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ALEXANDRA


Riassunto: Alexandra è una ragazza di Los Angeles piena di problemi...

Data di stesura: dal 20 al 23 aprile 2003.

Valutazione: adatto a tutti.

Diritti: Tutti i diritti dei personaggi appartengono alla WB e alla UPN, e il racconto è di proprietà del sito Roswell.it.

E-mail: ellis@roswellit.zzn.com


Nella stanza, grande e arredata confortevolmente, regnava il caos più completo. Le ante dell’armadio erano spalancate ed una massa confusa di abiti giaceva sparpagliata sul pavimento e sul letto. Libri e quaderni erano stati impilati alla rinfusa sulla scrivania.
La donna emise un urlo strozzato. - Accidenti a te! Che cosa...? -
- Che ci fai qui dentro? -
Al tono accusatorio di quella giovane voce avanzò di qualche passo indicando sdegnata il disordine intorno a lei. - Ti sembra questo il modo di tenere la tua stanza?!? -
- Sono affari miei -
- E no, non sono affari tuoi! Finché vivi in questa casa devi fare quello che dico io, non quello che ti passa per la testa! - Si chinò a raccogliere da terra una camicetta di seta bianca, che ricordava perfettamente di aver ritirato dalla tintoria solo due giorni prima. - Guarda qua! Guarda com’è ridotta! - protestò. Si volse di scatto per fronteggiare la figlia. - Io non lavoro tutto il santo giorno per poi vedere i soldi sprecati in questo modo! Lo sai quanto costa far pulire una camicetta?! -
- No, né mi interessa saperlo! -
Inviperita dalla risposta impertinente la donna appallottolò il morbido tessuto e lo lanciò ai suoi piedi. Certo che non t’interessa saperlo! Tu usi questa casa come un albergo! E si può sapere che bisogno avevi di tirare tutto giù? -
Sbuffando la figlia recuperò una microscopica borsetta di pelle nera abbandonata sulla scrivania e se la mise a tracolla. - Speravo di trovare un po’ di dollari dimenticati in qualche tasca, ma non ho avuto fortuna. -
- Dove credi di andare, adesso? E conciata a quel modo, per di più! -
La ragazza sembrò non averla udita mentre si dirigeva verso la porta, poi all’ultimo momento si voltò e le sorrise freddamente. - La droga costa, sai? - disse, dopodiché se ne andò camminando sicura sui tacchi altissimi che, abbinati alla minigonna vertiginosa, mettevano in risalto la linea elegante delle sue lunghe gambe di adolescente.
Rimasta sola la donna afferrò con rabbia la sedia della scrivania e la lanciò contro la parete. - Maledetta idiota! - gridò, prima di scoppiare a piangere. - Idiota, idiota, idiota! - Ma non sapeva più a chi si stesse rivolgendo, se alla figlia o a se stessa. Era da tempo che sospettava qualcosa, però non aveva mai trovato il coraggio di affrontarla, temendo di ricevere una conferma. E adesso non aveva idea di cosa fare. Continuando a singhiozzare andò in cucina e si versò un goccio di wiskey, che bevve tutto d’un fiato. A poco a poco si calmò e si spostò in salotto, dove rimase a guardare la televisione in attesa del suo ritorno.
Era quasi l’alba quando sentì finalmente il rumore della chiave che girava nella toppa. Più volte si era addormentata per poi risvegliarsi di colpo e controllare con ansia l’ora. Osservò trepidante il corpo poco vestito della figlia ma non vide tracce di ferite, e per un brevissimo momento si sentì sollevata. Subito dopo si alzò in piedi, fissandola come se fosse un’estranea. - Quando... - La voce le si spezzò, e poté soltanto fare un piccolo cenno interrogativo col capo.
- Quando ho cominciato? - continuò per lei la ragazza. Fece una piccola smorfia, una luce risentita negli occhi innaturalmente lucidi. - Il giorno del mio tredicesimo compleanno. Tu te n’eri dimenticata e avevi accettato l’invito di Bernard per andare a teatro a vedere Cats, e papà mi ha chiamato alle nove per farmi gli auguri. Ricordo ancora i rumori di sottofondo che si sentivano dal telefono. Era a cena fuori, e solo in quel momento se ne era ricordato... Mezz’ora dopo ero in strada, che camminavo senza sapere dove stessi andando, finché ho incontrato un uomo. Era uno spacciatore, e mi ha regalato la mia prima dose - Sorrise con scherno. - L’unico regalo che abbia ricevuto quel giorno... - Alzò una spalla in un gesto noncurante. Poi la tua storia con Bernard è finita, papà ha cambiato amante, ma io ho continuato a drogarmi. Come vedi, sono l’unica persona costante della famiglia... - Le sfuggì uno sbadiglio. - Me ne vado a letto, sono stanca morta! - e così dicendo si ritirò nella sua stanza.
