Isabel. "Cosa c’è?"
Lui scosse vigorosamente la testa e cercò di staccarsi da lei, nel tentativo di raggiungere la maniglia della portiera. Temendo che riuscisse a saltare fuori, Michael fermò la macchina ad un lato della strada, poi si girò sul sedile per aiutare Isabel a trattenere l’amico.
"Max!" gridò Isabel. "Calmati, Max!"
Max gridò ancora, col corpo che tremava mentre cercava di lottare debolmente contro di loro.
"Fermo, fratello." disse Michael severo, ma con più compassione di quella che Nate credesse possibile. "Va tutto bene."
"Oh, Dio." disse Alyssa, affannosamente. "E’ l’aereo … "
Nate allungò il collo per vedere un aeroplano sfrecciare nel cielo. Volava a bassa quota, così immaginò che fossero arrivati vicino all’aeroporto.
"Sta guardando l’aereo!" disse Alyssa freneticamente.
"E’ ridicolo." ribatté Michael, lottando per tenere Max seduto. "Max non ha mai avuto paura degli aerei."
Ma l’aereo sparì oltre l’orizzonte e Max si calmò immediatamente, scivolando nello stesso atteggiamento insensibile che aveva avuto fino a poco prima.
"Ebbene, ora sembra che ne abbia. " finì Alyssa.
Il gruppo nella SUV si scambiò occhiate sbigottite, mentre tutti riprendevano fiato, sconcertati che un aeroplano così piccolo potesse aver scatenato in Max un simile terrore.
"Bene." Isabel ruppe il silenzio per prima. "Questo è interessante."
Michael annuì, lo sguardo fisso su Max.
"Cosa facciamo, adesso?" chiese Jeremy, gli occhi scuri spalancati.
Michael guardò Isabel. "Iz, chiama Liz. Dille di prendere un aereo per Roswell."
"Roswell?" gli fece eco lei.
Lui scosse la testa. "Non possiamo farlo salire su un aeroplano. Dille che ci incontreremo lì." Nate credette di vedere la devastazione negli occhi dell’uomo. "Lei potrebbe essere la sola che riuscirà ad arrivare fino a lui."

Capitolo 15

Ci vollero 17 ore di macchina da Rapid City fino a Roswell. Ce ne sarebbero volute molte di più se il gruppo non si fosse fermato solo per fare rifornimento, usare il bagno e comprare qualcosa da mangiare. Guidavano a rotazione, ogni volta che si fermavano l’autista cambiava. Tutti fecero a turno. Vale a dire, tutti eccetto Max.
Il sole tramontò mentre viaggiavano verso sud, in una linea retta che andava dal punto A al punto B. Spuntarono le stelle, nell’auto scese il silenzio, poi il sole sorse ancora e furono a Roswell. Dietro il volante c’era Isabel, Max era sul sedile di dietro tra Nate e Alyssa.
"I tuoi genitori lo sanno che stiamo arrivando?" chiese Michael dal sedile anteriore, parlando oltre la sagoma crollata nel sonno di Jeremy.
Isabel annuì; Nate vide la stanchezza che c’era nel suo sguardo. In realtà, tutti avevano lo sguardo stanco. Era stata una giornata lunga, una distesa senza fine di strade, il passare del tempo distorto dalla coltre di tenebre. Guardò oltre Max e vide che Alyssa gli stava sorridendo. Lui ricambiò il sorriso e si accorse che lei era un po’ eccitata. E allora, perché non avrebbe dovuto esserlo? Lei era a casa. Anche pensando che lei considerava Boston la sua residenza e anche pensando che lì lei viveva con Nate, Roswell sarebbe rimasta per sempre casa sua.
Isabel guidò la SUV nel viale degli Evans, poi fece un respiro stanco. "Siamo arrivati." disse con un sorriso. Si voltò per guardare il fratello, forse sperando in un barlume di riconoscimento. Quando non l’ebbe, il suo sorriso svanì e lei scese dall’auto.
"Zio Max, siamo a casa." disse felice Alyssa, afferrandogli il braccio. Lui la guardò senza nessuna reazione.
Sul sedile anteriore, Jeremy sollevò la testa. "Mi sono perso qualcosa?" mormorò, farfugliando le parole.
Mentre Nate stava scendendo dall’auto, la porta della grande casa si aprì e ne uscì Diane Evans, il viso una maschera di gioia, preoccupazione e gratitudine.
"Amico." disse Jeremy sporgendosi dai sedili per rivolgersi a Nate attraverso la portiera aperta. "Ora ti darà un pizzicotto sulle guance. Meglio a te che a me. Solo, sta in guardia."
Aveva ragione. Diane andò dritta verso Nate e gli diede un pizzicotto, prima di stringerlo in un forte abbraccio.
"Oh, grazie Nate” gli disse, spremendogli via l’ultima aria che gli era rimasta nei polmoni. Quando lei si fece indietro, Nate vide che stava piangendo. "Hai salvato il mio Max. Caro, caro ragazzo!" Lo pizzicò ancora, e le guance di Nate divennero rosse per il trauma, oltre che per l’imbarazzo.
Poi lei rivolse la sua attenzione a Isabel, stringendola forte come aveva stretto Nate.
"Sto bene, mamma." disse calma Isabel. "Prendiamoci cura di Max, vuoi?"
Nate si infilò nella SUV e toccò Max sul braccio. Max si voltò e lo guardò senza nessuna espressione.
"Andiamo dentro." suggerì Nate. "Sono sicuro che sarai stanco." Si girò verso la nonna. "Non ha mai dormito, durante tutto il viaggio fino a qui." le spiegò. "Credo anche che abbia paura di addormentarsi."
Diane si spostò dietro a Nate e sorrise dolcemente a suo figlio. Nate si stupì di non vedere dolore nei suoi occhi azzurri, solo delicatezza, e mentre si sporgeva verso di lui si mosse come qualcuno che volesse tranquillizzare un animale ferito."Andiamo, Max." gli disse rassicurante. "Qui sei al sicuro. Ti metterò nel tuo letto. Ti ricordi la tua vecchia stanza, vero?"
Max scivolò fuori dalla macchina e, per la prima volta, Nate vide un’ombra di curiosità nella sua espressione. Seguì sua madre in casa, fissandola per tutto il tempo, come se stesse cercando di capire chi fosse. A Nate venne in mente che Diane Evans era il primo vero umano con il quale era venuto in contatto da quando era uscito dal sito dei mammouth.
Isabel si strofinò gli occhi con il dorso della mano. "Sono esausta." disse a Michael. "Devo andare a dormire. Voi ragazzi vi fermerete qui?"
Michael si strinse nelle spalle. "Non credo che ci sia posto sufficiente. Porterò Alyssa a casa." Diede a Nate un’occhiata così veloce, che Nate non fu veramente sicuro di averla vista. "E Nate. Credo che Jeremy si fermerà con te, no?"
Isabel annuì, tirando fuori il figlio semiaddormentato dalla macchina. "Andiamo, Casanova." gli disse.
"Non voglio andare dentro." piagnucolò Jeremy quando fu fuori. "La nonna mi darà un pizzicotto."
"Così ti togli il pensiero." Isabel tese le chiavi della SUV a Michael, che si diresse verso l’auto. "Sta’ attento. Venite domani a colazione. Liz ha detto che sarebbe stata qui verso le nove."
Salutarono, poi Michael si mise al volante, Alyssa sul sedile anteriore e Nate di dietro, diffidente sull’improvvisa gentilezza di Michael. Si diressero in silenzio verso la casetta di Maria, la stanchezza che aveva preso il meglio di tutti loro. Michael si infilò nel viale ed entrò nel parcheggio.
"Resta con noi, papà." lo pregò Alyssa. "E’ tardi e sei stanco. Non dovresti guidare fino al tuo appartamento."
Nate notò che Michael si stava agitando, a disagio, sul sedile. "Zucchina, probabilmente avrei già dovuto dirti una cosa … "
Alyssa spalancò gli occhi. "Cosa?" Il suo tono disse tutto – un’altra brutta notizia e lei sarebbe esplosa.
"Io non ho più un appartamento mio." annunciò Michael.
Lei socchiuse gli occhi confusa – ma Nate comprese subito cosa lui avesse voluto dire e le sue labbra si curvarono in un sorriso di comprensione.
"Hai comprato una villetta o qualcosa del genere?" chiese Alyssa.
Michael fermò la macchina e spense il motore. "No, Pisellina dolce. Io vivo qui. Con la tua mamma."
Alyssa rimase a bocca aperta per la sorpresa e Nate aspettò in silenzio la sua reazione. Alla fine lei esplose in una smorfia di disgusto, aprì la portiera della macchina e camminò pesantemente verso la casa.
"Santo Cielo." imprecò sottovoce. "Un altro bue che dice cornuto all’asino."
Michael la vide allontanarsi, poi posò lo sguardo su Nate, con la faccia colpevole. "Non voglio sentire nemmeno una parola da te, Junior."
Nate si strinse nelle spalle. "Ti meriteresti ben più di una parola, PAPÀ." Il suo tono era pacato, vittorioso.
"Forse." rispose Michael, realisticamente. "Comunque non voglio sentire una parola. Ad ogni modo, per noi è diverso – noi siamo adulti e siamo stati sposati."
Nate si chinò in avanti. "Non c’è nessuna differenza." specificò senza mezzi termini. "Anche io ed Alyssa siamo adulti e noi vogliamo sposarci, un giorno."
Michael lo guardò in silenzio.
"Oh, si." lo rassicurò Nate, accennando con la testa. "Uno a zero!"
Michael socchiuse gli occhi. "Ma non siete ancora sposati. Tu, stanotte, dormirai sul divano."
E con ciò, uscì dalla macchina e seguì la figlia.

