Smallville Italia

IL SEGRETO DI LILLIAN
scritto da
Elisabetta


RIASSUNTO: La vita di Lex era già abbastanza complicata con la fabbrica che rischiava di fallire, la responsabilità di 2500 posti di lavoro e l'aperta ostilità di Lionel, quando Robert Taylor piombò nella sua vita rivelandogli un segreto su sua madre che farà vacillare tutte le sue certezze e forse spezzerà per sempre il suo rapporto con Lionel.
DATA: giugno 2004.
AMBIENTATO: all'inizio della seconda serie, tra l'episodio 2.08 Poteri extrasensoriali e 2.09 Il segreto di Ian.
ADATTO: a tutti.
NOTA DELL'AUTORE: per qualunque commento, considerazione o chiarimento scrivetemi, vorrei tanto sapere se vi è piaciuto! Il mio indirizzo e-mail è: ally_79@inwind.it. Un'altra cosa: in questo racconto ci sono 2 citazioni da due diverse puntate del mitico telefilm Starsky & Hutch, chi riesce a riconoscerle mi scriva perché non vedo l'ora di conoscere qualcuno che condivida la mia passione per quel telefilm.
DISCLAIMAR: si ricorda che tutti i diritti del racconto sono di proprietà del sito Smallville Italia, e che tutti i personaggi di "Smallville" utilizzati sono di proprietà Warner Bros Television, e sono utilizzati senza il permesso degli autori e non a fini di lucro.


Capitolo 1°

Lex pensò che quella giornata non avrebbe potuto peggiorare… ancora. Era iniziata male già dall'alba quando si era svegliato da una notte di sonno agitato e intermittente come gli era capitato spesso ultimamente, ed era peggiorata con la visita del sindaco Tate che gli aveva spiegato, senza mezzi termini, che senza una tangente l'autorizzazione per l'espansione della Lex Corp non sarebbe mai arrivata. Dopo tutto Tate aveva ragione: lui non era del luogo e non era certo benvoluto, l'ombra dei misfatti di suo padre si stendeva sulla sua vita come una nuvola che oscurava l'orizzonte del suo futuro. Portare il cognome dei Luthor in una cittadina di provincia come Smallville era come essere segnato da un'onta difficile da lavare. Il mal di testa con cui si era svegliato era andato peggiorando, e adesso le tempie gli pulsavano al ritmo dell'orologio a cucù appeso al muro del suo studio. Come se questo non bastasse poi l'influenza che si portava dietro da qualche giorno gli opprimeva il respiro mentre le preoccupazioni gli opprimevano la mente. Prese due aspirine dal cassetto della scrivania e si sdraiò sul divano ad occhi chiusi, pensò che sarebbe stato bello addormentarsi e scordare ogni preoccupazione, si disse che l'insonnia era il primo sintomo dell'avere delle responsabilità. Da quando aveva investito il pacchetto azionario lasciatogli in eredità dalla madre per fondare la LexCorp e acquistare lo stabilimento di Smallville dalla Luthor Corporation sentiva sulle sue spalle tutto il peso dell'enormità di quello che aveva fatto: si era messo apertamente contro suo padre, aveva rischiato in prima persona tutti i soldi di sua madre che gli davano una certa autonomia nei confronti di Lionel, aveva coinvolto i 2500 operai della fabbrica nel piano di acquisto convincendoli a rischiare anche loro in prima persona ipotecando le loro case e adesso si sentiva schiacciare dalle responsabilità che si era assunto. Certo crescere con Lionel non era stata una passeggiata, e, a suo dire, suo padre lo aveva educato a diventare un leader, aspettandosi però di avere al suo fianco un figlio pronto a sporcarsi le mani come lui e a imitarlo nel suo modo di fare affari approfittatore e senza scrupoli, non si era certo aspettato un figlio autonomo e caparbio che si sarebbe schierato contro di lui. Adesso il peso di questa ribellione si faceva sentire: gli affari non andavano bene, nei due trimestri precedenti i profitti erano arrivati drasticamente vicini allo zero anche a causa dell'ostruzionismo più o meno lecito di Lionel, delle mazzette che Lex si era rifiutato di elargire a persone come il sindaco Tate, e di quell'etica che sua madre gli aveva insegnato e che lui si era sempre rifiutato di violare.
Ripensò a sua madre, tirò fuori dal cassetto la sua foto e l'orologio che lei gli aveva regalato, con il quadrante ricavato da un franco napoleonico del 1806, come sempre in questi momenti le lacrime gli punsero gli occhi, ma era dal giorno del funerale che si era ripromesso di non piangere più e fino ad ora aveva sempre mantenuto la promessa. Si sentiva molto più vecchio dei suoi 25 anni, il peso delle responsabilità lo opprimeva a tal punto che pensò di uscire un po' di casa e passeggiare all'aria aperta, poi un pensiero lo consolò un po': sarebbe andato a trovare Clark, due chiacchiere con un amico gli avrebbero tirato su il morale.

Quando arrivò alla fattoria Kent e parcheggiò nel cortile la rombante auto sportiva sollevando una nuvola di polvere Clark stava giusto uscendo dalla cucina:
- Ciao Lex, come mai da queste parti?
- Clark, cercavo proprio te, hai un minuto?
- Mi dispiace ma sono in ritardo, sto andando al Talon per aiutare Lana con la matematica. Ma stai bene? Hai una faccia stravolta!
- Niente è solo che ultimamente non dormo molto, salta su che ti dò un passaggio così parliamo.
- Ok, che c'è che non va?
- Tutto: la fabbrica non va bene, mio padre sta per averla vinta, e 2500 persone perderanno tutto quello che hanno per colpa mia, che ne dici, ce n'è abbastanza per soffrire d'insonnia?
- Mi dispiace Lex non avevo idea che le cose andassero male alla fabbrica, ma non è certo colpa tua, semmai è di tuo padre.
- Io lo so e tu lo sai Clark, ma per tutta Smallville io sono solo un Luthor, e dalla mia famiglia non ci si può aspettare niente di buono. Et-ciù!
- Salute. Mi dispiace davvero Lex, lo so quanto tu sei diverso da tuo padre, e so quanto stai provando ad allontanarti da lui.
- Lo so Clark, ma quando quelle 2500 persone perderanno il lavoro, la casa e tutto quello che hanno si ricorderanno solo che è stato un Luthor a rovinarli.
- Mi dispiace Lex, davvero! Che posso fare?
- Niente, temo. Devo essere io a ribaltare la partita, ah come vorrei che ci fosse ancora mia madre! Et-ciù!
- Beh io sono arrivato, chiamami se hai voglia di parlare e riguardati, ti sta venendo l'influenza.
- Lo farò. Sei un amico Clark, grazie.

L'incontro con Clark gli aveva un po' sollevato il morale, almeno lo aveva fatto sentire meno solo, certo Clark non poteva condividere le sue responsabilità, ma almeno gli aveva fatto sentire di avere un amico cui appoggiarsi quando il loro peso si faceva eccessivo. Pensò al contratto che doveva portare a termine di lì a due giorni, le trattative erano state estenuanti, e gli erano costate molte notti insonni, ma se fosse riuscito a concludere con la Garden Chemical Brother la fornitura dei fertilizzanti della sua azienda forse la fabbrica avrebbe avuto una possibilità di sopravvivere.
Mentre si lasciava andare a questi pensieri meno pessimisti si accorse di essere nelle vicinanze del cimitero e decise di andare a trovare sua madre.

Davanti alla sua tomba, l'enorme mausoleo dei Luthor, c'era un uomo che non aveva mai visto prima e sembrava proprio stesse fissando la fotografia di sua madre, incuriosito Lex lo interrogò:
- La conosceva?
L'uomo sobbalzò come se fosse stato distolto da una meditazione o da una preghiera:
- Sì, conoscevo la signora Luthor… tanto tempo fa. Sono Robert Taylor.
- Lex Luthor, Lillian Luthor era mia madre.
- So chi sei Alexander, lavoravo in casa tua come giardiniere.
- Non mi ricordo di lei signor Taylor.
- E' stato prima che tu nascessi, poi sono venuto a lavorare qui alla villa di Smallville e tu mi vedevi solo quando i tuoi venivano in campagna, non puoi ricordarti di me.
- Non mi ricordo di averla vista neanche al suo funerale, ma c'era tanta gente.
- Allora non sapevo che fosse morta, dopo che tuo padre mi ha licenziato sono stato molto tempo all'estero, e da poco ho scoperto dov'era sepolta.
- Perché mio padre l'ha licenziata?
- E' una lunga storia, ma dimmi di te, cosa fai ora, lavori con tuo padre?
- Sarebbe più corretto dire che lavoro contro mio padre, ma anche questa è una lunga storia.
- Anche da piccolo giocavi sempre con tua madre e se tuo padre si inseriva finiva per fare il lupo cattivo, il bandito o il pistolero che se la prendeva con gli indiani.
- Non è cambiato molto, solo che adesso non c'è più mia madre a giocare al mio fianco. Che ne dice di venire a casa mia e parlare un po'? Oggi ho bisogno di compagnia e parlare con qualcuno che conosceva mia madre mi fa sentire meglio.

Più tardi al castello Robert raccontò a Lex del suo lavoro a villa Luthor e dell'amore di sua madre per il giardino.
- A volte si inginocchiava accanto a me a strappare erbacce dalle sue amate rose, era una donna incredibile, Alexander.
- La prego non mi chiami così, solo mia madre mi chiamava così, per tutti io sono Lex.
- Scusami Lex, sai fu tua madre a scegliere il tuo nome, lo scelse in onore di Alessandro Magno, voleva che suo figlio avesse la stessa caparbietà e la stessa audacia, aveva anche dato questo nome ad una delle sue rose.
- Già, forse sotto sotto avrebbe voluto una bambina…
Risero entrambi a questa battuta, ma il volto di Robert si fece subito serio mentre Lex sorrideva ancora, ignaro che di lì a poco ogni sua certezza sarebbe venuta meno e ogni sua convinzione avrebbe vacillato:
- Senti Lex… devo parlarti di una cosa…
La voce di Robert si era fatta più bassa e aveva assunto un tono grave, Lex lo incoraggiò:
- Avanti, mi dica.
- Non è del tutto casuale che io sia venuto al cimitero proprio adesso, in realtà stavo cercando il coraggio di venire a parlare con te. Al diavolo forse l'unico modo è dirlo tutto d'un fiato: sono tuo padre.
Per un attimo il volto di Lex rimase impassibile, poi gli rivolse un sorriso gelido:
- Dunque è così, lei viene in casa mia fingendosi un devoto dipendente della mia famiglia, mi fa credere di aver conosciuto bene mia madre per poi vomitarmi addosso le sue assurde menzogne e infangare la sua memoria.
- No Lex non è così, ascoltami…
- Non voglio sentire nient'altro. Chiunque avesse conosciuto davvero mia madre saprebbe bene che una cosa simile non è possibile, lei era una donna onestissima!
La voce di Lex tremava di rabbia e di sdegno.
- Sì lo era, ma sai bene che tuo padre… Lionel… non è mai stato un marito perfetto e questo la faceva soffrire molto, una notte dopo avermi confessato di aver scoperto l'ennesimo tradimento di Lionel… E' successo una sola volta Lex, lei era troppo onesta per avere una relazione alle spalle di suo marito, si è trattato di un unico episodio isolato.
- E lei non ci ha pensato un attimo ad approfittare della sua fragilità nel momento in cui cercava il conforto di un amico.
- Hai ragione, è stato un errore, ma un errore di cui non mi sono mai pentito, io tenevo molto a tua madre. Comunque non pretendo che tu mi creda senza prove, voglio fare il test del DNA.
- Non se ne parla neanche, non disonorerò la sua memoria mettendo in dubbio la sua integrità.
- Lex ti prego… io ti ho detto la verità e se non fai il test questo dubbio ti tormenterà per tutta la vita.
- Io non ho nessun dubbio! E farò questo test solo per dimostrarle che è una menzogna, ma lo farò nei miei laboratori così lei non avrà modo di alterarne i risultati.
- Va bene, se hai ereditato anche solo un decimo dell'onestà di tua madre so che non mi nasconderai il risultato anche quando scoprirai che mi dà ragione. Questi vanno bene per il test?
Così dicendo Robert si tolse un ciuffo di capelli dal bavero della giacca e lo tese a Lex.
- Sì, avrò i risultati entro 24 ore. Fino ad allora non voglio rivederla.

