Il Camaleonte Fan Fiction

Sogno - parte 1

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Miss Parker stava inseguendo Jarod in una strada, e questa volta non le sarebbe scappato, se lo sentiva.
- È finita, Jarod. Questa volta tornerai al Centro con me!
Non si era accorta però di un altro uomo, uno spazzino, che da una finestra di quella strada la stava tenendo sotto tiro, con un fucile di precisione.
Jarod si accorse del pericolo, ma non poté far niente per evitare che Miss Parker fosse colpita. L’ultima cosa che la donna ricordava era Jarod che la stringeva tra le braccia e le diceva – Sta calma, andrà tutto bene, vedrai.
Poi, più nulla. 

Miss Parker si risvegliò in ospedale, circondata da rose gialle e bianche, le sue preferite. Si guardò attorno, e si stupì di non trovarsi nel SL-14. Accanto al letto c’era un altro vaso di rose, con un biglietto: “Ti aspettiamo presto, Cathy e Maggie ”. Vicino al biglietto, una foto. Lei, chiaramente incinta, che teneva per mano un’altra bambina molto simile a lei! Miss Parker aggrottò la fronte, e guardò attentamente la foto. Levò un sospiro di sollievo: la donna poteva essere la sua gemella, ma di sicuro si era trattato di uno scambio di persona. Ad un tratto la porta si aprì, ed entrò un medico.
- Buongiorno, signora Green. Finalmente si è svegliata.
- Green? Si sbaglia, il mio nome è Parker. Sa, penso ci sia stato un errore…
- No, nessun errore. Il suo nome per intero è Melissa Parker Green, ed era in possesso dei suoi documenti quando l’abbiamo trovata. Ha avuto un brutto incidente d’auto, sa? È stata molto fortunata.
- Incidente d’auto? No, si sbaglia, io sono stata ferita alla testa la sera scorsa, lo ricordo bene.
- Deve averlo sognato. Lei è qui sotto stretto controllo medico da giorni. Ed era in coma. Non ricorda? Un camion l’ha fatta sbandare, ed è andata a sbattere violentemente contro un albero.
Miss Parker non capiva più niente. - Deve esserci un errore. Glielo ripeto, io non sono sposata, e non ho tantomeno avuto un incidente. L’ultima cosa che mi ricordo è il colpo che ho ricevuto qui alla testa – e fece per indicargli il punto preciso, quando si rese conto improvvisamente di non avere né dolore alla testa né tantomeno bende.
Il dottore vide la sua aria smarrita, e si affrettò a rassicurarla.
- Ha subito un forte shock, in questi casi è normale un’amnesia. Non si agiti, vedrà che la memoria tornerà.
- Lei mi ha chiamato signora Green. C’è anche un signor Green?
- Sì, certo. Suo marito non l’ha lasciata mai sola. Vuole che lo faccia entrare?
Miss Parker rispose di sì, voleva vedere l’uomo che secondo il dottore lei aveva sposato, e quando lo vide entrare a momenti fece un altro colpo: davanti a lei c’era Jarod!
- Oh, tesoro, non sai quanto sono felice che ti sia ripresa!
- Che diavolo fai qui, Jarod? Io e te non possiamo essere sposati! È impossibile!
Il dottore gli spiegò la situazione, e Jarod gli chiese di lasciare lui e la moglie da soli. Quando uscì, Jarod le espose in che circostanze si erano riavvicinati.
- Mi stavi inseguendo, e ad un certo punto sei stata ferita alla testa. Quando ti sei ripresa, durante una delle nostre telefonate mi hai fatto sapere che non ne potevi più, e mi hai chiesto aiuto per scomparire. È così che abbiamo cominciato, poi una cosa ha tirato l’altra, e siamo finiti sposati e con due figlie.
- Figlie? Levami una curiosità. Quando me ne sarei andata dal Centro?
- Quasi cinque anni fa, Parker. Ma non ricordi niente?
Miss Parker cominciava a spazientirsi – Chi mi assicura che non sia tutta una tua messinscena, e che io non abbia per niente un’amnesia? Non mi sono mai dimenticata niente, e ora di punto in bianco ho scordato tre anni della mia vita. Sai, suona un po’ assurdo…
- C’è gente che dopo incidenti del genere scorda tutta la vita. Tre anni non sono neanche tanti, tutto considerato.
- No, io non ti credo, Jarod. Voglio tornare al Centro, sono sicura che lì mio padre sarà sincero con me.
Jarod a momenti le rise in faccia – Tuo padre? Sincero con te? Vorrei che mi dicessi quando mai lo è stato, Melissa.
- Il mio nome è Miss Parker. Melissa è morta da tanto tempo…
- Dalla morte di tua madre, vero? Era così che ti aveva chiamato, il tuo nome di battesimo. Uno splendido nome, se vuoi il mio parere.
- Non mi puoi impedire di andarmene, chiaro? Tu non significhi niente per me, anzi, riportarti al Centro sarà uno splendido regalo per mio padre. – gli sussurrò Miss Parker a denti stretti.
Jarod però non sembrava per nulla intimorito dalla minaccia della donna, anzi le rivolse uno dei suoi sorrisi e le disse – Sono riuscito a cambiarti una volta, posso farlo una seconda. Riguardo all’andartene…non è facile come pensi, tesoro. Ci sono due bambine che hanno quasi rischiato di perdere la loro mamma, e io farò in modo che non abbiano a soffrire ancora. Ti propongo un patto, Parker, quindi ascoltami. Dacci un mese, solo trenta giorni di tempo per farti ricordare la nostra vita insieme, e se al termine di questo periodo sarai ancora determinata a tornare a Blue Cove, ti lascerò partire, ma non ti aspettare di catturarmi, perché avrò un paio di ragioni in più per evitare i tuoi attacchi, stavolta.
Miss Parker emise un profondo sospiro, e anche se avrebbe voluto incenerire con lo sguardo l’uomo che le sorrideva dinanzi si vide costretta a scendere a patti con lui.

