ALIAS Italia

ALIAS ITALIA

FANFICTION

Scritto da Ellie
Riassunto: La vita di Sydney Bristow sarebbe stata differente se sua madre non fosse mai morta? La sua esistenza viene sconvolta da una sconvolgente scoperta e nonostante tutto, deve andare avanti.

Data di composizione: dal 6 giugno al 10 agosto 2003
Adatto a: tutti
Svolgimento: parallelo alla 1^ stagione

DISCLAIMER
Si ricorda che tutti i diritti del racconto sono di proprietà del sito "Alias Italia – il dossier Sydney Bristow", e che tutti i personaggi della serie "ALIAS" utilizzati sono di proprietà ABC, Bad Robot – Touchstone Television e sono utilizzati senza il permesso degli autori e non a fini di lucro. I personaggi nuovi sono di proprietà dell'autrice.

Nota dell'autrice: Alcuni personaggi non sono presenti nella serie, mentre per alcuni ho dovuto fare delle modifiche per "esigenze di copione".

Questione di famiglia

Uno splendido sole splendeva sulla baia di Santa Monica e, con i suoi raggi, accarezzava i volti dei tanti sportivi che praticavano jogging sulla spiaggia ascoltando un po’ di musica.
Erano le sette, ma Los Angeles era già entrata nel caos quotidiano e sulle sue immense ed articolate highway già circolavano molte macchine. Tra un suono di clacson e guidatori inferociti si faceva strada un fattorino con la sua modesta bicicletta. Gli avevano detto che quel pacco andava consegnato al più presto e con la massima discrezione.

29 Clipper Street.Casa Bristow.
“Sì, è questa!”-si disse il fattorino che, dopo aver posato la bici sul prato, suonò il campanello.
“C’è un pacco per Laura Bristow”
“Dia pure a me”-La ragazza prese il pacco incartato accuratamente, pose la sua firma dove le era stato indicato dal fattorino, lo salutò con un sorriso e si chiuse la porta dietro le spalle.
Dopodiché si diresse in cucina, dove trovò seduti attorno al tavolo a fare colazione la madre ed il padre.
“Mamma, è arrivato un pacchetto per te.”
“Oh, grazie. Devono essere i libri su Fitzgerald che avevo ordinato.”
Un’altra mattina iniziava così in casa Bristow. La scena era delle classiche: madre intenta a destreggiarsi tra frittelle e caffè, padre occupato a leggere il giornale e la figlia…sempre di corsa per fare in tempo tra un impegno e l’altro.
Sydney era una studentessa di lettere all’UCLA e lavorava part-time in una banca, la stessa del padre; mentre la madre insegnava all’Università letteratura americana del ‘900.
“Ciao ma’, ciao pa’, io vado!”disse Sydney afferrando la borsa.
“Aspetta, ”-disse Laura- “hai dimenticato il pranzo!”e nel porgerglielo le scoccò un bacio sulla guancia.


Finalmente la lezione del professor Lloyd era finita. Sydney era esausta, non sopportava più quell’insulsa voce nasale che ormai parlava da più di un’ora. Prese i libri ed uscì dall’aula.
“Syd!”
“Ciao Francie!Come va?”
“Intendi dire con Charlie? Un disastro totale! Senti che ne dici di pranzare insieme? Poi potremmo fare un salto da Doc Merlin e dare un’occhiata alle scarpe, me ne servirebbero un paio blu.”
“Non sai quanto mi farebbe piacere, però devo correre in banca. Il mio turno inizia tra meno di un’ora e devo anche passare dalla professoressa Melville per discutere della mia tesina sul romanticismo.”
“Ah, come sei impegnata! Mi raccomando, però ricordati che domani sera c’è la cena di compleanno a casa di Will, sai quanto ci tiene che tu sia presente.”
“Farò del mio meglio per esserci. Beh, allora ci vediamo domani e per Charlie non ti preoccupare, gli passerà!”


Sydney arrivò tutta trafelata alla Credit Dauphine. Girò nel posteggio del seminterrato, si fermò davanti ad una spessa porta metallica, immise la password e il varco si aprì. Stava per entrare nel quartiergenerale dell’SD-6.
Sydney lavorava lì da sette anni ormai, la storia della banca era tutta una copertura. L’avevano reclutata durante il primo anno di università: un tale le si era presentato affermando di far parte della CIA e lasciandole un bigliettino da visita sul quale era scritto solo un numero di telefono. Dopo aver deciso se lavorare o meno per il governo avrebbe dovuto chiamare. E così fece. Dovette superare moltissimi test, sia fisici che mentali, e dopo sei mesi di prova le comunicarono che avrebbe fatto parte dell’SD-6, una sezione segreta della CIA. Lei avrebbe dovuto mantenere il segreto e non parlare assolutamente con nessuno del suo incarico. Ne aveva passate molte: trionfi, sconfitte, numerose ferite, scontri con armi da fuoco, duelli con armi bianche, e ultima, ma non meno importante, la perdita del suo compagno di lavoro durante uno scontro con il Direttorio K poco meno di due anni prima. Sydney ne era rimasta sconvolta: Nick Marlowe era stato uno dei primi con cui aveva stretto amicizia quando era entrata a far parte dell’SD-6. Era stato ucciso durante una missione in Grecia: Ivanenko lo avevo ammazzato proprio davanti ai suoi occhi, crivellandolo con una scarica di colpi di mitra. Lei era rimasta immobile, non aveva potuto fare nulla ed era riuscita a salvarsi per miracolo. Tornata a casa non era riuscita a concludere più nulla per oltre due settimane e, pur non facendo parola con nessuno dell’accaduto, nei suoi occhi era chiaramente visibile la sua disperazione. L’unico che in quel momento poteva davvero capirla era suo padre, ma non poteva parlare, aveva le mani legate. Già, suo padre!
Potete immaginare la sua faccia a dir poco sbalordita quando lo vide entrare nell’ufficio di Sloane un anno addietro. Anche Jack Bristow lavorava per l’SD-6. Sydney lo apprese così, arrabbiandosi anche un po’ con lui perché in tutto quel tempo non le aveva mai detto nulla, ma ne capiva il motivo.
“Ciao Dixon!” - nel frattempo posò la sua valigetta sulla scrivania.
“Ciao Sydney!”
Marcus Dixon aveva occupato il posto di Marlowe, dopo il suo brutale assassinio. Si erano subito presi ed insieme erano una coppia affiatata, anche se nel cuore di Sydney non avrebbe mai potuto sostituire Nick. Era stato come un fratello per lei, l’aveva aiutata in molte situazioni difficili e quando aveva un problema si confidava sempre con lui.
“Tra cinque minuti inizia un briefing.”-le annunciò Dixon- “A quanto pare Sloane ci deve affidare una missione.”
“Quell’uomo ha un tempismo unico!”-esclamò Sydney cominciando a pensare ad una scusa per non andare alla cena di Will il giorno successivo.
Sydney e Dixon si accomodarono sulle comode poltrone in pelle della sala riunioni. Subito dopo di loro entrarono Arvin Sloane, capo dell’SD-6, e Marshall, l’inventore.
“Buon giorno a tutti!”-esordì Sloane, poi accese lo schermo sul quale apparve una foto che ritraeva un uomo alquanto grasso, ben vestito con un naso color ciliegia che attirava subito l’attenzione dello spettatore.
“Questo è Bjorg Johanssen, direttore del Thorvaldsens Museum di Copenaghen. Secondo i nostri informatori nel suo ufficio è presente un quadro di Tiziano dietro al quale sarebbe nascosto un manoscritto di Rambaldi. Il vostro compito”-disse rivolgendosi verso Sydney e Dixon-“sarà quello di portare a casa quella tela, poi ci penseranno i laboratori dell’SD-6 a rendere visibile il manoscritto.”
Rambaldi era quasi un’ossessione per l’SD-6. Tutte le missioni ormai gravitavano attorno a lui ed alle sue folli e premonitrici teorie. Rambaldi era un luminare del Rinascimento italiano; Sydney, durante i suoi sette anni di servizio, aveva già riportato a Los Angeles molte delle sue opere.
“Dovrete partire questa sera”-continuò Sloane-“perché dopodomani il dipinto sarà trasferito in un’altra sede e sarà molto più difficoltoso recuperarlo.”
Quindi Sloane si sedette e prese la parola Marshall.
“Salve a tutti, come state? Dunque, questa”-e prese in mano una penna-“può sembrare una semplice penna a scatto, vero?Ed invece basta farla scattare e…voilà!Ecco che si trasforma in una chiave utilissima che apre tutte le porte, anche quelle con serratura magnetica. Vi sarà molto utile, infatti la porta dell’ufficio di Johanssen ha una serratura molto complicata (mi domando chi possa averla progettata), ma con questa potrete aprirla. Ma non è finita qui:questa sembra una banale borsa da passeggio,di quelle che vanno tanto di moda adesso,ma quando dovrete rubare la tela vi faciliterà le cose. All’interno è provvista di un meccanismo che distrae, per così dire, le telecamere della sorveglianza verso un’altra direzione bloccandole. Basterà premere questo piccolo pulsante che è dentro la tasca interna ed il gioco è fatto!”
Marshall era davvero strano: all’apparenza poteva sembrare piuttosto scemo, anche per via di quella sua parlata un po’ balbuziente e cantilenante, però se lo si conosceva meglio ci si accorgeva che invece aveva una mente particolare, fatta apposta per inventare i marchingegni più strani.
Quell’uomo divertiva molto Sydney per il suo modo di fare ed alcune volte odiava Sloane per il modo in cui lo fissava.

Quando uscì dalla sala riunioni Sydney intravide Jack. Sembrava che avesse un’aria un po’ sbattuta, affranta quasi. Si domandò per quale motivo avesse quell’espressione,ma non fece in tempo a raggiungerlo perché subito scomparve dietro una porta:quella dello psicologo dell’SD-6.
Gli agenti erano spesso sottoposti a test come la macchina della verità e quando ciò accadeva non era un buon segno. Significava che Sloane nutriva qualche sospetto o che qualcosa non era andata per il verso giusto. Probabilmente, per quanto riguardava Jack, era più attendibile la seconda ipotesi, visto che Sloane non avrebbe mai sospettato di lui: si conoscevano da prima che Sidney nascesse ed era molto improbabile che la loro amicizia s’incrinasse.

Sydney fece appena in tempo a rientrare a casa che il telefono squillò. Si precipitò a rispondere.
“Pronto!”
“Ciao Syd, sono Will. Come stai?”
“Will, ciao! Io sto bene e tu?”
“Non c’è male, ho solo un gran mal di testa, colpa del capo che mi assilla con un articolo sul mondo della finanza. Anzi, ti ho telefonato proprio per questo: sai per caso come vanno i titoli Nasdaq ultimamente? A me pareva che fossero in calo, ma non ne sono sicuro.”
“No,non ti sbagliavi. Sono scesi di molto nell’ultima settimana.”
“Ah, ho vinto anche una scommessa. Allora sei pronta per domani sera? Ci saranno tutti per il mio compleanno.”
“Tutti meno una. Ti avrei chiamato tra un po’. Il capo mi spedisce a Boston questa sera. Ho tentato in tutti modi di farci mandare qualcun altro, ma lui ha insistito perché andassi io. Mi dispiace veramente tanto Will, sai che sei il mio migliore amico, ci conosciamo da un’eternità e per me è importantissimo esserci, ma…Sono veramente desolata!”
“Va bene, su. Non ti disperare. Significa che ripeteremo la cena,ma questa volta dovrai esserci assolutamente anche tu!”
“Ok,in ogni caso può darsi che faccia in tempo ad arrivare almeno per il taglio della torta. Il volo di ritorno dovrebbe partire per le 20.”
“Speriamo. Ora ti devo lasciare,il dovere mi chiama. Ti voglio bene Sid.”
“Anch’io.”
Sydney si abbandonò sconsolata sul divano. Odiava mentire, e a Will in modo particolare.

Erano le 23 quando Sydney e Dixon arrivarono a Copenaghen.
Il piano che avevano stabilito non era difficile,ma qualche imprevisto poteva sempre capitare.
I due sarebbero entrati nel museo come visitatori. Avevano un’ora di tempo prima che chiudesse.
Sydney,vestita con un bell’abito nero, aveva a tracolla la borsa di Marshall. Dopo aver dato un’occhiata ad una decina di quadri e sculture,si allontanò con la scusa di andare al bagno,ma invece di svoltare a destra,prese la direzione opposta. Arrivata davanti alla porta del direttore schiacciò il pulsante che si trovava nella tasca interna della borsa, ed estratta la penna da essa, aprì la porta.
Non fu difficile distinguere il quadro che doveva rubare. Era un magnifico paesaggio lagunare al chiaro di luna. Prese il quadro,levò la tela dalla cornice e la sostituì con un fedelissimo falso d’autore. Aveva appena infilato la tela arrotolata nella borsa che sentì dei passi che si avvicinavano sempre di più alla porta. Bjorg Johanssen entrò nel suo ufficio. Si guardò intorno con fare circospetto,ma ai suoi occhi tutto sembrò al proprio posto. Si avvicinò alla scrivania,Sidney cercò di sgattaiolare di fuori,ma inavvertitamente fece scricchiolare la porta. Johanssen si girò.
“Oh,devo aver sbagliato porta,mi avevano detto che il bagno era in fondo a sinistra.” –mormorò con tono di scusa.
Ma Johanssen non mangiò la foglia. Stava per chiamare la sicurezza.
“Bene,la metti così? L’hai voluto tu!”
Sydney sferrò un bel pugno nel mezzo di quel faccione paonazzo. Johanssen non resse il colpo e barcollò indietro,tentò di difendersi,ma anche questa volta i suoi riflessi non furono pronti ed in men che non si dica si ritrovò al tappeto.
“Finalmente,ma quanto ci hai messo?!”-esclamò Dixon.
“Un piccolo imprevisto!”
“Ora vediamo qualche altra opera e poi ce ne andiamo. Non ti ha visto nessuno?”
“Solo il direttore,ma l’ho sistemato!”


Nel frattempo a Los Angeles tutto scorreva liscio come l’olio.
Erano le tre del mattino. Laura si alzò e con passo felpato scese al piano inferiore. Entrò in cucina e si chiuse la porta alle spalle. Prese da un cassetto una candela e la accese. Poi aprì “Il grande Gatsby” a pagina 100 e passò leggermente il foglio sopra la fiamma. Apparvero dei simboli in cirillico.
L’ordine di Khasinau era chiaro e conciso: ostacolare l’SD-6 e la CIA, rubare tutto ciò che era in loro possesso riguardo a Milo Rambaldi.
Laura sentì un rumore. Spense la candela e la nascose con i libri in uno scomparto segreto della dispensa. La porta si aprì: era Jack.
“Che ci fai qui?”-chiese con aria assonnata.
“Non riuscivo a dormire e così mi sono preparata una camomilla. Ora torniamo a dormire. Domani dobbiamo alzarci presto.”
Uscirono entrambi e tornarono nelle braccia di Morfeo. Di certo Jack non avrebbe sospettato di nulla, che c’è di più sensato di una camomilla per conciliare il sonno?

In casa di Will Tippin un allegro e stonato coro stava intonando “Perché è un bravo ragazzo, perché è bravo ragazzo, perché è un bravo ragaazooo,nessuno lo può negaaar!Tanti auguriii!!!”
Will spense le candeline e si apprestava a tagliare la torta quando suonarono alla porta.
“Francie pensaci tu, io vado ad aprire.”
“Sorpresa!”
“Sydney! Sei arrivata appena in tempo per la torta.”
“Te lo avevo promesso,no?”
“Come sono felice di vederti.”
Intanto avevano raggiunto gli altri in salone.
La festa ora poteva iniziare veramente.

La mattina seguente Sydney aveva un gran sonno. La festa a casa di Will era finita alle due e lei si era trattenuta un altro po’ per chiacchierare con il suo migliore amico.
“Buongiorno!”-esclamò Sydney tra uno sbadiglio e l’altro entrando in cucina.
“Ciao!Come è andato il viaggio?”-domandò Jack.
“Tutto bene!Il capo sarà contento,abbiamo un nuovo cliente.” A volte a Sydney pareva di giocare alle spie come i bambini,ma per lei non era un gioco,era tutto vero. Anche se quel modo di parlare in codice poteva essere divertente per certi versi.
“La mamma?”
“Ancora non è scesa, da un po’ di mattine è diventata pigra, fa tutto a rallentatore. Intanto che tengo d’occhio il caffè, andresti a prendere il giornale in giardino?”
Ogni volta per trovare il giornale era come giocare alla caccia al tesoro. Una mattina era sulle siepi, un’altra davanti alla porta, un’altra ancora in veranda. Si ricordava che una volta, quando era piccola, lo aveva addirittura trovato sul davanzale della sua cameretta. Il ragazzo delle consegne non aveva una buona mira, evidentemente.
Quella mattina trovò il giornale sui gradini; stavolta era andata bene!
Aprì il Los Angeles Mirror e vide una foto che la colpì.
Rientrò in casa e si mise a leggere l’articolo.
“Larry Flush è stato trovato morto ieri pomeriggio in casa sua. L’ispettore Columbus sostiene che sia stato ucciso per mezzo di cianuro. Larry era studente d’Arte medievale alla South California University e lavorava anche come fattorino da qualche mese…”
“L’hai trovato?”
“Sì.”
“Che ti è successo?”-domandò Jack vedendola entrare in cucina.
“Guarda qua,”-e gli mostrò la foto-“questo è il fattorino che l’altra mattina mi ha consegnato il pacco per mamma.”
“Poverino,mi dispiace.”
“Anche a me,però questa storia non mi quadra.”
“Ma dai,a Los Angeles succede una cosa del genere tutti i giorni!”
“Può darsi…”-e così troncò il discorso.