Capitolo 2°

Il giorno dopo al Talon Clark torna ad aiutare Lana con la matematica:
- Ciao Clark.
- Ciao Lana, serata tranquilla eh?
- Già, stasera abbiamo pochi clienti, meglio così potrò dedicarmi alle equazioni multivariate grazie per l'aiuto Clark, da sola non le capirei neanche in un'altra vita.
- Dai non è vero, mettiamoci al lavoro.
- Ok, ma prima volevo chiederti una cosa: hai visto Lex oggi?
- No, l'ho visto ieri quando mi ha accompagnato qui, perché?
- Prima era qui, ma non sembrava lui, se ne stava seduto a quel tavolo imbronciato bevendo whisky, quando gli ho chiesto cosa avesse mi ha risposto di farmi gli affari miei.
- Ha un sacco di problemi, la fabbrica rischia di fallire e lui si sente responsabile per i suoi operai.
- Non può essere solo questo Clark, tu non hai visto la sua faccia: non sembrava lui, non l'avevo visto così neanche quando suo padre gli aveva ordinato di tornare a Metropolis. Quando se n'è andato ha comprato una bottiglia di whisky e l'ho sentito partire sgommando con la macchina. Sono preoccupata Clark.
- Anch'io, quando abbiamo finito qui penso che andrò trovarlo.

La stanza era avvolta nella penombra, il riverbero delle fiamme del camino colorava i mobili di rosso e di oro. Sul tavolo una busta gialla aperta e tutto intorno fogli sparsi e una bottiglia di whisky quasi vuota. Lex era sprofondato nella poltrona con gli occhi fissi sui guizzi irregolari delle fiamme e il bicchiere in mano. Quando Robert Taylor entrò non si mosse, aspettò che l'uomo si fosse avvicinato prima di rovesciargli addosso tutto il suo disprezzo:
- Così avevi ragione, tu saresti mio padre.
La sua voce era carica di odio. Robert non rispose.
- Sappi che questo per me non cambia niente, mio padre resta l'uomo che mi ha cresciuto e se davvero mia madre ha avuto una relazione con te non vuol dire che non amasse mio padre
- Certamente Lex, e certamente non amava meno te perché non eri figlio di suo marito. Mi dispiace che tu reagisca così, capisco che la notizia è sconvolgente ma io te l'ho detto solo perché pensavo fosse giusto che lo sapessi.
- Ma perché adesso?
- Te l'ho detto ieri al cimitero, sono stato molto tempo all'estero.
- E adesso che cosa vorresti?
- Non lo so, ma penso che a Lionel non dovresti dirlo.
- Certo che non deve saperlo.
- Anche se penso che a suo tempo avesse intuito qualcosa.
- Che significa?
- Nel periodo in cui tu fosti concepito le cose tra lui e tua madre non andavano bene, lei soffriva per i suoi tradimenti e passava molto tempo in giardino a parlare con me e curare le sue rose, quando rimase incinta di te Lionel voleva licenziarmi, fu lei a dirmelo, ma lei lo convinse a trasferirmi alla villa di Smallville. Poi quando Julian morì non volle sentire ragioni e io fui licenziato.
- Non voglio più starti a sentire, non posso credere che mio padre dubitasse di mia madre e non posso credere che tu sia mio padre.
- Hai fatto analizzare tu i campioni Lex, quel test dimostra che è così, che tu ci creda o no. E non credo che tu voglia che Lionel lo venga a sapere.
- Stai cercando di ricattarmi?! Forse non hai idea di che cosa significhi mettersi contro un Luthor, se anche ho i tuoi geni nelle vene ricordati che mi ha cresciuto Lionel e ti assicuro che mi ha insegnato come trattare chi cerca di ricattarmi!
- Io sto dicendo solo che non ti converrebbe se Lionel lo scoprisse, se sapesse che non sei suo figlio ti potresti scordare le auto sportive, il castello e l'azienda di famiglia.
- Credi davvero che da mio padre io voglia solo i suoi soldi?
- Beh, per quanto ne so non ha molto altro da offrirti, quand'è stata l'ultima volta che ti ha portato al campeggio? Siete mai stati ad una partita insieme?
- E adesso vorresti essere tu a portarmi allo stadio o in campeggio?! Vattene, non voglio più rivederti.
- Me ne vado Lex, ma tornerò domani per decidere quanto vale per te il mio silenzio.
Lex sferrò un pugno alla parete, la mensola sopra il camino cedette sotto il colpo e rovesciò sul tappeto le fotografie e le altre suppellettili. Lex prese a calci la scrivania, si sentiva furioso, ce l'aveva con sua madre per avergli taciuto quel segreto e ce l'aveva con Robert Taylor per averglielo rivelato, ce l'aveva con se stesso per averlo scoperto e perché per un attimo quella consapevolezza gli aveva tolto un peso dal cuore, sapere di non avere gli stessi geni di Lionel significava che avrebbe potuto essere veramente diverso da lui, tutti quegli anni di incomprensioni e silenzi avevano finalmente una spiegazione.
Non aveva ancora deciso cosa fare con Taylor, certo aveva sempre dato per scontati i soldi della sua famiglia, ma quando sua madre si era ammalata avrebbe dato volentieri tutti i suoi soldi e quelli di suo padre perché non morisse. Non sapeva come l'avrebbe presa Lionel se glielo avesse detto, ma non era sicuro di voler sopportare tutta la vita questo segreto da solo.
Sentiva la testa scoppiare, decise di uscire e salì in macchina.
Mentre usciva dal viale del castello e svoltava sulla strada non si accorse del furgone dei Kent che arrivava dalla direzione opposta e di Clark che lo chiamava sporgendosi dal finestrino.

Clark era venuto al castello per vedere come stava Lex, preoccupato dalla loro conversazione del giorno prima e soprattutto da quello che gli aveva detto Lana, era venuto con Martha che doveva controllare la corrispondenza adesso che Lionel era a Metropolis.
Quando entrarono nello studio di Lex e videro la mensola crollata e gli oggetti rovesciati, Clark si rese subito conto che qualcosa di grave era successo, Martha si portò una mano alla bocca:
- Oh mio Dio! Ma che è successo?
Clark prese in mano la bottiglia di whisky:
- Io vado a cercarlo mamma.
Prima che Martha potesse rispondergli Clark era corso fuori letteralmente alla velocità della luce. Non gli ci volle molto tempo per raggiungere l'auto di Lex che correva costeggiando il lago sulla strada che portava fuori città, ma arrivò appena in tempo per vedere la Porche affrontare una curva a velocità troppo elevata, sbandare, mettersi di traverso sulla strada e scivolare nel lago ghiacciato frantumando il sottile strato di ghiaccio che copriva la superficie. Clark si tuffò subito dietro l'auto, quando la raggiunse sul fondo vide Lex svenuto al posto di guida bloccato dalla cintura di sicurezza, aprì lo sportello, sganciò la cintura e nuotò fino alla superficie portando con sé l'amico privo di conoscenza. Giunto sulla riva iniziò a muovere le braccia di Lex per fargli uscire l'acqua dai polmoni. Lex si riprese quasi subito tossendo abbondantemente e si rese conto di dove si trovava.
- Clark… questa situazione mi sembra di averla già vissuta…
Disse con un sorriso ripensando al loro primo incontro.
- … ma non ti stanchi mai di salvarmi la vita?
- Sembra di no.
In quel momento arrivò Martha che scese sulla riva lasciando il furgone sul ciglio della strada:
- Lex stai bene?
- Sì signora Kent, e ancora una volta grazie a Clark, le sarei grato se mi desse un passaggio a casa.
- Certo, ma ti porto a casa nostra. E' più vicina.