***

Il giorno successivo la banda si riunì per colazione, solo poche ore dopo che erano arrivati a Roswell. C’era un senso di stanchezza intorno a loro, un affaticamento da strada, che solo il tempo avrebbe potuto guarire. Diane preparò un festino, abbastanza cibo da sfamare un esercito. Nate si rese conto che, dopo giorni di tavole calde e cibi a portar via che avevano pesato su di lui – era affamato, stanco e svuotato.
Mentre si tuffava sulla colazione, non poté fare a meno di guardare Max, che era seduto in stato catatonico di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo. Aveva avuto l’impressione che Max avesse mangiato lo stretto necessario per tenersi biologicamente in vita, come se qualche sensore interno gli mandasse ogni tanto un segnale che doveva mangiare o bere o respirare un certo numero di volte. Apparentemente il sensore quel giorno era spento e lui fissava ciecamente il piatto.
Philip Evans si portò la tazza di caffè alla bocca e poi vi soffiò dentro, parlando con suo figlio come se tutto fosse stato normale. "Meglio se finisci di mangiare, Max. Sai come se la prende tua madre se non finisci il tuo piatto."
"Ho ragione di fare così" si difese Diane, sedendosi accanto a Nate e dandogli una pacca affettuosa sul braccio. "Lo sai, se qualche volta non lo forzi a mangiare, Max non mangerebbe nulla."
Isabel si fermò, con la forchetta a mezza strada dalla bocca e fece a sua madre un sorriso malinconico.
"Lo sai com’è tuo fratello, Izzy." disse Diane.
Isabel annuì. "Lui è così, mamma." Poi abbassò gli occhi e si concentrò sul cibo, piuttosto che sul caotico silenzio intorno a lei.
Nate assistette al dialogo in silenzio. Entrambi gli Evans più anziani insistevano a comportarsi come se al loro figliolo non fosse accaduto nulla. E che loro potessero comportarsi in quel modo confondeva Nate. Ma era anche vero che lui non aveva vissuto con loro gli ultimi diciannove anni – poteva darsi che qualcosa di simile fosse già successa e che loro sapessero come gestire la situazione.
Era come se si aspettassero che si arrivasse ad una scadenza e poi Max sarebbe tornato quello di sempre. Nate non era affatto sicuro che fosse così.
Michael si appoggiò alla spalliera della sedia e si passò la mano sullo stomaco, emettendo un mormorio soddisfatto. "Eccellente, signora Evans."
Diane era raggiante. "Grazie, Michael."
"Che ne dite se sparecchiamo?" Nonostante le sue proteste, Michael cominciò a togliere i piatti e le tazze sporche, mettendole nella vaschetta con l’acqua saponata.
Dopo colazione, cominciò la lunga attesa dell’arrivo di Liz.
Nate trovò la speranza quasi dolorosa. Voleva credere che Liz sarebbe riuscita a tirare Max fuori dalla sua paura … ma se non avesse potuto? Cosa sarebbe successo? Lo stato mentale di Max poteva essere permanente?
Mentre il gruppo si divideva in attività differenti per occupare il tempo, Nate trovò Max seduto in soggiorno, lo sguardo fisso sul pavimento. Nate si sedette sull’ottomana di fronte a lui e si morse le labbra, per farsi coraggio.
"Max." gli disse semplicemente. "Guardami."
Max sollevò lo sguardo, gli scuri occhi vuoti.
Nate gli sorrise, cercando di non lasciar trasparire la sua ansia. "Ti ricordi di me, Max?"
Max batté gli occhi, ma non rispose.
"Sono tuo figlio." gli spiegò Nate dolcemente. "Sono Nate. Mi stanno succedendo delle cose strane, Max, e ho veramente bisogno del tuo aiuto." Con una sottile sensazione di panico, si rese conto che era vero. Un insopportabile senso di isolamento era sceso sopra di lui.
"Ho questa cosa sul mio petto – non so cosa significa. Non so se ora il Re sono io o se lo sei ancora tu e cosa sta succedendo."
Max tornò a guardare il pavimento.
Dentro di Nate morì la speranza. Non era riuscito a trattenere l’attenzione di Max nemmeno per due minuti, ma non si lasciò scoraggiare. Se non altro, aver parlato delle sue paure aveva alleviato un po’ dell’ ansia nel suo animo.
"E’ successo anche qualcos’altro." disse Nate. " Ho fatto qualcosa e non so spiegarmi come l’ho fatto. E nessuno sa darmi qualche spiegazione." Si morse il labbro. "Io ho il tuo dono, Max. E solo tu puoi insegnarmi ad usarlo. Max?"
Max sollevò ancora la sua testa.
"Devi tornare con noi, così potrai mostrarmi come usare i poteri che ho acquisito." lo pregò Nate, mentre i suoi occhi azzurri cercavano quelli del padre. "Per favore, non lasciarmi solo così."
Gli occhi senza vita di Max si legarono ai suoi per un momento e Nate, all’improvviso, vi vide più lucidità di quella vista in due giorni. Sobbalzò, tirandosi indietro, non sapendo se Max si sarebbe spaventato ancora una volta. Il cuore cominciò a battergli svelto quando vide il viso di Max animarsi, uno sguardo di tormentata emozione che gli alterava i lineamenti.
"Cosa c’è?" disse Nate, chiedendosi se fosse il caso di chiamare gli altri.
Max voltò la testa da un lato, come un cane che percepiva un fischio che solo lui poteva sentire e Nate ricordò all’improvviso che Max aveva un acuto senso dell’udito. Con un suono che era una via di mezzo tra un grido e un gemito Max si alzò in pied,i ma rimase immobile, paralizzato come se non si rendesse conto di dove fosse. Anche Nate si alzò dall’ottomana, mentre il panico si allargava nel suo stomaco.
"Max, cosa c’è?"
Lo sguardo di Max si posò sulla porta d’ingresso e dai suoi occhi cominciarono a sgorgare le lacrime. Nate seguì la linea del suo sguardo, senza vedere nulla.
Immediatamente, la porta si aprì e lui sentì la voce soffocata di Isabel, poi quella più limpida che apparteneva a Liz.
"Dov’è?" chiese Liz con tono ansioso.
Max si posò una mano sulla bocca mentre le lacrime gli scendevano lungo le guance. Assolutamente incredulo, Nate vide Max correre alla porta, prendere tra le braccia sua moglie e scoppiare in singhiozzi.