Sydney aveva appena terminato di assistere alla lezione di Storia che sentì il suo cercapersone trillare. Sbuffò.Non le andava di correre a rapporto di Sloane, tantomeno essere di nuovo spedita in giro per il mondo come un pacco merci. Alla fine si decise ad andare.
Arvin Sloane, vestito con un gessato grigio ed una vistosa cravatta rossa, era intento a cercare qualcosa nel suo pc, ma non appena vide Sydney avvicinarsi lasciò il suo lavoro e si preparò ad accoglierla. Ricordava ancora quando lei era poco più di una bimbetta e zampettava in giardino arrampicandosi ovunque fosse possibile. Quel giorno le doveva affidare un’importante missione, sapeva di potersi fidare di lei. Sydney entrò.
“Buongiorno.”
“Ciao Sydney. Prego accomodati pure.”
“Per caso qualcosa non va?”
“No,no,anzi complimenti per Copenaghen. Ti ho convocata perché devo affidarti una missione particolare. Tu conosci Alexander Khasinau,vero?”
“Ex-spia del KGB ora è un terrorista internazionale ed è molto influente anche sul Direttorio K.”
“Bene,vedo che sei preparata! Una nostra fonte ci ha confermato il suo arrivo a San Francisco. A quanto pare prenderà parte ad una sorta di vendita.”
“Dovrò cercare di comprare io ciò che vuole?”
“No,devi solo pedinarlo e riferirci ogni sua mossa,ogni suo contatto,senza farti vedere,ovviamente.”
“Tutto qui? Non può pensarci uno dei nostri contatti?”
“No,questo è un affare più delicato ed io mi posso fidare solo di te. Parti subito e non parlare con nessuno della missione,neanche con Jack.”
“Ma io domani devo dare un esame.”
“Sydney, sai bene che in certe situazioni tutto ciò non conta. Quando hai deciso di entrare a far parte dell’SD-6 hai rinunciato per sempre ad una vita normale.”
“Ok, ho capito il messaggio. Parto all’istante.”
Sydney si alzò ed uscì infuriata dall’ufficio di Sloane. Doveva mentire un’altra volta ed ora anche a suo padre, l’unico in grado di capirla. Chissà perché Sloane non voleva tenere a conoscenza della missione Jack. Prima i test psicologici ed ora questa bugia. Tutto ciò era molto strano, doveva esserci qualcosa sotto, ma quello non era il momento giusto per pensarci, doveva partire al più presto e creare una scusa per non dare l’esame. Non era la prima volta che ne rimandava uno e ciò avrebbe influito sul suo andamento. Sarebbe riuscita a laurearsi entro i prossimi trent’anni?


San Francisco era immersa nella nebbia mattutina. Il Golden Gate Bridge era del tutto nascosto da essa alla vista dello spettatore. L’arietta frizzantina d’aprile rendeva la gente più allegra.
Sidney era da ore alla ricerca di Khasinau. Lo aveva intravisto il giorno prima nei dintorni di Alamo Square, ma poi si era come volatilizzato. Ora Sydney si trovava imbottigliata nel traffico di Lombard Street, la strada più tortuosa della città, quando lo rivide. Era in una Mercedes blu in compagnia di…no, non ci poteva credere, era proprio lei, Ana Espinosa, la sua acerrima nemica. Allora era vero, Khasinau aveva veramente dei contatti con il Direttorio K. Cercò di divincolarsi dall’ingorgo e seguirli, c’era quasi riuscita, ma anche stavolta li perse, però ora aveva il numero di targa, anche se probabilmente avrebbero cambiato veicolo per sicurezza.

Sydney aveva parlato con alcuni informatori. A quanto pareva della presenza di Khasinau in città lo sapevano tutti e nessuno. Non volevano diventare suoi nemici, poteva essere pericoloso.
Questo era il quarto informatore che metteva in contatto.
“Allora, mi vuoi dire quello che sai, o no?”
“Io, io non so nulla.”
“Ah, non sai nulla? Poverino, chissà che fifa che hai, eh?”- Sydney gli sferrò un calcio sugli stinchi e bistrattò la sua testa, dopo averlo messo con le spalle al muro.-“Ed ora, non sai ancora nulla?”
“Forse potrei dirti qualcosa.”
“Avanti sentiamo!”
“ Ho sentito che Khasinau doveva incontrarsi alle 19.00 con un tale del Direttorio K al Pier 39.”
Sydney guardò l’orologio: erano le 18.30. Aveva solo mezz’ora di tempo per arrivare da Parkside al Pier 39.
“Grazie, mi sei stato molto utile.”

Le 18.59. Appena in tempo! Sydney si guardò attorno. A quell’ora del giorno il molo era molto affollato, sarebbe stato difficile individuarlo. Il suo informatore non era stato molto esplicito.
Ad un certo punto intravide un losco movimento alla sua destra, guardò meglio: era Khasinau, solo. Sicuramente i suoi scagnozzi erano nascosti da qualche parte. Si faceva strada verso di lui un uomo sulla quarantina con una valigetta in mano. Non appena fu a portata di mano la consegnò a Khasinau che camminando tranquillamente se ne andò. Sydney lo seguì.

Erano due ore che lo stava seguendo. Ormai era stufa di girare la città a vuoto; decise di rischiare ed avvicinarsi ulteriormente; con un po’ di fortuna, magari, sarebbe anche riuscita a scoprire che cosa portasse nella valigetta. Affrettò il passo. Khasinau si accorse di lei ed iniziò a correre. Entrò in un magazzino nei pressi di Ghirardelli Center. Syd fece altrettanto, ma entrando vide solo un magazzino buio, non c’era alcuna traccia di lui.
“Sei tenace, non molli mai, vero? Ancora non sei stufa di seguirmi? Per chi lavori?”
Syd si girò di scatto. Era caduta nella sua trappola come una pivellina alle prime armi!
“Andiamo, chi ti manda? L’FTL? La CIA? L’NSA? L’SD-6?Per caso sei muta?”
“Non capisco proprio di cosa stia parlando.”
“Non fare la finta tonta con me.”
Khasinau si avvicinò ancora di più.
“Tanto lo so per chi lavori. Sai, le assomigli incredibilmente.”
“Somiglio a chi?”
“Ad Irina!”
“Mi spiace, ma non conosco nessuna Irina.”
“La verità richiede tempo. Per questa volta ti lascio andare. Vedo che sei innocua, ma sono sicuro che ci rivedremo presto.”
Khasinau uscì. Sydney non ci poteva credere: si era lasciata sfuggire un’occasione del genere! Avrebbe benissimo potuto fronteggiarlo e scoprire il contenuto della valigetta, invece era rimasta lì impalata. Eppure quell’uomo aveva un fare ipnotizzante...

Sydney entrò nell’ufficio di Arvin Sloane; doveva fare rapporto sulla missione a San Francisco.
Sloane stava parlando al telefono e le fece segno di accomodarsi. Appena ebbe riattaccato iniziò a fare domande.
“Allora come è andato il pedinamento?”
“Male.”- rispose con franchezza Syd- “Ho seguito Khasinau dappertutto, ma alla fine sono caduta nella sua trappola. Ha affermato di sapere per chi lavoravo, ma non ne sono poi così convinta. In compenso, sappiamo che ha contatti con il Direttorio K: l’ho visto in macchina con Espinosa e poi al Pier 39 c’è stato uno scambio. Gli hanno consegnato una valigetta, ma non sono riuscita a scoprire quello che contenesse.”
“Perfetto, ora sa che gli stiamo alle costole, ma non mi arrabbio con te. E’ furbo, anche una spia esperta ci sarebbe cascata!”
Sydney si sentì abbastanza ferita da ciò che Sloane le aveva detto, ma fece finta di nulla.
“Concediti un po’ di riposo Sydney, sono convinto che non ti farà male, infondo un pedinamento può essere estenuante.”

Il telefono nell’ufficio di Laura Bristow squillò. La professoressa di Letteratura rispose.
“Pronto, qui Laura Bristol, chi parla?”
“Ciao Laura, sono io.”
Laura Bristow era molto sorpresa di sentire la voce di Khasinau. Credeva che non avrebbe mai rischiato di farsi sentire personalmente.
“Sei pazzo, potrebbe esserci una cimice.”
“Ho bisogno di vederti, le cose si complicano.”
“Dove e quando?”
“Alle 14.30 davanti al Chinese Theatre.”
“Va bene, ci sarò.”

Laura si fece strada in mezzo a tutta quella folla di turisti deliranti. Aveva un paio d’occhiali da sole, non avrebbe potuto rischiare di far saltare la sua copertura. Alexander Khasinau si trovava a poco più di due metri da lei. Non appena furono vicini la prese per un braccio e la portò in un vicolo là vicino, così avrebbero potuto parlare con più calma.
“Allora, cosa c’è di così importante?”
“Due giorni fa ero a San Francisco. Ho incontrato tua figlia.”
“Cosa?!”
“Non mi avevi detto del suo arrivo.”
“Non aveva parlato in codice con Jack! Ero davvero sicura che partisse per un viaggio di piacere con la sua amica Francie.”
“Ahi,ahi, Irina, perdi colpi! E così l’SD-6 mi fa pedinare. Sydney rischiava di farmi saltare lo scambio con il Direttorio K.”
“Ci sei riuscito?”
“Sì, capo!”
“E dov’è adesso l’ampolla?”
“Al sicuro!”
“A proposito cos’è questa storia del fattorino ucciso? C’è il tuo zampino, vero?”
“Voleva sapere troppo, e così…”
“Devi stare più attento, potrebbero scoprirci. Ora devo andare e la prossima volta non azzardarti a chiamarmi. Se vuoi vedermi usa il solito metodo.”
“Tieni gli occhi aperti!”
I due si lasciarono ed ognuno tornò al proprio lavoro.


Negli ultimi tempi Sydney era sempre più confusa: non sapeva più di chi si poteva fidare. Sloane aveva qualcosa di losco, suo padre era divenuto improvvisamente cupo e non parlava più, sua madre era molto irritabile ed ora ci si metteva anche Will a complicare il tutto.
Il giorno prima le aveva telefonato.
“Pronto Sydney,ciao sono Will. Come va? Senti, mi chiedevo se stasera ti andava una cena.” -le aveva detto senza lasciarle il tempo di rispondere; e così si ritrovò seduta, di fronte a lui, al tavolo di uno dei ristoranti più carini della città. Dopo una squisita cenetta, fecero una passeggiata in riva al mare e fu lì che nacque un altro dei dubbi di Syd.
“Bello il mare, vero?”-iniziò Will per sciogliere il ghiaccio.
“Già, meraviglioso.”
“Sai, ultimamente ho pensato molto a noi due…”
Sydney guardò Will con aria sconcertata: di solito quella era una frase da fidanzati. Will se n’accorse.
“…intendo dire a noi due come amici.”
Syd ne fu sollevata. Era da molto che non aveva una relazione e vedeva Will solo e soltanto come il suo migliore amico.
Will andò avanti così per un po’ e la conclusione del suo discorso fu:
“Ti voglio bene Syd, sappi che potrai sempre fidarti di me.”


Sydney se ne stava sdraiata sul suo letto a pensare. Quello che era accaduto la sera prima l’aveva sconcertata. Possibile che il suo caro amico fosse così teso solo per così poco? Il suo sesto senso le assicurava che avrebbe voluto dirle qualcos’altro, ma probabilmente Will non ne aveva avuto il coraggio. Ci mancava solo questo! Poteva dire che la sua vacanza non era stata poi così magnifica.


Non appena Sydney tornò a lavorare, Sloane indisse un briefing.
Dixon le disse che c’erano delle novità importanti, negli ultimi giorni in ufficio c’era stato molto fermento.
Entrarono insieme nella Sala riunioni. Erano già seduti Jack e Sloane. Stavano conversando tra loro.
A Sydney sembrò che parlassero come al solito. Probabilmente o si era sbagliata su suo padre oppure Arvin era un buon attore. Marshall non era presente.
“Bene, possiamo iniziare.”- cominciò Sloane- “Abbiamo scoperto che Khasinau ha avuto uno scambio con il Direttorio K.”
A Sydney non suonava nuova.
“ Un nostro infiltrato ci ha garantito che Khasinau ha acquistato da loro un’ampolla che ha a che fare con Rambaldi. Nei nostri laboratori abbiamo molti manoscritti incompleti, ma i raggi X hanno rilevato la presenza di altre cose presenti, soltanto che sono come invisibili. Riteniamo che il contenuto di quell’ampolla possa renderle leggibili.” – Sloane a questo punto accese lo schermo ed i computer, apparve una cartina- “La cittadina che vedete cerchiata in rosso è Ilford, contea di Essex, non lontano da Londra. Là Khasinau ha una delle sue basi. Dovrete infiltrarvi e recuperare l’ampolla. Partirete tra tre ore. Nessuna domanda? Prima di andare, passate da Marshall, vi fornirà l’attrezzatura tecnica.”


Sydney e Dixon erano fuori la base di Khasinau.
“Allora, tu entri, tieni il contatto radio, io starò qui fuori e ti fornirò delle informazioni.” –Disse Dixon.
Sydney fece un cenno d’assenso col capo e partì. Si tuffò in acqua, nuotò fino ad una grata, la tolse e continuò ad andare avanti. Arrivò finalmente a destinazione, si tolse la muta da sub e iniziò a gattonare nei condotti d’aerazione, prima però indossò una tuta speciale e gli occhiali infrarossi.
***Flashback***
“Oh, benvenuti! Allora lei, signorina Bristow, dovrà introdursi nella base di Khasinau.”- iniziò a spiegare Marshall durante il briefing tecnico nel suo laboratorio- “Ecco la cartina. Vede, ”- cominciò a mostrare con il dito tutto ciò che diceva- “lei, dovrà entrare nuotando nelle tubazioni di scarico, non si preoccupi, sono molto grandi. Poi dovrà continuare nei condotti d’aerazione. Tutto semplice, dirà. Invece, no! Lì ci sono degli speciali sensori che captano ogni minimo movimento, anche la zampina di un topo e…zac! Scatta l’allarme. Per far sì che ciò non accada, lei dovrà indossare questa particolarissima tuta (tra l’altro, molto bella e confortevole!) che la renderà praticamente invisibile ai sensori. E poi ci sarebbero questi, dei normalissimi occhiali infrarossi, sa bene come usarli!
***Fine flashback***

“Dixon, ci sei?”
“Sì!”
“Bene, ora dimmi, devo girare a sinistra o a destra?”
“Sinistra e poi alla prossima gira a destra.”
Sydney fece come le disse il suo compagno ed arrivò sopra la camera dove era contenuta l’ampolla.
Si calò e grazie agli occhiali evitò gli ostacoli. Stranamente non c’erano telecamere. Poi attaccò dei cavi alla cassaforte e dopo qualche secondo si aprì come per magia. Prese l’ampolla con delicatezza e la nascose nella sua borsa.
“Tutto fila liscio” pensò Syd, ma si sbagliava di grosso! Stava uscendo dalla porta, come le era stato detto, quando improvvisamente scattò un allarme.
“Dixon, che succede?”
“Hai azionato un allarme, devono averlo introdotto ieri! Forse se lo aspettavano!”
“Accidenti, stanno arrivando delle guardie!”
“Ci dovrebbe essere un piccolo stanzino lì.”
“Sì, lo vedo!”
Arrivarono tre uomini armati fino ai denti, ma non videro nessuno, entrarono nella stanza della cassaforte e…
“Ma che succede?”
Si ritrovarono chiusi là dentro all’istante.
Sydney poté allora fuggire, ma doveva fare in fretta. Era quasi uscita dalla base quando si trovò di nuovo alle costole quei tre. Si fermò. Che cosa poteva fare?
Uno di loro le si scagliò contro. Syd sferrò un pugno ed un calcio, ma quell’omaccione biondo rispose con un cazzotto nello stomaco che la atterrò. Con le forze che le rimanevano gli fece uno sgambetto e quello cadde a terra come una pera cotta. Sydney si rialzò in fretta. Con una gomitata sistemò un altro, ma l’ultimo rimasto la immobilizzò. Fortunatamente aveva praticato karatè per molti anni e con una semplice mossa lo sfinì. Uscì dalla base, aveva quasi raggiunto Dixon, ma gli uomini di Khasinau, accortisi del trambusto, iniziarono a far fuoco. Dixon le coprì le spalle. Anche Sydney, indietreggiando con il suo compagno, cominciò a sparare.
Finalmente arrivarono alla loro jeep.
“Syd, per favore, guida tu, io non ce la faccio.”
Solo allora Sydney si accorse che Dixon era ferito ad una spalla.
Salirono sulla jeep, Syd mise in marcia e partirono a tutto gas. Intanto Dixon cercava di curare la sua ferita.
Per fortuna la missione era finita bene. Questa volta Sloane non avrebbe potuto lamentarsi del suo operato. L’ampolla ora era dell’SD-6 e per quanto riguardava Dixon, sarebbe guarito in fretta.

Il telefono di Alexander Khasinau squillò.
“Pronto.”
“Pronto capo, sono Sark.”
“Sark, cosa succede? Tutto bene ad Ilford?”
“Non proprio. L’SD-6 ci ha rubato l’ampolla di Rambaldi.”
“Chi? Chi è stato?”- disse Khasinau con voce strozzata dalla rabbia.
“Sydney Bristow.”
“Sark, sei un incapace. Ti sei fatto fregare da una ragazzina!”
Khasinau furioso con il suo sicario riagganciò.
“Maledetta!”
Decise che si sarebbe vendicato di lei, anche se era la figlia di Irina.