Nel salotto della fattoria Kent, Lex era seduto sul divano avvolto in una coperta con indosso dei jeans e una maglietta di Clark, e in mano una tazza di brodo caldo.
- Va meglio Lex?
Gli chiese premurosa Martha.
- Sì, grazie. Et-ciù!! Accidenti quanto è fredda l'acqua del lago in questo periodo!
Esclamò rabbrividendo e abbozzando un sorriso. Martha invece era seria:
- Ti va di raccontarci quello che è successo? Siamo passati a casa tua e sembrava ci fosse passato l'uragano Andrew, poi tu che corri in macchina come un pazzo…
Anche Lex si fece serio e per un attimo rimase in silenzio, quel segreto che aveva scoperto da così poco tempo gli era già quasi costato la vita, sentiva il bisogno di confidarlo a qualcuno. Se aveva un amico a Smallville quello era senz'altro Clark, sapeva di potersi fidare di lui e certamente anche di Jonathan e Martha, così cominciò dall'inizio, raccontò loro dell'incontro con Robert Taylor, della rivelazione sul tradimento di sua madre, del test del DNA e del ricatto. Quando ebbe finito per un attimo la sensazione di pesantezza che lo aveva accompagnato negli ultimi due giorni sembrò svanire, condividere con qualcuno quel segreto lo rendeva più sopportabile.
- Ma non c'è la possibilità che abbiano fatto un errore o che sia stato questo Taylor a falsificare il risultato?
Chiese Clark.
- Il test lo hanno fatto i miei laboratori e lo hanno ripetuto due volte. Non è possibile un errore o una manomissione.
- E che mi dici dei campioni?
- Si è tolto i capelli dal colletto della giacca, erano sicuramente i suoi.
- Non lo so Lex, ma se davvero fosse tuo padre io non credo che ti avrebbe chiesto dei soldi per tacere.
- C'è dell'ironia in questo Clark, quando l'ho saputo per un attimo ho pensato che fosse una fortuna non avere i geni di Lionel, speravo di poter dimostrare una volta per tutte che non sono come lui, specialmente a gente come lei signor Kent, che crede che la mela non cada mai lontano dall'albero, e poi scopro che il mio padre biologico non esita a ricattare suo figlio per un po' di soldi. Sono stanco di dover dimostrare a tutti di essere diverso.
- Hai ragione Lex, mi dispiace se anch'io come gli altri ho dubitato di te quando Clark mi diceva di fidarmi. Che pensi di fare adesso?
- Non lo so signor Kent, prima di quei risultati non volevo crederci, e dopo non mi è venuto in mente niente di meglio che comprare una bottiglia di whisky e scolarmela.
- Non preoccuparti Lex, non devi risolvere tutto stasera, dormici sopra e domani potrai decidere il da farsi.
Intervenne Martha.
- Ha ragione signora Kent, avrei bisogno di quel passaggio per tornare a casa.
- Assolutamente no Lex, questa notte non devi restare da solo, puoi dormire sul divano e domattina ti accompagno io a casa.
- La ringrazio signora Kent, ma non voglio assillarvi ancora con i miei problemi.
- Non dire sciocchezze Lex, nessun disturbo, e poi Martha ha ragione: non è bene che tu stia da solo stanotte, Clark prendi un'altra coperta e un cuscino, io avvicino il divano al camino così starà più caldo.
- Mi ha convinto signor Kent. Grazie. Se non vi dispiace vado subito a dormire, in questi due giorni non ho dormito molto e sono stanco. Domattina poi ho una riunione che potrebbe salvare la fabbrica e devo essere in forma.
- Certo Lex, fai pure come se fossi a casa tua e se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere. Buonanotte.
Lex si sdraiò sul divano e Martha gli sistemò la coperta, per un attimo gli sembrò di rivivere un ricordo, quella mano femminile che gli sistemava la coperta gli ricordò la mano di sua madre quando la sera gli rimboccava le coperte da bambino. Con questo ricordo davanti agli occhi si addormentò.

Capitolo 3°

Quando si svegliò per un attimo Lex si sentì bene. Per un attimo aveva dimenticato Robert Taylor e il suo ricatto, la fabbrica e tutti i suoi problemi, per un attimo si era svegliato felice, con le voci di sottofondo dei Kent in cucina che facevano colazione e parlavano piano per non svegliarlo, poi tutto gli tornò alla mente e il senso di stanchezza che lo aveva oppresso il giorno prima tornò. Fu Martha ad accorgersi che era sveglio:
- Buongiorno Lex, dormito bene?
- Come un sasso signora Kent.
In realtà aveva dormito poco e male, durante la notte gli era salita la febbre che aveva popolato il suo sonno di incubi, ma non lo disse.
- Che cosa vuoi per colazione?
- Niente grazie. Ho mal di gola e non riesco a mandare giù niente.
- In questo caso ti preparo una spremuta d'arancia, per il raffreddore la vitamina C è quello che ci vuole.
- Buongiorno Lex.
- Buongiorno Clark.
- Come va l'influenza?
- Non molto bene, il bagno nel lago ghiacciato di ieri sera non mi ha giovato.
In quel momento arrivò Martha con la spremuta d'arancia.
- Tieni, ti farà bene.
- Grazie.
Lex fece per alzarsi, ma si accorse che la stanza intorno a lui stava girando e ricadde seduto sul divano.
Martha gli si sedette vicino e gli posò una mano sulla fronte:
- Ma stai bruciando, dovresti restare a letto.
- Oggi non posso proprio, ho una riunione importante.
- Non puoi rimandarla?
- No, devo concludere le trattative per un contratto di fornitura ad una ditta di servizi per giardini, la Garden Chemical Brother, se riesco a concludere e mi assicuro la fornitura per un anno, la fabbrica potrebbe salvarsi, e si salverebbero anche 2500 posti di lavoro. Mi basta un'aspirina per rimettermi in forma.
- A che ora è la riunione?
- Alle 9:00.
- Va bene, ti accompagno io al castello.
- Ecco l'aspirina. Più tardi passerò a trovarti così parleremo un po'.
- Ok Clark, ci vediamo più tardi.

Appena arrivato al castello Lex entrò nel suo studio e vide che era tutto come lo aveva lasciato la sera prima, anche se non si ricordava molto di quella sera. La busta gialla era ancora sul tavolo e tutto intorno era sparso il suo contenuto, Lex prese i fogli, li ripose nella busta e nascose tutto in fondo ad un cassetto della scrivania, sperando segretamente che sepolti nel fondo di quel cassetto non potessero più tormentarlo. Martha raccolse le foto e gli oggetti caduti dalla mensola mentre Lex la rimetteva al suo posto.
- Grazie ancora di tutto signora Kent.
- Non c'è di che, io vado a lavorare nell'ufficio di Lionel e quando tu avrai finito la riunione ti metto a letto.
- Non è necessario che resti qui, non ho idea di quanto durerà.
- Non fa niente, tanto ho del lavoro da fare, adesso vai a cambiarti che sono quasi le 9.

Quando Clark arrivò al castello dopo la scuola, trovò sua madre seduta su un divano nella enorme biblioteca che leggeva un libro:
- Ciao mamma, dov'è Lex, a letto?
- No, la riunione non è ancora finita, è chiuso nel suo studio da stamattina con i dirigenti della Garden Chemical Brother e gli avvocati.
- Ancora? Ma sono le 6 del pomeriggio!
In quel momento udirono la voce di Lex provenire dall'ingresso:
- Allora a presto signor Miller.
- A presto signor Luthor, penso che d'ora in poi ci vedremo molto spesso, con l'accordo che abbiamo raggiunto i nostri rapporti diventeranno molto stretti. Certo non è stato facile arrivare alla firma.
- Non lo dica a me, mi è costato parecchie notti insonni ripensando alle clausole e ai cavilli.
- In effetti la vedo stanco, dovrebbe riposare.
- Lo farò, arrivederci signor Miller.
- Arrivederci signor Luthor.
Lex rientrò nello studio e si appoggiò alla scrivania, si sentiva debole, la testa gli girava, aveva il colletto della camicia madido di sudore. Si allentò la cravatta, aprì un cassetto e tirò fuori il flacone delle aspirine, in quel momento sulla porta comparvero Martha e Clark:
- Lex, hai un aspetto orribile.
- Grazie Clark, buon pomeriggio anche a te. Comunque hai ragione, mi sento uno schifo. Signora Kent non doveva rimanere fino adesso, ma che ore sono? E' già buio fuori.
- E' tardi Lex, e tu dovresti essere a letto da un pezzo. Hai mangiato almeno?
- Sì, un paio di sandwich tra il paragrafo sulle consegne e quello sulle fatture. E' stata gentile a restare fino ad ora, ma adesso prendo due aspirine e me ne vado a letto.
Così dicendo aprì il flacone che aveva in mano, ma la mano gli tremò, il pavimento sotto i suoi piedi d'improvviso si mise ad ondeggiare, vide la trama del tappeto danzargli davanti agli occhi in un caleidoscopio di colori e poi farsi sempre più vicina, finché non vide altro che il buio. Sul tappeto si era sparso il contenuto del flacone.
- Chiama un'ambulanza mamma, Lex è svenuto.
Clark si precipitò accanto al ragazzo che giaceva riverso sul tappeto, lo girò e gli sentì la fronte, bruciava di febbre, il respiro era lento e affievolito, Clark lo coprì con il suo giubbotto e si preparò ad aspettare.

Capitolo 4°

Jonathan odiava gli ospedali. Odiava quell'odore di disinfettante che ti entra nelle narici e non va più via. Anche lì in quella sala d'attesa poteva sentirlo, era un odore acre e pungente. Era seduto vicino alla finestra ma la vista non lo distraeva da quell'odore. Fuori era buio già da un pezzo, quando Martha lo aveva chiamato aveva appena finito di far mangiare gli animali. Adesso erano seduti in quella saletta su quelle scomode sedie in attesa di notizie. Clark non riusciva a stare seduto, andava nervosamente dalla macchina del caffè alla porta e viceversa. Un paio di volte aveva tentato un'incursione lungo il corridoio alla ricerca di notizie, ma le infermiere lo avevano rimandato indietro: non si poteva passeggiare liberamente a quell'ora nei corridoi di un ospedale, non essendo familiari era già tanto che permettessero loro di rimanere lì. Non restava altro che aspettare.
Aspettare il dottore.
Aspettare notizie.
Dopo quella che sembrò un'eternità il dottore apparve sulla porta:
- Signori Kent, sono il dottor Anderson.
- Come sta dottore?
- Ha la polmonite, lo abbiamo messo sotto antibiotici. Ma quello che mi preoccupa sono le condizioni generali, il suo fisico è estremamente debilitato, la pressione è troppo bassa e il cuore fa fatica a pompare il sangue in tutto il corpo. Gli stiamo somministrando flebo di glucosio e soluzione salina, ma non sono ottimista.
- Ma si riprenderà vero?
- Non lo so, potrebbe anche non farcela. Teniamo costantemente sotto controllo il cuore e siamo pronti ad intervenire se ce ne sarà bisogno, ma finché non riprende conoscenza è in pericolo. Mi dispiace.
- Oh mio Dio.
- Molto dipende da lui e da quanto vorrà lottare..
- In questo momento credo chi sia stanco di lottare.
- Non dire così mamma, ce la farà. Io conosco Lex, non si arrende mai nonostante i problemi. Posso vederlo dottore?
- Non stasera, vi consiglio di andare a casa a riposare e magari tornare domani, tanto non potete fare niente. Buonasera.
Il dottore se ne andò lasciando nell'aria la pesantezza delle notizie che aveva portato.
- Il dottore ha ragione, voi andate a casa, io rimango qui e cerco di mettermi in contatto con Lionel.
- No mamma, resto anch'io.
- Clark tu hai la scuola domani e tuo padre deve mandare avanti la fattoria, io invece finché non torna Lionel non devo lavorare.
- Tua madre ha ragione Clark, andiamo a casa. Tornerai domani.
- Va bene.