Capitolo 16

Nate stava ancora guardando incredulo Max e Liz, quando Maria comparve dietro di loro, portando in braccio la piccola Emily. Diede loro un'occhiata, poi si girò verso Michael, che si era precipitato nella stanza richiamato dalle grida di Max, con tutto il resto della truppa al seguito.
Maria fece una smorfia. "Tu non mi dai mai un benvenuto così."
Michael che sembrava teso, probabilmente nello sforzo di contrastare le lacrime, si strinse nelle spalle. "Ti accontenti se ti dico che mi sei mancata?"
Lei fece un'altra smorfia. "Sarebbe comunque un grosso passo avanti." I suoi occhi verdi si posarono su Nate e gli tese Emily. "Vieni, di' ciao alla tua sorellina." Poi entrò in soggiorno e si lasciò cadere sul divano, palesemente esausta.
Emily guardò Nate con i suoi occhi scuri, poi gorgogliò e gli tirò subito i capelli. Lui rise, trovando conforto nella sua innocenza. Ma subito dopo la sua attenzione fu attratta da Max e Liz, che stavano ancora abbracciati accanto alla porta.
Incrociando le braccia sul petto e ricacciando indietro le lacrime, Isabel venne verso di loro e si sedette sul divano accanto a Maria.
Dietro di lui, Nate ebbe l'impressione che tutti stessero facendo la stessa cosa. Rumori di passi, sospiri di sollievo. In casa Evans scese il silenzio, fatta eccezione per i sommessi singhiozzi di Max.
"Aiutami, Liz." implorava, con la testa poggiata sulla spalla di lei. "Ti prego, non lasciare che mi facciano ancora del male."
Nate deglutì. Le parole di Max che chiedeva protezione erano strazianti.
Max era un conduttore di uomini – umani o meno – forte, potente, un Re.
Sentirlo supplicare per la sua vita fece capire a Nate quando devastanti fossero stati gli eventi che lo avevano portato a quel punto.
Liz si sciolse dall'abbraccio e gli prese il viso tra le mani. "Nessuno ti farà del male, Max." gli disse, con voce ferma. Nate fu sorpreso dalla sua forza d'animo – non c'era traccia di lacrime nei suoi occhi.
"Loro mi troveranno." disse Max in un sussurro.
Liz gli fece un sorriso. "Non finché ci sarò io." Gli mise un braccio attorno alla vita e lo fece appoggiare alla sua spalla. "Andiamo da qualche altra parte, okay? Dove tu possa sentirti a tuo agio, così forse potrò aiutarti."
Lui annuì debolmente, poi Liz cominciò a portarlo nella sua stanza. Mentre passavano accanto a lui, Liz rivolse a Nate un mesto sorriso, per fargli capire che sarebbe andato tutto bene – ma c'era tanta incertezza in quel sorriso.
Nate rimase immobile in corridoio per molto tempo, mentre Emily continuava a fare piccoli suoni soddisfatti e a tirargli i capelli. Aveva trovato strano che tutti gli altri abitanti della casa si fossero allontanati, soddisfatti che lui avesse detto le sue prime parole da quando l'avevano salvato a Hot Springs. Trovava anche sconvolgente la paranoia di Max, specialmente il fatto che fosse convinto che 'loro' sarebbero stati in grado di trovarlo.
Alla fine, Nate si voltò ed entrò in soggiorno con gli altri. Michael e Maria erano sul divano, mentre Alyssa seduta sul bracciolo, lanciava loro occhiate disgustate.
Isabel stava guardando fuori dalla finestra, le braccia ancora incrociate sul petto ed un'espressione preoccupata sul viso. Jeremy era seduto su una poltroncina, scomposto come se non avesse una spina dorsale e Diane Evans camminava dietro al divano.
Nate li guardò e si rese conto di non riuscire a trovare nemmeno una parola per confortarli.
"Bene, abbiamo ospiti." disse alla fine Diane, con l'affanno nella voce. "Dobbiamo nutrire le truppe. Dovrò andare al supermercato."
Nate le sorrise debolmente – quando le cose si fanno dure, i duri fanno quello che a loro riesce meglio. Per Diane era cucinare.
"Vuoi che ti ci porti io, mamma." disse Isabel, allontanandosi dalla finestra.
"Oh, tesoro. Sarebbe bellissimo. Prendo la mia borsa." Diane si diresse felice in corridoio per prendere la nota della spesa.
"Jeremy, vuoi venire con noi?" chiese Isabel al figlio.
Lui scosse la testa e Nate pensò che Isabel ne fosse rimasta delusa. Non che sembrasse offesa dal fatto che lui non volesse passare un po' di tempo con lei – piuttosto che non si sentisse tranquilla a perderlo di vista, a causa di quello che aveva detto Max. Dopo tutto, Nate non aveva dubbi che se sua madre aveva ucciso per proteggerlo, Isabel avrebbe fatto altrettanto.
Dopo che Diane e Isabel furono uscite, Alyssa diede a sua madre uno sguardo senza entusiasmo.
"Felice di vederti, mamma." disse, con un tono amaro nella voce. Nate inarcò leggermente le sopracciglia per la sorpresa. Maria, appoggiata contro Michael, si voltò a guardare la figlia.
"Come è andato il viaggio?" aggiunse Alyssa. "Senza dubbio non vedevi l'ora di rivedermi."
Fu allora che Nate si rese conto che Maria non aveva salutato appropriatamente sua figlia. Sentì una fitta di dolore per quella dimenticanza e sperò che fosse dovuta solo alla situazione. Maria si alzò in piedi per abbracciare la figlia, ma Alyssa scattò via per andare in cucina.
"Non toccarmi." le gridò da sopra la spalla.
Maria rimase impietrita per un momento, pervasa da un senso di colpa, poi si girò verso Nate con un'espressione piena di scuse. "Io non volevo …"
Lui annuì la sua comprensione, mentre Maria si lasciava cadere sul divano, finendo quasi in braccio a Michael. Lui le mise un braccio attorno alla spalla e le diede una stretta rassicurante.
"Vuoi che le parli io?" si offrì.
Maria scosse la testa, con lo sguardo perso nel vuoto. "No. Dalle un po' di tempo. Me lo sono meritato."
Dopo un po' Michael e Maria sparirono, forse per andare a controllare Max e Liz, forse per andare a cercare Alyssa, e Nate rimase solo nella stanza con Emily e Jeremy.
Jeremy cominciò trafficare col telecomando della TV, con una gamba sopra il bracciolo della poltrona. Nate lo vide gironzolare tra i canali e si chiese come facesse ad essere così calmo in un momento come quello.