Quando si fu ristabilita del tutto, finalmente il suo medico le diede il permesso di tornare a casa. Miss Parker si alzò dal letto quel giorno, e si diresse verso l’armadio. Fu molto sollevata di trovarci uno dei suoi costosissimi tailleur e un paio delle sue scarpe con il tacco a spillo. Quando si guardò allo specchio per pettinarsi, si accorse di avere qualche grosso livido intorno all’occhio destro e sulla mascella. Mentre li mascherava con il trucco, cercò di ricordare quando se li era procurati, ma non ricordava assolutamente niente. Le uniche cose nella sua mente erano lo sparo e le parole sussurrate da Jarod quella notte.
L’infermiera bussò, ed entrò con la sedia a rotelle, necessaria per le procedure di dimissione. Dopo molte proteste, riuscì a farla sedere e a portarla fuori della sua stanza fino all’uscita, dove l’aspettava Jarod.

Non si rivolsero la parola per tutto il tragitto fino alla loro casa, che si rivelò essere una villetta color senape con un bel giardino e un piccolo roseto vicino alla veranda. La casa che aveva sempre sognato. Appena scesi dalla macchina, la bambina della foto venne loro incontro correndo.
- Mamma, papà, finalmente siete tornati!
Jarod si chinò ad abbracciare la bambina, che avrà avuto quattro, al massimo cinque anni. – Ciao Catherine, tu e tua sorella avete fatto le brave con zia Emily?
La bambina annuì seria, e poi cercò di abbracciare la madre, ma qualcosa le fece intuire che non sarebbe stata una buona idea. – Mamma? C’è qualcosa che non va?
- Perché mi chiami così? Io non sono tua madre.
Non avrebbe potuto usare parole meno appropriate. Gli occhi di Cathy si riempirono di lacrime, e corse in casa. Jarod, dopo aver lanciato un’occhiata fulminante alla donna, andò dietro alla figlia.
– Cathy, aspetta! Posso spiegarti…
Miss Parker entrò in casa anche lei. Era un po’ vecchia, ma piena di luce e fascino, lo doveva ammettere. In un angolo, vide Jarod consolare Cathy, mentre le spiegava perché lei le aveva detto quelle cose.
- Mamma ha perso la memoria, piccola, non ricorda niente degli ultimi cinque anni.
- Si ricorda di te, però. Perché?
- Io e la mamma ci conosciamo da quando eravamo piccoli, Cathy. Mi prometti di darmi una mano a farle ricordare tutto?
Il volto della piccola si illuminò – Sì, papà, Maggie ed io ce la metteremo tutta.
- Chi è Maggie? – chiese Miss Parker.
- Maggie è sua sorella minore, ha un anno e mezzo. Cathy, perché non vai in camera tua fino all’ora di cena, così io e mamma parliamo?
Quando la piccola fu in camera sua, Jarod le disse senza mezzi termini che era stata un’inutile cattiveria dire alla bambina che non era sua madre. – Cosa volevi dimostrare? Lo sa il cielo se Catherine non ha bisogno di un po’ di stabilità.
- E perché?
Jarod le rivolse un sorriso amaro – Prova tu a spiegare ad una bambina spaventata a morte che la sua mamma è in fin di vita in ospedale. E prova anche a farle capire come mai la stessa persona che il giorno prima la adorava ora non la riconosce nemmeno.