Quando Clark entrò nella redazione del Torch la mattina seguente, Clhoe come al solito era indaffaratissima con le sue ricerche per il prossimo numero, lo salutò cordialmente:
- Buongiorno Clark!
- Ciao Clhoe, ho bisogno di un favore.
- Dimmi.
- Però devi promettermi di non pubblicare niente senza autorizzazione, devi mettere da parte la tua natura da giornalista.
- E scoprire uno dei segreti di Clark Kent? Se servisse la brucerei la mia tessera da giornalista!
Clark non rise a quella battuta:
- Non scherzo Clhoe, è importante, potrebbe essere questione di vita o di morte.
Anche Clhoe si fece seria, con Clark spesso c'erano di mezzo questioni di vita o di morte.
- Va bene Clark, prometto che non dirò a nessuno quello che scopro, di che si tratta?
- Leggi questo.
Clark porse a Clhoe la busta gialla.
- E' il risultato di un test del DNA, io voglio sapere se c'è la possibilità che ci sia un errore o che sia stato contraffatto, o qualunque cosa ci sia di strano.
Clhoe aprì la busta e scorse rapidamente il suo contenuto.
- Clark, ma qui c'è il nome di Lex Luthor, adesso capisco il perché della segretezza. Ma è stato lui a darti questa busta?
- Non esattamente, Lex mi ha detto del test e del risultato, ma la busta l'ho presa dalla sua scrivania stamattina.
- Allora fai bene a tenerlo segreto, perché non credo che sarà contento quando lo scoprirà, e ancora meno quando scoprirà che me l'hai mostrata. La stampa lo perseguita da quando è nato. Si sa i guai dei ricchi! In ogni caso l'hai fatta grossa Clark!
- Hai ragione, ma c'è una cosa che non sai perché la notizia non si è ancora diffusa: Lex è in ospedale. E' grave, potrebbe anche non farcela.
- Oh mio Dio Clark, non immaginavo, ma a causa di questo?
- Indirettamente. Quando Lex ha saputo il risultato è salito in macchina e ha iniziato a correre, ha avuto un incidente ed è caduto nel lago ghiacciato. Adesso ha la polmonite. I dottori dicono che se smette di lottare non ce la farà. Io voglio dargli una ragione per non arrendersi.
- D'accordo Clark, mi metto subito al lavoro, ma hai pensato che questo test potrebbe dire la verità?
- Sì ci ho pensato, ma da come Lex mi ha descritto sua madre non credo che sia possibile.
- Non l'ho mai sentito parlare di sua madre.
- Non lo fa volentieri perché gli fa ancora male. Comunque, qualunque cosa scopri fammi sapere subito.
- D'accordo, che mi dici di questo Taylor, chi è?
- Era un giardiniere di casa Luthor, Lex ha controllato: i periodi corrispondono.
- E Lionel ne sa qualcosa?
- No, e Taylor sta ricattando Lex per tacere ed è questo che non capisco. Non credo che se fosse il suo vero padre lo ricatterebbe.
- Beh Lionel al posto suo lo avrebbe fatto.
- Forse hai ragione. Comunque mi trovi in ospedale.
- Va bene, passo più tardi a trovare Lex.

Quando Clark arrivò in ospedale Martha era al telefono:
- Per favore signorina non mi dica che il Signor Luthor non è raggiungibile, avrà pure l'itinerario del suo viaggio… La prego, è importante, devo assolutamente parlargli, si tratta di suo figlio. D'accordo, allora aspetto che mi richiami, può trovarmi a questo numero. Buongiorno.
- Ancora non sei riuscita a parlare con Lionel mamma?
- No, è in viaggio d'affari in Medio Oriente e non ha lasciato un recapito.
- Pensi che se anche lo trovassi, lascerebbe i suoi affari e si precipiterebbe qui?
- Certamente Clark, si tratta pur sempre di suo figlio!
- Forse hai ragione, sarebbe troppo anche per uno come Lionel Luthor. Come sta Lex, ci sono novità?
- No, ha avuto tutta la notte la febbre alta e non ha mai ripreso conoscenza, adesso c'è il dottore dentro.
- Vai a casa a riposare, resto io qui.
- Non posso, aspetto che mi richiami la segretaria di Lionel.
- Ci sono io, tu vai a casa a dormire un po'.
- D'accordo, aspetto che esca il dottore per sentire come sta e poi vado a casa. Ah, eccolo. Allora dottore?
- Non va bene, la febbre è salita a 41 e la pressione è scesa ancora, credo che si stia lasciando andare, non possiamo fare altro che aspettare, parlategli se volete, fategli sapere che gli siete vicini e che volete che resti con voi... ma ad essere sinceri non so se servirà. Adesso scusatemi, ma ho degli altri pazienti, torno più tardi.
- Grazie dottore. Mamma, tu vai a casa, resto io con Lex.
- D'accordo Clark, vado a casa, faccio la doccia e torno più tardi. Ciao.
- Ciao.

Capitolo 5°

Quando Clark entrò la stanza era avvolta nel silenzio, rotto solo dal monotono bip dell'apparecchio che monitorava il battito del cuore. Lex sembrava stesse dormendo, la testa era abbandonata sul cuscino e il volto finalmente disteso. Era come se tutte le preoccupazioni che lo avevano tormentato fino al giorno prima lo avessero abbandonato. Sembrava che finalmente si stesse riposando, secondo il dottore però avrebbe dovuto lottare e non lasciarsi andare. Clark ebbe paura che quella tranquillità avrebbe potuto significare che Lex si fosse arreso. Avrebbe voluto scuoterlo, afferrarlo per le spalle e costringerlo a svegliarsi e combattere, ma si trattenne quando vide i tubi delle flebo in entrambe le braccia, accostò una sedia al letto e cominciò a parlare:
- Ciao Lex, sono Clark. Volevo solo dirti che io non ti lascerò da solo in questa storia, ti aiuterò a venirne fuori, comunque vada a finire. Adesso non arrabbiarti, ma devo confessare che ho preso i risultati del test dalla tua scrivania, lo so che non dovevo farlo, ma c'è qualcosa che non mi convince e voglio vederci chiaro. Ho fatto anche un'altra cosa che probabilmente ti farà infuriare: li ho dati a Clhoe perché scopra qualcosa. Sta tranquillo, le ho fatto promettere di non pubblicare niente senza una tua specifica autorizzazione. Lo so che è una giornalista, ma è anche una mia amica e mi ha dato la sua parola, io mi fido di lei. Puoi stare tranquillo che la stampa non ne saprà niente. Se mi stai sentendo arrabbiati pure, alzati da quel letto e vieni a dirmi quanto sei arrabbiato.
Era un tentativo che aveva ben poche possibilità di riuscire, questo Clark lo sapeva, ma ci aveva provato comunque.
- D'accordo Lex, forse è bene che ti riposi, lo so quanto eri stanco ultimamente, ma non pensare che il tuo lavoro sia finito, adesso che il contratto con la Garden Chemical Brother è concluso ci sarà molto da lavorare alla fabbrica e poi devi svegliarti per dire in faccia a tuo padre che ce l'hai fatta nonostante tutto… a proposito di Lionel… lo stiamo cercando, è in Medio Oriente ma sono sicuro che appena ci avrò parlato prenderà il primo aereo e arriverà qui. Ma non temere, lo terrò lontano da Taylor.
Il monologo di Clark venne interrotto dall'altoparlante:
- La signora Martha Kent è desiderata al telefono del terzo piano.
Clark prese la telefonata ben sapendo chi poteva cercare sua madre a quel numero:
- Sono Clark Kent.
- Clark? Sono Lionel Luthor, dov'è tua madre e perché mi ha cercato con tanta insistenza?
- Signor Luthor… si tratta di Lex.
- Sì, Martha ha accennato qualcosa alla mia segretaria, cos'ha combinato stavolta: ha distrutto un'altra macchina da 75000 $? Ha fatto fallire l'azienda? Ha ucciso qualcuno?
- Non si tratta di questo. E' in ospedale signor Luthor, ha la polmonite, dicono che è grave. Ho pensato che dovesse saperlo.
- Come in ospedale? E quanto grave?
- Molto grave. Il dottore dice che è in pericolo di vita.
All'altro capo del filo ci fu un lungo silenzio. Era difficile immaginare come un uomo come Lionel Luthor avrebbe reagito ad una notizia che avrebbe sconvolto qualsiasi altro genitore. Reagì come un uomo d'affari, calmo e pragmatico come era sempre stato:
- Va bene, faccio preparare il mio jet privato e sarò lì appena possibile.
- D'accordo signor Luthor.
- Un'altra cosa Clark… c'è qualcuno adesso… con lui, intendo?
- Non si preoccupi, non è rimasto mai da solo: stanotte c'è stata mia madre e ora ci sono io. Lex ha degli amici qui.
- Lo so. Grazie Clark, a presto.
- Arrivederci.
Quando Clark abbassò il ricevitore vide Lana uscire dall'ascensore, la chiamò:
- Lana, che ci fai qui?
- Ciao Clark, Clhoe mi ha detto di Lex, sono venuta a vedere come sta.
- Non bene. Sta arrivando suo padre. Cos'altro ti ha detto Clhoe?
- Niente. Solo che Lex aveva avuto un incidente con la macchina.
Mentre Clark parlava con Lana un uomo si avvicinò all'accettazione e chiese ad una infermiera:
- Mi scusi, vorrei sapere qual è la stanza del signor Luthor.
- Lei è un parente?
- Sì… cioè no, sono un amico della sua famiglia.
- In questo caso non posso darle questa informazione, l'accesso a quest'area al di fuori dell'orario di visite è consentito solo ai familiari.
- Sono sicuro che se il signor Luthor sapesse che sono qui mi riceverebbe, vuole dirgli che c'è Robert Taylor?
All'udire quel nome Clark si intromise nella conversazione:
- Forse non ha capito signor Taylor, Lex non è in condizioni di ricevere visite, e questo grazie a lei.
- E tu chi saresti?
- Sono un amico di Lex e so benissimo chi è lei signor Taylor, o meglio chi dice di essere. Lex non vuole vederla, e comunque non è in condizione di farlo.
- In questo caso me ne andrò a cercare la caffetteria dell'ospedale e aspetterò l'orario di visite.
Nel voltarsi Robert urtò Clhoe che stava arrivando proprio in quel momento ma non si scusò:
- Ehi che modi! Ma chi era quel cafone Clark?
- Quello è Robert Taylor.
A Lana quel nome non diceva niente, così volle saperne di più:
- Chi è Robert Taylor, Clark? E perché hai detto che l'incidente di Lex è a causa sua?
- Adesso non posso dirti niente Lana, l'ho promesso a Lex, puoi farmi un favore? Io ho da fare con Clhoe, ma non voglio lasciare Lex da solo, puoi restare con lui? Il dottore dice che parlargli può fargli bene.
- Va bene Clark, tanto ho ancora qualche ora prima dell'apertura del Talon.
Mentre si dirigeva verso la stanza di Lex, Lana si sorprese a provare una punta di gelosia perché Clark condivideva con Clhoe un segreto che a lei non aveva voluto rivelare, anche se era un segreto non suo ma di Lex a quanto sembrava. Si disse subito di essere una persona orribile per pensare a se stessa in quel momento, con Lex in quelle condizioni, perciò decise di scacciare quel pensiero dalla mente e di trovare qualcosa di bello da dire a Lex dal momento che parlargli forse gli avrebbe fatto bene.
Clark e Clhoe nel frattempo si erano appartati in un corridoio per parlare senza essere ascoltati.
- Allora hai scoperto qualcosa?
- Ho fatto vedere i campioni ad un mio amico che lavora per il medico legale, non c'è dubbio quei due campioni sono compatibili.
- Non ci posso credere.
- Qualcosa di strano però c'è, il campione di capelli di Taylor era sfibrato come se appartenesse ad un uomo molto anziano, ma Taylor ha solo 45 anni.
- Come è possibile?
- Il mio amico dice che una possibile spiegazione c'è: esiste una malattia degenerativa che provoca l'invecchiamento precoce dei capelli.
- E Taylor ne soffre?
- Senza il campione da analizzare non possiamo saperlo.
- I campioni sono nei laboratori di Metropolis, non possiamo prenderli. Ma che malattia è?
- E' un cancro Clark, se ce l'ha, a giudicare dallo stato di quei capelli, non gli resta ancora molto da vivere.
- Tutto questo non ha senso, se veramente sta per morire perché ricattare il suo unico figlio appena ritrovato?
- Non lo so. Forse ha bisogno di soldi per curarsi.
- E credi che Lex non glieli avrebbe dati se invece di ricattarlo gli avesse detto la verità?
- Forse sì e forse no. Alla fine è piombato nella sua vita all'improvviso sostenendo di essere suo padre.
- Lex ha già perso sua madre, se Robert fosse davvero suo padre e fosse malato lo aiuterebbe. Ne sono sicuro.
- Probabilmente hai ragione.
- Voglio andare a dare un'occhiata nella sua stanza d'albergo, magari trovo delle medicine o qualcos'altro che ci dica se soffre di questa malattia.
- Ok, vengo con te. E non provare a dirmi che è troppo pericoloso e che dovrei rimanere qui d'accordo?
- Tanto anche se te lo dicessi so che verresti lo stesso, perciò andiamo.