- No, aspetta! - Ma la figlia non le diede retta e lei crollò disperata sul divano. Bernard... ricordava benissimo quella sera... Erano andati allo spettacolo e poi a ballare in un locale che aveva aperto da poche settimane, per finire in bellezza a casa di lui. E mai una volta le era venuto in mente che quel giorno, tredici anni prima, era nata la sua unica bambina... Santo cielo, Jonathan, il suo ex marito, non era stato un granché come compagno, e neppure come padre, ma per la prima volta comprese che lei stessa non aveva saputo fare molto meglio... Entrambi sommersi dal lavoro, e fermamente decisi a vivere a fondo i rari momenti di libertà, non si erano mai presi davvero cura di quella figlia nata, ora lo capiva, per un egoistico desiderio di avere un trofeo da esibire. Nessuno dei due aveva compreso appieno le responsabilità che comportava mettere al mondo un essere umano, e così avevano lasciato massima libertà ad una ragazzina che, sensibile alla loro indifferenza, nonché dei vari partner susseguitisi nella sua vita, non aveva esitato a tuffarsi nel perverso vortice della droga non appena se ne era presentata la possibilità. Eppure era così intelligente... Come aveva fatto a cadere in quella trappola mortale? Con un sospiro di sconforto guardò il telefono sul tavolino accanto al divano e, dopo un’estenuante lotta interna, alzò il ricevitore e compose il numero dell’ex marito, che viveva a Chicago.
L’indomani, quando vide la figlia uscire dalla camera da letto indossando un top microscopico e dei pantaloni neri di seta dalla vita così bassa da non permettere di sicuro l’uso degli slip, incrociò le braccia davanti al petto e la fissò con severità. - E adesso dove credi di andare? -
- Al cinema. Ci vediamo più tardi -
- Ti sarei grata se ti cambiassi, prima di uscire! Così conciata qualcuno potrebbe pensare che... -
- Cosa, mamma? - la interruppe lei - Vado semplicemente al cinema, stasera! - E se ne andò sbattendosi la porta di casa dietro le spalle.
La donna le corse dietro e, nella quiete della strada di quello che era uno dei tanti quartieri residenziali di Los Angeles, gridò: - Guarda che domani viene tuo padre! Cerca di farti trovare a casa! -
La risposta fu un gesto di saluto con la mano, poi la ragazza salì sul sellino posteriore della potente moto di uno degli amici che era venuta a prenderla.
- Almeno mettiti il casco!... - gridò ancora la madre, ma la sua voce venne coperta dal rombo del motore.
Scuotendo il capo rientrò allora in casa e, dopo una breve esitazione, chiamò l’amica con cui avrebbe dovuto andare a cena e disdisse l’appuntamento poi, sapendo che la aspettava un’altra notte insonne davanti alla televisione, si preparò un bricco di caffè e andò a fare una doccia, sperando che l’acqua calda l’aiutasse a rilassarsi.
Erano le due del mattino quando la giovane fece infine ritorno, e la donna si limitò a dirle che l’indomani, subito dopo pranzo, sarebbero andate all’aeroporto a prendere Jonathan.
- Oh, dunque papà si degna di rifarsi vivo! Davvero incredibile! Ma già, hai dovuto chiamarlo tu... Sai che ti dico? Domani ci vai da sola, a prenderlo! -
La decisione della ragazza fu irremovibile, così il giorno dopo rifiutò di uscire e si buttò sul divano stringendo in mano il telecomando ma poi, quando la madre se ne fu andata, andò a chiudersi nella sua stanza e si mise a fare i compiti. Due ore più tardi, messi via i libri, s’infilò una mano in tasca e ne estrasse una bustina trasparente piena di polvere bianca. La guardò con intensità, quasi con bramosia, dopodiché andò a frugare tra le decine di scatole che si affastellavano sui ripiani della libreria.