Quella sera a cena il silenzio la fece da padrone, e dopo aver messo a letto le piccole, Jarod scese con una coperta ed un cuscino. Miss Parker nel frattempo aveva cominciato a guardare un album di fotografie che aveva trovato su un ripiano. Sembrava incredibile: non solo era lei in quelle foto, oramai ne aveva la certezza, ma sembrava anche felice.
Miss Parker guardò l’uomo, e gli oggetti che aveva in mano.
- Voglio essere ospitale, ti cedo la camera da letto. Spero che ricorderai in fretta, quel divano è tutto fuorché comodo – le disse Jarod ironicamente.
La donna gli scoccò un’occhiataccia, e Jarod represse una risata – Comunque… buona notte, Melissa.
Miss Parker stava salendo le scale, e senza voltarsi augurò anche lei all’uomo la buona notte.
Se Jarod non dormì a causa del divano, Miss Parker non ci riuscì a causa di tutto quello che le era successo: un momento era alla caccia di Jarod, e in quello dopo si ritrovava sposata a lui, con due figlie, e un buco nella memoria di quasi tre anni! Era ormai una settimana che non dormiva, il suo umore era pessimo, e non c’era niente che riuscisse a calmarla. Continuava a rigirarsi nel letto, e alla fine decise di cercarsi un libro da leggere. Aprì il cassetto, alla ricerca di un romanzo o qualcosa del genere, e trovò un libro rosso.
Lo aprì, e cominciò a leggere. Era il suo diario.

- “21 Aprile… Finalmente mi hanno fatto uscire da quel carcere di massima sicurezza del SL-14. Tutti erano strani più del solito oggi, perfino Raines. Lui poi, con le sue maniere melliflue mi ha dato veramente il voltastomaco. L’unico che mi è sembrato veramente interessato alle mie condizioni è stato Sydney e, più tardi, anche Jarod mi ha telefonato a casa. Non so come sia successo, ma sono scoppiata a piangere. Gli ho gridato contro tutta la mia frustrazione, sentivo che era a causa sua se mio padre mi aveva richiamato al Centro, e io avevo avuto un’ulcera che mi aveva portato in fin di vita. Lui non ha mai replicato durante il mio sfogo. Quando mi sono calmata, Jarod mi rispose di aprire la porta e poi riattaccò. Andai ad aprire. Davanti all’ingresso c’era lui. Tutti i miei propositi omicidi nei suoi riguardi fuggirono lontano da me quella notte, e per la prima volta dalla morte di mia madre mi sentii amata…

7 Giugno… Sto contando i giorni. Jarod mi ha promesso il suo aiuto per andarmene dal Centro. Ho pianificato tutto nei dettagli, non ci prenderanno mai. Non gliel’ho ancora detto, ma tra poco saremo in tre…

30 Gennaio… Oggi è nata nostra figlia, Catherine. Darle il nome di mia madre penso sia la maniera migliore di ricordarla, e anche Jarod è d’accordo. È arrivata esattamente cinque mesi dopo il nostro matrimonio. Siamo ancora in fuga, ma siamo insieme, e questo è quello che conta.

21 Aprile… È passato un anno da quando siamo fuggiti, e non ho rimpianti. Abbiamo ancora qualche contatto con Sydney, e gli abbiamo chiesto di far analizzare il campione del sangue di Cathy che gli abbiamo mandato, anche se sono purtroppo certa del risultato.

Il diario proseguiva con il resoconto dettagliato della sua vita. Ad un certo punto Jarod era partito, perché aveva trovato una traccia sulla sua famiglia, ed era riuscito ad arrivare alla casa di Margaret ed Emily proprio un momento prima che loro la lasciassero. Ora vivevano anche loro nelle vicinanze di New York. Secondo quel che era scritto nel diario, lei non aveva digerito che lui l’avesse lasciata sola, ma lui aveva insistito, perché aveva visto che non stava bene. Quasi a testimoniare che il marito aveva un sesto senso, Miss Parker aveva capito che presto la famiglia si sarebbe allargata. Era arrivata un’altra bambina, con la stessa anomalia dei genitori e della sorella, e l’avevano chiamata Margaret, come la nonna paterna. La sveglia interruppe le sue riflessioni. Senza accorgersene aveva letto per tutta la notte.
Infilò la vestaglia e uscì dalla stanza. In fondo al corridoio c’era una porta semiaperta, e lei entrò. Era la stanza di Catherine, e la bambina stava ancora dormendo. Miss Parker cercò di uscire in silenzio, ma Cathy l’aveva sentita entrare e si era svegliata.
- Ciao.
- Buon giorno piccola. Hai dormito bene?
- Sì. E tu?
- Anch’io. Dov’è tua sorella?