Capitolo 6°

La stanza d'albergo di Robert era in disordine quando Clark e Clhoe vi si introdussero forzando la serratura con una forcina. Sul letto erano sparsi dei vestiti e la valigia aperta per terra fungeva da appendiabiti, sul comodino c'era una bottiglia di liquore scadente e il giornale aperto sui risultati delle corse. Clark si diresse verso il bagno e aprì l'armadietto dei medicinali, dentro c'erano solo un flacone di aspirine e una pomata per le scottature.
- Qui non c'è niente Clhoe!
- Neanche nella valigia. Non ci sono né medicine, né ricette o analisi.
- Forse ho trovato qualcosa di meglio.
Clark tornò nella stanza con in mano un pettine.
- Pensi che il tuo amico potrebbe analizzare questi capelli?
- Sì, penso di sì. Posso portarglieli anche adesso.
Il cellulare di Clhoe si mise a squillare:
- Pronto? Lana… ma… aspetta… calmati, dimmi con calma che sta succedendo.
Ci fu una lunga pausa mentre Clhoe ascoltava.
- Ho capito, va bene arriviamo subito. Clark, Lex ha avuto un arresto cardiaco, lo stanno rianimando, dobbiamo tornare in ospedale.
- Io ci vado subito, tu vai dal tuo amico e portagli il campione.
- Ma Clark… preferisco venire in ospedale!
- Non preoccuparti, ti garantisco che Lex si riprenderà, ma adesso è importante scoprire la verità su Taylor. Vai.
- D'accordo.
Appena Clhoe fu salita in macchina, Clark schizzò via alla velocità della luce e arrivò in ospedale quando Lana aveva appena riappeso il telefono:
- Allora come sta?
- Clark! Ma come hai fatto ad arrivare così in fretta?
- Eravamo in macchina e stavamo tornando qui.
Mentì Clark.
- Allora come sta?
- Ci sono i dottori dentro. Vieni.
Dalla porta aperta della stanza si sentiva il vociare concitato di dottori e infermiere sovrastato dal suono continuo e insistente del monitor cardiaco che segnalava che il cuore era ancora fermo:
- Qualcuno spenga quell'allarme!
Ordinò un dottore, e immediatamente il trillo cessò, Clark guardò attraverso la porta e vide i dottori affannarsi intorno al letto, un'infermiera comprimeva aritmicamente il palloncino del respiratore per immettere aria nei polmoni, un'altra stava inserendo una siringa nella flebo, probabilmente lidocaina. Un dottore con le mani incrociate spingeva ritmicamente sullo sterno per massaggiare il cuore mentre un altro con le piastre in mano aspettava che il defibrillatore si ricaricasse:
- Carica a 360. Libera!
Le mani di tutti simultaneamente si sollevarono per evitare di venire a contatto con la corrente elettrica, che invece attraversò il corpo di Lex e lo scosse in un sussulto, per un interminabile minuto non successe niente, poi il familiare bip a intermittenza del monitor cardiaco riempì il silenzio, sul video la linea verde, piatta fino ad un momento prima, si animò di picchi regolari a segnalare che il battito del cuore era tornato regolare.
- Ritmo sinusale regolare dottore.
- Bene, continuate le flebo e se cambia qualcosa chiamatemi immediatamente.
Clark fuori dalla porta si appoggiò alla parete, chiuse gli occhi per un attimo, e si concesse un lungo sospiro di sollievo. Aveva avuto paura: paura che Lex non ce la facesse, paura che dovesse morire con il dubbio sull'infedeltà di sua madre. Fu distratto da questi pensieri da una voce familiare:
- Infermiera, qual è la stanza di Alexander Luthor?
Lionel Luthor era in piedi davanti al banco dell'accettazione dando il braccio a Dominic, suo fedele collaboratore. Alla domanda rispose Clark:
- Signor Luthor, venga, Lex è qui.
- Clark! Come sta?
Clark prese il braccio di Lionel e lo guidò oltre l'angolo del corridoio fino alla porta della stanza di Lex dove era rimasta Lana e proprio in quel momento il dottore stava uscendo. Clark lo chiamò:
- Dottore, questo è il padre di Lex.
- Salve signor Luthor, sono il dottor Anderson.
- Come sta mio figlio?
- E' vivo, ha avuto un arresto cardiaco, lo abbiamo rianimato ma è ancora appeso a un filo, se avrà un altro arresto non credo che ce la farà. Mi dispiace di non poterle dare notizie più confortanti signor Luthor.
- Non so che farmene del suo dispiacere dottore! Farò venire i migliori specialisti da Metropolis, non vi permetterò di lasciar morire mio figlio!
- Signor Luthor, capisco quello che prova, ma le assicuro che abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere per salvare suo figlio.
- Sì… sì… certo… posso andare da lui?
Chiese Lionel con un gesto di impazienza della mano, come a voler allontanare un insistente seccatore.
- Sì.
Rispose secco il dottore.
- Ora se volete scusarmi ho degli altri pazienti. Tornerò più tardi a vedere suo figlio.
Così dicendo si allontanò. Ma Lionel non lo sentì, era già passato a questioni più importanti dell'orgoglio professionale di un medico di campagna.
- Clark, ti ringrazio molto per quello che tu e la tua famiglia avete fatto per Lex, ma ora ci sono io, se vuoi andare a casa non preoccuparti, resto io qui. Anche lei signorina Lang, immagino che avrà da fare.
- Beh si, fra mezz'ora inizia il mio turno al Talon, ma se c'è qualcosa che posso fare non deve fare altro che chiederlo.
- Anch'io devo andare, signor Luthor. Comunque torno più tardi. La prego, se ci sono novità mi faccia sapere.
- Lo farò senz'altro. Arrivederci.
Clark e Lana lasciarono solo Lionel e si avviarono lungo il corridoio:
- Clark, io vado al Talon, passi più tardi per farmi sapere come va?
- Certamente, ma prima ho bisogno di parlare con Clhoe.
- A che proposito?
- Mi dispiace Lana, ma non posso parlartene. Ci vediamo dopo.
- Ok, ciao.
Ancora una volta Lana avvertì quella punta di gelosia e di disappunto nel sentirsi esclusa da un segreto che Clark condivideva con Clhoe, ma poi si disse di essere sciocca a vedere in questa forzata complicità tra Clhoe e Clark qualcosa di più del desiderio comune di aiutare Lex.
Clark al piano terra dell'ospedale si diresse al telefono pubblico e chiamò Clhoe al cellulare:
- Clhoe, sono Clark. Hai trovato il tuo amico?
- Sì, sono qui con al Torch con lui. Come sta Lex?
- Ha superato la crisi, ma non ha ancora ripreso conoscenza. Che mi dici dei campioni?
- Il mio amico ha scoperto cose interessanti, se vieni qui ne parliamo.
- Ok, arrivo.

Al Torch Clhoe stava passeggiando nervosamente quando Clark arrivò:
- Ciao Clhoe.
- Ciao Clark, questo è il mio amico Chad Morgan.
- Ciao Chad.
- Ciao Clark.
- Allora, Clhoe mi ha detto che hai scoperto cose interessanti: di che si tratta?
Fu Clhoe a rispondere:
- Chad ha analizzato il campione e dice che è perfettamente sano, ma secondo lui questo campione non appartiene alla stessa persona dell'altro.
- Come non appartiene alla stessa persona? Ma è impossibile.
Chad intervenne:
- Non posso averne la certezza perché non posso analizzare l'altro campione, ma da quello che ho letto sul referto che mi ha dato Clhoe, da come viene descritto il campione, lo stato di sfibramento dei capelli, la secchezza, la fragilità… non c'è nessuna di queste caratteristiche nel campione che mi avete dato.
- Ma se tu hai ragione, allora l'altro campione a chi appartiene?
- Se i risultati del test non sono sbagliati o contraffatti, al padre del vostro amico, una persona anziana o malata.
- Grazie Chad.
- Non c'è problema. Clhoe, se hai bisogno di qualcos'altro chiamami. E non dimenticarti della cena di domani sera.
- D'accordo. Ci sentiamo Chad.

- Cena? Quale cena?
Volle sapere Clark quando furono rimasti soli.
- Per convincerlo a lasciare indietro il suo lavoro a analizzare il campione che gli ho portato ho dovuto promettergli qualcosa in cambio.
- E' una fortuna per le nostre indagini che il tuo fascino faccia strage di cuori!
- Smettila Clark! Torniamo alle cose serie: io non ci capisco niente. Se quei capelli non sono di Taylor vuol dire che lui non è il padre di Lex, ma neanche Lionel lo è, a meno che non sia malato.
- Già, ma chiunque sia il padre di Lex, Taylor lo conosce e in qualche modo si è fatto dare, o gli ha sottratto, quella ciocca di capelli. Devo trovarlo e fargli confessare la verità.
- Vengo con te. Andiamo.