Laura e Jack Bristow entrarono in casa Sloane. Arvin, entusiasta dell’esito della missione ad Ilford, li aveva invitati a cena. Ovviamente Jack ed il padrone di casa dovevano mentire davanti alle rispettive mogli.
“Benvenuti! Sono molto felice che siate qui, era da tanto che non ci riunivamo tutti insieme. Peccato che Sydney non sia potuta venire!”- esordì Sloane dopo aver chiuso la porta.
Si accomodarono tutti quanti in sala da pranzo.
“Dal momento che non è ancora pronto, ne approfitto per fare due chiacchiere di lavoro. Jack, potresti venire un attimo di là?”
“Certo.”
Laura ed Emily, la signora Sloane, rimasero in salotto a parlottare tra loro.
Laura si sentiva a suo agio con quella donna, era una delle poche persone con cui le dispiaceva fingere. Non si poteva odiare una persona con quell’aspetto angelico ed una tale cortesia. Non riusciva proprio a capire come aveva potuto sposare uno come Sloane! Probabilmente lo aveva fatto perché non sapeva in realtà che persona fosse.
Nel frattempo i mariti erano nell’ufficio di Arvin. Sloane aprì la cassaforte e prese una fialetta: conteneva un po’ del liquido dell’ampolla rambaldiana. Voleva mostrare al suo amico come funzionasse, ma squillò il telefono.
“Scusami un attimo.” – disse Sloane e rispose all’apparecchio.
“Giusto in tempo.”- pensò Jack che di spalle aprì la fialetta molto cautamente, ne estrasse qualche goccia con un contagocce e la versò in un’altra fialetta che mise in tasca.
Arvin riattaccò.
“ I soliti scocciatori, pretendevano che gli recapitassi una quattro formaggi.”
“Ogni tanto capita!”
“Allora, guarda qua che prodigio.”
Sloane prese un antico foglio completamente bianco, vi versò delle gocce sopra ed improvvisamente apparirono intere parole, proposizioni e paragrafi scritti in uno stile antico, quasi incomprensibile.
“Rambaldi era più previdente di Q!”- esclamò Jack.
“ A quanto pare è meglio dell’MI-6.”
Poi Sloane ripose tutto con precisione nella sua cassaforte, la richiuse e con il suo amico tornò in salotto.
La cena fu piacevole e nessuno dei quattro non parlò mai di lavoro: per quella sera, aveva deciso Emily, stufa di parlare del suo umile lavoro di casalinga, era un argomento bandito.
Verso mezzanotte tutto finì e casa Sloane ripiombò nel consueto assordante silenzio.

Era passata una settimana dalla missione in Inghilterra quando Sloane indisse un nuovo briefing.
Questa volta mancava solo Dixon, ancora convalescente.
“Buongiorno a tutti!”- iniziò Sloane.
Sullo schermo apparve la foto di un uomo vestito con un’uniforme militare.
“Questo è il maggiore Cho Yun Phang dell’esercito vietnamita; egli è anche uno dei collaboratori del Direttorio K e di alcuni ex-agenti del KGB.
Suo padre era uno degli uomini migliori tra le fila di Ho Chi Minh.
Phang possiede un laboratorio a Quan Long, un piccolo paese nell’estremo sud del Vietnam.”
Un’altra immagine apparve sullo schermo, stavolta rappresentava degli strani tubi metallici.
“ Nel laboratorio sono presenti questi due tubi, ognuno di questi contiene delle testate biologiche. Voi dovrete disattivarle e riportarle a casa. Sydney, questa volta partirai con Jack. Marshall…”
Sloane si sedette e l’agente Flinkman si alzò in piedi iniziando a parlare.
“Buongiorno a tutti, come va? Bene, cominciamo. Questo è molto più di un semplice cubo metallico. Vi permetterà di trasportare senza alcun pericolo le testate biologiche, inoltre ha un codice di sicurezza e si può aprire solo con l’impronta digitale del proprietario.
Questa spilla, invece, con un semplice clic vi permetterà di disattivare tutti i sistemi di allarme del laboratorio.”
“Grazie Marshall, voi”- continuò Sloane rivolgendosi a Sydney e Jack- “partirete domani mattina alle otto in punto. Nessuna domanda? Bene, è tutto.”
Sloane si alzò e lasciò la sala riunioni. Gli altri lo imitarono uscendo e tornando al proprio lavoro.

Laura Bristow accostò l’auto, scese dalla macchina ed andò dal giornalaio.
“Buongiorno!”
“Buongiorno”- rispose il solito edicolante.
“E’ uscito Vogue?”
“Sì, ma è finito!”
“Peccato, la ringrazio!”
Quello era il segnale che Laura attendeva da tanto. Una semplice frase in codice che le avrebbe cambiato la vita. Finalmente a Quan Long avrebbe scritto la parola “fine” ad una messa in scena che replicava allo stesso teatro da più di trent’anni.

Sydney e Jack si erano appostati fuori del laboratorio di Phang, erano nascosti dietro ad un cespuglio.
“Sei pronta? Da adesso abbiamo dieci minuti prima che arrivino le guardie del turno dopo.”
“Pronta!”
Sydney e Jack uscirono dal loro nascondiglio. Le guardie che stavano per finire il loro turno furono colte alla sprovvista e non appena furono colpiti dalle munizioni contenenti sonnifero, caddero in un sonno profondo.
I due entrarono nel laboratorio, Sydney disattivò con la spilla di Marshall tutti i sistemi di sicurezza.
Avanzarono in fretta fino alla stanza dove erano state depositate le testate, entrarono.
Sydney aprì il cubo metallico dopo aver immesso il codice di sicurezza ed averlo confermato con la sua impronta.
“Syd, tu occupati di una testata, io penso a quell’altra”
“Ok!”
Si misero entrambi al lavoro, rimanevano ancora sette minuti prima dell’arrivo delle altre guardie.
Sydney levò le viti all’involucro metallico, lo aprì ed estrasse con molta cautela la testata, ci lavorò ancora un po’ sopra ed infine la depositò nel cubo.
Anche Jack era a buon punto, quando improvvisamente si aprì la porta alle loro spalle.
Entrambi si voltarono e rimasero molto sorpresi nel vedere la persona che era appena entrata nella stanza. Lei, proprio lei lì.
Sydney non poteva credere ai suoi occhi, stava sognando, non era possibile!
“Pensavo di sbagliarmi ed invece i miei sospetti erano fondati. Non avrei mai voluto dirlo.”- disse Jack con aria delusa e sconsolata, ma ben presto il suo volto cambiò e divenne rabbioso.
“Allora ti eri accorto di qualcosa, sei più furbo di quanto credessi, Jack”- queste furono le parole di Laura Bristow. Le pronunciò in una maniera che non si addiceva alla solita Laura, era molto più spavalda e sicura di sé in quel momento.
“Ma che cosa sta succedendo, mi volete spiegare?”- chiese Sydney tornando finalmente a ragionare dopo quello shock iniziale.
“Sì, credo che tu abbia ragione piccola mia, è arrivato il momento della verità. Erano più trent’anni che aspettavo. Circa trent’ anni fa il mio capo al KGB, Alexander Khasinau, mandò me, Irina Derevko, in America con l’intento di carpire informazioni da un uomo, un agente della CIA che si stava occupando di un piano chiamato “Progetto Natale” nel quale venivano addestrati dei piccoli bambini a diventare delle spie per il governo. E così mi sono adeguata a fare la dolce mogliettina per tutto questo tempo, a passare le mie giornate in quell’insulsa università e spiare mio marito mentre faceva il doppiogioco ingannando l’SD- 6.”
“Già ed io sono cascato nella tua trappola per bene. Non pensavo che potessi essere una persona così spregevole!”
“Ho fatto solo il mio lavoro e tu di certo non sei migliore di me. Non hai detto tutta la verità a Sydney, vero? Lo sai Sydney, che l’SD-6 non è una branca segreta della CIA, ma un gruppo che il governo americano combatte? E lo sai che il tuo caro paparino ha testato su di te il Progetto Natale programmandoti per diventare una spia?”
“Un attimo, voi mi state dicendo che l’SD-6 è un gruppo fuorilegge e che io per tutto questo tempo ho combattuto per loro e non per la CIA?”
“ Sì”- rispose Jack-“ è così. Avrei voluto dirtelo, ma così sarebbe saltata la mia copertura.”
“E non ti è venuto in mente che anch’io sarei potuta diventare un’agente doppiogiochista?”
Sydney rimase sconcertata e si estraniò di nuovo dal mondo che le stava attorno. Inizio a pensare a tutta la sua vita. Lei non era il frutto di un vero matrimonio, ma di un intrigo internazionale. In tutti quegli anni era stata ingannata da sua madre. Pensava di potersi fidare di suo padre, ma ora aveva scoperto che era sola al mondo, non poteva fidarsi di nessuno.
Uno sparo la riportò con la testa sulle spalle, si voltò e vide suo padre ferito ad una gamba e sua madre con una pistola in mano.
“Avanti Sydney, non vorrai commettere lo stesso errore. Consegnami subito quelle testate biologiche.”
“Non gliele dare Sydney”- disse suo padre.
“Abbiamo poco tempo, appena un minuto prima che arrivino le guardie, quindi deciditi. Stai con me o rimani fedele all’SD-6?”
“Sydney scappa!” –le intimò Jack.
All’improvviso sentirono un calpestio di piedi avvicinarsi.
Irina con uno scatto fulmineo prese la via d’uscita.
“Di certo non mi farò catturare. Dasvidania!” – stava per uscire quando un’esplosione nella stanza bloccò la sua fuga.
Sydney fu scaraventata fuori dalla finestra. Ebbe ancora qualche momento di lucidità poi svenne.


Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che Sydney vide non fu il laboratorio in fiamme di Phang o la sua camera immersa nell’oscurità della notte come sperava, ma un uomo grasso che le si parò davanti con il suo faccione ed i suoi piccoli occhietti cerchiati da un paio d’occhiali. Cercò di muoversi, ma non ci riuscì: era legata mani e piedi ad una sedia. Non era la prima volta che si trovava in una situazione del genere, ma questa volta era diverso. Dopo le rivelazioni dei suoi genitori, se così poteva ancora considerarli, era molto provata.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro e vivere come prima una vita felice e spensierata all’oscuro di tutto.
“Finalmente la bella addormentata si è svegliata dal suo lungo sonno!”- disse con tono ironico quell’uomo- “Peccato che non ci sia un principe azzurro ad aspettarti. Dovrai accontentarti di me!
Se farai la brava e parlerai sarò buono con te, altrimenti diventerò molto, ma molto cattivo.”
“Dov’è mio padre, è morto? E mia madre?”
“Quante domande! Purtroppo non posso risponderti, ma sia ben chiaro che d’ora in poi le domande potrò farle solo io. Tu dovrai limitarti a rispondere.”
L’uomo si alzò e si avvicinò ad un tavolo. Sydney intanto si guardò attorno: dall’altra parte della stanza c’era una porta. Quella era l’unica via d’uscita, non c’erano finestre.
L’uomo tornò vicino a lei, si mise seduto e le mostrò delle tenaglie.
“Se non risponderai potrei farti molto male con queste. Per chi lavori?”
Sydney non aprì bocca.
“ Te lo ripeto: chi ti ha mandato nel laboratorio di Phang?”
Di nuovo Sydney tacque.
“Bene, vedo che sei una ragazza ostinata. Credo che comincerò dai molari, non vorrei rovinarti il tuo bel sorrisino! Anzi no, ci ho ripensato, meglio una piccola punturina. Magari con quella ti deciderai a parlare.”
Il grassone si riaccostò al tavolo, prese una siringa e la riempì con il “Siero della verità”.
Nel frattempo Sydney tentò di slegarsi i polsi. Afferrò con due dita uno dei pendagli del suo braccialetto e con quello iniziò a segare la corda.
L’uomo di Phang si avvicinò nuovamente a lei, ma stavolta, quando fu abbastanza vicino, Sydney lo colpì alla testa con la sua. Quello indietreggiò un po’ stordito.
In quel frangente Sydney ne approfittò per slegarsi, ma fu di nuovo costretta a fermarsi. Questa volta il suo avversario riuscì ad iniettarle il siero.
“Spero che ora mi vorrai dire per chi lavori.”
Sydney si sentiva stordita, ma era ben decisa a non parlare.
Bussarono alla porta. Entrò un uomo che Sydney identificò come Cho Yun Phang.
Il maggiore parlò con il suo subalterno in vietnamita. Sydney non capì molto, ma finalmente riuscì a liberare le sue mani. Phang uscì dalla stanza e l’altro si riavvicinò alla prigioniera.
Sydney afferrò un’altra siringa e la conficcò nel braccio dell’uomo, liberò anche i piedi; l’uomo affaticato buttò via la siringa e tentò di fermarla.
Iniziò tra i due un lungo scontro: uno sferrava un pugno a cui l’altra subito rispondeva, calci, gomitate che volavano in aria. Alla fine Syd ne uscì vittoriosa. Il vietnamita giaceva a terra svenuto con il labbro sanguinante ed il naso e gli occhiali rotti. Sydney lo legò alla sedia e poi uscì con aria guardinga dalla stanza: doveva recuperare le testate biologiche; sicuramente gli uomini di Phang le avevano ritrovate vicino a lei.
Sentì dei passi, si nascose dietro un angolo. Due guardie passarono senza accorgersi di nulla.
Proseguì tra quei corridoi senza una meta. Improvvisamente vide una porta sulla quale erano incisi dei caratteri. Sydney non sapeva parlare il vietnamita molto bene, ma lo sapeva leggere e comprendere. Sulla porta era incisa la scritta “Laboratorio”.
Syd scassinò la porta, entrò e si guardò intorno. Dove potevano averle nascoste? Ispezionò ogni singolo metro quadrato di quella stanza. Trovò di tutto: Phang non possedeva solo delle armi biologiche, ma coltivava molti virus e conduceva esperimenti ipertecnologici.
Vide un’altra porta, era aperta. Entrò. Ecco il cubo di Marshall. Lo prese e si affrettò ad uscire, prima però prese qualcosa con cui difendersi nel caso la stessero cercando.
I corridoi erano deserti e, a quanto pareva, non c’erano neanche delle telecamere. Sydney premette lo stesso la spilla di Marshall, fortunatamente l’aveva ancora con lei.
Trovare l’uscita non fu difficile. Finalmente poteva tornare a casa, anche se questa volta non avrebbe trovato nessuno ad aspettarla.


Durante il volo di ritorno Sydney era agitatissima. Ora era davanti la sua porta di casa. Infilò la chiave nella toppa, due giri ed entrò. Accese la luce. Nessuno che gridasse dalla cucina o dallo studio: “Sydney, sei tu?”. Nessuno che si alzasse in piena notte per sapere com’era andato il viaggio e per aiutarla a disfare i bagagli. Nessuno che chiamasse dal lavoro per salutarla. Nessuno. Ora era sola.
Si chiuse la porta alle spalle, appoggiò la borsa sul tavolo, si sfilò il cappotto, si buttò sul divano, afferrò un cuscino e stringendolo tra le sue braccia pianse a lungo.
Dopo essersi sfogata abbastanza prese un fazzolettino e si asciugò le lacrime che le rigavano il volto. Solo allora iniziò a pensare ai mille ostacoli che avrebbe dovuto superare. Che avrebbe detto a Sloane? Tutta la verità o avrebbe nascosto qualcosa? E la CIA? Doveva andare lì e spifferare tutto? Avrebbe saputo mentire, se necessario, ma che avrebbe raccontato ai suoi amici quando le avrebbero chiesto che fine avessero fatto i suoi genitori? Di certo non poteva rivelare a Francie e Will o ai vicini di casa che sua madre era una spia russa e che suo padre non lavorava in banca, ma era un agente doppiogiochista. Non sapeva neanche lei se fossero vivi o morti ed allora tutto per lei era confuso. Si disse che ci avrebbe pensato l’indomani, ma il tempo passò velocemente.


Il sole che entrava dalla finestra del salone ferì gli occhi di Sydney. Si risvegliò molto lentamente. Quella notte aveva dormito malissimo. Si era addormentata solo verso le cinque e mezza.
Vide l’orologio: le sette. Si mise in piedi, si fece una doccia, prese le sue cose ed uscì.
Era una calda giornata invernale californiana, ma il suo cuore era gelido.
Non appena entrò all’ SD-6, si accorsero che qualcosa non era andata per il verso giusto. Dixon provò a farla parlare, ma Sydney neanche si accorse di lui. Andò diritta verso l’ufficio del capo e fece irruzione.
“Devo parlarle.”- mormorò Sydney sbattendo il cubo contenente le testate biologiche sulla scrivania di Sloane.
“Hai una faccia sconvolta, che è successo?”
“Ci sono stati degli imprevisti.”
“Che genere di imprevisti?”
“La missione stava procedendo bene, io e papà avevamo quasi finito quando è entrata lei.”
“Lei chi?”
“Mia madre. Quella non era una semplice donna, era una spia come noi.”
Sydney raccontò tutto l’accaduto a Sloane: le rivelazioni di sua madre, l’esplosione, la sua cattura ed il ritorno a casa. Omise solo un piccolo particolare: le rivelazioni sul vero ruolo di suo padre, fece finta di non sapere nulla.
Sloane ne fu sconvolto. Infondo aveva perso il suo migliore amico e uno dei suoi uomini migliori.
“Ma ora, sì, insomma, non si sa nulla di cosa sia potuto accadere a loro due?”
“No, so solo che sono viva per miracolo, ma avrei preferito morire piuttosto che trovarmi in questa situazione.”
“Capisco che non può ridarti ciò che hai perso, ma se può consolarti sappi che Emily ed io saremo a tua disposizione quando vuoi. Io non sono molto bravo per certe cose, ma passare un po’ di tempo con Emily credo che ti sarà d’aiuto.”
“Grazie, apprezzo molto questo gesto.”
“Ovviamente a lei non diremo la verità, come non la dirai ai tuoi amici. Inventeremo qualcosa che possa essere credibile.”
“Certo.”
“Sei stata coraggiosa a continuare ed a non arrenderti. Prenditi tutto il tempo che vuoi, ti farà bene riflettere un po’.”
“Sì, credo che un po’ di vacanze mi faranno bene.”
Sloane abbracciò Sydney.
Ora lei odiava quell’uomo, ma doveva ammettere che in quel momento era stato d’appoggio.
Se ne andò dall’SD-6 e non ci rientrò per almeno una settimana.