La piccola si alzò, e condusse la donna in una porta vicino alla sua camera da letto – Qui dorme Maggie. Vuoi vederla?
Miss Parker ci pensò un momento e poi rispose che, sì, voleva vederla. Catherine le disse di fare silenzio, e poi aprì la porta piano. Anche Margaret era sveglia, e il suo viso le fece venire in mente la foto che aveva sulla sua scrivania al Centro insieme a sua madre.
- Buon giorno – disse Jarod arrivandole alle spalle. L’uomo salutò Cathy, e poi prese Maggie in braccio. – Noi andiamo a fare colazione, vieni con noi?

Scesero insieme le scale. Questa volta riuscirono a scambiare qualche parola, ma poi Jarod uscì con Cathy per portarla a scuola e andare a lavorare. Parker si era seduta nella veranda, e stava leggendo un libro che aveva trovato sul dondolo, là fuori, quando Jarod la raggiunse con Maggie in braccio e la informò che stava uscendo.
- Mia madre e mia sorella sono occupate oggi, pertanto Margaret dovrà stare con te. Tu non devi ancora tornare al lavoro, quindi sei libera e hai la casa tutta per te…
- Scusa, aspetta un momento. IO dovrei occuparmi della bambina? Ma non l’ho mai fatto!
- È una cosa che non si dimentica. Vedrai, una volta che l’avrai in braccio ti verrà naturale. Allora, quello che ti serve per i pasti di Maggie lo trovi in dispensa, nel primo ripiano a destra. Il resto delle sue cose le trovi nella sua stanza. Io torno per pranzo – Jarod si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia – Ciao – e se ne andò lasciandola sconvolta e con una bambina di un anno in braccio.
Superato lo shock iniziale, Miss Parker guardò la piccola e le disse – E ora che faccio con te?
Con la bambina in braccio, la donna fece il giro della casa e salendo in mansarda arrivò davanti ad una porta con una ghirlanda di fiori secchi. Aprì la porta, e a momenti non credette ai suoi occhi: quella stanza, che era il suo studio, per molti versi era la copia di quello che un tempo era stato di sua madre. Entrò, e si avvicinò alla finestra per guardare il panorama. In casa cominciava a fare caldo, così decise di uscire con la bambina per fare una passeggiata. Nonostante la vicinanza con la grande metropoli, quella piccola cittadina era tranquilla, la gente si chiamava ancora per nome e, soprattutto, nessuno conosceva il loro passato. Dalle persone che aveva incontrato e da alcune domande mirate che aveva fatto, aveva concluso che nessuno lì sapeva del Centro, o di suo padre, o dei loro legami con quella gente. Per loro, gli abitanti della villetta giallo senape in Maple Drive erano semplicemente Jarod e Melissa. Guardò l’orologio, ormai tra non molto Jarod avrebbe riportato Cathy a casa, ed era meglio farsi trovare. Si sarebbero aspettati che lei preparasse qualcosa? Non lo sapeva. Si accorse che c’erano un mucchio di cose che non sapeva, e questo la spaventava.

Tornata a casa cominciò a preparare qualcosa da mangiare, ma non era propriamente “allenata” a farlo. Dopo un’ora di battaglia con il libro di cucina, il fornello e gli altri attrezzi, poté lasciarsi cadere su una sedia, stanca, ma soddisfatta. Dal seggiolone, Maggie continuava a guardarla, e quando lei si sedette fece una risatina. Parker le lanciò un’occhiata – Cosa fai? Ridi di me?
Sentì la serratura scattare, e un minuto dopo che Cathy fu andata su per le scale a portare lo zaino in camera sua, Jarod entrò in cucina.
- Quel che hai preparato promette di essere invitante, Melissa.
- Non ci provare. Mi hai lasciato da sola con una bambina piccola, ed è passata solo una settimana da quando sono tornata a casa con la mia amnesia.
- Mi dispiace, non avrei dovuto farlo, ma avevo pensato che magari, stando da sola con lei qualcosa ti sarebbe potuto tornare in mente…
- E invece non è successo niente. Hai una vaga idea di quanto è frustrante vedere le mie cose, il mio studio in soffitta, e non riuscire a rammentare quali ricordi vi siano legati? È difficile, Jarod, maledettamente difficile.
- Mi dispiace – ripeté Jarod avvicinandosi e mettendole una mano sulla spalla – Non avevo capito quanto fosse difficile per te. Le alzò il viso e la costrinse a guardarlo negli occhi – Non sei da sola in questa situazione, ricordatelo. Puoi contare su di noi.
L’arrivo di Cathy, che reclamava a gran voce il pranzo, interruppe l’atmosfera che si era creata in cucina, e Jarod e Melissa cominciarono a preparare la tavola.