"Cosa succederà adesso?" gli chiese, bilanciando Emily su un ginocchio e facendola saltellare.
Jeremy lo guardò. "Ora aspettiamo che zia Liz venga fuori e ci dia le notizie in esclusiva." Arrivò ad un canale dove trasmettevano una gara di cheerleaders e si fermò lì, con un largo sorriso in faccia.
"E quanto tempo ci vorrà?" chiese Nate.
Jeremy si strinse nelle spalle. "Magari non succederà oggi. Guarda quella in seconda fila, la terza a sinistra. Bel bocconcino, vero?"
Le sopracciglia inarcate, Nate guardò lo schermo, trovò la ragazza indicata dal cugino e vide che, in effetti, aveva un bel seno. Poi si chiese come Jeremy riuscisse a tampinare così tante ragazze, riferendosi a loro come 'bocconcino' – possibile che quelle ragazze non lo trovassero offensivo?
Emily fece una risatina e distolse Nate dalle sue meditazioni. Lui le sorrise e le diede un bacio sulla guancia, che la fece ridacchiare ancora di più. Dentro di sé, Nate avvertiva una sensazione di tristezza, la morte della speranza che Max potesse essere ancora un padre per lei, cosa possibile visto che lui non si era nemmeno accorto della presenza della figlia quando era corso tra le braccia di Liz.
Mentre Jeremy guardava le cheerleaders, Nate guardava lui, rimuginando per la prima volta quello che era successo nel motel in Sud Dakota. Non c'erano dubbi nella sua mente, sul fatto che lui avesse visto l'Agente Darmon dopo che l'alieno era morto. Non c'erano dubbi nemmeno sul fatto che Jeremy non se ne fosse stupito.
"Perché i morti sono sempre così criptici?" - era tutto quello che aveva detto.
Non "Oh, mio Dio. Nate vede la gente morta!" Nate inclinò la testa e guardò il cugino.
"Jeremy." gli disse.
Jeremy si girò verso di lui, puntando il telecomando verso lo schermo della TV. "Ultima fila, bionda con la coda di cavallo – guarda che fiore."
Nate scosse la testa per allontanare la voglia di guardare.
"Non adesso. Ora vorrei chiederti qualcosa."
"Dai, spara!" rispose lui tornando a guardare lo schermo.
"Tu puoi parlare con i morti?"
Jeremy lo guardò con una leggera sorpresa, che svanì subito lasciando una anziana saggezza nei suoi occhi scuri. "Forse."
Forse. Forse voleva dire si. Per Nate si aprirono possibilità senza fine – aveva così tante domande da fare. E non ad una sola persona. Come quel bambino annegato nel Lago Chautauqua. Se avesse avuto la possibilità di parlare con quel bambino, forse poteva scusarsi e lui avrebbe potuto perdonarlo. E Annie – se avesse potuto parlare con Annie, forse avrebbe potuto capire appieno il suo coinvolgimento con l'FBI. Forse lui avrebbe potuto perdonare lei.
E sua madre.
Di tutte le persone che avevano interessato la sua vita, Tess Harding era probabilmente la più enigmatica, un'anima che lui non aveva mai toccato e che non avrebbe mai toccato la sua. Non sapeva niente di lei, del potere che l'aveva corrotta – un dono che forse anche lui possedeva. Se avesse potuto parlare con lei, forse avrebbe potuto capire, forse poteva prevenire che succedesse anche a lui la stessa cosa, se quel potere fosse comparso nel tempo.
Jeremy lo guardò in silenzio, le cheerleaders dimenticate per un momento. "Amico." gli disse cautamente. "So cosa stai pensando. Non è così che funziona."
Nate inclinò la testa da un lato. "Che vuoi dire?"
Jeremy si raddrizzò, appoggiandosi alla spalliera della poltroncina. "Non è come prendere un telefono e chiamare la persona con la quale vuoi parlare. I morti vogliono essere lasciati in pace. Tu non puoi evocare chi vuoi, quando vuoi."
Nate si accigliò. "E allora come fai a parlare con loro?"
Jeremy si strinse nelle spalle. "Di solito, sono loro che vengono da me. Se hanno qualche cosa da dire, fanno sentire la loro presenza."
Nate fissò il tappeto, mentre avvertiva che Emily cominciava ad appesantirsi tra le sue braccia – era mezzo addormentata. La sollevò e se l'appoggiò sulla spalla, accarezzandole distrattamente la schiena. I morti fanno sentire la loro presenza. Non era quello che aveva fatto l'Agente Darmon? Aveva qualcosa da dire e si era fatto vedere da Nate.
"Ho anche io questo potere, allora?" chiese a Jeremy.
Jeremy si strinse ancora una volta nelle spalle. "Forse."
"E' per questo che ho potuto vedere l'Agente Darmon?"
"Forse." sospirò Jeremy. "Ancora non sappiamo quali siano i tuoi poteri, Nate. Sei un tantino immaturo."
Nate si ritrasse. "Scusa?" Un sedicenne che lo definiva immaturo?
Jeremy ridacchiò, la sua voce che sembrava appartenere a qualcuno più giovane di sei anni di quelli che aveva in realtà. Le ragazze trovavano attraente anche quello? Nate poteva solo credere che Jeremy si trasformasse in Mister Amabilità, ogni qual volta avesse intorno una ragazza …
"No, amico. Non voglio dire questo. Mi riferivo ai tuoi poteri. Io ho i miei da quando avevo otto anni. Tu sei un po' più vecchio, credo". Cercò di non ridere, ma non riuscì a mantenersi serio. "Sei stato così lento in tutto?"
Nate si accigliò, poi sollevò in silenzio il dito medio.
Jeremy rise allegramente e tornò a guardare la TV.
Nate sospirò e continuò a coccolare la sua sorellina. Non riusciva a distogliere lo sguardo dal corridoio che portava in camera di Max. Anche se cercava di tendere l'orecchio, non sentiva alcun rumore provenire dalla stanza, né pianti né parole a bassa voce. Era frustrante sapere che Max stava tornando tra i vivi, che finalmente aveva parlato, ma che loro ancora non sapevano nulla di più di quando era arrivata Liz.
Tutto quello che potevano fare era aspettare. Aspettare che Liz emergesse dalla stanza e raccontasse loro quello che era accaduto a Max. Dal devastato, vulnerabile grido di aiuto di Max, Nate sapeva che non sarebbe stato nulla di buono.