- Come sta? -
- Ce la farà. E’ giovane e resistente, e ha voglia di lottare. Ma sarà sicuramente molto dura. La disintossicazione non è una cosa da poco... -
- Come ha preso la notizia della morte dei genitori? -
- Si è limitata a girare la testa dall’altra parte. Una simile reazione è comprensibile, in casi come questi, agente. Probabilmente, quando realizzerà appieno cosa è successo, avrà una crisi tuttavia le infermiere del reparto sono molto in gamba e sapranno prendersi cura di lei. -
- Abbiamo cominciato le ricerche. Non appena ci saranno novità glielo farò sapere... -
- Perfetto. Grazie, agente, a presto -
Il giovane medico osservò il poliziotto allontanarsi poi tornò in chirurgia e controllò le condizioni di Alexandra Cooper, ricoverata per overdose a soli quindici anni. E non solo aveva assunto una quantità eccessiva di droga, ma la polvere era anche stata tagliata male causandole gravissimi danni interni che lo avevano costretto a procedere con un intervento d’urgenza per salvarle la vita.
La ragazza si era addormentata di nuovo. Il volto, circondato da una miriade di treccioline legate con filo multicolore, era pallido e smunto. Le palpebre abbassate celavano due occhi di un verde incredibilmente intenso che solo per un attimo avevano lasciato trapelare un profondo dolore, prima di tornare vuoti e privi di luce.
Nei giorni che seguirono l’assistente sociale che aveva avuto l’incarico di occuparsi di lei ne consigliò l’immediato trasferimento in una clinica specializzata prima di affidarla all’unica parente di cui si era riusciti a trovare traccia.
Il medico concordò con lei. L’operazione era andata bene ma le frequenti crisi di astinenza di cui era preda rendevano tutto più complicato, e di sicuro il pronto ricovero per la disintossicazione era la cosa migliore da farsi.
Come previsto fu un processo lungo, doloroso, e quando ebbe termine Alexandra si sentì per la prima volta davvero bene. Per tutta la sua giovane vita aveva creduto di essere l’unica responsabile della situazione in cui si trovava. Il fatto che i suoi genitori non le avessero mai voluto davvero bene, che suo padre se ne fosse andato con un’altra donna mentre sua madre passava da una storia all’altra, che l’unico modo che aveva di racimolare un po’ di soldi fosse vendere il proprio corpo... Invece l’essere riuscita ad uscire da quel tunnel solo con la sua forza di volontà, dato che i medici avevano deciso di non ricorrere all’aiuto di farmaci sostitutivi, le aveva permesso di capire che, a dispetto di quanto aveva sempre pensato, lei valeva qualcosa. Erano trascorsi sei mesi dal giorno in cui si era risvegliata in un letto d’ospedale e qualcuno le aveva comunicato la morte dei genitori in un incidente d’auto che li aveva coinvolti poco dopo aver lasciato l’aeroporto, e si sentiva pronta ad iniziare una nuova vita. Mentre saliva sul taxi che l’avrebbe condotta alla stazione dei pullman ripensò alle parole dell’assistente sociale. “- Vive in una fattoria appena fuori della città e sono sicura che ti ci troverai bene. Verrà a prenderti alla fermata dell’autobus -” L’aspettavano in bel po’ di ore di viaggio ma non le dispiaceva l’idea di tutto quel tempo solamente per sé. Chissà com’era Roswell, New Mexico...

Scritta da Elisa


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