Al termine del pasto, Jarod dovette tornare alla società dove svolgeva il ruolo di consulente informatico, e Melissa decise di passare un po’ di tempo nello studio che aveva appena scoperto e che le era subito piaciuto. Quella stanza era come un’oasi di pace, e grazie al lucernario e alle finestre c’era tantissima luce. Avvicinandosi al divanetto, si accorse che Cathy era seduta sul pavimento e stava disegnando. Si accorse subito della sua presenza e la salutò.
- Come mai sei qui?- le chiese Miss Parker.
- Io, te e Maggie prima dell’incidente passavamo qui tutti i pomeriggi. Tu ci raccontavi tante storie, ci pettinavi, e ogni tanto leggevi qualcosa. Questa era la tua stanza preferita.
- Non faccio fatica a crederlo, piccola. C’è una tale pace qui…
- Mi fai le trecce? – chiese improvvisamente la bambina. Vedendo l’espressione sorpresa della donna si affrettò ad aggiungere che il padre non era assolutamente bravo in quello, e lo disse con una tale faccia che Melissa scoppiò a ridere. – D’accordo, Cathy, mi hai convinto.
Mentre Miss Parker le intrecciava i capelli, Cathy le parlava di cosa parlavano quando erano sole e di quello che avevano fatto insieme.
- Una volta mi hai portato in un posto nel Delaware che si chiama Blue Cove. È lì che è seppellita nonna Catherine.
- Ti ricordi per caso se ti ho detto perché ti ho portato lì?
- Hai detto di volermi far conoscere qualcuno che era stato molto importante per te. Siamo andate al cimitero, ma poi vicino alla tomba hai visto due uomini e siamo andate via di corsa. Chi erano?
“Mio padre e Lyle, evidentemente”- Forse persone che mi avevano fatto del male quando vivevo lì. Cathy, cosa sai sulla storia della nostra famiglia?
Cathy s’imbronciò – Ogni volta che ve lo chiedo voi due vi guardate con una strana espressione e mi dite che quando sarò più grande mi spiegherete tutto. Ho provato a chiederlo a nonna Margaret e a zia Emily, ma diventano tristi non appena pronuncio “Il Centro”. È lì dove vi siete conosciuti tu e papà?
Miss Parker sospirò – Sì, piccola, è così. Quando sarai un po’ più grande ti spiegherò tutto, ma non ora.
- Tu rimarrai fino a quel momento?  - le chiese la bambina speranzosa, guardandola negli occhi.
Miss Parker non sapeva cosa rispondere, e vedendo la sua espressione Cathy stava per tornare di sotto, con l’aria molto triste, ma la donna riuscì a fermarla con la sua risposta.
- Sì.
La bambina si girò sorridendo e corse tra le braccia di sua madre, che le sorrise a sua volta. Ora a Miss Parker non importava più cosa fosse successo, o perché si trovasse lì. Solo Cathy, Margaret e Jarod importavano.
Il resto del mese fu il periodo più felice che Miss Parker ricordava. Si era sempre considerata negata per i ruoli di moglie e madre, ma dovette ammettere con se stessa che non era vero, e che magari era stato l’ambiente in cui era vissuta a farglielo pensare.
Ora riusciva a vedere anche Jarod sotto una luce diversa. Doveva ammetterlo, non era certo da buttar via!
Certe volte si scopriva a fissarlo intensamente, quando credeva che lui non se ne accorgesse, e la cosa a Jarod non dispiaceva per niente. Era un nuovo inizio, si era detto, ed era estremamente certo del lieto fine.
La sera del trentesimo giorno, dopo aver messo a letto le bambine, Jarod e Melissa la trascorsero sul dondolo della veranda, abbracciati.
- Qualcosa mi dice che di qua non te ne andrai tanto presto…- la stuzzicò Jarod.
- Sono troppo stanca per risponderti come meriteresti, mio caro. Secondo te loro sanno di noi? – aggiunse improvvisamente.
- Loro? Intendi tuo padre e il Centro? Penso che dopo tre anni di ricerche abbiano perso le speranze di rivederti. Con me, è un altro discorso, ma se non sei riuscita a prendermi tu non ce la faranno di certo quegli imbecilli degli spazzini di Raines. Perché questa domanda?
- Puoi darmi della pazza, ma credo che mio padre dovrebbe sapere che sono viva e che è diventato nonno. Non devo necessariamente dirgli dove vivo, o con chi vivo, anzi, posso fargli una visita e poi scomparire nel nulla, come ho già fatto.
- Temo per le bambine, Melissa. Tu sei una simulatrice potenziale, ed io un simulatore. Le bambine possiedono la nostra stessa anomalia nel DNA, e se il Centro le trovasse…
- Mio padre non permetterà che succeda questo alle sue uniche nipoti.
- Raines di sicuro non si lascerà sfuggire questa possibilità.
- Ti faccio una domanda Jarod: ti manca tuo padre?
- Certo che mi manca, non lo vedo da molto. Ma si può sapere perché insisti tanto?
- Se Cathy sparisse come ho fatto io, o tuo padre, venderei l’anima pur di sapere se sta bene, o cosa ha fatto da quando mi ha lasciato. - E con queste parole riuscì a farlo sentire in colpa.
- Sei riuscita a convincermi. Se lo vuoi davvero, parti per Blue Cove.