Capitolo 17

"Sto bene, mamma. Sono solo stato occupato con la scuola."
Mentre era seduto sul divano degli Evans a parlare al telefono con sua madre, Nate si accigliò intensamente. Odiava mentire loro, odiava far loro credere che lui fosse a Boston, un felice adolescente che si stava godendo il suo primo anno di college.
"Sei sicuro di stare bene?" chiese Emma dall’altro capo della linea. "Mi sembri stanco."
Nate si strofinò gli occhi. Era stanco, sia fisicamente che mentalmente. "Ho avuto un po’ di influenza." mentì lui. "Ma non ti preoccupare – non è niente."
"Nathan, devi prenderti più cura di te stesso." lo rimproverò Emma. "So che non mangi correttamente. Vero?"
Lui ripensò ai suoi ultimi pasti – una quantità ci cibo da asporto, specialmente nel viaggio di ritorno da Rapid City. Infatti, fino a che Diane non aveva imbandito quella colazione per i suoi ospiti, aveva mangiato alquanto deplorabilmente. "No, mamma. E’ vero."
"Devi riacquistare le forze." continuò Emma. "Cerca di mangiare frutta e verdura, okay?"
"Si, mamma." Nate fissò il soffitto, dominato dalla colpa di farla preoccupare per la sua dieta quando c’erano ben altre cose che minacciavano la sua salute, in quei giorni. "Mi dispiace di non avervi chiamati. Sono stato molto … occupato."
"Non fa nulla, tesoro. Ti capiamo. Credo che non dovresti spendere tutti questi soldi di cellulare, così ora ti saluto.
"Okay. Vi voglio bene, mamma."
"Anche noi ti vogliamo bene, Nate."
Chiuse la comunicazione e rimase a guardare tristemente il cellulare. Per ragioni che avevano a che fare più con motivi economici che per coprire le sue tracce, aveva detto ai suoi genitori di non telefonare alla mansarda, ma di chiamarlo sul cellulare – il suo cellulare era locale per loro e non avrebbero dovuto pagare la tariffa interurbana. Ora che era assente dall’appartamento da una settimana buona, comprese di essere stato fortunato ad avere quella intuizione – se loro avessero chiamato all’appartamento per una settimana, senza avere sue notizie, si sarebbero spaventai a morte e forse avrebbero coinvolto le autorità ed altre persone che Nate avrebbe preferito evitare.
"Odi fare questo, vero?"
Nate guardò Isabel, che era seduta di fronte a lui, sulla poltrona. Erano passate ore da quando Liz aveva portato via Max, e l’unico movimento era stata l’uscita di Liz che era venuta a prendere Emily per allattarla.
"Fare cosa?" chiese Nate.
"Mentirle." constatò semplicemente Isabel.
Un’altra ondata di senso di colpa, e Nate annuì.
"Anche io lo odiavo." confermò lei. "Supplicavo Max perché mi lasciasse dire la verità a papà e a mamma. Però non me lo ha mai permesso."
"E come hanno fatto a scoprirlo?"
Lei agitò la sua mani in aria. "E’ una lunga storia." Sembrava pronta a lasciar cadere l’argomento, poi ci ripensò. "Mi dispiace." continuò, invece, con lo sguardo pieno di rammarico. "Non è giusto nei tuoi confronti."
Nate fu preso dalla curiosità.
"Hai diritto di conoscere il tuo passato. E’ stato a causa tua." spiegò Isabel, ma senza toni negativi nella voce. "Quando tu sei tornato a casa. I militari i sono presentati a casa perché Tess era tornata sulla Terra con te. Mamma e papà già sospettavano che noi fossimo in qualche modo differenti e a noi non è rimasta altra scelta che dir loro la verità."
Altro senso di colpa e Nate abbassò lo sguardo.
"Hey." disse Isabel, avvicinandosi a lui e toccandogli il ginocchio perché la guardasse. "E’ stata una bella cosa, niente per cui sentirsi in colpa."
Lui le rivolse un tenue sorriso. Perché aveva sempre la sensazione che la vita degli altri fosse cambiata a causa sua?
La porta in fondo al corridoio si aprì e sia Nate che Isabel si voltarono in quella direzione, i pensieri di Tess Harding e del suo atterraggio di fortuna messi da parte. In quel momento, sulla porta del soggiorno, apparve Liz, un po’ pallida. Isabel si alzò immediatamente in piedi.
"Liz?"
"Chiama tutti gli altri, Isabel." disse Liz stancamente. "Dobbiamo parlare."
Nate sentì la familiare stretta allo stomaco, che arrivava puntuale quando all’orizzonte c’erano brutte notizie. Isabel non disse una parola, ma si avviò sulla scala e corse di sopra. Nate si alzò e andò sul retro, dove trovò Michael, Maria e Alyssa che sembravano in piena riunione familiare. Non ci fu bisogno di parlare – la sua espressione diceva tutto. I tre si alzarono ed entrarono in casa con lui.
Nel tempo impiegato da Nate a ritornare, Isabel aveva radunato Jeremy e i suoi genitori e ora stavano guardando ansiosamente Liz, che stando sulla soglia della porta, sembrava ancora più piccola.
"Si è addormentato." cominciò a dire Liz, indicando la porta in fondo al corridoio.
"Sta bene?" chiese ansiosa Isabel.
Liz annuì. "Guarirà. Ne ha passate un sacco." Liz guardò il pavimento per calmarsi, poi guardò Michael e Isabel. "Prima di tutto, grazie per averlo trovato, per averlo riportato indietro."
"Non ringraziare noi." disse Michael senza mezzi termini. "Ringrazia Nate. Lui ha saputo dove trovarlo, lui ha saputo come guarirlo." Nate spalancò gli occhi per la sorpresa. Un riconoscimento? Da Michael Guerin?
Gli occhi scuri di Liz si posarono sul figliastro, poi il suo labbro inferiore cominciò a tremare e lei scoppiò a piangere. Si coprì il viso, mentre la testa, le spalle e il tutto il suo corpo cominciarono a scuotersi spasmodicamente. Nate scattò in piedi immediatamente e si avvicinò a Liz per confortarla, facendola appoggiare sul suo petto. Aveva avuto l’impressione che lei volesse piangere fin da quando era entrata dalla porta e aveva visto Max, ma che fosse riuscita a trattenersi fino a quel momento.
Maria si alzò in silenzio e si unì a loro, accarezzando la schiena di Liz e rassicurandola che sarebbe tutto andato a posto. Gli altri voltarono gli sguardi, per non assistere al crudo tormento di Liz.