Capitolo 7°

Quando Clark e Lana se ne furono andati e Lionel fu rimasto solo davanti alla porta della stanza di Lex per un attimo esitò, rimase immobile con la mano sulla maniglia indeciso se entrare o no, ma Dominic lo riscosse avvicinandosi:
- Signor Luthor, vuole che la accompagni da qualche parte?
- Sì, entriamo. Prendimi una sedia e accostala al letto.
Dominic fece come gli era stato detto, accostò la sedia a un lato del letto e guidò Lionel a sedervisi.
- Adesso lasciami solo, voglio restare con mio figlio.
- Sì signore, sarò qui fuori.
Quando Dominic fu uscito Lionel cercò la mano di Lex, la prese fra le sue e disse qualcosa che non diceva più da molto tempo:
- Lex, figlio mio, mi dispiace. Mi dispiace davvero… per tutto, per averti ostacolato in questo tuo progetto, per averti confinato qui a Smallville come punizione per la tua ribellione, per non averti capito mentre crescevi. Finché era viva tua madre il mio compito di padre era facile, era lei a consolarti quando piangevi, ad incoraggiarti quando pensavi di non farcela, a sostenerti quando io ti mettevo alla prova. A me restava solo il compito di metterti di fronte alle sfide, di presentarti gli ostacoli e spingerti a superarli. Ma quando lei è morta io non ho saputo prendere il suo posto, ho continuato ad educarti come pensavo un padre dovesse fare: a prepararti alla durezza della vita e a insegnarti come gestire la Luthor Corporation nel mare popolato di squali del mondo degli affari. Un giorno prenderai il mio posto, Lex, e io volevo che fossi preparato, se la tua infanzia non è stata come quella degli altri bambini e io non mi sono comportato come gli altri padri, credimi l'ho fatto solo per questo. Forse ho sbagliato, non lo so, ma sicuramente ti ho reso forte se hai avuto il coraggio di metterti contro di me. Questo a dire la verità non lo avevo previsto, e un po' mi ha deluso questa tua irriconoscenza nei miei confronti e questa tua disperata voglia di ribellione, ma un po' mi ha anche reso orgoglioso. Comunque se tu ti sveglierai… no, anzi, quando tu ti sveglierai…
Il monologo di Lionel fu interrotto dalla maniglia della porta che cigolò e subito dopo apparve Martha:
- Lionel, sono contenta che sia potuto tornare, mi ha detto Dominic che era qui.
Lionel poggiò la mano di Lex sul letto e si scostò bruscamente dal letto. Si girò verso la porta da dove proveniva la voce di Martha, e riacquistò rapidamente il dominio di sé:
- Martha, ho incontrato Clark prima, volevo ringraziarla per tutto quello che ha fatto per Lex.
- Non deve, l'ho fatto volentieri. Come sta?
- Il dottore dice che è ancora in pericolo, se non riprende conoscenza non sanno se ce la farà. Ma come è successo? So che a Lex piace correre in macchina, ma è sempre stato un buon guidatore.
- Non lo so, forse si è distratto, ultimamente aveva molte preoccupazioni (e soprattutto a causa tua).
Avrebbe voluto aggiungere Martha, ma Lionel era pur sempre l'uomo per cui lavorava, quindi si trattenne.
- Già.
Nell'imbarazzante silenzio che seguì Martha si avvicinò al letto e poggiò una mano sulla fronte di Lex:
- Ha ancora la febbre alta.
Disse.
- Già.
Ancora silenzio. Forse anche Lionel stava pensando a quanta parte di responsabilità fosse sua in quella situazione.
- Mh… mamma…
Martha tolse la mano e accostò la faccia al letto per sentire meglio. L'invocazione si ripeté:
- Mamma….
- Lex, sono Martha, apri gli occhi.
- Lex, figlio mio.
Lionel si alzò dalla sedia e inciampò nei sostegni del letto, quasi cadde sopra Lex che aprì gli occhi e riconobbe il volto di suo padre.
- Papà…
- Sì Lex, sono qui.
- Signora Kent.
- Bentornato Lex. Come ti senti?
- Mi sento… stanco, tanto stanco. E ho caldo.
- Hai ancora la febbre.
- Papà che ci fai a casa?
- Non siamo a casa Lex, siamo in ospedale.
- In ospedale? Da quanto?
Fu Martha a rispondere:
- Ti abbiamo portato qui Clark e io, ieri sera, dopo che sei svenuto.
- Non mi ricordo.
- Non importa, quello che conta adesso è che ti sei svegliato. Vado a chiamare il dottore.
Dopo che Martha fu uscita Lionel spiegò a suo figlio la situazione:
- Hai la polmonite.
Nella sua voce c'era una nota di rimprovero:
- Hai trascurato l'influenza e se Martha non fosse stata al castello ieri sera…
Lionel non finì la frase, ma forse Lex non lo stava ascoltando, con gli occhi chiusi sembrava fosse ripiombato in uno stato di incoscienza. Quando Martha tornò con il dottore si spaventò nel vederlo di nuovo privo di sensi:
- Dottore, le assicuro che si era ripreso.
- Questo è senz'altro un buon segno. Ma adesso se non vi dispiace uscire vorrei visitarlo.
Martha prese Lionel a braccetto e lo scortò fuori dalla stanza, in corridoio Dominic appoggiato ad una finestra guardava fuori con l'aria annoiata, quando li vide uscire si riscosse e andò loro incontro. Martha gli cedette il braccio di Lionel e si allontanò lungo il corridoio quando vide Clark e Clhoe uscire dall'ascensore.
Anche Clark la vide:
- Mamma che succede?
- Lex si è svegliato, adesso c'è il dottore dentro.
- Meno male!
- Voi che novità avete?
- Abbiamo scoperto una cosa molto importante: Taylor non è il padre di Lex
- Ma è magnifico!
- Già, ma non sappiamo chi sia, sappiamo solo che Taylor lo sa e in qualche modo si è procurato i suoi capelli. Lo abbiamo cercato in tutto l'ospedale per parlarci ma non riusciamo a trovarlo. Così stanotte andremo a Metropolis ai laboratori Cadmus per prendere i campioni.
- State attenti, può essere pericoloso!
- Non preoccuparti mamma.
A Clhoe non sfuggì lo sguardo d'intesa che si scambiarono Clark e Martha, ma non poté capirne il significato, così accantonò il pensiero classificandolo come uno dei tanti segreti della famiglia Kent.

- (Maledizione!)
Pensò Taylor mentre non visto ascoltava la conversazione tra Clark e sua madre.
- (Accidenti al giovane Kent e alla sua amichetta ficcanaso!)
Badando a non fare rumore richiuse la porta del vano delle scale da cui aveva ascoltato non visto lo scambio di informazioni, e iniziò a scendere rapidamente i gradini.

La porta della stanza di Lex si aprì e ne uscì il dottore, Martha, Clark e Clhoe si avvicinarono:
- Allora dottore?
Il dottore si rivolse a Lionel:
- Signor Luthor, suo figlio a tratti ha ripreso conoscenza anche mentre lo stavo visitando, e questo è un buon segno, tuttavia ha ancora la febbre molto alta e non è pienamente cosciente, dobbiamo aspettare ancora questa notte per poter sciogliere la prognosi, se domattina la febbre gli sarà scesa sarà fuori pericolo. Tornerò più tardi.
- Va bene, io torno dentro.
Mentre il dottore si allontanava lungo il corridoio, Lionel rientrò nella stanza al braccio di Dominic, Martha lo seguì subito dopo aver scambiato un cenno d'intesa con Clark:
- State attenti ragazzi.

Capitolo 8°

I laboratori Cadmus erano dotati di sofisticati sistemi di sicurezza, ma niente che la vista a raggi X e la supervelocità di Clark non potessero eludere, il problema era convincere Clhoe a rimanere in macchina:
- Ascoltami Clhoe, ho bisogno che tu resti in macchina.
- Non cominciare Clark! Voglio venire anch'io.
- No, sul serio: devi rimanere per controllare se il guardiano si muove dal suo ufficio o se passa la polizia o gli agenti del servizio di sicurezza.
- D'accordo. Se succede una di queste cose non preoccuparti, creerò un diversivo, ma come farai con le telecamere di sicurezza?
- Qualcosa mi inventerò.
Con un sorriso enigmatico stampato in faccia Clark scese dall'auto prima che Clhoe potesse replicare, lei avrebbe voluto anche farlo, ma quando si sporse sul sedile per parlare a Clark attraverso il finestrino questi era già sparito, passando ad ipervelocità davanti all'ufficio del guardiano aveva già raggiunto l'ingresso e con una leggera (per i suoi standard) pressione sulla maniglia, la porta non fu più un ostacolo.
Dopo aver esplorato invano con la vista a raggi X alcune stanze lungo i corridoi, finalmente trovò quella in cui si eseguivano le analisi del DNA. I campioni erano conservati in un frigorifero chiuso da una serratura a combinazione che cedette subito sotto la super forza di Clark.
Per la stessa strada da cui era entrato, e alla stessa velocità, Clark uscì dal laboratorio e si diresse al parcheggio, finora era filato tutto liscio, forse anche troppo, pensò.
Quando arrivò all'auto di Clhoe vide lo sportello del lato guida aperto, ma Clhoe non c'era, forse non aveva resistito e lo aveva seguito all'interno, pensò Clark, ma sul parabrezza fermato dal tergicristallo c'era un biglietto che spiegava come stavano le cose:
"Se vuoi rivedere la tua amichetta viva porta con te quello che hai rubato nel laboratorio, e vediamoci a mezzanotte al boschetto di Cedar Lake. Se ci tieni alla sua vita vieni da solo."
Solo una persona poteva aver scritto quel biglietto, ma Clark si chiese come aveva fatto Taylor a sapere che sarebbero andati ai laboratori. Forse li aveva seguiti, comunque ora la cosa più urgente era Clhoe, Clark guardò l'orologio: le 9:45, aveva giusto il tempo di tornare a Smallville e andare all'appuntamento con Taylor.