La mattina seguente Melissa spiegò a Cathy perché quel pomeriggio partiva per il Delaware, e la rassicurò sul fatto che sarebbe tornata massimo fra due giorni. Le si era quasi spezzato il cuore quando l’aveva lasciata a casa con Emily e sua madre. Durante il tragitto fino all’aeroporto, Miss Parker cercava di predisporre la sua mente al prossimo incontro con la sua famiglia, ma la corazza che le aveva permesso di sopravvivere al Centro in passato ora non era più tanto resistente.
Jarod notò il suo nervosismo, e le strinse la mano – Fatti coraggio. Andrà bene, vedrai. Forse tuo padre si è finalmente deciso a lasciarti andare, ora ha Lyle cui affidare “l’azienda di famiglia”.
- Forse hai ragione, ma ho paura di quello che potrebbe succedere una volta arrivata là. Mio padre certi affronti se li lega al dito, dovresti saperlo meglio di chiunque altro.
Arrivati a Newark, Jarod accompagnò la moglie fino al gate, e rimase con lei fino all’ultimo.
- Ora è meglio che tu vada. Fa buon viaggio – le disse abbracciandola.
Melissa guardò negli occhi il marito, e per la seconda volta da quando ricordava lo baciò.
- Ti amo, Jarod – e con quelle tre parole lo salutò prima di imbarcarsi sul volo, che fu anche troppo rapido, secondo lei.

Noleggiata una macchina, guidò fino alla volta del Centro. L’edificio le fece venire i brividi, come se volesse incuterle paura e indurla alla fuga. Ma Melissa non era stata abituata a rinunciare senza aver fatto prima un tentativo, e dopo aver fatto un respiro profondo, si apprestò a varcare la soglia di quell’ anticamera infernale.
- Miss Parker! Miss Parker! È veramente lei? – gridò una voce familiare. Era Sam, il suo ex spazzino.
- Salve Sam, è da molto che non ci vediamo.
- Lo sapevamo che prima o poi sarebbe tornata, Miss Parker.
- Mio padre è qui? Devo parlargli con urgenza.
- È nel suo ufficio, come al solito.
Mentre percorreva di nuovo quei bui corridoi, le tornarono in mente tutta l’infelicità e la rabbia che aveva dentro di sé quando lavorava lì, e per un momento si sentì di nuovo la vecchia Miss Parker, la Regina dei Ghiacci, come una volta si era sentita chiamare da alcuni spazzini. Si era subito sparsa la voce del suo ritorno, e molti dipendenti erano accorsi per controllare se era veramente lei.
- Cosa avete da guardare? Tornate al vostro lavoro!! – tuonò, e il corridoio divenne deserto nel giro di un secondo.
Arrivata davanti alla porta dell’ufficio del padre, fece un respiro profondo, e poi aprì le porte a vetri.
Il padre e il fratello sgranarono gli occhi quando la videro entrare, proprio non se l’aspettavano.
- Angelo, ma sei proprio tu?
- Come stai papà?
- Sorellina, avevamo perso le speranze di rivederti – le disse Lyle abbracciandola. Miss Parker dovette fare uno sforzo sovrumano per non colpirlo con un pugno.
- Sapevo che saresti tornata qui, alla fine – continuò il padre. Non fece neanche il minimo gesto di alzarsi per abbracciarla, e questo le fece male. La sua unica figlia era tornata dopo cinque anni di assenza, e tutto quel che riusciva a dire era “Sapevo saresti tornata”? Sorrise. Suo padre era rimasto l’insensibile che ricordava.