Nate incrociò lo sguardo di sua zia e vide che anche lei stava piangendo silenziosamente.
"Sto bene." disse Liz alla fine, allontanandosi da Nate. "Va tutto bene."
"Liz." disse dolcemente Maria per confortarla. "Perché non ti siedi, hm? Hai avuto una giornata difficile."
Nate sapeva perché aveva detto quelle parole – Liz stava tremando come l’ultima foglia d’autunno ostinatamente attaccata all’albero. Jeremy si alzò in fretta dalla sedia e prese il braccio di Liz.
"Vieni, zia Liz. Siediti qui." le disse. "Prenditi la mia sedia."
Liz si mise a sedere, respirando profondamente per calmarsi. Diane le porse una scatola di fazzoletti di carta e le strinse la mano per confortarla.
Deglutendo per sciogliere il groppo che aveva in gola, Nate riprese il suo il posto accanto ad Alyssa, che gli prese immediatamente le mani tra le sue. Quando lui alzò gli occhi per guardarla, vide tracce bagnate sulle sue guance.
"Vuoi un bicchiere d’acqua?" chiese gentilmente Philip a sua nuora.
Liz annuì, con lo sguardo abbassato sul grembo, le mani strette attorno ad un fazzoletto. Felice di avere qualcosa da fare, Philip si alzò in piedi e scomparve in cucina. Liz fece un altro respiro profondo, si asciugò il naso con il fazzoletto, poi guardò Nate con gli occhi stanchi e arrossati.
"Grazie, Nate." disse con voce sfinita. "Per aver salvato Max."
Ma lui non aveva fatto tutto da solo. Infatti, contrariamente a quello che aveva detto Michael, lui non aveva saputo come guarire Max – era solo successo. Poi era svenuto come un emofobico il giorno della raccolta del sangue per la Croce Rossa. Senza gli altri, lui e Max sarebbero stati ancora lì, tra quelle ossa finché non fossero divenuti fossili anche loro.
"Ho avuto aiuto." disse lui umilmente.
Liz gli rivolse un debole sorriso, poi Philip le porse il bicchiere con l’acqua. Lei ne bevve un sorso e posò il bicchiere sul tavolo che aveva accanto. "Quelle che devo darvi non sono buone notizie." cominciò a dire lentamente, come se non dicendo ancora ad alta voce le parole, la cosa fosse meno vera.
Con la coda dell’occhio, Nate vide Michael prendere la mano di Maria. Pur sapendo che Michael fosse un idiota al massimo grado, lo colpì il fatto che in quel momento stesse cercando di offrirle un piccolo gesto di rassicurazione.
"Prenditi tutto il tempo che ti serve." Isabel incoraggiò Liz. "Dicci quello che sai. Dicci quello che è successo a Max."
Liz guardò il fazzoletto che teneva in mano, nell’ovvio tentativo di combattere altre lacrime. "Max non era destinato a sopravvivere. Lo hanno percosso, torturato. La sua mente è stata violentata."
Nate notò che Isabel era leggermente indietreggiata, davanti a quella particolare scelta di parole. Con gli occhi spalancati, lui cercò qualche reazione negli altri, ma non ne trovò.
Liz si portò la mano sul petto. "Ho sentito tutto quello che lui ha provato." disse con voce rotta. "Tutto il suo dolore … " La voce le venne meno ed il respiro accelerò, mentre riviveva gli orrori che Max aveva sopportato.
Maria lasciò la mano di Michael e si sedette sulla sedia accanto a quella di Liz, prendendola tra le braccia. "Va tutto bene." le disse semplicemente. "Ti starò accanto fino a che non avrai finito di dire quello che devi dire."
Liz aspirò forte con naso ed annuì, gli occhi ancora fissi sul fazzoletto. "Gli hanno strappato via i ricordi, i pensieri, la volontà." Si morse un labbro, mentre chiudeva gli occhi davanti al dolore che Max aveva provato. Poi guardò Isabel. "Mi dispiace, Iz. Sono tornati."
Sembrò che qualcuno avesse dato un calcio a Isabel proprio sotto al plesso solare – l’aria uscì sibilando dai suoi polmoni, il bel viso divenne cereo per l’incredulità. Nate guardò da Liz a Isabel e poi ancora a Liz, aspettando qualche spiegazione.
"Khivar." disse Michael, con voce a malapena percettibile.
Liz annuì.
"E Nicholas. "aggiunse Maria, con voce piatta.
Liz fece un altro cenno con la testa.
"Ma se ne erano andati!" ansimò freneticamente Isabel. "Sono spariti per vent’anni! Perché ora sarebbero tornati? Che cosa li avrebbe attirati qui, ora?"
Nauseata da quel pensiero, lo sguardo di Liz si posò su Nate, che indietreggiò involontariamente. Lui non sapeva chi fosse quel Khivar o chi fosse Nicholas, ma non aveva mai visto sua zia così sconvolta.
"Sono tornati da un anno." specificò Liz, che alla fine aveva smesso di piangere. "Sono tornati fin da quando il sigillo si è manifestato su Nate."
La pallina di terrore nello stomaco di Nate, divenne grande come una palla da softball, facendolo quasi piegare in due mentre si agitava dentro di lui.
All’improvviso si sentì come Rudolph la renna: il suo naso rosso attirava gli uomini cattivi e metteva in pericolo tutti gli altri.
Michael mostrò tutto il suo stupore. "Nate? E perché dovrebbero essere interessati a lui?"
Liz sospirò. "Si sono resi conto di aver fatto uno sbaglio. Ora sanno che Nate, indipendentemente dalla sua costituzione biologica, è il vero erede al trono di Antar. Hanno sbagliato a rimandarlo qui."
Nate trovò da solo la conclusione – avrebbero dovuto ucciderlo finché era sul loro pianeta. E ancora, il fatto che Tess fosse fuggita per salvare le loro vite, glielo aveva impedito.
"Non riusciranno a trovarlo." disse Isabel, mettendo insieme i pezzi. "Lui è umano, mentre loro cercheranno un alieno. Max lo ha fatto adottare in modo che loro non avessero idea di dove fosse." Rimase a bocca aperta a quella riflessione. "Probabilmente pensano che sia morto nello schianto, quando Tess è tornata sulla Terra."
Liz la contraddisse inflessibile. "Ma quando il sigillo è apparso, loro lo hanno sentito. Ora sanno che è vivo."
Nate avvertì le dita di Alyssa stringersi intorno alle sue, come se sentisse cosa stava per succedere.
"Mi dispiace, Nate." disse Liz, con la voce scossa e le lacrime che ricominciarono a scendere dai suoi occhi. "Loro stanno cercando te."