In ospedale intanto Martha e Lionel erano seduti in silenzio nella stanza di Lex, che di tanto in tanto apriva gli occhi e mormorava frasi sconnesse, poi tornava ad assopirsi, Martha gli cambiava ad intervalli regolari la garza bagnata sulla fronte, ma la febbre restava ancora alta. Ad un tratto l'attenzione di Lionel fu catturata da una frase particolare:
- Martha, ha sentito? Ho capito bene? Lex ha detto proprio: "Non la passerai liscia Taylor"?
- N-noo, non mi sembra… non ho sentito bene…
Martha impallidì a quella domanda, aveva sentito anche lei ma sperava che Lionel non se ne fosse accorto:
- Sta delirando, non sa quello che dice.
- Sì… sarà certamente così.
Lionel si era convinto troppo in fretta, pesò Martha, ma subito fu distratta dalla porta che si apriva, comparvero Jonathan e Lana con un vassoio di tazze di caffè:
- Buonasera signor Luthor, signora Kent, immaginavo di trovarvi qui e ho pensato che una buona tazza di caffè del Talon vi avrebbe fatto piacere.
- Oh Lana, che pensiero gentile.
- Non è nulla signora Kent, come sta Lex?
Fu Lionel a rispondere:
- Meglio, grazie signorina Lang, si è svegliato, ora dobbiamo solo aspettare che gli scenda la febbre.
Martha colse al colo l'occasione fornitale dall'arrivo di Lana e Jonathan:
- Lasciamolo riposare, usciamo un attimo a berci questo buon caffè.
Così dicendo prese il braccio di Lionel e lo scortò fuori in corridoio.
Proprio mentre uscivano videro Clark avanzare lungo il corridoio.
- Clark, dov'è Clhoe?
Chiese Martha.
- Sta parcheggiando.
Mentì Clark.
- Mamma, papà, posso parlarvi un attimo?
- Certo.
Martha porse il braccio di Lionel a Lana e seguì il figlio nella saletta d'attesa deserta a quell'ora della notte.
- Che succede Clark? Avete avuto problemi a Metropolis?
- Abbiamo preso i campioni, eccoli, ma Taylor ha rapito Clhoe e mi ha lasciato questo biglietto.
Clark lo porse ai genitori.
- Oh mio Dio!
Esclamò Martha.
Jonathan offrì subito il suo aiuto:
- Adesso sono le 11:15, andiamo, vengo con te.
- State attenti per carità, questo Taylor è pericoloso. C'è un'altra cosa Clark, prima Lex nel delirio della febbre ha detto: "Non la passerai liscia Taylor", e Lionel lo ha sentito, io gli ho detto che Lex non era in se e quello che diceva non aveva senso, ma non so se mi ha creduto.
- A questo penseremo poi mamma, adesso devo trovare Clhoe.
- D'accordo.

Capitolo 9°

Il boschetto di Cedar Lake era da sempre considerato un luogo misterioso a Smallville, secondo un'antica leggenda, infatti, vi dimorava lo spirito di un indiano vissuto 280 anni prima, che non aveva pace perché era affogato nel lago da cui il bosco prendeva il nome per colpa di un rivale in amore che lo aveva gettato in acqua con una pietra al collo. Da piccoli Clark e Pete ci avevano passato molte notti insonni alla ricerca del fantasma, e anche Clhoe, appena trasferitasi da Metropolis, aveva voluto visitarlo, rigorosamente di notte (l'orario preferito dal fantasma per manifestarsi secondo la leggenda), e munita dell'inseparabile macchina fotografica e di un registratore.
Quella sera il bosco era tranquillo, freddo e umido come in molte altre notti d'inverno, ma tranquillo.
Jonathan si nascose fra i cespugli per non farsi vedere da Taylor mentre Clark rimase in piedi ben visibile dalla strada che costeggiava il bosco. Quando mancavano ancora 10 minuti a mezzanotte i fari di un'auto illuminarono il cespuglio dove ere nascosto Jonathan e si fermarono accanto a Clark. Taylor scese dalla macchina ma non spense i fari che restarono puntati sul cespuglio dietro cui si era acquattato Jonathan.
- Allora, dove sono i campioni?
- Prima voglio vedere Clhoe, voglio sapere se sta bene.
- Controlla con i tuoi occhi.
Così dicendo Taylor girò intorno all'auto e aprì il bagagliaio, Clhoe era legata e imbavagliata e sbatté gli occhi quando Taylor la illuminò con la torcia. L'uomo la aiutò ad uscire e la tenne per un braccio in piedi davanti a sé.
- Adesso tocca a te, appoggia i campioni sul cofano dell'auto e allontanati.
Clark obbedì e appoggiò la busta.
Taylor spinse Clhoe verso il luogo dove Clark aveva lasciato la busta, ma quando fece per afferrarla la ragazza gli calpestò un piede, Taylor barcollò per il dolore, allentò la stretta e Clhoe cercò di divincolarsi, ma l'uomo reagì spingendola sul ciglio del lago, Clhoe perse l'equilibrio e cadde in acqua, con le mani e i piedi legati non poteva nuotare ed iniziò ad affondare. Clark si gettò in acqua per liberarla, approfittando dell'occasione Taylor afferrò la busta e fece per salire in macchina, ma non aveva visto Jonathan che uscito dal suo cespuglio gli si avventò contro e sfruttando l'effetto sorpresa per una attimo ebbe la meglio, ma fu solo un attimo, Taylor era più alto e più robusto e liberatosi dalla stretta di Jonathan lo atterrò con un destro diretto al mento.
Jonathan fece per seguirlo, ma si accorse che Clark e Clhoe non erano ancora risaliti sul ciglio della strada, così lasciò andare Taylor e si precipitò sulla sponda. Clark e Clhoe stavano faticosamente uscendo dall'acqua appoggiandosi l'una all'altro, Jonathan li aiutò ad uscire vedendo Clark notevolmente affaticato. Fu lui stesso a spiegargliene la ragione:
- Papà, ci sono delle rocce di meteorite in fondo al lago.
Appena raggiunta la riva Clark recuperò immediatamente le forze e aiutò Clhoe a finire di liberarsi dalle corde, la ragazza si accorse della fuga di Taylor:
- Clark, Taylor se n'è andato con i campioni.
Jonathan si affrettò a scusarsi:
- Mi dispiace ragazzi, ma non sono riuscito a fermarlo.
- Non fa niente papà, la cosa importante adesso è che Clhoe sia sana e salva.
- Hai ragione Clark, adesso per prima cosa direi di andarcene tutti a casa a cambiarci, poi domattina ci occuperemo di Taylor.

Capitolo 10°

Era l'alba, dalla finestra della stanza di ospedale Martha vide i primi raggi di sole filtrare dalle persiane chiuse, si alzò e appoggiò una mano sulla fronte di Lex ancora addormentato, finalmente era fresca, la febbre era calata durante la notte, era il segnale che il dottore stava aspettando per sciogliere la prognosi. Lex forse sentì il tocco di Martha, perché aprì lentamente gli occhi:
- Lex, bentornato! Come ti senti?
- Un po' stanco, ma abbastanza bene.
- Bene sono contento di sentirtelo dire figliolo.
- Papà… sei ancora qui? Che giorno è oggi?
- Giovedì perché?
- Ho qualcosa di importante da fare.
Lex fece per alzarsi dal letto, ma Martha lo fermò e non dovette faticare molto visto quanto era debole:
- Tu non vai da nessuna parte, hai rischiato di morire lo sai? Adesso vado a chiamare il dottore.
- D'accordo signora Kent, forse ha ragione lei.
Quando Martha fu uscita Lionel chiese:
- Allora Lex, qual è questa cosa così importante che devi fare?
- Non credo che ti debba riguardare.
- D'accordo, la mia era solo curiosità.
Lionel non poteva vederlo, ma Lex stava cercando di alzarsi dal letto, senza molto successo dal momento che era ancora troppo debole, cercò di tirarsi su a sedere, ma non ebbe la forza sufficiente per alzarsi e ricadde sul cuscino.
In quel momento entrò nella stanza un uomo con il camice bianco:
- Bene, sei sveglio?
Per un attimo Taylor non si avvide della presenza di Lionel, che per fortuna era cieco e non poté vedere l'espressione sul volto di Lex quando comparve Taylor.
- Chi è lei?
Chiese Lionel.
- Sono il dottor Green, la prego di uscire così che io possa visitare suo figlio.
- Dov'è Martha Kent?
- E'… si è fermata a prendere un caffè al distributore automatico. Venga, l'accompagno fuori.
Quando furono rimasti soli Taylor si rivolse a Lex che nel frattempo si era faticosamente messo a sedere sul letto:
- Vedo che ti sei ripreso.
- Fermati per favore, mi stai facendo venire il mal di mare.
- Guarda che io sono fermo.
Lex chiuse gli occhi per un attimo:
- Hai ragione, è la mia testa che gira. Sentiamo, che vuoi ancora?
- Quello che volevo due giorni fa: soldi. E il ritorno di Lionel è sicuramente un punto a mio favore che ti spingerà ad aprire il portafogli più in fretta.
- E tu saresti mio padre? E' incredibile, io sono in un letto d'ospedale e tu pensi solamente a spremermi denaro più in fretta che puoi. Non mi sarei aspettato un comportamento così neanche da Lionel.
Taylor stava per replicare quando la porta si aprì di scatto ed entrò Clark:
- Lex, tuo padre mi ha detto che ti sei…
Clark non terminò la frase riconoscendo l'uomo col camice:
- Taylor, che ci fa qui?
- Accidenti a te piccolo impiccione!
Taylor si avvicinò improvvisamente al letto, estrasse una pistola e la puntò alla testa di Lex:
- Non ti permetterò di rovinare tutto adesso che ero quasi riuscito nel mio piano.
- Che te ne pare Clark, non ti sembra che il mio padre naturale sia ancora peggio di quello che mi ha cresciuto?
La voce di Lex era velata di tristezza.
- Non è tuo padre Lex.
- Come sarebbe?
- Ho chiesto ad un amico di Clhoe di analizzare i suoi capelli che ho preso nella sua stanza d'albergo e non appartengono alla stessa persona di quelli che hai fatto analizzare tu.
- Sei sicuro?
- Sì.
Lex si rivolse a Taylor:
- Allora chi è mio padre?
La porta si aprì proprio in quel momento:
- La persona che hai sempre pensato che fosse.
- Papà! Hai sentito tutto?
- Non lo sai figliolo che quando si perde la vista tutti gli altri sensi si acuiscono per sostituire quello mancante? E poi la porta non era chiusa. L'avevo riconosciuta subito signor Taylor, io non dimentico mai una voce o una faccia, ho finto di credere che lei fosse il dottor Green perché ero curioso di capire che rapporti avesse con mio figlio.
- E' vero Taylor? Quella ciocca di capelli appartiene a Lionel?
Chiese Lex.
Taylor esitò per un attimo, guardò prima Lionel, poi Clark e infine si rivolse a Lex:
- Sì, gliel'ho sottratta l'anno scorso quando ci fu quel tentativo di furto nel suo attico di Metropolis, l'ho presa dal bagno e poi me la sono messa sul colletto per farti credere che fosse mia.
Clark si intromise nella conversazione:
- Ecco perché i capelli erano così secchi e sfibrati, perché erano stati tagliati da tanto.
- Dannazione ragazzo! Ma non puoi fare a meno di ficcare il naso? Se non fosse stato per te adesso avrei in tasca un bel po' di soldi!
Anche Lionel intervenne:
- Mi stupisco di te figliolo, come hai potuto credere a questo imbroglione da quattro soldi e dubitare dell'onestà di tua madre? Tu che dicevi di conoscerla bene.
- Ho controllato, quello che mi ha raccontato era vero, tranne ovviamente la parte del tradimento.
- In realtà il signor Taylor era davvero infatuato di tua madre. Fu lei stessa a dirmelo. Io avrei voluto licenziarlo in tronco, ma lei aveva un gran cuore e si limitò a trasferirlo nella villa di Smallville. Avrebbe potuto tradirmi facilmente e sarebbe stata ben poca cosa rispetto a quello che le avevo fatto passare io, ma non lo ha mai fatto, era una donna troppo onesta. Tu hai disonorato la sua memoria credendo alle menzogne di quest'uomo.
Lex abbassò lo sguardo e non rispose.
- Sono spiacente di interrompere questo paterno rimprovero, ma nel caso con i suoi sensi acuiti non lo avesse capito signor Luthor, ho una pistola puntata alla testa di suo figlio. Io adesso me ne andrò da qui con lui e lei sarà così gentile da farmi avere 400.000 dollari in contanti prima delle 10 di stasera, altrimenti non lo rivedrà più.
Taylor aveva staccato le flebo dalle braccia di Lex e strattonò il ragazzo per un braccio perché si alzasse e lo seguisse. Clark intervenne:
- Che sta facendo? Non vede che è troppo debole? Non può venire con lei, ha bisogno di riposo.
Taylor non lo ascoltò e tirò di nuovo, Lex tentò di alzarsi, ma era ancora troppo debole, fece qualche passo poi le gambe gli cedettero e si accasciò a terra. Taylor lo prese sotto le spalle cercando di farlo rialzare. In quel momento la porta si aprì ed entrarono Martha e il dottor Anderson, Taylor alzò lo sguardo verso di loro imprecando. Clark approfittò della sua distrazione per avvicinarglisi e disarmarlo. Martha e il dottore si precipitarono al fianco di Lex, lo aiutarono ad alzarsi e lo riportarono a letto. Il dottore sistemò le flebo mentre Clark consegnava Taylor agli uomini della sicurezza dell'ospedale accorsi dopo aver sentito il trambusto. Lionel disse loro:
- Consegnate quest'uomo allo sceriffo, è accusato di tentata truffa e tentato rapimento a scopo di estorsione.
- Finalmente è finita!
Esclamò Martha.
- Lex, come ti senti?
- Meglio signora Kent, grazie.
Il dottor Anderson intervenne nella conversazione:
- Signor Luthor, lei ha avuto un arresto cardiaco e le sue condizioni sono ancora gravi, deve assolutamente riposare, per essersi appena ripreso ha già subito troppe emozioni. Potrà vedere la sua famiglia più tardi, adesso devo visitarla per vedere se è tutto a posto. Vi prego cortesemente di uscire signori.
Fuori dalla stanza Lionel chiese:
- Sarei curioso di sapere una cosa: tra i presenti oltre me chi altri era all'oscuro del tentativo di ricatto che Lex stava subendo?
Martha e Clark si guardarono imbarazzati. Lionel non poteva vederli, ma il loro silenzio gli bastò:
- Capisco.