Ora doveva compiere un altro passo importante. Stava pensando a quello che avrebbe dovuto dire, quando un tizio attraversò la strada. Pestò il piede sul freno, la macchina si fermò appena in tempo.
“Ma vuoi stare più attenta quando guidi! A certe persone dovrebbero togliere la patente!”
“Ehi, non ti scaldare tanto, mi dispiace, ma no ti avevo davvero visto.”
Il tale proseguì per la sua strada scuotendo la testa. Lo guardò bene. Avrà avuto sì e no la sua età. Il semaforo diventò verde, rimise in moto e partì.

L’ingresso della Central Intelligence Agency, ovvero la CIA, era molto affollato.
Sydney si diresse verso il bancone e, rivolgendosi alla segretaria, disse: “Devo parlare con Devlin”. La segretaria la portò al quinto piano e le ordinò di attendere lì.
Dopo un bel po’ di attesa ed essere stata mandata da un ufficio all’altro come un pacco postale, Sydney approdò finalmente nell’ufficio dell’agente Michael Vaughn.
“Salve, sono l’agente Vaughn, e questo è l’agente Weiss.”
“Piacere, ”- replicò Syd porgendo la mano- “ sono Sydney Bristow.”
“Bene, per cominciare mi dica per quale motivo è qui.”
“Sarà la quinta volta che lo ripeto: intendo far parte della CIA.”
“E quale sarebbe il motivo?”
“Voglio distruggere l’SD-6.”
“L’SD-6?”
“Sì, è un nucleo che lavora contro il governo e che si finge una cellula segreta della CIA.”
“Ora mi è più chiara la faccenda. E chi ci assicura che non l’abbiano mandata loro?”
“Nessuno.”
“Dovremo fidarci, allora.”
Vaughn prese dei fogli e li porse a Sydney.
“Su questi fogli dovrà scrivere tutto quello che sa sull’SD-6 ed altre cellule che lavorano contro gli Stati Uniti. Ha tutto il tempo che vuole, se questi fogli non le dovrebbero bastare, sull’altra scrivania ce ne sono degli altri. La lasciamo da sola. Weiss…”
I due agenti uscirono, Sydney si mise subito a scrivere.
“Tosta la ragazza!”- esclamò Weiss.
“Non ci posso credere, è lei quella pazza che poco più di un’ora fa stava per investirmi!”
“Bell’incontro. Beh, sapremo subito se è sincera. Quella stanza è piena zeppa di telecamere nascoste e microfoni, se solo farà un passo falso, sarà praticamente fritta.”
Passò all’incirca un’ora, poi Vaughn e Weiss fecero il loro ingresso nell’ufficio.
Sydney consegnò loro una decina di fogli.
“Quando avrò una risposta?”
“Al più presto.”
“E come farete a contattarmi?”
“Un modo lo troviamo sempre.”
Il cellulare di Weiss squillò.
“Scusate.”- disse Weiss ed uscì dalla stanza.
“Senta, ”- riprese Sydney- “ mi dispiace per prima, non avevo davvero intenzione d’investirla.”
“Non si preoccupi, anzi sono io che mi dovrei scusare: sono stato molto sgarbato. Credo che aveva ben altro da pensare. Mi dispiace per suo padre.”
“Lo conosceva?”
“Sì, ma solo di vista. Non ho mai lavorato con lui, ma so che era uno dei migliori.”
“Peccato che non l’abbia scoperto prima quanto fosse eccezionale. Per me era un ottimo padre, ma ora mi accorgo che in realtà la situazione era ben diversa… Ora mi scusi, ma posso andare?”
“Certo! Se la chiamano e cercano una pizzeria siamo noi.”
“Ok. Arrivederci.”
“Arrivederci.”
I due si strinsero la mano e poi Sydney se ne andò via.
Sentiva di aver fatto la cosa giusta.


Tornata a casa, una tristezza l’assalì. Afferrò il telefono e compose il numero di Will.
Dall’altra parte rispose un nastro con la solita tiritera: “Risponde la segreteria telefonica di Will Tippin, in questo momento non sono in casa, se volete, lasciate un messaggio dopo il biiip.”
Provò sul cellulare: era acceso.
“Pronto!”
“Pronto Will, ciao sono Sydney.”
“Ciao Syd, finalmente sei tornata!”
“Will, ho bisogno di parlarti.”
“E’ successo qualcosa?”
“Potremmo vederci subito?”
“Sì, sì, certo, ma che…”
“Perfetto, allora ci vediamo tra un’ora da te? Va bene? Non mi va di stare a casa mia.”
“Ok, va bene.”
Sydney riattaccò la cornetta.
“Ti ringrazio Will, a tra poco.”- mormorò Will sconcertato dall’altro capo e sospirò.

Dopo un’ora Sydney si trovava davanti alla porta di Will. Attese qualche secondo, prese forza e suonò il campanello.
Dopo qualche istante la porta si aprì.
“Ciao Will.”- Sydney pronunciò quelle parole piano, come se non dovesse farsi sentire da qualcuno.
“Forza, entra”- rispose dal canto suo Will.
“Scusa per prima, ma non sapevo proprio chi chiamare.”
“E allora c’è il caro Will… Vieni, siediti e dimmi quello che succede.”
I due amici si accomodarono l’uno vicino all’altra sul divano.
Sydney iniziò a raccontare al suo amico tutta la storia, ma condita con qualche bugia qua e là.
Affermò che i suoi erano andati a fare un viaggio in Canada e che la loro macchina era caduta in un fiume, ma che i corpi non erano stati ritrovati.
Will abbracciò la sua amica, era dispiaciuto per aver fatto il sarcastico in un momento del genere. Le parlò e le raccontò come si era sentito quando suo padre era morto alcuni anni prima.
“C’è voluto del tempo prima che mi riprendessi del tutto: ero triste ogni due secondi, ma dovevo consolare mamma e mostrarmi forte almeno con lei. Lo sai quanto era depressa, no?”
“Già. Sai, solo lo stare in quella casa mi fa sentire triste da una parte e dall’altra impotente perché non ho potuto fare nulla per salvarli.”
“Come avresti potuto? Tu eri dall’altro capo del mondo! Quella maledetta banca! Dovresti lasciare quel lavoro!”
Sydney pensò a quanto avesse ragione Will.
“Credo che per un po’ dovrei trasferirmi da qualche altra parte. Pensi che Francie sarebbe disposta ad ospitarmi?”
“Certo, ma perché non vieni a stare qui?”
“Sì, così i vicini penserebbero che siamo fidanzati!”
“E tu lasciaglielo pensare!”
Si guardarono e risero. In realtà uno di loro due pensava davvero quello che aveva detto.
“Ti ringrazio Will, ma credo che sia meglio la casa di Francie e poi è più vicina sia alla banca sia all’università.”
“Va bene. Lo hai detto a lei?”
“Ancora no, domani cercherò di parlarle. Penso che anche a lei faccia piacere un po’ di compagnia. Sai, con Charlie ultimamente non va poi tanto bene”
Parlarono ancora per un po’, poi Sydney si addormentò sul divano. Quella era stata una giornata molto stressante. Will la sistemò, la coprì con una coperta e la fissò a lungo. Aveva un aspetto così angelico!

Erano passati alcuni giorni ormai.
Sydney si era trasferita da Francie lasciandosi alle spalle un pezzo della sua vita.
In quel momento si trovava in soggiorno. Durante quella settimana aveva ripreso a studiare qualcosa, aveva quasi trent’anni e si trovava allo stesso livello di altri ragazzi più giovani, quindi era meglio sbrigarsi con la laurea.
Il suo cellulare squillò. Chiuse il libro dimenticandosi completamente degli affari di cuore di Miss Lucy Honeychurch.
“Pronto?”
“Salve, Pizza pizza? Vorrei una ruchetta e salvia al 555 di Percy Street.”
“Ha sbagliato numero.”
“Oh, mi scusi.”
Quello era il segnale e l’indirizzo. Finalmente l’agente Vaughn le avrebbe dato il responso.


Il 555 di Percy Street non era un gran bel posto, ma di certo era sicuro. Non girava un’anima neanche a pagar oro! Non li avrebbe visti nessuno.
Aprì la pesante porta metallica, la richiuse, salì le scale e si trovò in una vasta camera vuota.
“Finalmente è arrivata.”- la voce proveniva da qualcuno che si trovava alle sue spalle.
Syd si girò.
“Allora?”
“E’ dei nostri.”
“Bene.”
“Ora però devo illustrarle alcune regole, non sono molte, ma è meglio rispettarle.”
“Ok, sentiamo.”
“Innanzi tutto sarebbe meglio darci del tu, visto che sarò io la tua guida.
Per te sarò una sorta di tutor: t’illustrerò le contromissioni, ti darò dritte e consigli.”
”Fin qui sembrerebbe semplice.”
“Quando riceverai una missione per l’SD-6, dovrai scrivere tutto su un sacchetto della spesa e poi gettarlo in un cestino della spazzatura da noi indicato. Se ti chiamano cercando una pizza, siamo noi. Significa che abbiamo bisogno di parlare urgentemente con te. E poi non dovrai parlare con nessuno del tuo impiego alla CIA, ma credo che questa regola tu già la conosca.”
“Va bene Vaughn, è tutto chiaro.”


Sydney approfittò del suo ultimo giorno di ferie per passare fare compere con Francie.
Avevano girato la città in lungo e in largo e finalmente, scesa la sera, erano tornate a casa cariche di pacchi e pacchetti di ogni forma e colore.
“Grazie Francie.”
“Grazie di cosa?”
“Finalmente sono riuscita a svagarmi un pochino dopo molto tempo.”
“Lo stesso vale per me. Ero rimasta intrappolata troppo a lungo nella routine quotidiana e oggi sono riuscita a liberarmi.”
Mentre stavano preparando una squisita cenetta a base di verdure a frutta di ogni genere, arrivarono a parlare di Will.
“Davvero un caro ragazzo.”- iniziò Francie, quasi scherzando.
“Bhè, se lo dici con quella voce da nonnina, non so davvero quanto si possa crederti!”
“Dico sul serio. E’ sempre pronto a giungere dappertutto se ti serve aiuto: una spalla su cui piangere, un confessore migliore del reverendo Brown… dove lo trovi un altro così!|”
“Will è il mio più caro amico, lo conosco da quando eravamo poco più alti di un soldo di cacio.”
“Ecco, questo è il punto.”
“Non proprio riesco ad afferrare ciò che intendi dire.”
Francie si voltò con uno sguardo molto eloquente.
“Senti, non dovrei essere io a dirtelo, ma apri gli occhi! Non ti accorgi che Will è innamorato di te?”
“Cosa?!Te lo ha detto lui?”
“No, ma è evidente!”
La faccia di Sydney si oscurò. Aveva sempre considerato Will come un amico, quasi un fratello. Le sembrava impossibile che provasse un tale sentimento per lei.
Francie si avvicinò.
“Ho sbagliato a dirtelo, non dovevo impicciarmi. Quando imparerò a tenere a freno la lingua? E’ per questo che con Charlie è finita.”
“E’ finita? Quando?”
“Veramente non è mai iniziata!”

Il giorno seguente Sydney tornò al lavoro.
Le venne incontro Dixon.
“Ciao Sydney. Come ti senti?”
“Un po’ meglio grazie. Ah, ringrazia Diane da parte mia, il dolce era squisito.”
“Concordo! Sloane voleva vederci, ha indetto un briefing.”
“Cominciamo bene!”
I due si avviarono verso la Sala riunioni. All’interno ad aspettarli c’erano Sloane e Marshall.
“Buongiorno. Bentornata Sydney.”- Sloane pronunciò quelle parole con un’allegria fin troppo eccessiva.
“Grazie.”- rispose educatamente la ragazza accomodandosi sulla poltroncina.
“Bene, dopo lunghi esami, giù al laboratorio, sono riusciti ad utilizzare l’ampolla che avete recuperato ad Ilford. Uno dei documenti parla di una potente arma che ha progettato Rambaldi. Un’arma futuristica per i suoi tempi, ma non c’è da stupirsi.”- accese lo schermo e stavolta apparve un lussuoso hotel - “ Il Mumbo Inn, si trova a Tavua sull’isola di Viti Levu nelle Figi. L’hotel è di proprietà di Jaques Delacroux, un influente malavitoso locale. Secondo i nostri informatori, nel suo computer ci sarebbe un elenco dei principali collaboratori del Direttorio K. Marshall…”
“Salve, buongiorno! Allora, il computer di Delacroux è dotato di un potente sistema di sicurezza, ma voi riuscirete a superarlo. Per accedere al file in questione c’è bisogno di una password vocale.”
Marshall afferrò un abbronzante.
“Quando si va al mare bisogna proteggersi dai raggi solari e quindi si usa un abbronzante, ma questo è dotato di un piccolo registratore che permetterà di trasmettere ad un computer la voce di Delacroux e di riprodurla. Per quanto riguarda la parola che funge da password, basterà sovrapporre questo microchip” –poggiò sul tavolo l’abbronzante ed afferrò il chip - “al microfono e la otterrete.”
Sloane riprese la parola.
“Grazie Marshall. Sydney, tu fingerai di essere una delle ospiti dell’albergo. Partirete tra cinque ore.
Nessun problema?”
“Sì, uno.”- intervenne Sydney- “Come farò a riconoscere Delacroux?”
“Già, che sbadato! Questo”- apparve una foto sullo schermo- “ è Jaques Delacoux.”
Tutti si alzarono ed uscirono dalla Sala riunioni.


Sydney era a casa. Stava preparando la valigia. Francie entrò nella stanza.
“Parti?”
“Hum!”
“Questa volta dove ti spediscono?”
Spediscono era la parola più adatta pensò Sydney.
“A San Diego per un paio di giorni.”
“Allora fai bene a portarti il costume.”
“Dubito che troverò del tempo per indossarlo, ma in ogni caso lo porterò.”
“Volevo dirti che mi dispiace per essermi immischiata in cose che non mi riguardano.”
“Invece, stavolta, hai fatto bene. Sai, non mi ero proprio accorta di nulla. Credo che quando sarò tornata parlerò con Will.”
“Vacci cauta, mi raccomando.”
Il telefono squillò.
“Pronto?”- rispose Sydney.
“Pronto? E’ Magic Pizza?”
“No, ha sbagliato numero.”
Sydney riagganciò.

*** Flashback***
Uscita dall’SD-6, Sydney si era diretta nel parco alle spalle di Park Avenue.
Trovata una panchina isolata, si mise a scrivere su un sacchetto, addentando di tanto in tanto un tramezzino prosciutto cotto e maionese. Finito il tramezzino, si alzò, accartocciò il sacchetto e lo gettò in un cestino.
Poco dopo, un uomo travestito da barbone si avvicinò al cestino della spazzatura e recuperò il sacchetto. Una mezz’ora dopo, un rapporto dettagliato era sulla scrivania di Vaughn.
***Fine flashback***

Vaughn attendeva Sydney in un hangar già da un quarto d’ora. Finalmente la vide arrivare.
“Scusa se ci ho messo tanto.” – si scusò la ragazza.
“L’importante è che sei arrivata. Dunque, dopo aver scaricato il file dal computer di Delacroux, dovrai andare alla stanza 306, si trova sullo stesso piano. Lì troverai un nostro uomo che duplicherà il dischetto. Sai per caso chi cerca in particolare Sloane?”
“Non ne ho la più pallida idea.”
“Per questa volta consegneremo all’SD-6 quello che si spetta. Tutto chiaro?”
“Chiarissimo.”
“Come stai?”
“Bene, grazie.”
“Bene lo si dice a qualcuno che si vuole evitare.”
“Non cerco di evitarti, ti ho detto solo la verità.”
“Ok, scusa. Fai buon viaggio!”
“Grazie. Ci vediamo giovedì.”
“A giovedì, allora.”
Sydney uscì, salì in macchina e si diresse all’aeroporto dove Dixon la stava aspettando.