Capitolo 18

"Cosa dobbiamo fare?" chiese scossa Alyssa, con le dita che tremavano attorno a quelle di Nate. "Non possiamo lasciare che lo trovino. Dobbiamo nasconderlo."
Dall’altro lato della stanza, Michael scosse la testa. "Non funzionerà, Zucchina."
La testa di lei scattò nella sua direzione. "Perché no? Non possiamo certo lasciarlo qui con attaccato un grosso cartello con su scritto: ‘Sono qui – Venitemi a prendere!’. E’ un bersaglio facile, papà!"
Michael le appoggiò una mano consolatrice sul braccio, che lei rimosse velocemente.
"Saresti contento se Nate se ne andasse, vero?" lo accusò con gli occhi che ardevano di rabbia.
Lui scosse pazientemente la testa, lasciando che lei si sfogasse. "No, Alyssa. Non voglio che Nate se ne vada. Ma nasconderlo non porterebbe a nulla di buono. Lo troverebbero comunque." Michael guardò Isabel. "Dobbiamo combattere."
Isabel deglutì visibilmente. "Combattere." gli fece eco. "Khivar e Nicholas. E’ passato troppo tempo, Michael. Avranno rinforzato i loro poteri, si sono preparati per vent’anni. Non abbiamo modo di combatterli."
"Ma anche noi abbiamo rinforzato i nostri poteri." controbatté lui. "E per lo stesso periodo di tempo."
"E cosa mi dici delle loro risorse?" domandò Isabel. Nate riusciva a leggere la paura dietro il suo sguardo – lui non sapeva chi fossero Khivar e Nicholas, ma evidentemente sua zia ne era terrorizzata.
"Anche noi ne abbiamo molte." le rispose calmo Michael.
Isabel scoppiò in una risata isterica. "Chi, Michael? Io, tu e chi altro? Se non l’avessi notato, loro hanno completamente distrutto la mente di Max."
Liz si fece piccola e Maria la strinse forte contro di sé nel tentativo di scacciare il suo dolore.
"Max tornerà da noi." disse Michael convinto. "E ora abbiamo anche Liz, giusto?"
Liz sollevò lo sguardo ed annuì in silenzio.
"E me." disse calma Alyssa, mentre la stretta delle sue dita rischiava di stritolare quelle di Nate.
"Ci sono anche io." protestò Jeremy.
Isabel si voltò verso il suo primogenito, con un’espressione di manifesta devastazione sul suo bel viso. Nate avvertì il dolore della zia permeargli tutte le ossa – non c’era modo per lei di sopravvivere, se avesse perso suo figlio in battaglia; era il ritratto di un genitore che diceva addio al figlio che saliva a bordo di una nave che l’avrebbe condotto in guerra.
"Posso combattere, mamma." disse Jeremy, spostando inconsapevolmente lo sguardo. "Non ho paura."
Lei incontrò il suo sguardo per un attimo, poi si guardò in grembo, forse per nascondere le lacrime."
"Io posso imparare." disse umilmente Nate. Dopo tutto era il suo sedere che loro stavano cercando di salvare. "Se solo qualcuno può insegnarmi come … "
Il viso di Alyssa mostrò ancora più dolore di quello manifestato da Isabel. Quando Nate guardò Liz, anche sul suo viso vide un’espressione ferita.
"Inoltre," continuò Michael, cambiando argomento, "non possiamo sapere se hanno veramente risorse alle loro spalle." Rivolse lo sguardo verso Liz. "Max ha detto per caso che stanno arrivando enormi eserciti contro di noi?"
Liz scosse la testa. "No." Lei sospirò. "A dire il vero, lui non mi ha detto molto. Ho scoperto la storia connettendomi con lui." Ancora una volta si posò la mano sul cuore e il suo sguardo vagò lontano, come se stesse richiamando alla mente cose troppo atroci per essere espresse con le parole.
"Vedi?" disse Michael, sollevando una mano. "Forse dobbiamo preoccuparci solo di Khivar e Nick. Nessun problema."
A dispetto della situazione, Maria scoppiò a ridere. "Nick?"
Michael si strinse nelle spalle. "Lo fa sembrare meno maturo … e mi sembra più adatto a lui, non credi?"
"Okay, ecco quello che credo si debba fare." li interruppe Philip, entrando in modalità paterna. "Primo, dobbiamo valutare il pericolo. Nate, il sigillo è ancora lì?"
Nate fu preso alla sprovvista – non l’aveva controllato di recente. Aprì il collo della sua camicia e vide che il suo petto era senza segni. Con la coda dell’occhio, vide diversi sguardi posarsi sulla sua pelle, cosa che lo fece sentire un po’ a disagio. Si rimise a posto il colletto e scosse la testa.
"Partendo dal presupposto che possano avvertire il sigillo solo quando è attivo, allora possiamo desumere che non siano in grado di localizzare Nate in questo momento." argomentò Philip. "Giusto?"
Isabel fece una smorfia. "Papà, guarda dove siamo!" Tese entrambe le mani col palmo all’insù. "Siamo nella casa in cui Max è cresciuto. Credi che non pensino di dare un’occhiata qui?"
Nella stanza scese il silenzio, poi Maria scrollò le spalle. "Io non lo farei." Quando tutti gli occhi si posarono su di lei, Maria si tirò un po’ indietro. "Voglio dire, io non penserei che qualcuno possa essere così stupido da rifugiarsi in un posto così ovvio."
Nate si scoprì d’accordo con lei – dopo tutto, per quello che ne sapevano i cattivi, Max era morto. Perché suo figlio avrebbe dovuto trovarsi in casa dei nonni? Soprattutto considerando il fatto che lui non era cresciuto lì. Forse nascondersi in piena vista poteva essere la migliore strategia che avessero.
"Voglio tornare da Max." annunciò Liz, sciogliendosi dall’abbraccio di Maria e alzandosi dalla sedia."Voglio essere lì quando si sveglierà. Non voglio che sia solo."
"Tesoro, non hai mangiato nulla a pranzo." disse protettiva Diane.
Liz le fece un sorriso."Grazie, mamma, ma non credo che riuscirei a mangiare. Fatemi sapere se dovremo trasferirci da qualche altra parte."
Ci fu un cenno di assenso collettivo mentre Liz camminava stanca nel corridoio, diretta nella stanza di Max. Un silenzio inquieto scese sulla stanza, perché nessuno sapeva cosa dire.
"Dobbiamo parlare con Max." disse alla fine Michael. "Dobbiamo sapere quello che sa lui – dalla sua stessa bocca e non da Liz. Sapete come le cose possano essere soggettive in una connessione. Dobbiamo sapere cosa ha detto loro e cosa lui ha potuto scoprire su di loro."
Isabel annuì. "Sono d’accordo. Ma come facciamo a sapere quando sarà in grado di parlare?"
Michael sospirò. "Diamogli tempo fino a domani mattina. Se non sarà in grado di parlare per allora, dovremo fare del nostro meglio senza di lui."