Capitolo 11°

La cella in cui Taylor aveva passato la notte era umida, la branda era più dura delle assi del pavimento e le sbarre non consentivano il minimo di intimità. Certamente non era il posto ideale dove ricevere visite, ma fu lì che lo sceriffo Ethan fece accomodare il suo ospite. Nel seminterrato dell'ufficio dello sceriffo dove si trovavano le celle in quel momento non c'erano altri reclusi, così quando lo sceriffo se ne fu andato i due uomini rimasero da soli. Fu il nuovo arrivato a rompere il silenzio:
- Volevo congratularmi con te per la storia che ti sei inventato su come hai ottenuto la ciocca di capelli.
- Grazie, ho dovuto improvvisare. Non potevo certo dire chi me l'aveva data.
- Apprezzo la tua discrezione, ma il mio capo gradirebbe entrare in possesso di quel campione.
- Che cosa vi fa credere che ce l'abbia io?
- Il giovane Kent sostiene di avertela consegnata in cambio del rilascio della signorina Sullivan. A proposito, si è aggiunto il sequestro di persona ai tuoi già numerosi capi d'accusa.
- Accidenti a quei due impiccioni! E che cosa ne ricaverei se vi consegnassi il campione?
- Sono stato autorizzato a pagare la tua cauzione, e a versare su un conto estero a tuo nome una considerevole somma che ti permetterà di vivere agiatamente per un bel po'.
- Mi sembra un'offerta un po' troppo generosa in cambio di una misera ciocca di capelli.
- Naturalmente l'accordo prevede che tu esca dal paese e non faccia mai più parola con nessuno di questa faccenda, in particolare al giovane erede di casa Luthor.
- Continuo a non capire perché.
- Non sei pagato per pensare, ma solo per sparire e portare con te questo segreto. Non spetta a me ricordarti quanto sei stato fortunato che il mio capo non abbia scelto un altro modo di assicurarsi il tuo silenzio.

Quando Clark entrò nella grande biblioteca del castello vide Lex sdraiato sul divano con gli occhi chiusi, girò sui tacchi e fece per andarsene, ma una voce lo fermò:
- Rimani pure Clark, sono sveglio.
- Scusami Lex, non volevo disturbarti.
- Come può disturbare la persona che mi ha salvato la vita due volte e ha smascherato chi mi ricattava? Hai fatto bene a passare, volevo proprio ringraziarti per tutto quello che avete fatto tu e la tua famiglia.
- Non è niente. Ero solo passato a vedere come stavi. Non ti hanno dimesso un po' troppo presto?
- Me ne sono andato io, non resistevo un minuto di più in quell'ospedale, ma non preoccuparti, come ho detto a tua madre quando è passata stamattina, prendo tutte le medicine e non faccio altro che riposare dalla mattina alla sera.
- Mia madre è ancora nell'ufficio di Lionel?
- Sì, ma ogni tanto passa di qui, a proposito sai che è stata lei a impormi questo riposino pomeridiano? Dovremmo pagarla il doppio visto che oltre che la segretaria fa anche la babysitter.
- Mi dispiace che si comporti così.
- Non preoccuparti, fa piacere vedere che qualcuno ha a cuore la tua salute. Ma dimmi di come hai fatto a capire che Taylor non era chi diceva di essere.
Clark raccontò dell'amico di Clhoe, delle analisi, della sortita nella stanza d'albergo di Taylor, dei laboratori Cadmus, del rapimento di Clhoe e della fuga di Taylor dopo aver scambiato i campioni.
- Non preoccuparti di Clhoe, prima di chiederle di aiutarmi le ho fatto promettere di mantenere il segreto, ma adesso che la verità è venuta fuori non sta più nella pelle per la voglia di pubblicare tutta la storia.
- Dille pure che ha la mia autorizzazione, dopo tutto quello che ha rischiato per aiutarmi il minimo che possa fare è darle l'esclusiva. Grazie Clark per non esserti arreso.
- A quanto pare pur non avendo conosciuto tua madre, Clark ha avuto fiducia in lei più di te.
L'arrivo di Lionel non era stato annunciato, come avveniva di solito, dal rumore secco prodotto dal suo bastone per ciechi contro le pareti del corridoio.
Lex si alzò dal divano e si diresse al mobile bar per versarsi un bicchiere di succo d'arancia:
- Papà, ma tu non hai niente da fare?
- Sono passato a controllare come sta mio figlio. Spero che Clark non ti abbia fatto stancare troppo, il dottore ha detto che hai bisogno di molto riposo per rimetterti completamente.
- Non si preoccupi signor Luthor, me ne stavo andando. Lex, ripasso domani.
- D'accordo, ciao Clark. Allora papà, sei qui per farmi la ramanzina?
- Oh no figliolo, non lo farei mai, sono solo curioso di sapere come hai potuto farti ingannare con tanta facilità da un venditore di fumo come Robert Taylor. Ti credevo più furbo.
- Evidentemente non abbastanza.
- Questo ti servirà da lezione per il futuro, ma se vuoi competere con me nel mondo degli affari devi imparare a non fidarti di chiunque.
- Non preoccuparti papà, ho imparato a non fidarmi neanche di te.
- E invece sbagli, solo della famiglia ci si può fidare. Come hai potuto non fidarti di tua madre e disonorare la sua memoria credendo alle parole di Taylor?
- Io so bene che la mamma non ti avrebbe mai tradito, e che era troppo onesta anche per scendere al tuo livello. Ho pensato solo che in Taylor potesse aver trovato consolazione all'immenso dolore che tu le davi con tutte le tue infedeltà.
- Dimmi la verità, che cosa hai provato quando hai creduto di non essere mio figlio: sollievo, felicità, liberazione, rivincita?
- Nessuna di queste cose, ero solo confuso: all'improvviso tutte le mie certezze erano crollate, non sapevo più chi era mio padre e l'immagine che avevo di mia madre era stata offuscata dal dubbio.
- E invece di parlarne con me hai preferito parlarne con i Kent, hai confidato a loro il segreto della tua famiglia. Scommetto che era proprio su questo che Taylor ha scommesso: sul fatto che non me lo avresti voluto far scoprire per paura di perdere i privilegi dell'essere un Luthor.
- Non è per questo che non volevo dirtelo, puoi credermi. Non volevo che anche tu dubitassi della mamma.
- Io non avrei mai dubitato di lei. Non avrei mai messo in dubbio la sua onestà, se fosse ancora viva si vergognerebbe di avere un figlio come te.
Lex girò le spalle a suo padre e si mise a guardare fuori dalla finestra. Il volto era, per la prima volta da molti anni, bagnato di lacrime.
L'arrivo di Dominic ruppe l'imbarazzato silenzio:
- Signor Luthor, posso parlarle? E' importante.
Lex colse l'occasione:
- Se vuoi scusarmi papà, sono stanco, me ne vado di sopra.
Quando furono rimasti soli Dominic si avvicinò a Lionel:
- Ho quello che mi aveva chiesto signore.
- Bene, il nostro amico ha fatto delle obiezioni?
- No signore, era solo grato dell'occasione che gli veniva offerta. In questo momento è su un aereo diretto in Sud America.
- Ben fatto. Puoi andare adesso, voglio restare da solo.

Quando Dominic fu uscito Lionel tolse dalla busta che gli aveva consegnato il suo dipendente una ciocca di capelli castani e prese a rigirarla tra le dita. Al tatto si accorse che aveva una consistenza diversa da quella dei suoi capelli, non sembrava neppure provenire dalla stessa persona……


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