Una bella ragazza dai lunghi capelli biondi con punte blu stava avanzando a bordo piscina. Indossava un bikini rosso con dei fiori hawaiani bianchi stampati sopra ed un pareo coordinato. Camminava con eleganza scrutando le persone che le stavano attorno da dietro un paio di occhiali scuri.
“Lo hai visto Syd?”- chiese Dixon. La voce proveniva dall’auricolare che Sydney aveva nell’orecchio.
“Non ancora.”- rispose Sydney, avvicinando la bocca all’orologio mentre scostava una ciocca di capelli dal volto.
In quel momento fece la sua comparsa un bell’uomo castano sulla quarantina. Si andò a sdraiare là vicino.
“L’ho avvistato.”- mormorò Sydney.
La ragazza gli si avvicinò e si sdraiò accanto a lui. Tirò fuori dalla borsa trasparente l’abbronzante e ne spruzzò un po’, facendolo cadere sul costume dell’uomo.
“Oh, mi scusi! Sono davvero desolata!”- disse Sydney con fare occhieggiante, mentre poggiava l’abbronzante sulla sdraio.
“Non si preoccupi, ad una bella ragazza come lei si può perdonare questo ed altro.”
“Grazie!”- Sydney tese la mano-“ Sono Jane Taylor. E lei è…”
“Jaques Delacroux.”
“Ma lei allora è il proprietario di questo magnifico hotel.”
“Sono contento che si trovi bene. Mi chiedo se gradirebbe un drink.”
“Sarei davvero felice, ma devo proprio andare.”- Syd guardò l’orologio - “Tra meno di cinque minuti mi chiamerà il mio capo.”
“Sarà per un’altra volta.”
Sydney sorrise, riprese l’abbronzante e la borsa e tornò in albergo.
Passando per la hall vide Dixon seduto su uno dei divani con il suo computer portatile acceso. Il compagno le fece un cenno con la testa: era riuscito a registrare tutto l’alfabeto fonetico.
Sydney salì con l’ascensore al terzo piano. Si diresse verso la suite 318, l’abituale stanza del capo, ed aprì la porta con una forcina che aveva nei capelli. Appena entrata si guardò attorno e vide il computer, fortunatamente era in standby, così non avrebbe perso tempo per accenderlo.
“Dixon, mi senti?”
“Sì, il file si trova nella cartella “Contatti”.”
Sydney aprì la cartella e posizionò il microchip sul microfono.
“Sydney, la password è delfino.”
Sydney pronunciò la parola e la sua voce venne automaticamente trasformata in quella ben più grave di Delacroux.
“Dixon vado in silenzio radio.”
“Va bene.”
Sydney copiò il file sul dischetto, risistemò il computer come l’aveva trovato, chiuse la suite e si diresse verso la stanza 306. Bussò tre volte in modo cadenzato.
La porta si aprì e Sydney entrò velocemente.
“Salve Agente Bristow, sono l’agente Roscoe.”
“Piacere. Ecco il dischetto.”
Roscoe prese il dischetto ed iniziò a duplicarlo.
“Ci vorrà tanto?”- domandò Sydney.
“Ancora trenta secondi.”
5,4,3,2,1…
“Fatto!”- esclamò Roscoe e riconsegnò l’originale a Sydney.
Non appena fu uscita dalla 306, Sydney riaccese il collegamento radio.
“Sydney, Delacroux sta salendo.”
“Ascensore o scale?”
“Scale.”
Sydney chiamò l’ascensore. Non era ancora arrivata quando sentì dei passi provenire dalle scale.
“Accidenti!”
Sydney si nascose dietro un angolo. Delacroux entrò nella sua suite e così lei poté finalmente andare via.

“Ciao Syd! Sei appena tornata?”
Will fece irruzione nella camera di Sydney. Lei stava rimettendo a posto le sue cose tirandole fuori dalla valigia.
“Ehi, voi due?”- urlò Francie dal piano di sotto- “Io esco, sarò a casa tra un’ora.”
“Va bene.”- urlò di rimando Sydney.
Si sentì la porta di casa sbattere.
“Allora, com’è andato il viaggio a San Diego?”- tornò alla carica Will.
“Una noia mortale. Due giorni di conferenze assolutamente soporifere.”
“Immagino!”
Sydney si girò di scatto, come folgorata da una brillante idea.
“Will, tu cosa provi per me?”
Will divenne un po’ colorito in volto, poi con aria stralunata chiese:
“Che intendi dire?”
“Non è difficile: cosa provi per me sinceramente?”
“Ti voglio bene.”
“Questo lo so.”
“E allora che me lo domandi a fare?”
“So che mi vuoi bene, e te ne voglio anch’io, ma in che modo mi vuoi bene: come un’amica, una sorella…?”
“Beh, sei la mia migliore amica.”
“Will, ti ricordi quella sera al mare?”
“Sì.”
“Tu cercavi di dirmi qualcosa. Ci ho ripensato, sai? Ma non ci sei riuscito. Ti offro una seconda possibilità. Avanti, apri il tuo cuore.”
“No, un attimo, mi sono perso qualcosa. Vuoi che ti apra il mio cuore?”
Sydney fece cenno di sì col capo.
“E va bene! Io soffro Syd, soffro perché ogni volta che tu mi chiami o mi parli affermi che io sia il tuo migliore amico, ”-il tono della sua voce si alzava sempre più-“ soffro perché tu mi tratti come un confessore, soffro perché mi tratti solo e soltanto come un fratello. Fino a poco tempo fa questo mi bastava, ma ora non più. Io ti amo, lo vuoi capire Syd? L’ho detto, finalmente ci sono riuscito, non posso crederci. Che figura!”
“Ehi Will…”
Will la interruppe.
“No aspetta non dire nulla.”
“E invece parlo. Hai fatto bene a sforgarti. La situazione mi era sfuggita di mano, non riuscivo più a capire certi tuoi comportamenti, poi Francie…”
“Lo sapevo, non le si può dire nulla!”
“Aspetta, Francie non mi ha detto nulla, mi ha solo aperto gli occhi. Io non so precisamente ciò che provo per te. Questo è stato un periodo molto difficile, lo sai, ed il mio animo è ancora scombus-solato. Devo pensarci Will, poi saprò darti una risposta.”
“Io non ti chiedo una risposta, vorrei solo che tutto tra noi tornasse come prima.”
“Questo sarà molto difficile, ma vedrai tutto si sistemerà.”
Will sorrise, poi prese la giacca e se ne andò.

“Posso farti una domanda?”
Vaughn aveva convocato Sydney per discutere dell’esito della missione e di ciò che la CIA aveva scoperto.
“Se non richiede una risposta molto articolata, sì.”- rispose Vaughn.
“Perché voi uomini ci mettete tanto ad esternare i vostri sentimenti?”
“Richiede una risposta articolata! A parte questo non saprei risponderti, non mi chiamo mica Freud. Perché me lo hai chiesto?”
“Vedi, una mia amica ha un problema con il suo migliore amico. Lei credeva che fossero solo amici, poi ad un tratto si accorge che qualcosa è cambiato e così, all’improvviso, il suo migliore amico le dice che la ama.”
“Storia complicata!”
“Molto.”
“Beh, dì alla tua amica”- Vaughn pose molto l’accento su quel termine - “che magari il suo amico si è svegliato solo ora perché era intimorito da lei.”
“Intimorito? Ma io, cioè…lei non è una persona che incute timore.”
“Magari per lui sì.”
“Glielo dirò, grazie. E’ utile il parere di chi sta dall’altra parte.”
Sydney se ne andò mentre Vaughn rideva sotto i baffi.

Il lavoro era sempre frenetico all’SD-6. Sloane aveva indetto un altro briefing.
“Buongiorno a tutti! Il file che avete recuperato alle Figi ci è stato molto utile. Abbiamo l’impressione che dietro al Direttorio K ci sia un’organizzazione criminale ben più pericolosa e che il Direttorio K sia solo una copertura. Molti dei contatti di Delacroux sono ex-agenti del KGB, gli stessi che hanno contatti con Khasinau. Sospettiamo che l’artefice di tutto ciò sia proprio lui.
La prossima missione si svolgerà a Budapest.”
Sloane aveva appena confermato tutto ciò che Vaughn aveva anticipato a Sydney; almeno questa volta era sincero.
Sullo schermo apparve una foto: un uomo dai capelli biondi, quasi bianchi, vestito distintamente.
“Ferenc Nemecsek, rettore della facoltà d’Antropologia all’Università di Scienze Mediche.
Il tuo alias”-disse Sloane rivolgendosi a Sydney-“ sarà Esther Csele, una giornalista: dovrai fare un’intervista a Nemecsek ed entrare nel suo ufficio. Là dovrai cercare un manoscritto di Rambaldi.
Stavolta partirai da sola, Dixon sarà qui a darti delle indicazioni. Marshall…”
“Salve! Una giornalista come si deve ha sempre con sé una macchina fotografica”- Marshall, intanto, ne prese una dal tavolo- “Bella, vero? Ultimo modello, solo che questa è speciale. Dall’obiettivo fuoriesce, premendo questo pulsante, un potente gas soporifero: può durare due ore, quindi tutto il tempo necessario per recuperare ciò che cerca. Ah, a proposito di foto, ne potrebbe fare qualcuna per me?”
“Marshall, ha finito?”- chiese Sloane, alquanto arrabbiato.
“Sì, signore, scusi.”
Tutti uscirono.

“Buongiorno! Sono Esther Csele dello Scientific Journal.”
Sydney tese la mano a Ferenc Nemecsek. Si era messa una parrucca color rame che arrivava alle spalle ed un paio di lenti a contatto verdi smeraldo. Il suo aspetto era molto gradevole e Nemecsek lo notò subito.
“Buongiorno, prego, accomodiamoci pure nel mio studio per l’intervista.”
Nemecsek fece strada. Entrarono e si accomodarono su due poltrone antistanti alla scrivania, l’uno di fronte all’altra.
“Allora, prima di iniziare con l’intervista vorrei farle una foto.”
“Ma prego, scatti pure.”
Sydney prese la macchina fotografica, guardò nell’obiettivo e scattò. Nemecsek cadde in un sonno profondo. Sydney si alzò ed iniziò a cercare. Controllò nei cassetti, nell’archivio, nel computer e tra i libri, ma proprio mentre stava cercando nella libreria, dopo aver mosso “Guerra e pace”, si aprì davanti a lei un passaggio segreto. Uno studiolo apparve ai suoi occhi. Sydney entrò subito e scorse un foglio immerso in una bacinella: era il manoscritto. Syd tirò fuori della borsa un paio di pinzette con cui tirò fuori di lì il manoscritto, poi lo depose su una speciale carta. Prese una mini-macchina fotografica ed iniziò a scattare foto al manoscritto: quella era la sua contromissione. Il foglio, dopo tutte quelle foto, si era asciugato e così lo mise accuratamente nella sua ventiquattrore. Uscì lasciando addormentato Nemecsek.

“Ecco le foto.”
Sydney le porse a Vaughn che le esaminò.
“Sono un bel po’, meglio almeno abbiamo più informazioni. Hai fatto un bel lavoro.”
“Non sai quanto pesasse la mia borsa: avevo la finta macchina fotografica, quella di Marshall-mi aveva chiesto delle foto della città per la madre-e quella mini. Menomale che non ho sbagliato a scattare le foto!”
“Senti, la tua amica come va col suo migliore amico?”
“Crede di aver capito quello che prova.”
“E glielo ha detto?”
“Ancora no, ma lo farà presto.”

Sydney si trovava in soggiorno con Francie.
“Come ti senti? Ti vedo un po’ affaticata ultimamente.”- disse Sydney all’amica.
“Affaticata, sì.”
“Francie tu sai che puoi dirmi tutto, vero? Mi nascondi qualcosa?”
“Sono incinta.”- il tono di voce di Francie era chiaro e deciso, un tono che non accettava repliche.
“Ma…quando? Charlie cosa ha detto? Perché glielo hai detto, vero?”
“Charlie non sa niente.”
“E quando pensi di dirglielo?”
“E tu quando pensi di chiarirti con Will?”
“Ok, non sono affari miei, hai ragione, ma io sono tua amica e le amiche esistono per dare consigli e confortare nei momenti difficili.”
“Charlie è così… sprovveduto ed io lo sono ancora di più.”
“Tu ami Charlie.”
“Questo è vero, ma dubito che lui provi un sentimento sincero per me e non voglio che questo bambino sia solo un pretesto per legarlo a me.”
“Ti rendi conto che questo bambino ti cambierà la vita?”
“Sì, lo so benissimo.”- Francie sorrise, poi riprese a parlare- “Ho sempre sognato una famiglia numerosa ed un marito con cui invecchiare, ma tutto ciò sta accadendo così in fretta…”
“Ehi, non ti preoccupare. Ci sarà sempre la “zia” Syd ad aiutarti!”
“Grazie, non saprei proprio che fare senza di te!”

“Cosa avete scoperto riguardo al manoscritto?”
“E’ molto interessante. I nostri cervelloni ci hanno impiegato un po’ per capire, ma alla fine ci sono riusciti.”
Sydney e Vaughn erano nel solito luogo segreto a parlare di lavoro.
“E allora?”
“Si tratta di una profezia legata alla Pagina 47.”
“La Pagina 47? Che cos’è?”
“Non lo sappiamo, non ne siamo in possesso e nemmeno l’SD-6. In ogni caso la profezia afferma che solo la donna raffigurata nella Pagina 47 può attivare l’arma.”
“Dobbiamo scoprire chi è.”

Dopo il colloquio con Vaughn, Sydney tornò all’SD-6. Appena la vide, Dixon le annunciò che Sloane aveva indetto una riunione speciale.
Seduto al suo solito posto, Sloane aveva una faccia cupa, preoccupata. Sydney lo aveva visto così solo in poche occasioni.
Stavolta alla riunione erano presenti solo Sydney, Dixon ed ovviamente Sloane.
“Abbiamo appena ricevuto un filmato via e-mail.”- disse il capo dell’SD-6- “Non era molto nitido, ma Marshall lo ha reso più visibile.”
Sullo schermo passarono vari fotogrammi raffiguranti, prima un palazzo, poi lo stesso edificio in fiamme.
Sloane riprese la parola:
“ Era la sede dell’ SD-5 a Tokio. Hanno messo una bomba, nessun sopravvissuto. Con il filmato c’era anche un messaggio.”
Sloane porse il foglio a Sydney e a Dixon.
Poche parole, ma chiarissime:
Smettete le ricerche su Rambaldi o farete la stessa fine.
Avete una settimana di tempo per arrendervi.

Slijuka Ahinuska

“Mettetevi subito al lavoro, dovrete scoprire chi è questo Ahinuska. Dobbiamo fermarlo.”
Sydney e Dixon uscirono dalla stanza e subito iniziarono a ricercare qualsiasi traccia di Ahinuska.
Sydney però era molto titubante, ricordava quel nome, ma non aveva presente dove lo avesse già sentito nominare.


Durante la pausa pranzo scrisse tutto sul solito sacchetto di carta e poi lo gettò nel cestino numero sette.
Alle otto arrivò una telefonata:
“Joey’s Pizza?”
“No, ha sbagliato numero.”

“Siamo davvero nei guai!”- esclamò Sydney, appena arrivata all’incontro con Vaughn.
“ Abbiamo controllato nome e cognome, ma non risulta nessuno che si chiami così alla CIA.”
“Ci ho pensato tutta la giornata ed alla fine mi sono ricordata. Non esiste nessuno con quel nome perché Slijuka Ahinuska è il protagonista di un’antica favola russa. Me la raccontava sempre mia madre quando era piccola. La favola narra di un contadino, Ahinuska appunto, che dona un uovo d’oro ai suoi tre figli. Il tutto si svolgeva in un paesino della Siberia: Kropotkni.
Slijuka Ahinuska deve essere per forza un nome falso, aspetta un attimo…ma certo, è un anagramma! Guarda bene.”
Sydney prese un foglietto dove iniziò a scrivere delle lettere.
“Iljuska Khasinau. Ma allora c’è lui dietro tutto questo!”- esclamò Vaughn.
“Lo conosco, Iljuska è il figlio di Alexander Khasinau. Secondo te, devo avvertire Sloane?”
“Il tuo obiettivo è distruggere l’SD-6 e non morire per essa, quindi penso che faresti meglio ad avvertirlo subito. Intanto noi controlleremo la zona di Kropotkni con il satellite. Ti avverto appena sappiamo qualcosa.”
“Va bene.”
Sydney se n’andò.

Sloane rimase sorpreso dell’immaginazione di Khasinau, ora si nascondeva anche dietro alle fiabe!
“Sydney, hai fatto un ottimo lavoro. Avverto subito Marshall, saprà lui come scovare la base a Kropotkni. Ora vai pure a casa, hai lavorato abbastanza per oggi.”
Sydney salutò Sloane e lasciò la sua casa. Avrebbe preferito non raccontargli nulla e mandare avanti la CIA, ma di certo non sarebbe diventata una martire dell’Alleanza.

“Fermo lì, se solo fai un passo, sei morto.”- Sydney teneva la pistola puntata contro Iljuska Khasinau. Si trovava a faccia a faccia con l’uomo che anni prima l’aveva già ingannata. Era accaduto durante una missione in Ucraina. Iljuska le aveva fatto credere di essere un agente sotto copertura dell’SD-6 ed era riuscito così, a soffiarle da sotto il naso un importante documento. Come se non bastasse le aveva anche rotto due dita.
“Chi si rivede! Allora non siete poi così stupidi come credevo!”- esclamò Iljuska con un tono molto sarcastico- “ Se siete qui significa che non avete abboccato al mio scherzetto, purtroppo per voi, però non otterrete nulla da me! Io sono solo il messaggero!”
“Un messaggero che vale molto però! E’ nel mio interesse non ucciderti, quello che accadrà, poi, non lo so. Dipende tutto da te!”
“Accipicchia che paura! Lo sai, quella divisa ti dona!”
Sydney aveva dovuto indossare una divisa militare russa per entrare in quella base.