Senza neanche darle il tempo di dire niente, in quattro e quattr’otto le organizzò una festa di bentornata nel più costoso ristorante di Blue Cove. Le diede soltanto il tempo di tornare alla sua vecchia casa, chiusa dal giorno della partenza, per cambiarsi d’abito e prepararsi spiritualmente a quell’altra prova.
Arrivò al ristorante, e fu felice di trovarci Sydney, come lei arrivato molto in anticipo. 
- Parker, sono molto contento di rivederti. Come stanno Jarod e le bambine?
- E tu cosa sai al riguardo?
L’uomo allora tirò fuori il portafogli, e le mostrò che oltre alla foto di suo figlio Nicholas, c’era anche una loro foto tutti insieme. – Mi avete sempre tenuto informato, ricordi? Broots e io abbiamo fatto i salti mortali per non farci scoprire.
- Di questo vi sarò per sempre grata.
L’arrivo di Brigitte, Lyle, suo padre e Raines interruppe la loro conversazione, e insieme entrarono nel ristorante. Al termine della cena, il signor Parker si levò in piedi e propose un brindisi in onore della figlia.
-A te, angelo. Finalmente sei tornata a casa da me, e dai tuoi veri amici. Sapevamo che la vita che ti eri costruita con Jarod non avrebbe avuto futuro…
Quelle parole per Miss Parker furono come una doccia gelida. Loro sapevano tutto. Ecco perché lei e Jarod avevano vissuto tranquilli tutti quegli anni: non perché erano scappati, ma perché erano sorvegliati.
La donna non riuscì a dire una parola, e l’uomo continuò. – Avevamo perso le tue tracce, ma quando stavamo per mollare un trafiletto sul giornale con la vostra foto ci ha fatto riprendere le ricerche. Quando siamo risaliti al tuo indirizzo, immagina la nostra sorpresa quando abbiamo visto con chi vivevi, e che ero diventato nonno di due bellissime bambine. Ora che sei tornata le porterai qui, certo, e Jarod di sicuro non vorrà separarsi dalla sua famiglia e tornerà qui con noi. In questo modo tutti avremo quello che vogliamo.
Melissa guardò il padre sconvolta: ma come aveva potuto essere così stupida da tornare in quel posto? Guardò Syd, e nel suo sguardo vi lesse un profondo e sincero dispiacere.
La donna si alzò da tavola improvvisamente. Alle domande dei suoi ospiti rispose loro che lei non aveva la minima intenzione di tornare tra loro, e che lo avrebbero capito se le avessero dato il tempo di parlare. – E ora, se volete scusarmi devo prendere un volo, se voglio essere a casa per colazione.
- Dove credi di andare? Non puoi sfuggire al Centro, lo dovresti sapere. – sibilò Raines.
- Sa cosa le dico? Provi solo ad avvicinarsi alle mie figlie o a mio marito, e le garantisco che rimpiangerà di non essere morto nell’esplosione del SL-27!
- È una minaccia?
Miss Parker sorrise – Lei che dice, razza di cadavere ambulante? Con permesso…- E se ne andò, questa volta per sempre. Sulla strada per l’aeroporto vide un motel, e una volta giunta lì si cambiò d’abito e poté lasciarsi andare alle lacrime. Stava ancora singhiozzando quando chiamò Jarod per raccontargli l’accaduto, e per dirgli che sarebbe tornata a casa la mattina dopo. All’uscita del gate all’aeroporto di Newark ci trovò Jarod. La sola vista dell’uomo bastò a farla scoppiare in lacrime di nuovo, e a quel punto Jarod la strinse forte tra le braccia mentre lei gli nascondeva il viso nel petto. – Ci hanno sempre tenuto d’occhio, non saremo mai al sicuro…
Jarod le sollevò il mento e le disse – Torniamo a casa, Melissa. Non permetterò più che ti facciano del male.

Arrivarono alle prime luci dell’alba, e Jarod trovò Emily in salotto. Viste le loro facce, Emily preferì mettere a tacere la sua curiosità. Chiese se volevano del caffè, e loro risposero che sarebbero andati a riposare un po’ prima di venire a berlo. Crollarono entrambi non appena toccarono il cuscino, e quando Emily andò di sopra con il caffè fumante li trovò profondamente addormentati l’una nelle braccia dell’altro.
Qualche giorno dopo Jarod ricevette una telefonata la lavoro da Melissa, che sembrava sconvolta: aveva ricevuto una lettera da Blue Cove, con cui il padre le annunciava una sua prossima visita.

