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Realizzazione Antonio Genna |
"Amour"
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TITOLO ITALIANO: "Amour"
TITOLO ORIGINALE: "Amour"
REGIA: Michael Haneke
SCENEGGIATURA: Michael Haneke
PRODUZIONE: FRANCIA / AUSTRIA / GERMANIA 2012
DURATA: 125 minuti
FILM VINCITORE DI 1 OSCAR PER: miglior film straniero.
PERSONAGGI |
INTERPRETI |
DOPPIATORI |
GEORGES | Jean-Louis Trintignant | NINO PRESTER |
ANNE | Emmanuelle Riva | VITTORIA FEBBI |
EVA | Isabelle Huppert | ANGIOLA BAGGI |
ALEXANDRE | Alexandre Tharaud | EMILIANO COLTORTI |
GEOFF | William Shimell | GAETANO VARCASIA |
IL PORTIERE | Ramòn Agirre | ANTONIO PALUMBO |
LA PRIMA INFERMIERA | Carole Franck | ROBERTA PALADINI |
LA SECONDA INFERMIERA | Dinara Drukarova | PERLA LIBERATORI |
ALCUNE NOTE SUL FILM
RECENSIONE
In un famoso quanto “sempreverde” film degli anni Quaranta, Citizen Kane
(Quarto Potere) ,uno dei personaggi coinvolti nell’intervista del
giornalista sul magnate della carta stampata Kane, appunto, affermava che
“la vecchiaia era l’unico male che non ci si può illudere di poter curare”.
Un’affermazione che, per quanto amara e inaccettabile, costituisce pura
verità: invecchiando si perdono le forze,il fisico si rilassa e in taluni
casi, oltre al decadimento del corpo, si assiste alla perdita di memoria
della mente sino all’irreparabile. Sembra saperlo bene Michael Haneke,
regista austriaco di fama internazionale, pluripremiato ai Festival di
Cannes che ha “centrato nuovamente il bersaglio” vincendo l’ultima Palma
d’Oro con Amour, un dramma da camera dalla reminiscenze bergmaniane.
Protagonisti sono una coppia di ottuagenari, Anne (Emmanuelle Riva) e
Georges (J.L. Trintignant), ex insegnanti di musica oramai in pensione,
amanti di concerti di musica classica e di libri, esponenti di un universo
che ha fatto della cultura il baricentro geostazionario, il pilastro della
propria identificazione sociale. La loro vita, tuttavia, cessa di essere
serena quando Anne è colpita, improvvisamente, da un ictus cerebrale che,
nel giro di breve tempo, ne paralizzerà prima il corpo rendendola inabile di
qualsivoglia azione e costringendola ad una sedia a rotelle e,
successivamente la mente inibendone l’uso della parola. Solo e privo di un
aiuto concreto che possa in qualche modo alleviarne l’enorme peso, se non
quello di una negligente infermiera,Georges baderà alla moglie per tutte le
azioni quotidiane, lottando con amore appunto, contro la malattia. Una
malattia degenerativa che distruggerà quell’armonia, de cristallizzando
un’esistenza felice nel giro di poche settimane. Il tempo appunto.
All’interno di quattro pareti, quasi dei compartimenti stagni, in cui il
grido muto è imprigionato senza mai uscire, il battito dei minuti è scandito
dalla terribile agonia di Anne ma soprattutto da quella di Georges,
coraggioso esempio di un amore sacrificato, primigenio e lontano esempio
dagli stereotipi melò. Perché come Haneke suggerisce, L’Amour è dedizione,
condivisione delle sofferenze, unione familiare, forza promotrice di ogni
evento che vince ogni bruttura e alienazione fisica.
Con una visione attenta ai drammi della quotidianità familiare, Haneke
confeziona un film che in due parole potrebbe essere definito come
“amaramente coraggioso”: ci vuole coraggio, infatti, per proporre senza
scadere nei retorismi o peggio ancora nel vilipendio, una vicenda di umana
tristezza; ci vuole coraggio per affrontare l’inferno a porte chiuse
familiare prediligendo scene di “artefatta immobilità” e tappezzandolo di
simbolici gesti affettivi (come la potente scena del piccione coccolato come
un bimbo da Georges sotto la coperta) ma soprattutto, il grande coraggio è
tutto nella scelta finale, certamente discutibile e amara.
L’analessi, le rare comparse, la splendida caratterizzazione psicologica che
Emmanuelle Riva, già “abituata” a drammi interni dal polacco Kieslowski in
Film Blu, conferisce al suo personaggio, commuove e lascia commuovere grazie
anche a una decisa inquadratura eloquente più di mille parole. “L’analista”
Haneke svela la ferocia della vita quotidiana comunicando empaticamente allo
spettatore la sofferenza della malattia e il massacro che essa genera sul
corpo e sulla mente. Una sofferenza, dice il regista, purtroppo,
contraddendosi e quasi schierandosi contro la tesi della dedizione amorosa,
che può solo sfociare nell’annientamento del corpo e nella fine della
propria esistenza.
Tutto senza una lacrima, senza violenza, senza filtri. Con la sola forza
delle immagini
Onore al merito.
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