***Flashback***
Sydney e Dixon si trovavano sul lato est della base che si trovava nel centro di una folta foresta di sempreverdi.
“Allora, ricapitoliamo il piano: io entro e disattivo il sistema di sicurezza, poi tu e gli altri entrerete.”
“Tutto chiaro.”- rispose Dixon.
Sydney salì sulla jeep e mise in moto. Dopo pochi metri si trovava al posto di blocco.
Rimase molto sorpresa quando non le fu chiesto nemmeno un documento di riconoscimento. Il soldato di guardia disse solo: “Ah, è lei, già di ritorno?”
A Sydney bastò semplicemente rispondere di sì. Le era sembrato molto strano, era tutto troppo facile, doveva esserci sotto qualcosa.
Scesa dalla jeep, Sydney entrò nella base e si diresse verso il lato nord: in quell’ala, infatti, si trovava il sistema di sicurezza centrale. S’intrufolò nella stanza ed iniziò a manomettere il sistema,
quando ebbe finito, accese il contatto radio:
“Dixon, ora potete entrare, io intanto vado avanti.”
Ma non fece in tempo a finire di percorrere il corridoio che un assordante allarme scattò.
Subito i corridoi si riempirono di guardie. Ne dovette affrontare più di una dozzina prima di riuscire ad arrivare nel luogo in cui era diretta. Anche Dixon e gli altri uomini dell’SD-6 ne dovettero affrontare un bel po’.
Finalmente Sydney era riuscita ad arrivare al secondo piano, interamente occupato dai laboratori.
Prima di partire, Vaughn le aveva illustrato dettagliatamente la pianta della base, così ora sapeva perfettamente cosa ci fosse in ogni singolo metro quadrato.
Sydney entrò nel primo laboratorio: era deserto. In compenso nel secondo l’attendeva una bella sorpresa: Iljuska Khasinau.
***Fine Flashback***

Sydney fece finta di non aver sentito.
“Dimmi dov’è la Pagina 47.”
L’SD-6 le aveva ordinato di rapire Khasinau, ma in quel momento le interessava solo la Pagina 47: quella era la sua contromissione. Alla CIA importava di più Rambaldi.
“E’ là.”
Sydney abboccò: si girò e nel frattempo Khasinau, con un calcio, la disarmò.
La situazione si era invertita: ora era lei a ritrovarsi con la pistola puntata contro la tempia.
“Bene, bene, credo che al mio capo interesserà rivederti!”
“Non ci tengo a rivedere tuo padre!”
“Povera illusa! Ora stammi a sentire e fa quello che ti ordino.”
“Mai!”
“Allora farai una brutta fine.”
Iljuska fece appena in tempo a finire la frase che si ritrovò con un braccio sanguinante e disarmato.
Per fortuna era arrivato Dixon.
“Ce ne hai messo di tempo!”- esclamò Sydney.
“Colpa di quegli energumeni. Ora”- disse rivolgendosi a Khasinau ed ammanettandolo- “tu vieni con me.” Poi vedendo Sydney che non si muoveva: “Sydney, che fai lì impalata?”
“Credo di aver perso una cosa, vai avanti ti raggiungo subito.”
“Va bene, ma sbrigati.”
Sydney fece finta di iniziare a cercare qualcosa per terra, poi quando Dixon fu uscito dalla stanza si mise alla ricerca della Pagina 47. La trovò quasi subito;poi la nascose nella divisa.

Era passato quasi un anno, era il 31 dicembre e Sydney stava per andare alla megafesta di fine anno organizzata da Francie. Quello per lei era stato un anno duro e pieno di sorprese.
Prima di andare al party, si fermò per qualche istante a ripensare a tutto ciò che era successo negli ultimi 365 giorni. Innanzitutto la scomparsa dei suoi, il suo lavoro di spia doppiogiochista , Will.
Già,Will, ci si era messo anche lui a complicarle la vita! Per fortuna si erano chiariti!

***Flashback***
Era una sera di fine febbraio, abbastanza calda rispetto al solito. Will e Sydney si erano seduti in veranda sorseggiando un bicchiere di buon vino rosso.
Dopo un imbarazzante silenzio, Sydney si decise a parlare:
“Will.”
Will si girò di scatto, come se stesse cascando dalle nuvole.
“Eh, sì.”
“Will, credo che sia arrivato il momento di parlare di…me, di te, di noi, insomma. Ci ho pensato e non credere che l’abbia fatto con leggerezza, mi sono guardata dentro ed ho considerato varie situazioni ed ipotesi e dopo tutto questo cercare, alla fine ho capito.”
“Syd, prima che tu mi dica ciò che hai capito, lascia che mi spieghi. Sappi che, anche se tra noi non nascerà nulla, io sarò sempre il tuo migliore amico.”
Vedi Will, quello che hai appena detto mi rende le cose un po’ più facili. Io ti voglio bene, ma non sono proprio riuscita a concepire un altro tipo di rapporto tra noi, se non quello di amici. Io ti voglio bene, ma non ti amo nel senso che vorresti. Mi dispiace, so che tu adesso soffrirai, forse anche più di prima, ma perché mentire? Dopo sarebbe stato peggio!”
“Vieni qui.”- disse Will allargando le braccia.
La strinse forte a sé e le sussurrò nell’orecchio: “Ti voglio bene anch’io.”
***Fine flashback***

Ma fortunatamente durante quell’anno c’era stato anche un evento felice…

***Flashback***
“Gli hai parlato?”- chiese Sydney a Francie.
“Sì, ho parlato con Charlie.”- rispose l’amica.
“E…?”
“Beh, all’inizio sembrava aver preso un po’ male la notizia, insomma non si aspettava di diventare padre così presto; così gli ho detto che non doveva sentirsi obbligato nei miei confronti. Poi però ci ha ripensato: si è profuso in mille spiegazioni, si è anche scusato perché secondo lui la colpa del fallimento del nostro rapporto, era solo sua. Ma quello che importa è che siamo tornati insieme per nostro figlio, ma anche perché ci amiamo.”
“Ma è meraviglioso! E dimmi che altro avete deciso di fare?”
“Beh, innanzi tutto ci compreremo una bella casetta più grande, probabilmente questa la venderemo, ma non ti preoccupare non dovrai fare subito le valigie, c’è tempo.”
“Penso che tornerò a casa mia, è anche giusto, non posso approfittare della tua bontà in eterno.
E il matrimonio?”
“Come corri, a quello penseremo dopo il lieto evento.”
***Fine flashback***

…e così il 31 ottobre, era nato Edward.
Sydney tirò un sospiro di sollievo, un altro anno stava per cominciare e sperava davvero che sarebbe stato migliore del precedente. Prese le chiavi della macchina e si chiuse la porta dietro le spalle.

Arrivata alla festa a casa di Francie, Sydney si ritrovò sommersa da una folla di gente.
“Ma quante persone hai invitato?”- chiese Sydney all’amica.
“Uhm, 150?”
“150?! Ma come farà il povero Eddie a dormire con tutto questo rumore.”
“Andiamo, è l’ultimo dell’anno anche per lui!”
La festa procedette bene e dopo il classico brindisi allo scoccare della mezzanotte si susseguirono un paio di annunci.
Erano tutti ancora eccitati per l’arrivo del nuovo anno, quando Francie attirò l’attenzione facendo tintinnare il bicchiere con un cucchiaino.
“Signori e signore, un attimo di silenzio per favore! Il nostro caro amico Tippin, ha un annuncio importante da fare.”
“Grazie Francie, ”- prese la parola Will- “non avrei proprio saputo come farli star zitti tutti insieme!
Sapete tutti quanti che il mio più grande sogno è sempre stato quello di scrivere per il New York Times, ed ora miei cari, posso annunciarvi con piacere che il mio sogno si sta per realizzare! Fra quindici giorni mi trasferirò nella “Grande Mela” e scriverò per il Times.”
Tutti applaudirono, Sydney si andò subito a complimentare con lui.
“Will, sono davvero felice per te, anche se sentirò la tua mancanza.”
“Anche a me mancherai.”- rispose Will- “Per fortuna, però, che hanno inventato il telefono!”
Nuovamente qualcuno zittì i presenti. Stavolta, era Charlie.
“Scusate se freno nuovamente la vostra gioia, ma poiché siamo in vena d’annunci stanotte, anch’io avrei qualcosa da dire.”
Charlie si girò verso Francie e si mise in ginocchio davanti a lei.
“Francie, tu sei la donna più importante della mia vita e ti amo moltissimo, inoltre mi hai reso felicissimo con Eddie, quindi per questi, e tanti altri motivi ti chiedo: mi vuoi sposare?”
Francie rimase stupita, e lo fu ancora di più non appena Charlie tirò fuori un magnifico anello.
“Sì!”- rispose Francie al settimo cielo.
Fortunatamente il nuovo anno era iniziato nel migliore dei modi, pensò Sydney, e sperava tanto che sarebbe stato tutto così fantastico.
Lo squillo del suo cellulare la riportò con i piedi per terra.
“Pronto!”
“Pronto Syd!” – dall’altro capo del telefono c’era Vaughn. Sydney era davvero felice di sentire la sua voce.
“Vaughn,ciao! Felice anno nuovo!”
“Grazie, anche a te! Come va la festa?”
“A gonfie vele: c’è stato un annuncio di matrimonio ed uno di trasferimento, poi ti racconterò. Il tuo party, invece?”
“Una noia, menomale che c’è Weiss, le sue battute demenziali sono l’unica cosa che mi tira su il morale!”
“Avrei tanto voluto che ci fossi stato anche tu qui, ma…”
“Lo so! Beh, ora ti devo lasciare, altrimenti questi quattro faranno storie. Ci sentiamo presto.”
“Ok, a presto!”
Sul volto di Sydney era stampato un sorriso a trentadue denti.

Qualche giorno dopo, Sloane indisse un briefing.
“Buongiorno a tutti! Questo è Miguel Fuentes, uno dei maggiori economisti spagnoli.”- nel frattempo sui computer era apparso un volto abbastanza magro, coronato da una folta chioma bruna; gli occhi erano piccoli, quasi due fessure, e davano ad intendere che quell’uomo era tutt’altro che sciocco- “ Sotto al suo impeccabile lavoro, però, c’è un’assidua collaborazione con l’Uomo.
Domani sera darà una festa nella sua villa sul Monjuic, a Barcellona. Tu Sydney dovrai intrufolarti, accedere nel suo studio e copiare l’hard disk del suo computer portatile.”
Sloane nel suo discorso aveva accennato all’Uomo.
Non sapevano precisamente chi fosse, probabilmente Khasinau, l’unica cosa certa era che aveva spazzato via il Direttorio K ed altre organizzazioni criminali. Il loro vero nemico, ora, era lui.
Sloane diede la parola a Marshall.
“Salve! Come va?”- Marshall prese in mano un cellulare- “Allora, questo è uno di quei cellulari di ultima generazione, sapete, quelli che fotografano, ti fanno vedere la persona con cui stai parlando… Beh, durante le feste ne scattano molte di foto con questo, ma questo ha qualcosa in più rispetto agli altri: riproduce la cornea. Per accedere all’ufficio di Fuentes, infatti, vi occorrerà la sua di cornea. Con questo invece, ”- Marshall poggiò il cellulare sul tavolo e prese una piccola scatolina bianca- “ potrà riprodurre più velocemente l’hard disk su cd-rom: basterà posizionarlo sul cervellone.”

Un’ora più tardi, Sydney era a colloquio con Vaughn.
“Ecco, all’SD-6 consegnerai questo.”
Vaughn consegnò a Sydney un cd.
“L’originale, ovviamente, lo riporterai a noi. Non dovrebbero esserci difficoltà, no?”
“No, sembrerebbe semplice.”
“Ah, Barcellona, una bella città! Mi piacerebbe tornarci. Se hai fame, vai alla locanda Basca sulla piazza della Cattedrale Gotica. E’ favolosa!”
“La cattedrale o la locanda?”- scherzò Sydney.
Vaughn rise.
“Tutte e due, però la Cattedrale mi sarebbe indigesta!”
Risero di nuovo.
“Buona fortuna!”- disse Vaughn.
Sydney andò via.


Sydney, con una lunga chioma di capelli corvini, un attillato e corto vestito nero ed un paio di stivali, avanzava fieramente verso il salone della villa di Fuentes.
“Sydney, mi senti?”- domandò Dixon, che si trovava appena fuori la villa.
“Forte e chiaro.”
“Hai già individuato Fuentes?”
“Non ancora, ma vedo un capannello di gente lì in fondo, dove esserci anche lui. Ora mi avvicino.”
Sydney si avvicinò al folto gruppetto: come aveva previsto, c’era anche il padrone di casa.
Scattò una foto con il suo cellulare.
“Ho catturato la cornea.”- le comunicò Dixon.
Fuentes notò la ragazza scattare la foto. Si avvicinò e si presentò.
“Buonasera! Sono così interessante da essere immortalato in una foto?”
“I padroni di casa sono sempre interessanti!”- rispose Sydney.
“Non credo di conoscerla.”
“Che maleducata, ancora non mi sono presentata! Maria Estella Sanchez, molto lieta.”
“Piacere mio! Di cosa si occupa nella vita?”
“Sarei molto felice di spiegarglielo, ma devo andare, altrimenti Josè mi darà per dispersa! Arrivederci!”
Sydney si defilò.
“Che piattola!”- esclamò tra sé e sé.
Arrivò davanti alla porta dell’ufficio di Fuentes e con il suo speciale cellulare la aprì. Entrò.
Posizionò la scatolina bianca sul computer e iniziò a copiare l’hard disk. Il cd fu pronto in meno di due minuti. Stava per uscire quando entrò qualcuno. Non riuscì a nascondersi e così fu scoperta.
Davanti a sé aveva Alexander Khasinau in persona. Non appena la riconobbe, il suo volto divenne collerico.
“Tu! Ci rivediamo! Finalmente avrò la possibilità di vendicare la morte di Iljuska. Sei stata tu ad ucciderlo.”- disse Khasinau.
“Non sono stata io, è stato Sloane.”
“Certo, ma sei stata tu a catturarlo e a portarlo lì.”
“Io non gli avrei fatto del male, ma Sloane è una persona diversa da me.”
“Come è morto? Dopo ore di torture?”
“Non lo so.”
Khasinau tirò fuori una pistola e la puntò contro di lei. Sydney rimase immobile per qualche secondo, poi sferrò un calcio. La pistola volò in aria e cadde lontano. Iniziò a combattere contro Khasinau, ma ben presto si ritrovò con le spalle al muro. Non sapeva che fare, poi vide che dietro di lei, sopra al caminetto, erano appese delle antiche spade. Ne afferrò una e la brandì contro il suo avversario. Avanzò, facendo così indietreggiare Khasinau.
“Ora io lascerò questa stanza e lei non mi seguirà.”- disse Sydney.
“Mai!”
Khasinau riuscì a prendere anche lui una spada. Duellarono. Le spade stridevano quando si toccavano. Khasinau tentò di colpirla sul collo, ma Sydney si abbassò ed affondò la sua arma nella spalla del nemico. Khasinau lasciò cadere la spada. Sydney fece lo stesso e fuggì via; Khasinau non poteva riacciuffarla.

“Problemi?”- chiese Dixon, quando Sydney lo raggiunse.
“Un piccolo scontro con Khasinau.”
“Come, Khasinau è qui?”
Nel frattempo salirono sull’elicottero di recupero.
“Sì, ha tentato di mozzarmi la testa con una spada, ma ha fallito. Era furioso con me perché pensa che sia la responsabile della morte del figlio.”
L’elicottero partì.

Sydney consegnò il cd a Vaughn non appena arrivò a Los Angeles.
“Come è andata la missione?”
“Non male, a parte qualche imprevisto.”
“Sei andata alla Taverna?”
“Non ho avuto tempo.”
“Sarà per un’altra volta. Chissà, magari la prossima potremmo andarci insieme.”
“E perché no?”

Sydney era in macchina e stava finalmente tornando a casa dopo la missione a Barcellona.
Squillò il cellulare. Attivò il viva voce e rispose.
“Pronto?”
“Pronto Sydney?”
Sydney rischiò di andare fuori strada. Aveva riconosciuto quella voce, ma non poteva crederci.
“Papà?”
“Sì, Sydney, sono io.”
“Non posso crederci.”
“Non è uno scherzo telefonico e posso capire che sia un po’ sbalordita nel sentirmi, ma devo assolutamente vederti?”
“Dove sei?”
“Vediamoci tra mezz’ora.”
“A casa?”
“No, potrebbe essere piena di cimici, meglio fuori. Vediamoci vicino alla centrale eolica di Culver City.”
“Ok, ci vediamo lì tra mezz’ora.”
Sydney si precipitò dall’altro capo della città a Culver City. Arrivò addirittura con un po’ di anticipo. Aveva pensato che quella poteva essere una trappola, ma riflettendoci bene aveva preferito andarci. Era sera e si vedeva ben poco lì intorno. Attese qualche minuto, poi finalmente vide una figura avvicinarsi. Quando la persona che le era di fronte si avvicinò ancora di più, entrando così nel cono di luce, Sydney lo riconobbe. Era proprio suo padre. Ora si sentiva scombussolata, ma felice allo stesso tempo: lo aveva creduto morto per un anno ed invece era vivo, davanti ai suoi occhi. Jack era un po’ cambiato: era dimagrito, indebolito e si capiva che quello, per lui, non era stato un anno facile, ma nei suoi occhi c’erano gioia e conforto. Era di nuovo a casa.
Si guardarono per qualche secondo, poi si abbracciarono.
“Papà! Non ci posso credere! Credevo che fossi…ma come?”
“Una lunga storia.”
“Ma tutto questo tempo dove sei stato?”
“Prigioniero, in Pakistan.”
“Come hai fatto a tornare?”
“Te lo spiegherò più tardi, ma ora dimmi, che cosa hai fatto quando sei tornata da Quan Long?”
“Sono andata alla CIA, quella vera, ora sono una spia doppiogiochista. Quando ho scoperto che uomo fosse Sloane, non ci ho più visto!”
“Hai fatto la cosa giusta. Ora però dobbiamo andare proprio alla CIA, là ti dirò tutto. Non so se questo posto è così sicuro.”
“Va bene, andiamo.”