Decisero di partire subito, ma quando il campanello suonò Melissa ebbe la certezza che il suo mondo felice ormai era stato distrutto. Alla porta trovò suo padre, Lyle, Brigitte e Raines, insieme a due suoi spazzini.
Era surreale quanto stava avvenendo in quel salotto: quelle persone si detestavano, al Centro si pensava che se mai fosse accaduto non avrebbero retto neanche cinque minuti nella stessa stanza, e invece stavano prendendo il tè come se nulla fosse. O quasi.
Dopo un quarto d’ora di melliflue insinuazioni e di velatissime minacce, la serratura scattò, e in casa entrarono Emily e le bambine. L’espressione della donna era allibita: che diavolo ci facevano quelle persone a casa di suo fratello?
Le bambine corsero subito dalla madre, e poi chiesero chi erano le persone sedute con loro. Prima che potessero dar loro una scusa plausibile, il signor Parker disse loro che erano i parenti della loro mamma. Quando cercò di avvicinare Catherine, la bambina pensò bene di non dare confidenza all’uomo, nonostante quel che diceva, e così fece anche la sorellina. La situazione non poteva andare avanti così, e Jarod chiese alla sorella di portare le bambine di sopra.
- Cosa volete ancora da noi? – domandò Melissa senza mezzi termini.
- Prima te ne vai, poi torni, e te ne vai di nuovo… Il Centro non è un porto di mare. Il tuo comportamento è contraddittorio, Miss Parker… - sibilò Raines.
- Il mio nome è Green, signor Raines. E per quanto riguarda il mio comportamento…vuole sapere cos’è contraddittorio, secondo me? Il fatto che ora voi siate piombati qui e pretendiate che non sia successo niente, anzi, che io e la mia famiglia tornassimo a Blue Cove con voi. Non lo faremo mai, chiaro?
Si alzò in piedi, e il marito fece altrettanto – Nel caso mia moglie non fosse stata abbastanza chiara, vi stiamo invitando a lasciare la nostra casa. Per sempre. – e con questo Jarod pose fine alle conversazioni.
I loro sgraditi ospiti lasciarono la casa, e quando Melissa li vide allontanarsi si accorse di avere gli occhi umidi. Per proteggere la sua famiglia, aveva detto addio al padre e al fratello. Che cosa le avrebbe detto la madre, se ci fosse stata anche lei? Miss Parker ne era convinta: avrebbe approvato la sua scelta. La priorità di Catherine Parker erano i bambini; Jarod e le bambine ora erano la sua.
Passò un po’ di tempo, e Jarod e Melissa accantonarono l’idea di trasferirsi di nuovo. Anche se era felice di aver affrontato il padre e di esserne uscita vittoriosa, sentiva come l’incombere di un oscuro presagio, che non tardò ad avverarsi.
Un giorno, lei e la cognata erano andate a New York per lavoro e avevano lasciato Cathy e Maggie dalla nonna. Sulla via del ritorno, Emily chiamò a casa per avvisare la madre, ma il telefono era muto. Tentò a casa del fratello, e neanche lì qualcuno rispose. Era troppo tardi perché avesse portato le nipoti a fare un giro, e le due donne cominciavano a spaventarsi. Tornate a casa senza prendere una multa per eccesso di velocità, si precipitarono in casa. Era stato messo tutto a soqquadro, e Margaret era a terra, svenuta.

Quando si riprese, disse alla due ragazze che degli uomini si erano introdotti in casa, l’avevano colpita alla testa e avevano preso le bambine. Le uniche parole che aveva afferrato prima di perdere i sensi erano state “Raines”, “Simulatrici”, e “SL-27”. Abbastanza perché a Melissa ed Emily venisse la pelle d’oca.
Miss Parker prese l’auto e corse a Newark. Durante il tragitto avvertì il marito, che la avvisò che si sarebbero trovati là. Come aveva potuto anche solo pensare che Raines non avrebbe reagito alla possibilità di rapire altre due simulatrici? Si sentiva terribilmente in colpa, ma non avrebbe permesso che quell’uomo facesse del male alle sue figlie.

Trovato Jarod all’aeroporto, l’uomo le riferì di aver sentito Brigitte e Lyle parlare dei due piloti del Jet del Centro, che non si erano ancora presentati. Ecco l’occasione perfetta per accedere al gate!
La donna, rubata l’uniforme, cominciò a correre e raggiunse l’aereo mentre Lyle stava trascinando a bordo Catherine. – Lasciala andare, bastardo! – gridò al fratello.
Lyle le puntò contro una pistola – Non costringermi a farlo, sorellina.
- Cosa c’è Lyle, hai il fegato di uccidere donne e bambini a sangue freddo e non per uccidere tua sorella?
- Lui forse non ce l’ha ma io sì.– era Raines, dall’alto dell’abitacolo, che le puntava anche lui una pistola. Lyle approfittò di quel momento per portare a bordo Cathy, Brigitte lo aveva già preceduto con Maggie.
- Cosa devo fare con te, Miss Parker? Non c’è dubbio, sei la degna figlia di tua madre, sempre pronta a ficcare il naso dove non dovrebbe. Non hai imparato niente dalla fine che ha fatto, o meglio, che le ho fatto fare?
- Mio Dio… sei stato tu. Tu l’hai uccisa!
- E tu farai la sua stessa fine – e premette il grilletto.

Miss Parker cadde a terra, il colpo le aveva perforato un polmone. Aveva come la strana sensazione che tutto si svolgesse al rallentatore: la sua caduta, il sogghigno diabolico di Raines che contemplava il suo operato, Jarod che l’aveva raggiunta e presa tra le braccia. – Sta calma, andrà tutto bene, vedrai…
Furono le ultime parole che Miss Parker sentì… prima di svegliarsi dal coma nel SL-14.

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(scritto da Ilaria)


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