***

Nate era seduto al buio, nel giardino sul retro della casa degli Evans. Sopra di lui le stelle luminose e la luna piena gettavano sulla zona una luce azzurrognola. Era un giardino grazioso, con cespugli di rose e una piccola fontana gorgogliante, probabilmente il passatempo di Diane da quando non aveva più bambini piccoli da coccolare.
Pensare a Diane gli fece ricordare Emma ed un senso di colpa passò dentro di lui. La tempesta stava per abbattersi su di loro e Nate doveva considerare che anche gli Spencer avrebbero potuto esserne travolti. Loro non avevano fatto nulla per meritarsi quello che poteva piovere su di loro. Non avevano fatto nulla per meritarsi un bambino che non era di questo mondo. E a quanto pare non si meritavano nemmeno di sapere la verità.
Come poteva dir loro la verità? Mamma, papà, i miei genitori erano alieni. Nella sua mente si chiese come aveva fatto Liz Evans a tenere il segreto con i Parker per vent’anni – Liz era perennemente preoccupata che loro avessero potuto trovarsi sulla linea di fuoco a causa di quelli che lei frequentava? In questo momento, era preoccupata? O a Khivar e a Nicholas importava solo di catturare Nate?
Nate si guardò la punta delle scarpe e diede un calcio ad un sasso che stava sul mattonato del patio. Tutto quello stava accadendo a causa sua. Se lui fosse morto su Antar, o se l’astronave fosse andata in pezzi quando era precipitata nel deserto, o se fosse caduto lui nel ghiaccio, invece di quel bambino, nulla di tutto quello sarebbe accaduto. La discendenza di Max si sarebbe interrotta e sarebbe stata la fine della storia. Il dominio di Antar sarebbe passato a qualcun altro e tutti sarebbero stati salvi.
Alyssa sarebbe stata salva.
Tenendosi la testa, Nate si massaggiò le tempie. Se l’Agente O’Donnell fosse riuscito ad ucciderlo, tutto quello sarebbe stato evitato …
"Posso unirmi a te?"
La testa di Nate si sollevò per scoprire Michael Guerin appoggiato alla porta scorrevole, con un’espressione sospettosa. Nate annuì, guardò incuriosito l’uomo chiudersi la porta alle spalle e attraversare il patio, puntare lo sguardo al cielo e sospirare. Stette in silenzio così a lungo che Nate quasi urlò perché dicesse qualcosa.
Alla fine Michael si voltò e si infilò le mani in tasca. "Non pensarci nemmeno."
Nate sollevò velocemente un sopracciglio. "Pensare a cosa?"
Michael increspò le labbra e si sedette su un tavolino di ferro battuto all’altro lato del patio. "A consegnarti a loro."
"Io non … Io non stavo pensando a questo." mentì Nate.
"Certo che no!" sbuffò Michael. "Ascolta, Nate, questa gente fa’ sul serio. Mentre l’FBI ha scherzato con te, loro andranno dritti al sodo e ti uccideranno. Loro non hanno bisogno di giocare con te. Loro ti vogliono morto. Punto."
Nate deglutì – mai nella sua vita aveva immaginato di sentire quelle parole: ‘Loro ti vogliono morto. Punto.’
"Non ci sarebbe un salvataggio all’ultimo minuto." continuò Michael. "Perché il minuto in cui ti consegnerai a loro sarebbe il tuo ultimo minuto. Sono stato chiaro?"
Nate annuì in silenzio.
"Contrariamente alla credenza popolare, io non ti voglio necessariamente morto, Nate."
Nate lo guardò senza rispondergli.
"La tua morte spezzerebbe il cuore della mia bambina." precisò Michael. "E io non vorrei mai vederla col cuore spezzato. Allora, ci siamo capiti, vero?"
Nate annuì.
"Okay, allora." Michael guardò in basso, accavallando i piedi. "Tu dovrai aiutarci, questa volta."
"Io voglio essere d’aiuto!" precisò Nate.
Michael lo guardò negli occhi. "Ma non sai come fare."
Nate scosse la testa. "Hai ragione. Non lo so." Si accigliò profondamente – eccesso di bagaglio ancora una volta. Forse avrebbe dovuto rimanere indietro con le donne e i bambini … no, nemmeno – perfino loro avevano dei poteri e sapevano come usarli.
"Allora ti insegnerò io."
Gli occhi azzurri di Nate si spalancarono. "Cosa?"
Michael si strinse con noncuranza nelle spalle. "Ti insegnerò io. Non ti posso aiutare con i riti magici di guarigione, ma sono dannatamente bravo a far esplodere le cose. Posso farti vedere come."
Nate batté gli occhi. Michael Guerin si stava offrendo di aiutarlo? Magari le cose che Michael voleva far esplodere includevano anche Nate …
"Non abbiamo molto tempo, non credo." continuò Michael. "Si sta preparando una brutta tempesta. Ma dammi un giorno, un pomeriggio, e anche tu riuscirai a farlo, ne sono certo."
Molto dopo che Michael fu rientrato in casa, Nate rimase fissare il vuoto, incredulo.

Continua...

Scritta da Karen (MidwestMax)
Traduzione italiana con il permesso dell'autrice
dall'originale in inglese, a cura di Sirio


Torna all'indice delle Fanfiction

Torna a Roswell.it