Un’ora più tardi, Jack era in uno degli uffici del centro operativo CIA per raccontare la sua storia alla presenza di Sydney, Vaughn e Kendall, il vice direttore.
Jack aveva iniziato a raccontare dal momento dell’esplosione nel laboratorio di Phang: “L’esplosione è stata causata da un esperimento che stavano eseguendo in un altro dei laboratori. Da quello che so, probabilmente, stavano sperimentando le proprietà di alcuni potenti agenti chimici, quando qualcosa è andato storto. Sydney è stata scaraventata dalla potenza dell’esplosione, fuori della finestra, mentre io sono svenuto…

***Flashback***
Il laboratorio dove, fino a qualche secondo prima i Bristow stavano discutendo, era stato completamente devastato dall’esplosione. La porta si era scardinata ed ora era a terra tutta ammaccata. I vetri della finestra rotta e delle varie provette e fiale del laboratorio erano sparsi sul pavimento in mille piccolissimi frammenti. Gli oggetti che si trovavano sugli scaffali erano stati sconquassati; ora stavano un po’ per terra ed un po’ in bilico tra gli scaffali rotti ed il vuoto.
Nel bel mezzo di tutto questo disordine, Jack giaceva a terra svenuto, mentre Irina si era appena rialzata in piedi e scrollava il marito sulla spalla.
“Jack, svegliati.”- il tono della sua voce era alto ed irritato. Irina era terribilmente arrabbiata: ora era libera, è vero, ma aveva immaginato quell’epilogo in modo diverso. Non aveva calcolato un tale imprevisto e nei suoi piani riusciva a riportare a casa sia le armi biologiche sia sua figlia, invece, non aveva ottenuto né l’uno né l’altra. Era lì sola con quell’uomo che era stata costretta a sposare.
Dopo vari richiami e vari scossoni, Jack finalmente rinvenne.
“Cosa è successo?”- chiese, frastornato.
“C’è stata un’esplosione. Su, alzati.”
Jack era molto sorpreso di vedere Laura lì, ma dopo una momentanea confusione mentale, ricordò tutto quanto.
“Lasciami qui e vattene via!”
“Non posso lasciarti qui in questo stato, tra poco arriveranno le guardie di Phang.”
“Cosa t’importa?”
“Andiamo, non fare il cretino! Conosco Phang e so che non tratta i suoi prigionieri con i guanti bianchi, quindi è meglio andarsene prima che arrivino.”
“E Sydney?”
“Lei è salva! E’ stata scaraventata fuori di qui dall’esplosione. Ora, aggrappati a me ed alzati.”
Jack fece come le aveva intimato Irina.
“Ahi!”
“Mi dispiace, ma ho dovuto spararti. Non volevi proprio obbedirmi.”
“Come hai fatto a rimanere indenne? Eri sulla porta, no?”
“Semplice fortuna!”- rispose Irina mentre si trascinava fuori di lì con Jack.
“Ora dove mi porterai?”
“Questo non te lo posso dire, ma se ti comporterai bene, non ti sarà torto un capello.”
Usciti dal laboratorio si diressero verso i cespugli ed attraversato un po’ di bosco, giunsero in una radura. Lì c’era una macchina con un uomo a bordo. Irina salì e lo stesso fece Jack.
***Fine flashback***

“E così, ti ha salvato lei?” –chiese Sydney al padre.
“Sì, è andata così.”
“Continui a raccontarci l’accaduto. Dove è stato portato?”- domando Kendall.
Kendall era un uomo molto scrupoloso e severo, forse anche per via del suo aspetto così austero.
“Per un mese siamo stati a Taipei. Lì c’è un loro centro operativo. A Taipei sono stato torturato ogni giorno per due settimane, ma hanno somministrato varie sostanze psicotrope, quindi i miei ricordi sono un po’ confusi.”
“Forse ci sarà bisogno di una seduta d’ipnosi.”- propose Vaughn.
“Forse.” –rispose Jack- “ Appena arrivato, mi hanno confinato in una cella…

***Flashback***
La porta venne chiusa pesantemente. Jack era rannicchiato in un angolo, ancora stordito per via dei tranquillanti che gli avevano somministrato. La stanza era buia, non c’era neanche una finestra. Delle gocce d’acqua perdevano da una tubatura. Regolarmente ogni due secondi un’altra goccia andava ad alimentare la piccola pozza che si era formata a terra.
Passarono un paio d’ore, quando finalmente la porta si riaprì: era Irina.
Jack alzò lo sguardo e poggiò la testa al muro.
“Questo gocciolio mi sta dando al cervello.”
“Purtroppo per te, questo non è il Grand Hotel e non abbiamo idraulici a disposizione!”
“Molto spiritosa.”
Irina avvicinò la sedia e ci si sedette sopra.
“Ho una proposta vantaggiosa per te.”
“Magari dal tuo punto di vista!”
“Sappi che qua dentro gli ordini li do io, quindi ti converrà comportati bene se vorrai mangiare qualcosa e non essere torturato.”
Jack le lanciò uno sguardo di sfida.
Irina continuò: “Se collaborerai con noi di tua spontanea volontà, non ti sarà fatto del male, ma se invece sceglierai d’essere fedele al tuo governo…”
“Come hai fatto a mentire per tutto questo tempo?”
“Non cambiare discorso. Allora cosa decidi di fare? Ti conviene prendere una decisione in fretta: qua non ci sono solo io, non tutti sono buoni come me.”
“Inizia pure a preparare gli strumenti di tortura: non ti rivelerò nulla.”
“Finalmente posso vederti all’opera: in questi anni ho solo potuto immaginare come svolgessi il tuo lavoro. In molti parlavano di te, ora potrò verificare se quello che si dice sia vero o falso.”
Irina si alzò, si avvicinò alla porta e chiamò la guardia. Gli diede degli ordini in russo.
“Sei fortunato: il nostro miglior torturatore è altrove per lavoro. Ti dovrai accontentare di qualcun altro.”
La porta si riaprì.
Entrò un uomo molto alto, dalla corporatura possente, calvo, con un volto imbronciato.
“Bene, Chernobrov! Sono sicura che ti saprà tener compagnia e che non ti farà rimpiangere l’assenza di Takabe. Ci vediamo e spero che la prossima volta saprai dirmi qualcosa di più di un “non ti rivelerò nulla”!”
Irina uscì. La porta si richiuse dietro le sue spalle.
Chernobrov farfugliò qualcosa, ma Jack non riuscì a capirlo.
“Non ci ha ripensato?”- domandò il russo.
“Affatto.”
Chernobrov tirò fuori dalla sua valigetta qualche fiala ed una siringa. Fece passare il liquido contenuto nella prima bottiglietta nella siringa, poi poggiò tutte e due sul tavolo.
“Ogni volta che non risponderà alle mie domande, le somministrerò un po’ di questo. Penso che voi lo chiamiate Pentotal.”
Chernobrov iniziò così a torturare Jack. Durò per più di quattro ore, ma dalla bocca di Jack non uscì neanche un fiato.”
***Fine flashback***

“Hanno continuato così per due settimane, poi all’inizio della terza si sono arresi. Preferivano tenermi in vita, piuttosto che farmi morire: potevo essergli utile. Poi, alla fine di quel lungo mese,
ho deciso di parlare.”
“Cosa?! Ha svelato i nostri segreti?”- chiese Kendall inorridito.
“Non i nostri, quelli dell’SD-6. Vogliamo distruggerla, no?Non credo sia importante come, in fondo. Siamo arrivati ad un compromesso e così mi hanno trasferito in Pakistan, nel Kashmir.”
“E’ venuta anche lei in Pakistan?”- chiese Sydney.
Jack notò che sua figlia fino a quel momento non aveva mai chiamato Irina mamma.
“Sì. In Pakistan siamo poi stati raggiunti da altri membri dell’organizzazione. L’unico di cui ricordo il nome è Gerard Cuvee.”
“Ho sentito parlare di Cuvee. Controllerò nella banca dati.” –propose Vaughn.
“Poi cosa è successo?”- chiese Kendall.
“Hanno organizzato l’attacco contro l’SD-5. Dopo l’attacco hanno spedito un messaggio all’SD-6, ma voi siete riusciti a fermarli in tempo. Non sono riuscito a scoprire molto, ma so con certezza che stanno preparando qualcosa di veramente sensazionale che riguarda Rambaldi ed una sua profezia.”
“La Pagina 47, l’ho recuperata io stessa. Quindi stanno preparando l’arma.”
“Credo che si tratti di quello…

***Flashback***
Irina era nella cella di Jack, stava conducendo un interrogatorio sull’SD-6.
“Quando recuperate qualcosa in una missione, dove la analizzate?”
“Prima passa a Marshall, lui fa solo un primo esame superficiale. Poi è portata altrove, nei laboratori. E’ molto difficile arrivarci.”
La porta si aprì ed entrò Cuvee.
“Ti devo parlare.”- disse rivolgendosi ad Irina.
Irina e Cuvee uscirono ed iniziarono a discutere animatamente. Jack riuscì a capire qualcosa, nonostante la porta fosse stata chiusa.
“La stanno costruendo, però mancano ancora dei pezzi, inoltre dobbiamo recuperare altri manoscritti, potrebbe esserci qualcos’altro da fare prima di azionarla.” – disse Irina.
“Sì, ma credo che prima sarebbe meglio sapere chi dovrà azionarla.”
“Ce lo dirà la Pagina 47.”
“Sai benissimo che non l’abbiamo più noi; poi chi ci garantisce che sia davvero tu la donna della profezia?”
***Fine Flashback***

“Non ho capito a cosa si riferissero.”- disse Jack.
“Vaughn, vada a prendere la Pagina 47”- ordinò Kendall.
Vaughn uscì e poco dopo tornò con la Pagina 47, accuratamente tenuta in mano. La diede a Kendall che a sua volta la porse a Jack.
Jack rimase alquanto sorpreso, guardò Sydney e di nuovo il documento.
“Ma è sorprendente!”
“Capisce ora i loro dubbi?”- chiese Kendall.
“Perfettamente, ma come si può verificare se sia vero?”
“Abbiamo fatto molti esami.”- disse Sydney- “Non tutto ci è ancora chiaro. Molti requisiti corrispondono, però potrei non essere io.”
“Dubbio lecito.”- rispose Jack.


Il racconto di Jack andò avanti ancora per molto. Il giorno seguente tornò all’SD-6.
Dovette raccontare tutta la storia da capo, ovviamente non disse di aver rivelato alcuni segreti dell’SD-6. Alla fine del racconto, Sloane chiese in che modo fosse riuscito a fuggire.
“Non è stato per niente semplice. Ho approfittato di un attimo di distrazione della guardia, uscendo così dalla cella. Evadere da lì è stato semplice, però il ritorno a casa è stato molto lungo. Ho dovuto cambiare più volte mezzo di trasporto: dal Kashmir sono arrivato in treno fino a Delhi, lì un mio contatto mi ha fornito un documento falso ed un biglietto aereo per Taipei. Ho cambiato varie volte identità, non potevo rischiare di farmi riacciuffare di nuovo, e stavolta mi avrebbero di certo ucciso.
A Taipei mi sono imbarcato furtivamente su una nave commerciale, sono arrivato fino a Tokio.
Da lì ho preso un altro aereo; il primo in partenza per gli Stati Uniti era diretto a Dallas, l’ho preso e poi sono arrivato fin qui in macchina.”
“Una vera avventura!”- esclamò Sloane - “Benvenuto di nuovo tra noi!”


Sydney aveva quasi dimenticato la partenza di Will a causa di quell’inaspettato ritorno.
Quando arrivò a casa di Will, il suo amico aveva appena chiuso la valigia.
“Ehi, allora ce l’hai fatta a venire per i saluti!”- esclamò Will.
“Sì, scusa non sono riuscita ad arrivare prima, ma è tornato mio padre.”
Will la guardò come se fosse una marziana.
“Credo di essermi perso un pezzo per strada.”
“Aspetta, ora ti spiego. E’ tornato, perché in realtà non era morto. Quando ha avuto l’incidente, è riuscito a salvarsi, perdendo però la memoria. E’ stato per tutto questo tempo in Canada e solo qualche giorno fa ha riacquistato la memoria. Appena l’ho visto stentavo a credere ai miei occhi.”
“Lo credo bene! E tua madre?”
“Morta. Ma non parliamo di questo. Quando parte il tuo aereo?”
“Domattina alle 6.”
“Francie è già passata?”
“Sì, ha portato anche Charlie e Bubu.”
Bubu era il soprannome che Will aveva affibbiato al piccolo Edward.
“Credo proprio che mi mancherà il mio amicone!”
“Anche a me mancherai, però, mi raccomando, chiama quando vuoi. Addirittura alle due di notte. Sono sempre a tua disposizione, anche sull’East Cost!”
“Ok, ora però devo proprio andare.”
Sydney abbracciò Will.
“Verrai ogni tanto?”- domandò Sydney.
“Appena posso.”
Si abbracciarono nuovamente, poi Sydney andò via.

Sydney tornò a casa sua. Aprì la porta e chiamò:
“Papà, dove sei?”
“Qua.”
“Qua, dove?”
“In soggiorno.”
Sydney lo raggiunse.
“Mi fa uno strano effetto essere di nuovo qui.”- disse Jack.
“Capisco. Io me ne sono andata per un po’ di tempo, davvero non ce la facevo a stare qui da sola.”
“Troppi ricordi.”
“Vero, ma la dottoressa Barnett ha assicurato che è normale e che probabilmente avrei fatto bene a trasferirmi da qualche altra parte.”
“La dottoressa Barnett? Da quando ti fai dare consigli da una strizza-cervelli?”
“Da quando la mia vita è stata sconvolta da una valanga di rivelazioni. Avrei preferito continuare a vivere all’oscuro di tutto, ma ora credo che sia meglio così.”
“Tutta colpa mia.”
“Perché non mi hai detto prima dell’SD-6?”
“Non lo so, paura forse o più semplicemente vigliaccheria.”
“Non importa. Ora ho capito perché Sloane faceva tutti quei misteri, sospettava qualcosa.”
“Che intendi dire?”- chiese Jack, alquanto sorpreso.
“Mi ha fatto tenere nascoste alcune missioni; e poi ti ha mandato a fare dei test, no?”
“Sì, è vero, ma erano solo test di controllo. Questa storia delle missioni invece mi è nuova.”
“Niente d’importante, in realtà si tratta di una sola missione. La settimana prima che mi spedisse ad Ilford, mi mandò a San Francisco per pedinare Khasinau e mi pregò di non parlarne con nessuno, specialmente con te.”
“Molto strano. Comunque, tornando alla casa, credo che la dottoressa Barnett abbia ragione, forse faremmo meglio a venderla e andare da qualche altra parte.”
“Ci penseremo, ora vado a preparare la cena.”


Pochi giorni dopo, Sloane indisse un briefing.
Quella mattina sul suo volto era stampata un’espressione insolita, di trionfo, al posto della consueta impassibile. Sloane era un uomo che non lasciava intendere i suoi sentimenti, ma evidentemente doveva essere successo qualcosa di davvero importante per essere così aperto, pensò Sydney.
“Buongiorno a tutti.”- Sloane iniziò con la solita pappardella- “Dopo lunghe ricerche, una piccola società farmaceutica italiana è riuscita a ricreare l’arcadamio. L’arcadamio è una sostanza chimica che Rambaldi descrisse in vari suoi manufatti. Grazie a quest’elemento, si può andare avanti nella costruzione del progetto di Rambaldi. Sydney, tu dovrai recarti a Roma e recuperare un campione di arcadamio, ma dovrai fare molta attenzione perché è altamente tossico per la pelle umana.
Marshall, prego, mostri pure le sue invenzioni.”
Marshall si alzò. Anche lui sembrava abbastanza sorpreso per il comportamento del capo: era la prima volta che non si limitava a chiamarlo per cedergli la parola.
L’agente Flinkman prese una valigetta.
“Buongiorno, questa valigetta le sarà molto utile. Qua dentro c’è un’imbracatura nel doppiofondo, utile per calarsi dal tetto; nello scompartimento principale, invece, c’è tutta l’attrezzatura per il piccolo chimico: provette, guanti, contagocce, occhiali, eccetera. Mi raccomando, apra la valigetta solo quando le aperture sono in senso orizzontale, perché se sono verticali…boom, scoppia tutto. Carina come idea, vero? Mi è venuta in mente dopo aver visto 007 l’altra sera!”
“Grazie, Marshall.”- Sloane era diventato nuovamente serio: sopportava poco le spiritosaggini e l’eccessiva loquacità nel suo ufficio.
“Sydney, partirai stasera alle undici.”

Sydney si trovava nel solito posto con Vaughn per la contromissione.
“Dovevi vederlo!”- esclamò Sydney riferendosi a Sloane – “Sembrava un bambino a cui avessero appena regalato un pacco maxi di caramelle! Incredibile, non lo avevo mai visto così!”
“In effetti, anche Kendall aveva un’espressione simile quando gli ho accennato dell’arcadamio, solo più contenuta. Lo sai com’è fatto!”
“Allora, cosa devo fare stavolta?”
“Semplice: all’SD-6 consegnerai questo”- le porse una provetta- “e a noi, porterai l’arcadamio vero. Non dovrebbero esserci complicazioni.”
“Ok, boyscout, tutto chiaro.”
“Ancora con questa storia! Quando smetterai di prendermi in giro?”
“Mai, credo! Ciao!”
Sydney pronunciò quelle parole andandosene e salutando con la mano.
“Mandami una cartolina da Roma.”
“Va bene.”

2.30 a.m. Roma.
Sydney, avvolta da un’aderente tuta nera, si trovava sul tetto del palazzo dove aveva sede la “Pharma International”. Si fermò vicino al cornicione ed aprì la valigetta di Marshall. Tirò fuori dal doppiofondo l’imbracatura e la mise. Scavalcò la protezione ed iniziò a calarsi fino al quinto piano.
Davanti ad una finestra si arrestò e prese dalla tasca un raggio laser. Tracciò un cerchio sul vetro, poi si servì di una ventosa per tirare via la parte.
“Montanaro, come procede la missione?”
La voce che proveniva dall’auricolare apparteneva a Vaughn.
“Tutto bene. Mi sento solo un po’ Eva Kant.”- rispose Sydney con tono sarcastico.
Sydney introdusse il braccio nel buco ed aprì la finestra.
Entrò finalmente nella sede della Pharma International.
“Boyscout, chiudo il collegamento fino a fine missione se non ci sono imprevisti.”
“Ricevuto, Montanaro.”
Sydney si tolse l’imbracatura ed accese una torcia elettrica. Era entrata nello studio di qualcuno. Dove poteva trovarsi l’arcadamio?
Uscì da quell’ufficio e diede un’occhiata al corridoio. Arrivata in fondo a quest’ultimo, notò una scritta sul muro: “Laboratori di ricerca >>>”.
Seguì le frecce e si ritrovò davanti alla porta dei laboratori. Fortunatamente prima di entrare, si accorse di un sistema di sicurezza: se solo avesse mosso la porta di un centimetro, sarebbe scattato un allarme. Cercò nelle sue tasche, era sicura di aver portato anche uno degli aggeggi che costruiva Marshall. Finalmente lo trovò: era uno specchietto. Sydney passò lo specchietto vicino alla porta. Un suono le indicò dove poter disattivare l’allarme. Aprì il pannello e dopo aver smanettato per un po’, disinserì l’allarme. Poté finalmente entrare nei laboratori. Con molta cautela si mise a cercare l’arcadamio. Secondo i manoscritti di Rambaldi, era una sostanza liquida violacea. Trovò l’arcadamio sotto una sorta di cupola di vetro. Infilò i guanti, inforcò gli occhiali, prese una provetta e la riempì della sostanza violacea. Tappò bene la provetta e la depose delicatamente in una tasca, levò guanti ed occhiali, risistemò tutto; poi si accinse ad uscire.
“Ma bene, hanno lasciato pure la porta aperta!”
Sydney fece appena in tempo a nascondersi sotto ad una scrivania.
Entrarono nella stanza due persone. Dalla sua postazione Sydney non poteva vedere di chi si trattasse, c’era troppo buio, ma dai passi intuì che fossero un uomo ed una donna.
L’uomo parlò di nuovo: “Avanti, cerchiamo questo arcadamio.”
Sydney riconobbe quella voce. Nell’ultimo anno l’aveva sentita fin troppe volte per non identificarla: si trattava di Khasinau.
“Quell’uomo è ancora in circolazione! Peccato, stavolta non ci sono spade!”- pensò Sydney.
I due si mossero ed iniziarono a frugare.
“Dovrebbe essere viola, no? Fai luce un po’ più in là.”
L’unico a parlare era Khasinau. Sydney non riusciva a capire perché la donna non rispondesse.
Ora erano quasi a portata d’occhio. Tentò di fare capolino dalla scrivania, ma dovette nascondersi di nuovo perché la donna si stava girando ed avrebbe potuto vederla.
“Sbrigati, passami una provetta, l’ho trovato.”- ordinò Khasinau.
L’uomo passò il liquido nella propria provetta, ma evidentemente non bastava per i suoi scopi, perché ne riempì anche un’altra. Le mise entrambe nella sua tasca.
La donna ora gli dava le spalle. Sydney riuscì a capire le loro posizioni guardando la direzione dei piedi da sotto la scrivania.
Ad un certo punto sentì un clic: uno dei due aveva caricato la sua pistola.
Finalmente la donna parlò:
“Hai intenzione di farmi fuori, forse?”
Sydney la riconobbe: era sua madre.
“Sono tentato.”
“Non sarebbe leale colpirmi alla schiena.”
“Non sono leali neanche i favoritismi.”
“Ma, cosa vai blaterando?”
“E’ ora che mi vendichi, perché la vera responsabile sei tu, cara Irina.”
“Responsabile di cosa?”
“Della morte di Iljuska. Lui è morto e non ho potuto fare nulla. Solo perché tu sei il capo, allora certe persone sono intoccabili e sai bene a chi mi riferisco.”
“Ti sbagli di grosso.”
Ora entrambi davano le spalle a Sydney che riusciva a vedere tutto chiaramente.
Khasinau proseguì:
“Preparati a morire.”
Partì un colpo. Khasinau giaceva a terra in una pozza di sangue.
“Marcisci all’inferno!”- esclamò Sydney.
Era stata lei a sparare, uscendo dal suo nascondiglio.
Irina guardò prima l’uomo a terra e poi sua figlia.
“Allora non ti sono così indifferente.”
“Non l’ ho fatto per te.”
“E per chi, allora?”
“Un uomo del genere non meritava di vivere e se potessi…”
“Cosa aspetti, spara! Faresti un gran favore alla CIA.”
Sydney si chinò e prese dalla tasca di Khasinau le due provette.
Quando si rigirò la stanza era deserta. Quella donna era riuscita a fuggire di nuovo dalla sua vita.

Non appena atterrò a Los Angeles, Sydney volle vedere Vaughn.
“Non c’era bisogno che mi portassi subito la fialetta.”
“In effetti, sono tre.”
“Tre! Non ce ne serviva così tanto.”
“Due sono un regalino di Khasinau.”
“L’hai incontrato un’altra volta?”
“Sì, ma questa è stata l’ultima: l’ho ucciso.”
“Ora capisco tutta la tua fretta.”
“Non è solo questo, c’è dell’altro.”
“Cosa è accaduto?”
“L’ho ucciso per salvare qualcun altro.”
“Chi?”
“Mia…mia madre. Ero nascosta là, sotto quella scrivania e quando ho sentito la sua voce…
Non saprei spiegarti precisamente quello che ho provato, ero tesa e non sapevo che fare. Da una parte il mio cuore mi diceva di salvarla, ma dall’altra avrei voluto ucciderla con tutta me stessa.
Dopo tutto quello che ci ha fatto! Però, evidentemente, ha vinto la mia parte buona. Accidenti, quando mi ricapiterà un’altra occasione del genere! Avrei anche potuto catturarla e portarla qui, ma è sgattaiolata via senza il minimo rumore.”
“Va bene, ora calmati, la ritroveremo.”
“Grazie Michael. Durante tutto quest’anno sei stato l’unico con cui ho potuto parlare dei miei problemi e dei miei sentimenti, l’unico che mi ha confortato nei momenti difficili. Non credo che ce l’avrei fatta senza di te.”
Si abbracciarono, poi uno si allontanò dall’altra. Si guardarono intensamente ed, alla fine, si baciarono dolcemente.
Quando furono di nuovo lontani si guardarono imbarazzati. Vaughn iniziò a guardare il pavimento, mentre Sydney si mordeva il labbro inferiore. Finalmente arrivò Weiss a sbloccare la situazione.
“Ehi, Vaughn, mi ha appena chiamato Kendall: vuole vederti subito.”
“Ok, tanto avevamo finito.”
“Già, meglio che vada.”- disse Sydney.
Weiss li guardò con aria sospettosa, poi, quando lei se ne fu andata, chiese:
“Si può sapere che avete combinato?”
“Niente.”- rispose Vaughn vagamente.
“No, bello mio, io ti conosco! Ti stai innamorando!”
Vaughn fece spallucce, poi andarono da Kendall.

Sydney andò poi all’ SD-6 da Sloane. Gli consegnò il falso arcadamio ed in cambio ricevette un bigliettino con su scritto un indirizzo.
“Vieni qua alle nove con tuo padre.”- disse Sloane.


Sydney e Jack erano all’appuntamento con Sloane, stavano attendendo il suo arrivo.
“Pensi che sia stato prudente venire qua?”- chiese Sydney.
“Non lo so, ma evidentemente deve dirci qualcosa d’importante che i microfoni dell’Alleanza non debbano sentire.”
“Se ci avesse scoperti?”
Sydney non fece in tempo a finire la frase, che Sloane arrivò a bordo della sua auto. Scese e si diresse verso di loro.
“Credevo davvero che non sareste venuti.”
“Cosa devi dirci, Arvin?”- chiese Jack.
“Ho una proposta per voi. Temo che sarete costretti ad accettare.”
“Di che si tratta?”- domandò stavolta Sydney.
“Da un po’ di tempo vi sto osservando molto attentamente ed ho scoperto che fate il doppio gioco.Sarebbe inutile negarlo, perché ho le prove.”
I sospetti di Sydney erano fondati. In quel momento si trovò nel panico più totale: sapeva di cosa fosse capace Sloane, ed era sicura che la sua proposta non sarebbe stata equa per entrambe le parti.
Sloane notò le loro espressioni preoccupate.
“Non temete, non lo sa nessun altro, per ora.”
Sloane sottolineò molto con la voce le ultime due parole che aveva pronunciato; proseguì.
“Ecco la mia proposta: io aiuterò la CIA a distruggere l’Alleanza ed in cambio la CIA mi concederà la più totale libertà e la possibilità di continuare le mie ricerche su Rambaldi.”
“Altrimenti?”- domandò Jack.
“Altrimenti comunicherò la mia scoperta all’Alleanza; la fine che farete vi è nota. Come vedete non avete molta scelta. In ogni caso sarò magnanimo: vi concedo quarantotto ore di tempo per consultarvi con i vostri superiori e decidere. Ci vediamo dopodomani, qua, alla stessa ora.”
Sloane si voltò, salì in macchina ed andò via a tutto gas.
“Non mi fido.”- sostenne Sydney.
“Certo, l’avrebbe potuto mandare l’Alleanza.”
“Non mi riferivo a questo. Sono certa che quando avrà ottenuto ciò che vuole, non rispetterà i patti.”
“Non siamo noi a decidere, andiamo da Kendall.”
Entrambi risalirono sulle rispettive auto e si diressero al centro operativo della CIA.

“Che cosa!?”
Kendall era a dir poco furioso. Jack gli aveva appena finito di raccontare il loro incontro con Sloane. Sydney aveva già visto Kendall arrabbiato, ma stavolta era proprio inviperito; aveva paura che prima o poi gli sarebbe uscito del fumo dalle orecchie e che gli occhi balzassero fuori dalle orbite!
“Come ha fatto a scoprirvi? Vi rendete conto che l’Alleanza potrebbe già esserne al corrente? Io proprio non capisco! Ma come ha fatto? Eppure, mi pare che siamo sempre stati molto prudenti!”
“Sloane vuole una risposta tra quarantasette ore precise.”- disse Jack con una calma sorprendente.
Sembrava che la faccenda non lo avesse sfiorato minimamente.
“Devo subito parlarne con Devlin e con tutto il consiglio. Saranno loro a decidere. Nel frattempo, voi due rimarrete qui fino allo scadere del tempo; sappiamo che Sloane non è un uomo che mantiene spesso le sue promesse.”

A Sydney quei due giorni sembrarono un’eternità. Il tempo non scorreva mai e come se non bastasse, sapeva anche che Devlin avrebbe anche potuto decidere di farli uccidere: cos’erano due vite a confronto d’anni di lavoro su Rambaldi? Così bisognava ragionare lì dentro. C’era anche da dire, però, che Sloane offriva loro di distruggere l’Alleanza, ma ci avrebbero creduto? Neanche lei stessa era così sicura dell’onestà di Sloane.
Le quarantotto ore erano passate. Sydney era con Jack sul luogo stabilito per l’incontro, ma stavolta non erano soli: l’intera zona era sorvegliata da task force della CIA.
Sloane fu più puntuale di un orologio svizzero. Avanzò verso di loro con aria baldanzosa. Per lui era semplice: sia che loro avessero accettato la sua proposta sia che la rifiutassero, egli n’avrebbe tratto sempre dei vantaggi. Ottenere la libertà e mandare avanti le ricerche su Rambaldi oppure rivelare all’Alleanza ciò che sapeva e ricevere un riconoscimento.
“Ebbene, cosa avete deciso?”- chiese Sloane senza preamboli.
“Prima qualche domanda.”- disse Jack.
“Va bene.”
“Perché vorresti distruggere l’Alleanza?”
“Sono stufo di eseguire i loro ordini senza gratificazione alcuna e poi vorrei trascorrere il resto dei miei giorni in un’isoletta del Pacifico con mia moglie. Esauriente come risposta?”
“Se noi accettassimo, in che modo intenderesti smantellarla?”
“Ovvio che ci vorrà un po’ di tempo! Diciamo che noi tre la logoreremo fino a distruggerla. Ma ora basta con le domande, cosa avete deciso?”
“La CIA accetta la tua offerta.”
“Molto bene.”
“Ora però dovrai seguirci, Devlin vuole fare quattro chiacchiere con te.”
“Naturale!”
Alcuni agenti lo prelevarono e lo fecero salire su un furgone scuro: l’avrebbe aspettato un lungo colloquio con il capo della CIA.
Jack si rivolse a Sydney:
“Beh, non dici nulla?”
“Non ho nulla da dire, sai come la penso.”
“Noi siamo solo delle pedine, dobbiamo eseguire gli ordini.”
“Purtroppo.”
Sydney si voltò e salì sulla sua auto, prendendo la via per il ritorno.

Non appena rientrò a casa, Sydney notò la segreteria telefonica lampeggiare. Premette il pulsante e partì.
“Ci sono due messaggi.”- sillabò la fredda voce metallica.
Il primo era di Will: le comunicava che al giornale si era inserito bene ed era davvero entusiasta di essere a New York anche se aveva nostalgia di casa.
Il secondo messaggio era di Vaughn:
“Sydney, ciao sono Vaughn. Devo vederti il più presto possibile. Appena torni, chiamami.”
Sydney, invece, compose prima il numero di Will. Parlarono per un po’ e fortunatamente il suo amico la contagiò con la sua allegria ed il suo entusiasmo.
Sydney pensò di aver fatto bene a chiamarlo, perché si sentiva un po’ giù. Ultimamente era un po’ strana: prima l’incontro con sua madre, poi Sloane ed ora ci si metteva anche Vaughn.
Lo chiamò. Vaughn le diede appuntamento al solito posto.


Sydney attese qualche minuto in macchina prima di andare da Vaughn. Si sentiva a disagio dopo ciò lo che era successo la volta prima. Non sapeva come interpretarlo ed era decisamente confusa.
Finalmente si decise a scendere. Si sistemò i capelli dietro l’orecchio ed aprì la porta.
Vaughn era seduto sul tavolo in trepidante attesa: a Sydney sembrò quasi di avere davanti a sé un liceale al primo appuntamento.
“Ciao!”
Vaughn si voltò di scatto, scese dal tavolo e contraccambiò il saluto.
Entrambi erano nervosi, entrambi indugiavano a parlare.
Vaughn prese coraggio ed iniziò il discorso.
“Syd, senti, quello che è successo la volta scorsa… Beh…”
“Io sono un po’ imbarazzata, vale a dire confusa, ecco! Non credevo davvero che potesse succedere una cosa del genere tra noi due.”
“Ti chiedo scusa, se ti ho ferito in qualche modo.”
“Oh, no! Non devi scusarti, è solo che non avevo mai pensato che… Tu mi piaci, non mi fraintendere, ma poiché lavoriamo insieme, non credi che il nostro lavoro potrebbe essere compromesso in qualche modo?”
“In effetti, ci avevo pensato. Magari, dovremmo rifletterci un po’, che te ne pare?”
“Forse sarebbe meglio, però capisci che non potremmo mai avere una relazione vera e propria finché l’Alleanza non sarà distrutta. Sloane ormai sa che faccio parte della CIA, ma lui non conta molto e se solo quelli della Sicurezza ci vedessero insieme, ricollegherebbero tutto e sarebbe finita.
Sloane potrebbe spendere una buona parola, ma più di tanto non otterrebbe.”
“Hai ragione, forse dovremmo far finta che non sia successo nulla e far tornare tutto come prima.”
”E’ l’unica soluzione.”
Sydney se ne andò via a malincuore. Le dispiaceva, ma non poteva rischiare la vita. Sarebbe mai riuscita ad avere una storia d’amore come si deve?

Vaughn trovò Weiss ad attenderlo.
“Allora amico, come è andata?”
“Lasciamo stare.”
“Lo sapevo, quella è una ragazza che segue troppo le regole, ne troverai altre, anzi domani te ne faccio conoscere una; e poi c’è sempre Alice, no?”
“Con Alice è finita da un pezzo.”
“E da quando?”
“Da quando ha capito che amo un’altra.”
“Ah, l’amore! Proprio una brutta faccenda! Andiamo, il capo ha indetto una piccola riunione.”
Qualche sera dopo, Sydney ricevette una lettera. Non c’era scritto il mittente e così controllò il timbro postale: proveniva da Roma. Si chiese chi mai le avesse scritto visto che non conosceva nessuno lì. Era curiosa, ma in quel momento aveva altro da fare. La lasciò sul tavolo e per un po’ non la notò. Quando ebbe finito con le sue faccende, si sedette sul divano, presa la lettera in mano ed aprì delicatamente la busta con un tagliacarte. Aprì il foglio che vi era contenuto e lo lesse. La scrittura era quella di sua madre, la riconobbe subito. Non voleva andare avanti nel leggerla, ma alla fine si convinse del contrario. Erano poche righe, ma efficaci:


Grazie per avermi salvato la vita. Ciò dimostra che siamo ancora legate da un sentimento indissolubile e sarebbe inutile negarlo, ma sappi che il nostro prossimo incontro non sarà piacevole, a meno che tu non ti decida a passare dalla mia parte.
Sarò anche tua madre, ma non intendo rinunciare a Rambaldi.

I.D.


Sydney la rilesse per una decina di volte. Pensò a lungo riguardo a quelle parole.
Ciò che aveva scritto sua madre era vero: in fondo al cuore provava ancora qualcosa per lei, non poteva dimenticare tutti i bei momenti passati e l’amore che le aveva dato in tutti quegli anni, ma non riusciva proprio a perdonarla. Pian piano all’amore si era sostituito l’astio ed un’irrefrenabile voglia di vendetta. Come si sarebbe comportata quando si sarebbe ritrovata di nuovo faccia a faccia con lei senza nessuno ad aiutarla? Sarebbe stata capace di sparare o solo tentarlo?
Molti dubbi la attanagliavano in quel momento ed una sola cosa per lei era certa: non sarebbe mai riuscita ad avere una vita normale. Era tutta una questione di famiglia, in fondo! Nelle sue vene scorreva sangue da spia e non avrebbe mai potuto liberarsene: questo era il suo destino.

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